Archivio dicembre 2004
30 dicembre
Giusto per la cronaca:
Tratto da “Repubblica”
“Da quattro giorni, una signora italiana, Anna Rampazzo,
è sdraiata su una panca nella hall dell'hotel Oriental nel quartiere del forte
olandese di Galle. Ha una vertebra fratturata e non può essere trasportata in
auto perché rischierebbe una lesione al midollo e la perdita dell'uso delle
gambe. Per muoverla ci vuole un elicottero.
Ma non c'è. Quando i responsabili del piccolo team della Protezione civile hanno
suggerito all'ambasciatore Zotta di chiederne uno al governo locale la risposta
è stata: "Macché glielo chiediamo a fare, tanto non ce lo danno".
L'ambasciata italiana non è stata soltanto travolta dall'emergenza. Non è stata
capace neppure di fornire un supporto logistico minimo. Una parte del team della
Protezione civile è riuscito a raggiungere il sud del paese grazie ad un pulmino
affittato dai giornalisti. Pulmino che era stato chiesto ventiquattr'ore prima
al consigliere Massimo Darchini che, incapace di organizzare l'affitto di un
mezzo di trasporto, ha poi sostenuto di non essere preposto ad occuparsi di
simili minuzie.”
15 dicembre
Un
paese
ad personam
di EZIO MAURO
C'È un'emergenza crimine nel Paese che preoccupa
i cittadini, e che dovrebbe impegnare in prima linea il governo, con la sua
cultura propagandistica da "tolleranza zero". No. In piena emergenza, Forza
Italia si trasforma ancora una volta in un manipolo aziendale per la tutela
degli interessi personali di Cesare Previti, che incatena ai suoi destini la
decenza di un partito, di una maggioranza parlamentare, di una coalizione, del
governo: e purtroppo dell'Italia.
La Casa delle Libertà oggi prova in Parlamento a liberare ad ogni costo Cesare
Previti, già condannato due volte per corruzione. Non potendo più fermare i suoi
giudici né camuffare il reato, si tenta di renderlo impunibile. Come? Semplice.
Si costruisce un fittizio "pacchetto anticrimine" per fingere di legiferare
nell'interesse del Paese, e nel pacchetto si inserisce una norma che abbatte i
tempi di prescrizione per molti reati pesanti come l'usura, il furto aggravato,
l'incendio doloso, ma soprattutto la corruzione. Consentendo a Previti di
trovare la strada su misura per evitare il suo giudice, a Berlusconi e a Dell'Utri
di non ricorrere nemmeno in appello.
Che dire? Due cose soltanto. Queste vicende possono compiersi solo in un Paese
pronto a tutto, dove una vera e propria complicità intellettuale permette che il
reato criminale riduca la politica a servaggio, per cambiare in Parlamento la
sua natura. Un processo alchemico scellerato, che deforma lo Stato di diritto e
dimostra la falsità del teorema che voleva Berlusconi "costretto" alle leggi ad
personam. Ora che è stato prosciolto, le leggi ad personam continuano, per quei
soci-padroni capaci di tenere in ostaggio il lato più oscuro di un uomo che
dovrebbe governare l'Italia, e la umilia con un Parlamento asservito.
Il
generale e la storia
LUIS SEPÚLVEDA
Pinochet può essere
processato per gli assassini ordinati durante l'esecuzione della «Operazione
Condor», un piano di terrorismo internazionale ideato da lui stesso, dal
dittatore argentino Videla, dal boliviano Banzer e dal paraguayano Stroessner,
il cui obiettivo era assassinare gli oppositori politici al di là delle
frontiere nazionali. E lo fecero perfino negli Stati uniti dove, con la
complicità della Cia, assassinarono Orlando Letelier, ex ministro degli esteri
di Salvador Allende e la sua segretaria nord-americana, una ragazza di nome
Ronnie Moffit. Questo è storia recente, l'abbiamo ripetuta tante volte ma siamo
sempre andati a sbattere contro la maledetta complicità dei giudici cileni con
la dittatura di Pinochet. Tutto il potere giudiziario cileno, in attività fra il
`73 e l'80, fu costituito da prevaricatori, da personaggi indegni di esercitare
il lavoro di giudici, di rappresentanti della legge. Un giorno dovranno anche
loro finire sotto processo.
Anche questo è storia recente, e il desiderio di giustizia
del popolo cileno si nutre di questa storia.
