
19 settembre
Juncker e il discorso sullo stato
dell’Unione
Il titolo è pomposo e richiama apertamente
quello del Presidente degli Stati Uniti. Il discorso sullo stato dell’Unione
(europea) è l’appuntamento di settembre fra la Commissione e il Parlamento
europeo. Jean-Claude Juncker delinea a Strasburgo non tanto il bilancio
dell’anno che fu ma le prospettive dell’anno che sarà. Il taglio è insolitamente
ottimistico.
Dopo le lamentazioni del periodo di crisi finanziaria, ora che questa sta dietro
alle spalle persino in Grecia e Italia, il Presidente della Commissione guarda
all’avvenire con lo sguardo lucido di chi indica un progetto strategico.
Il Regno Unito è archiviato. Brexit è una pratica da chiudere in fretta senza
perdere troppi pezzi per amore di compromesso e facendo pagare il giusto prezzo
ai fuoriusciti. Il che non sarà facile se si pensa alla resistenza britannica
nelle sconfitte. Il successo in sala di Dunkirk di Nolan testimonia della
capacità britannica di trasformare la disfatta in premessa di vittoria. E’
acquisito che il caso britannico non fa proseliti neppure fra alcuni stati
membri tendenzialmente eterodossi come quelli dell’Est.
Il Gruppo di Visegrad ha avuto la soccombenza dalla fresca sentenza della Corte
di Giustizia sulla riallocazione dei profughi. Mugugna contro il dispositivo che
taccia di “politico”, ma è consapevole che deve stare al gioco per non mettere a
repentaglio gli aiuti strutturali. Il Gruppo resterà riottoso e impegnato in una
campagna elettorale permanente (si veda Orbàn in Ungheria), fino a rientrare nei
ranghi appena la Germania avrà consumato il proprio rito elettorale.
Del tipo: voi polacchi e ungheresi e cechi e slovacchi attardatevi con la
purezza della razza bianca che sarebbe inquinata dall’afflusso d’un gruppo di
stranieri di colore, ma quando il gioco si farà duro sulle prospettive
finanziarie, allora a Berlino dovrete ricorrere perché Bruxelles vi accontenti.
Per quanto decentrata a nord-est dell’Unione, Berlino ambisce ad essere il
centro di gravità dell’Unione, forte dell’asse con Parigi e dell’egemonia
culturale che esercita sull’apparato brussellese.
Macron e Merkel sono accreditati di un piano per il futuro dell’Unione. Il piano
contemplerebbe un nucleo ristretto di stati membri desiderosi di fare di più
(specie in materia di finanza, sicurezza, difesa) ed un nucleo largo di stati
membri da invitare nel nucleo di testa o, in mancanza, da lasciare in un ambito
di minore potere.
La classica formula del “prendere o lasciare” che, diplomaticamente ammantata di
proposte volte ad includere, porterà i recalcitranti a decidere dove collocarsi
senza successivi tentennamenti.
La visione di Juncker è invece di tipo classico: integrazione più stretta e da
subito della totalità dei Ventisette, senza scarti fra il gruppo di testa e il
gruppo di coda. La visione valorizza il ruolo della Commissione, che
continuerebbe a vegliare, come da Trattato, sul buon funzionamento della casa
comune.
Volendo sintetizzare drasticamente le posizioni: da una parte si affaccia un
modello intergovernativo coi forti a guidare la marcia, dall’altra si ventila un
modello integrazionista (federalista) con l’intero blocco a marciare unito.
E’ presto per dire dove si collocherà l’Italia. A differenza della Germania che
presto vedrà conclusa la campagna elettorale, il nostro paese vive una stagione
di permanente dibattito che dovrebbe concludersi soltanto in primavera.
Nell’attesa è meglio restare prudenti. Una scelta in un senso o nell’altro
potrebbe essere smentita nel giro di pochi mesi. Non sempre il silenzio è
reticenza.
di Cosimo Risi
Fonte: Salernonotizie
4 settembre
Fast food, la protesta è globale
Scioperi e sit-in davanti ai ristoranti di
tutto il mondo in occasione della campagna promossa dal sindacati internazionali
contro lo sfruttamento e i bassi salari. In Italia doppio appuntamento (Roma e
Milano) organizzato dalla Filcams Cgil

Si rinnova come ogni anno, il 4 settembre, la
campagna internazionale per i diritti dei lavoratori dei fast food di tutto il
mondo. L'iniziativa è promossa dalla Iuf – l'associazione internazionale dei
sindacati dei settori ristorazione, alberghi, catering e agricoltura – per
accendere i riflettori su questioni come il diritto di aderire o di formare un
sindacato, il mancato pagamento di salari bassi e inadeguati, contratti
applicati unilateralmente senza orari minimi garantiti e occupazione precaria.
Qualche risultato negli ultimi tempi è stato
raggiunto. Nel Regno Unito, una lunga campagna del sindacato Bfawu contro i
“contratti a zero ore” ha portato McDonald’s a stipulare contratti fissi con un
numero minimo di ore garantite; in Germania, il sindacato Ngg è in conflitto con
i datori di lavoro sulla giusta remunerazione e sul salario per i lavoratori dei
fast food; in Indonesia, Fspm è impegnato a far rispettare i diritti
fondamentali per gli addetti della catena dei fast food locale di Champ Resto;
in Nuova Zelanda, Unite Union ha strappato un accordo con McDonald’s che prevede
aumenti salariali rispetto al salario minimo orario.
Oggi (4 settembre) la nuova protesta con presidi e
volantinaggi all’esterno dei ristoranti fast food di moltissime catene nazionali
e multinazionali. Negli Stati uniti è stato proclamato lo sciopero nazionale per
#FightFor15 (obiettivo 15 dollari l’ora di salario minimo garantito) con azioni
in tutte le principali città. In Italia è la Filcams Cgil (affiliata alla Iuf) a
organizzare momenti di protesta. “La situazione complessiva nel nostro paese –
sottolinea la sigla di categoria – non è certo più rosea: il contratto
collettivo nazionale è scaduto da più di 4 anni e Fipe Confcommercio, fino a
oggi, ha sempre vincolato l’eventuale raggiungimento di un accordo a un netto
taglio del costo del lavoro peggiorando le condizioni normative e salariali per
quasi un milione di addetti che operano nel settore della ristorazione”.
Fonte: Rassegna Sindacale
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