Poche settimane fa, a Santiago del Cile, sono stato a una
riunione dei miei compagni della Guardia del presidente Salvador Allende, con i
quali condivisi l'enorme onore di vegliare sulla sicurezza del compañero
Presidente. Ci siamo ritrovati fra abbracci e scherzi sui nostri capelli
bianchi o perduti, sui chili di troppo, noi sopravissuti, perché furono molti di
più gli integranti del Gap che morirono lottando nella Moneda, e ancora di più
quelli che scomparvero dopo essere stati atrocemente torturati nella caserma del
reggimento Tacna di Santiago.
Fra le altre cose abbiamo parlato di quel che sta
succedendo in Cile a partire dal rapporto sulla tortura, sull'orrore e il
terrore sistematizzati che, durante i 17 anni della dittatura, furono l'unico
modo di agire dei militari e delle forze di sicurezza. Il Gap era formato dai
migliori «quadri politici» e tuttavia, pur con il passare del tempo, ci
confortava constatare che continuavamo a essere persone, militanti, capaci di
analizzare la realtà con la generosità e la passione di trent'anni prima. Anche
questo è storia.
I miei compagni del Gap assolsero un onorevole compito
imposto dalla nostra costituzione dello Stato cileno, che ci obbligava a
prendere le armi per impedire la rottura istituzionale e l'affermazione di una
dittatura. Anche questo è storia.
Nessuno dei miei compagni del Gap, né i familiari dei morti
in combattimento, dei desaparecidos dopo che furono presi vivi, hanno
ricevuto neanche la minima scusa o compensazione da parte dei tre governi
democratici che sono seguiti alla dittatura. Non sono stati neppure ricevutidal
presidente Lagos - un socialista - per potergli manifestare le loro necessità, e
peggio ancora, continuano a trovarsi in una situazione di cittadini di seconda o
terza categoria, quasi proscritti per avere fatto parte del Gap, della Guardia
di Allende, per avere lottato in difesa del governo costituzionale. La maggior
parte vive di lavori precari, malpagati, altri semplicemente non hanno lavoro,
altri portano ancora in corpo pallottole, pezzi di piombo che fanno male con
tutto il dolore del `73, però fra loro s'impone la solidarietà dei militanti, di
quelli che diedero tutto, e così dividono quel poco che hanno. Anche questo è
storia.
Ieri, che era lunedì e che è inverno
in Europa, la stampa informava che il giudice Juan Guzman, un giudice decente,
almeno uno, ha deciso di processare Pinochet per le sue responsabilità criminali
nella «Operazione Condor», però i suoi difensori, capeggiati da un terrorista
chiamato Pablo Rodriguez, uno degli assassini del generale René Schneider,
comandante in capo dell'esercito cileno quando Allende e l'Unità popolare
vinsero le elezioni nel `70, ha annunciato che presenterà un ricorso per evitare
il processo al suo cliente.
Durante la dittatura, i familiari dei
detenuti, dei desaparecidos,
dei torturati, degli assassinati presentarono più di quindicimila ricorsi ai
tribunali cileni, e non ne fu accolto nessuno. Anche questo è storia.
La giustizia cilena ha oggi l'opportunità di cominciare a
lavarsi la faccia, negando l'appello a Pinochet e permettendo di portarlo alla
sbarra. Il castigo sarà minimo, perché la giustizia cilena impedisce che un
anziano finisca in carcere, e così deve essere, questo è legale, questo è umano,
però il processo a Pinochet ha un valore che va oltre della sanzione: permetterà
di conoscere la verità sui molti assassinii, e i nomi degli assassini.
Come molti cileni, anch'io auguro lunga vita a Pinochet,
voglio vederlo spogliato di tutti i beni che ha rubato e che secondo i rapporti
della banca Riggs ammontano a più di diciotto milioni di dollari in conti
segreti. Quella rovina umana, questo avanzo della natura è un pugno di merda,
che non merita la minor considerazione né la minima compassione.
Sono altri i punti che occupano oggi e devono occupare
l'attenzione dei cileni. Uno è la speranza reale, sincera, piena di emozione,
che crea la candidatura di Michelle Bachelet alla presidenza della repubblica,
una compagna serena e brillante che incarna il meglio della nostra tradizione
politica e che conta con la simpatia, l'affetto e l'appoggio del 70% delle
cilene e dei cileni. E un altro punto si chiama vita, la vita stessa, che
abbiamo cominciato a ricostruire secondo i nostri sogni di libertà.
Ho ancora negli occhi l'ultimo giorno con i miei compagni
del Gap a El Cañaveral, nella casa persa fra monti, boschi e fiumi dove
ricevemmo l'addestramento necessario per difendere la vita del nostro caro
compañero Presidente. Là, fra uomini temprati al combattimento, brillava la
luce infinita della solidarietà: tutti si preoccupavano per la mia compagna,
perché Carmen era passata per Villa Grimaldi, il luogo dove fu torturata insieme
ad altre centinaia di ragazze e ragazzi. Le stavano tutti intorno,
l'abbracciavano, le davano l'affetto forte dei militanti, la fiera tenerzza dei
lottatori, la dolce ferocia dei valorosi.
Con questo ricordo, che cazzo
m'importa della sorte di Pinochet? E anche questo è storia.
USA
A 10
anni in manette
La bambina aveva
rubato un paio di forbici «In nome dell'emergenza uccidono i diritti civili»
PATRICIA LOMBROSO
«Ammanettare ed arrestare una bambina
di 10 anni a scuola, perché "in possesso di armi" per aver sottratto delle
forbicette sul tavolo dell'insegnante, come è accaduto a Filadelfia, è l'esempio
del livello di discrezionalità raggiunto da questo paese, frutto delle tecniche
di istigazione alla paura e all'insicurezza messe in atto dal governo per
chiudere ogni spazio ancora esistente ai diritti civili previsti dalla
Costituzione». Donna Lieberman, direttore della Aclu (Organizzazione dei diritti
civili d'America) commenta così, con il manifesto,
la notizia dell'arresto avvenuto a Filadelfia di una bambina di 10 anni,
ammenettata e portata alla centrale di polizia per aver sottratto delle
forbicette dal tavolo dell'insegnante in classe.
Com'è possibile che la polizia possa applicare il
principio di tolleranza zero anche a casi come questo?
E' possibile grazie a due eventi: quanto avvenuto nella
scuola di Colombine e l'attacco dell'11 settembre. Due tragedie che hanno
fornito al governo l'opportunità di creare una nuova legislazione che va sotto
il nome di «Patriot Act 1 e un secondo Patriot Act». Negli ultimi tre anni
queste leggi hanno dato massima discrezionalità all'Fbi e alla polizia locale,
permettendo loro di criminalizzare anche atti fino a ieri riconosciuti come
leciti e garantiti dalla Costituzione. Come ad esemio l'arresto di cittadini
durante una manifestazione di protesta contro la guerra in Iraq.
Avete registrato altri casi paradossali come quello di
Filadelfia?
Durante la festa di Halloween un bambino di 11 anni è stato
espulso dalla scuola perché aveva descritto in un tema scene di «orrore e
violenza».
Come spiega che un programma di «Homeland security» è
stato istituzionalizzato come corso universitario?
Dopo gli eventi della scuola di
Colombine e l'attacco dell'11 settembre «tolleranza zero» ha costituito
l'opportunità per il nostro governo di esercitare la massima discrezionalità per
la tutela dell'ordine. Di conseguenza diventa accettabile e legittimo insegnare
agli studenti tecniche di spionaggio e sorveglianza, ma anche processare
segretamente oltre duemila cittadini immigrati perché musulmani o arabi.
Generalmente, questa situazione di paura e imposizione del terrore e i vari
settori della società viene diretta quasi sempre nei confronti di quella fetta
di società più vulnerabile nel far valere i propri diritti civili. Una vera e
propria politica discriminatoria per l'applicazione della «zero tollerance»
viene indirizzata nei confronti di cittadini musulmani o arabi immigrati in
America, bollati come «presunti terroristi». Il nostro governo ha applicato
tutte le paranoie del periodo del maccartismo nei confronti di chi poteva essere
«un comunista» ad un «musulmano». Per conseguenza anche l'arresto di una bambina
di 10 anni per una forbice rientra in una norma estesa alle interferenze nella
«privacy» di ogni cittadino. L'obiettivo finale è l'istigazione alla paura
generalizzata e l'incapacità a far valere i diritti civili di cittadini in una
società democratica.
Botte fasciste Roma, tornano i picchiatori
C'è Alemanno, 4
feriti Il ministro era invitato a un convegno sugli ogm. Presidio dei collettivi
studenteschi, estremisti di destra aggrediscono un gruppo di giovani
ANGELO MASTRANDREA
ROMA
E'cominciata con un pestaggio
in stile squadrista e quattro studenti feriti, l'università presidiata dalle
forze dell'ordine e chiusa agli studenti, la mattinata del ministro delle
Politiche agricole Gianni Alemanno all'Università RomaTre, facoltà di Biologia e
Scienze politiche. Tanto che alla fine il ministro sarà costretto a parlare solo
davanti agli organizzatori. Alemanno era atteso al convegno su «L'Italia tra ogm
e tradizione», organizzato da Azione universitaria, braccio giovanile del
partito, ma anche da associazioni extrauniversitarie a lui vicine, come
Foro 753 e
2punto11. Presenze contestate
dai collettivi universitari che avevano indetto un presidio per «cacciare i
fascisti dall'università», come già era accaduto un mese fa alla Sapienza per la
visita di Gianfranco Fini. Ma, a differenza del vicepremier che in quella
occasione aveva preferito desistere, Alemanno non ha fatto altrettanto.
«Considero particolarmente grave opporsi all'invito a un ministro che viene a
parlare di un tema, quello degli ogm, sul quale persino
il manifesto ha
riconosciuto la validità della nostra politica», ha detto il ministro, per il
quale occorre invece «confrontarsi sulle idee, senza steccati chiusi e barriere
inviolabili, lasciando che a vincere sia il più bravo a difendere le proprie
idee». Peccato che a picchiare siano stati proprio i suoi supporter, che fin
dalla prima mattina esibivano saluti romani davanti all'ateneo e tappezzavano
l'università di striscioni. Tutto tra un ingente spiegamento di polizia e
carabinieri che circondavano l'ateneo bloccando l'accesso a chiunque, perfino a
una delegazione di una decina di studenti, guidata dal preside Luigi Moccia, che
voleva appendere una targhetta antifascista. Nulla da fare, nonostante
l'assunzione di responsabilità del preside la polizia non lasciava entrare
proprio nessuno.
Ma il peggio accade in una stradina che sbuca su
viale Marconi, sul quale affaccia l'università. Sono più o meno le nove quando
cinque persone vestite di nero aggrediscono un gruppo di nove studenti diretti
al presidio, a sua volta accerchiato dalla polizia davanti alla facoltà di
Scienze politiche. «Erano tutti a volto scoperto, ho visto che prendevano a
calci nella pancia una ragazza ma sono riuscita a scappare», dice una
studentessa. «Dalle 7 di mattina c'erano ronde di fascisti nel quartiere»,
accusa un altro. E' un pestaggio in piena regola, del quale fanno le spese in
quattro, colpiti forse con dei pugni di ferro e una spranga. Tre di loro
finiscono al pronto soccorso. Nicola, studente dei collettivi della Sapienza, ha
la peggio: per lui frattura alla spalla, che viene ingessata, e prognosi di 30
giorni. Michele ha invece il volto tumefatto, come a un pugile suonato hanno
messo dei punti sotto l'arcata sopracciliare, la prognosi è di otto giorni e
denuncia che a picchiare sarebbe stato il servizio d'ordine di An: «E' il
ministro Alemanno che porta con sé i picchiatori del partito». Un terzo studente
se la cava con un occhio livido e sette giorni di prognosi, mentre la ragazza
colpita alla pancia non si farà ricoverare. I ragazzi accusano la polizia:
«Hanno visto tutto ma non sono intervenuti e non ci hanno fatto passare per
soccorrere i feriti».
La Digos cerca a sua volta filmati e foto per
individuare gli aggressori. Di sicuro estremisti di destra, sui 40 anni e di
corporatura molto robusta, il che lascia presumere che non si tratti di studenti
universitari. Lo lascia intendere anche il rettore Guido Fabiani, quando
conferma che l'iniziativa della destra «nei fatti è stata caratterizzata dalla
prevalente partecipazione di componenti estranee alla comunità accademica» e
«ciò ha creato un clima di tensione sfociato anche in alcune aggressioni, fino a
indurre le autorità di pubblica sicurezza a interdire l'accesso alla facoltà di
Scienze politiche per garantire l'incolumità di tutti». E Alemanno? Tiene il suo
intervento davanti a una cinquantina di persone, difendendo il decreto che porta
il suo nome, e dà la colpa degli incidenti a «chi pretendeva di negare il
diritto di espressione a un ministro e a una parte importante degli studenti di
questa università». I Giovani comunisti ne chiedono le dimissioni, mentre il
verde Paolo Cento sottolinea le troppe passerelle di ministri di An negli
atenei. I collettivi pensano invece a un'assemblea cittadina per affrontare il
tema del neofascismo a Roma.
14 dicembre
Salta la rappresentazione
dell'apologia di Socrate al Valle
Carlo Rivolta: "No alle strumentalizzazioni"
Comizio di Dell'Utri a teatro
e l'attore saluta e se ne va
di CONCITA DE GREGORIO
|
ROMA -
Marcello Dell'Utri il senatore in giacca e cravatta è
davanti alla tenda chiusa del palcoscenico che parla ai giornalisti, gli spiega
che è veramente strano che Carlo Rivolta l'attore abbia rifiutato di recitare
stasera visto che lo ha già fatto "più di cento volte" per lui. Teatro Valle
pieno. signore con sandali di strass, ministro Sirchia in prima fila, Elisabetta
Gardini e Lino Jannuzzi, Sgarbi con splendida accompagnatrice di accento
francese, i ragazzi delle università invitati da "Il Circolo" di Roma Capitale,
presidente Roberto Mezzaroma il costruttore.
Carlo Rivolta l'attore, 61 anni, è a tre metri più indietro nel retropalco,
dietro alla tenda chiusa. La signora Mezzaroma in jabot rosso e abbondanti
gioielli lo supplica di recitare comunque, "lo faccia per i ragazzi", "signora,
io vorrei parlare con suo marito", "esca e faccia un bel gesto", "signora, non
vede, di là dalla tenda stanno facendo un comizio, la situazione è compromessa,
Socrate ferito a morte".
La situazione è compromessa e surreale. Lo spettacolo, l'Apologia di Socrate, il
primo dopo la condanna a mafia per nove anni, non ci sarà e gli illustri
spettatori ne vengono informati solo quando con i taxi e con gli autisti sono
già arrivati fin qui, seduti in sala. Non si sa perché Carlo Rivolta l'attore si
è sentito "strumentalizzato" dal programma della serata che, si legge nel
depliant, prevede un saluto di Mezzaroma il costruttore, poi gli interventi di
Domenico Mimmo Contestabile presidente della Commissione difesa, Forza Italia, e
di Marcello Dell'Utri, presidente nazionale dei Circoli, senatore, fondatore del
partito, reclutatore di giovani, imputato fresco di condanna.
Dell'Utri spiega alle telecamere e al pubblico in abito da sera e
pelliccia che, "Rivolta ha chiesto di leggere un comunicato di sapore sindacale
dopo più di cento rappresentazioni per noi, io ho ritenuto che non fosse
opportuno". Rivolta, lì dietro, è assistito dalla sua regista e compagna di nome
Nuvola. Tiene in mano, lui, un foglietto scritto a penna, il comunicato. Ha
lunghi capelli bianchi, pantaloni e maglione neri su una magrezza già da sola
notevole. Dice, l'appunto: "Ho recitato l'Apologia di Socrate più di mille volte
per i pubblici e i committenti più diversi. Intendo continuare a farlo in totale
apertura e libertà. L'apologia è di Socrate e di nessun altro. Socrate parla
all'umanità tutta per il sempre". Fuori passa Gasparri, sta andando a una festa
di Natale per bambini. In sala una signora si sente male. Contestabile: "Tanto
c'è Sirchia". Dell'Utri torna sulla richiesta dell'attore di leggere il
comunicato. Dal pubblico: "Ma che è, un brigatista?". Contestabile: "Un
comunicato, 'sto stronzo".
Sarebbe stata la prima rappresentazione dopo la condanna. Rivolta, orecchino di
brillanti all'orecchio destro: "Non è per questo, non c'entra. E' che più che
mai in un giorno così bisogna far parlare Socrate e basta. Questa non è
l'apologia di Dell'Utri, come scrivono i giornali. Il pubblico è poi libero di
fare le associazioni che crede, ma bisogna fare silenzio. Avere rispetto di
Socrate e, se permettete, anche di me". Dell'Utri, dall'altra parte della tenda:
"Se volete ve ne recito io una frase. Dice: "Meglio essere vittima di
un'ingiustizia che commetterla". Rivolta: "Io ho prodotto questo spettacolo nel
'92, Dell'Utri mi ha visto al teatro San Fedele e mi ha chiamato". Dell'Utri:
"Rivolta ha recitato la prima volta nel '93 alla convention di Publitalia di
Montecarlo". Rivolta: "Ho recitato nelle scuole, parrocchie, per le società, per
i teatri. Dell'Utri è uno dei molti committenti. La condanna non cambia nulla,
per me. Solo: Socrate è sacro e io non sono carne da cannone". La signora
Mezzaroma insiste: "La prego". Lui si passa una mano fra i lunghi capelli:
"Inaccettabile, ormai. Io sono un sacerdote che ufficia Socrate, questo clima
non consente la rappresentazione". Dell'Utri spiega fra gli applausi della
platea che il suo processo è "un'impalcatura costruita su una montagna di balle.
Ma voi pensate davvero che io sia l'ambasciatore della mafia a Milano? Ma
guardatemi in faccia". Coro di no, applausi.
Dell'Utri: "Farò una scuola quadri per Forza Italia, non solo a Roma e a Milano,
anche altrove". Rivolta: "Certo, so benissimo che il rapporto col senatore da
questa serata sarà compromesso. E' il minimo. Mi aspetto anche peggio. Molto
peggio". Sul palco tavola rotonda di Dell'Utri Mezzaroma e Contestabile al posto
dello spettacolo. Scusi Rivolta, che significa anche peggio? "Eh, per come vanno
le cose in questo paese dopo una serata così c'è da temere non solo di perdere
il lavoro, mi creda, non solo. Che brutta situazione, che brutto momento. Povero
Socrate".
5 dicembre
I nostri giorni pieni d' incertezze |
|
STRETTAMENTE PERSONALE |
|
Biagi Enzo |
Una volta, a Bombay, ero con Giovanni Ansaldo ed altri colleghi. Io lo ammiravo, lo consideravo un grande del mestiere, e gli volevo anche bene. Lo vidi avvicinarsi a un banchetto e comperare della frutta avvolta da un nugolo di insetti. Gli corsi accanto: «Ma sei matto? Vuoi che ti venga il colera?». Risposta: «Ho digerito il massimalismo, il fascismo, sto digerendo la Democrazia Cristiana: non mi può far niente». Stiamo vivendo tempi incerti, confusi, anche un po' foschi. Abbiamo paura del domani. La gente avrebbe bisogno che il mese fosse di tre settimane: alla quarta arriva già con fatica. La metà dei nostri compatrioti ha dovuto ridurre le spese alimentari; non quella dei coriandoli e dei «cotillons». La pizza, non lo champagne. Poi c' è chi trasloca dalla città nei paesi, per ridurre gli affitti, e occupa il tempo fischiettando ai giardinetti: l' 80 per cento, dicono le statistiche, niente cinema il sabato sera, e per il fine settimana quattro passi in piazza. L' unico soddisfatto mi sembra Berlusconi. È perfino visivamente cambiato: sorride sempre, i capelli gli sono ricresciuti e neri, ha rafforzato la compagnia del governo nientemeno con Follini e Baccini, e nonostante i perfidi comunisti figura tra i più ricchi d' Europa. Berlusconi ha già dichiarato il suo programma: «Voglio stravincere, voglio una valanga di voti e un programma che batta sul concetto di sogno». Bravo: e già che c' è ci dia anche i numeri da giocare al Lotto. Intanto il ministro della Giustizia Castelli (una volta era anche di Grazia ma si è visto che è superfluo) sollecita Ciampi a firmare alla svelta la riforma dell' ordinamento giudiziario o a mandare un messaggio alle Camere. Ciampi, che è una persona seria, ha fatto rispondere che ognuno badi ai fatti suoi.
1 dicembre
«Grazie Silvio per
questo caffè»
A Milano la manifestazione più grande per lo
sciopero generale contro la finanziaria: i «bamba» non si bevono la storia delle
buste paga più pesanti, sanno che Berlusconi toglie ai poveri per dare ai
ricchi. Epifani: «Il governo è isolato, si arrampica sugli specchi. Ma noi non
siamo allodole»
MANUELA CARTOSIO
MILANO
AVenezia c'era l'acqua alta, a Imperia grandinava, a Roma
pioveva. A Milano Giove pluvio è stato più collaborativo. Si è messo in pausa
un'ora prima che dai Bastioni partisse il corteo verso Piazza del Duomo. Con 50
mila partecipanti la manifestazione di Milano è stata la più grande delle quasi
ottanta organizzate dai sindacati confederali nel giorno dello sciopero
generale, il quinto contro il Berlusconi due. La finanziaria, il taglio delle
tasse «a rovescio», la messa in mora del contratto del pubblico impiego, il
Mezzogiorno negletto, l'assenza di uno straccio di politica industriale hanno
ricompattato Cgil, Cisl e Uil. Sin Cobas e Ugl hanno aderito, gli enti locali di
centro sinistra hanno plaudito, Confindustria ha annuito. Risultato: adesione
media attorno all'80%, con punte ancor più alte nel pubblico impiego e
nell'industria. Tutta fatica sprecata, a sentire Berlusconi. Anche questa volta,
alla vigilia, il Cav. aveva ripetuto che a lui gli scioperi generali non fanno
neppure solletico. Visto da Milano, lo sciopero di ieri è stato un punto segnato
con serietà e diligenza dal sindacato contro il governo Berlusconi. Ma la massa
critica, necessaria per farlo cadere, non è stata ancora raggiunta. Più che dai
numeri, lo si capisce dal mood dei manifestanti. Compassati e coi piedi
per terra, meno fantasiosi di anni fa, non si fanno illusioni sulle capacità del
centro sinistra di accorciare la vita al governo. Cifre alla mano sanno smontare
le balle di Vittorio Feltri che sulla prima pagina crumira di Libero li
sfotte come «bamba» autolesionisti che scioperano contro il regalo che il
munifico Berlusca mette nelle loro busta paga. Però temono che, con il «potere
mediatico» a disposizione, il mago Silvan riesca a trasformare il «fumo negli
occhi» del taglio alle tasse in arrosto elettorale.
«Non siamo noi le allodole», precisa Guglielmo Epifani prima ancora di salire
sul palco. Il governo è isolato, dice il segretario della Cgil, «e per non
naufragare si aggrappa agli specchi». Con il taglio delle tasse «dà poco a
tanti, niente a molti, tanto a pochissimi». Il poco che viene dato con una mano,
con l'altra viene tolto tagliando i servizi sociali o facendoli pagare. Solo
scovando gli evasori si possono tagliare «veramente» le tasse, ricorda il numero
uno della Cgil suscitando l'applauso della piazza. «E invece l'anno scorso
l'Agenzia delle entrate ha fatto 150 mila controlli fiscali in meno». Epifani
batte sul paese «fermo», sui salari che «vanno sempre indietro», sul «caos»
della scuola. Nel suo comizio dedica attenzione alla condizione «precaria» dei
giovani e alla povertà di troppi anziani.
Sparsi lungo il corteo c'erano diversi gruppi organizzati di precari. «Al Comune
di Milano siamo in 3 mila, in Provincia 600», racconta Andrea che «esige» la
cancellazione della legge 30 dall'ipotetico futuro governo di centro sinistra,
ma non dimentica che «ha iniziato Treu, che magari oggi sfila con noi».
La precarietà si è insinuata anche nelle vita degli «adulti». Le donne della
Breter di Paderno Dugnano «all'improvviso» si ritrovano in mobilità: la
multinazionale Rockwell Automation ha deciso di spostare nella Repubblica Ceca
la produzione di apparecchiature elettromeccaniche. In quella fabbrica
Margherita Rinaudo c'era entrata ragazzina, «mi hanno fatto annusare la pensione
e ora mi lasciano a casa». Il suo è «un dramma familiare», alla Breter lavorano
anche un figlio e un genero. Le hostess e i piloti di Volare aprono il corteo,
aggrappati al loro striscione e alla speranza che un commissario riesca a
salvare la compagnia aerea affondata allegramente dagli azionisti. Il disastro
di Volare trascina nell'incertezza i cinquanta autisti degli autobus navetta
della Star Fly. Volare è rimasta a terra e loro sono stati «sospesi dal
servizio». Sergio, uno degli autisti, ha moglie e due figli piccoli: «Abbiamo la
fortuna di avere la casa di proprietà. Finora, stando attenti a tutto,
riuscivamo a starci dentro con il mio unico stipendio. Adesso?».
Una giovane impiegata di Banksiel ci mette in mano un volantino contro Telecom
Italia - «premiata macelleria industriale, specialità: spezzatino e frattaglie»
- che sta vendendo all'asta il comparto informatica. Se la prende con Tronchetti
Provera anche Franco Facci, delegato di lungo corso della Bicocca. Per coprire i
buchi di Telecom, il bel Tronchetti vende il settore cavi della Pirelli e sui
pneumatici investe all'estero, ma non in Italia. Ergo, «Leopoldo riprenditi la
Pirelli», ironizza (ma non troppo) lo striscione.
Chiudiamo con un florilegio dei commenti scritti e parlati sul taglio delle
tasse. Un cartello: «Grazie per il caffè». Lavoratori del turismo: «Noi siamo
dei signori. I nostri venti euro li giriamo a Feltri». Due assistenti
dell'Istituto don Gnocchi: «Per abbassare le tasse ai ricchi tagliano il
personale nella sanità. Noi dovremo lavorare di più e gli utenti saranno
assistiti peggio». «Cassa delle libertà», ha scritto sul suo cartello il
pensionato Nino Carbutti. Garantisce che «dai ceti medi ai diseredati
tutti ormai sono incazzati con Berlusca, nessuno si beve più le sue balle». Un
dipendente di Banca Intesa conferma, ma un impiegato comunale non ci mette la
mano sul fuoco: «Controllano le tv, riescono a far sembrare vero il falso».
Attenzione, avverte Archimede Tripiedi, muratore quasi in pensione, «con la
mossa del taglio delle tasse il cavaliere vuol rompere il nostro fronte, non
sediamoci sugli allori perché il centro sinistra si è preso la provincia a
Milano o la Sardegna».
Roma, il pubblico
impiego alza la voce
Nella capitale il corteo degli statali: protesta
per il contratto, contro il governo tagliatutto
Anche all'Istat si sciopera: i ricercatori occupano la sala stampa e ritardano
di un'ora la diffusione delle statistiche mensili sull'inflazione
GIANNI DEL VECCHIO
ROMA
«Piove, governo ladro». Così cantavano e gridavano le prime
file del corteo che ieri ha attraversato le vie del centro di Roma (da piazza
Bocca della Verità a piazza Farnese) per protestare contro la finanziaria del
governo Berlusconi. E mai più coro fu azzeccato, visto che per i quarantamila
partecipanti (secondo i dati degli organizzatori) la pioggia è stato il vero
leitmotiv della giornata di sciopero generale: inclemente e incessante li ha
accompagnati dall'inizio della manifestazione ai comizi di chiusura dei
rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil. Una pioggia che tuttavia non ha impedito una
significativa affluenza di lavoratori, studenti, pensionati, tutti stanchi delle
continue promesse non mantenute dell'esecutivo di centrodestra. La parte del
leone l'hanno fatta sicuramente i dipendenti del pubblico impiego, presenti in
massa sotto diverse sigle sindacali. Una presenza emblematica, visto che la
categoria è nell'occhio del ciclone per il mancato rinnovo contrattuale (ormai
congelato da quasi un anno) e per il blocco del turn over previsto dalla
finanziaria. Una duplice misura che ha portato i sindacati della pubblica
amministrazione a estendere lo sciopero a otto invece che quattro ore.
E l'adesione dei lavoratori pubblici romani è stata cospicua, secondo i dati
diffusi dalle organizzazioni sindacali: il 75% al Comune di Roma, l'80% nella
sanità della capitale e all'uficio entrate del ministero dell'economia, per dare
qualche numero. Anche i dipendenti dell'Istat hanno scioperato: un gruppo di
lavoratori ha addirittura occupato la sala stampa provocando la ritardata
diffusione (di un ora) dei dati sull'inflazione. Per poi recarsi davanti Palazzo
Vidoni, sede del ministero della funzione pubblica, per protestare contro le
politiche economiche del governo e contro il mancato rinnovo del contratto, che
per la ricerca significa anche mancato rinnovo del primo biennio 2002-2003. In
pratica, i dipendenti dell'istituto di statistica sono in attesa del contratto
da circa 35 mesi.
Le preoccupazioni sul futuro dei dipendenti pubblici hanno poi trovato naturale
sfogo nei comizi di chiusura dei rappresentanti dei sindacati a piazza Farnese.
«A Roma - ha affermato Giuseppe Moretti, segretario generale della Uil di Roma e
Lazio - la diminuzione del numero dei dipendenti pubblici si farà
particolarmente sentire non solo nel settore ma sul complesso dell'economia
locale, così come il mancato rinnovo del contratto di lavoro, atteso da 11 mesi,
peserà e non poco sulle tasche dei lavoratori». Sul mancato rinnovo del
contratto si sofferma anche Giampaolo Patta, segretario nazionale della Cgil,
sottolineando come dopo quasi un anno le parti sociali non siano ancora state
convocate per il rinnovo. La denuncia di Patta si estende poi all'operato
complessivo del governo in carica: «L'esecutivo in questi anni ha pensato
solamente a perseguire gli interessi del premier con varie leggi come quella
sulla depenalizzazione del reato di falso in bilancio o il lodo Schifani. La
politica economica è stato un continuo tirare a campare, grazie al reiterato uso
dello strumento dei condoni. E anche l'ultima riforma fiscale non fa altro che
privilegiare le classi ricche rispetto quelle più deboli».
Aids, il ricatto di bigpharma di Vittorio Agnoletto Un vero e proprio "apartheid" sanitario mondiale. Così
potrebbe essere definita la situazione attuale nella lotta all'AIDS. Infatti
degli oltre 39 milioni di persone sieropositive attualmente viventi circa 35
milioni non possono accedere ai farmaci a causa degli altissimi costi delle
terapie che variano dai 7000 ai 10.000 dollari all'anno. Tale situazione è
il prodotto della condizione di assoluto monopolio garantito
dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) alle multinazionali;
infatti il Wto, attraverso gli accordi TRIPS sulla proprietà intellettuale,
stabilisce che per un periodo di 20 anni, prorogabile di altri 5, la
produzione di un farmaco resta di totale esclusività dell'azienda che l'ha
immesso sul mercato alla quale spetterà il diritto insindacabile di
stabilirne il prezzo. |