Archivio dicembre 2004

 

30 dicembre

Giusto per la cronaca:

 Tratto da “Repubblica”

  “Da quattro giorni, una signora italiana, Anna Rampazzo, è sdraiata su una panca nella hall dell'hotel Oriental nel quartiere del forte olandese di Galle. Ha una vertebra fratturata e non può essere trasportata in auto perché rischierebbe una lesione al midollo e la perdita dell'uso delle gambe. Per muoverla ci vuole un elicottero.

Ma non c'è. Quando i responsabili del piccolo team della Protezione civile hanno suggerito all'ambasciatore Zotta di chiederne uno al governo locale la risposta è stata: "Macché glielo chiediamo a fare, tanto non ce lo danno".

L'ambasciata italiana non è stata soltanto travolta dall'emergenza. Non è stata capace neppure di fornire un supporto logistico minimo. Una parte del team della Protezione civile è riuscito a raggiungere il sud del paese grazie ad un pulmino affittato dai giornalisti. Pulmino che era stato chiesto ventiquattr'ore prima al consigliere Massimo Darchini che, incapace di organizzare l'affitto di un mezzo di trasporto, ha poi sostenuto di non essere preposto ad occuparsi di simili minuzie.”

 

15 dicembre

Un paese
ad personam
di EZIO MAURO

C'È un'emergenza crimine nel Paese che preoccupa i cittadini, e che dovrebbe impegnare in prima linea il governo, con la sua cultura propagandistica da "tolleranza zero". No. In piena emergenza, Forza Italia si trasforma ancora una volta in un manipolo aziendale per la tutela degli interessi personali di Cesare Previti, che incatena ai suoi destini la decenza di un partito, di una maggioranza parlamentare, di una coalizione, del governo: e purtroppo dell'Italia.

La Casa delle Libertà oggi prova in Parlamento a liberare ad ogni costo Cesare Previti, già condannato due volte per corruzione. Non potendo più fermare i suoi giudici né camuffare il reato, si tenta di renderlo impunibile. Come? Semplice. Si costruisce un fittizio "pacchetto anticrimine" per fingere di legiferare nell'interesse del Paese, e nel pacchetto si inserisce una norma che abbatte i tempi di prescrizione per molti reati pesanti come l'usura, il furto aggravato, l'incendio doloso, ma soprattutto la corruzione. Consentendo a Previti di trovare la strada su misura per evitare il suo giudice, a Berlusconi e a Dell'Utri di non ricorrere nemmeno in appello.

Che dire? Due cose soltanto. Queste vicende possono compiersi solo in un Paese pronto a tutto, dove una vera e propria complicità intellettuale permette che il reato criminale riduca la politica a servaggio, per cambiare in Parlamento la sua natura. Un processo alchemico scellerato, che deforma lo Stato di diritto e dimostra la falsità del teorema che voleva Berlusconi "costretto" alle leggi ad personam. Ora che è stato prosciolto, le leggi ad personam continuano, per quei soci-padroni capaci di tenere in ostaggio il lato più oscuro di un uomo che dovrebbe governare l'Italia, e la umilia con un Parlamento asservito.

 

Il generale e la storia
LUIS SEPÚLVEDA
Pinochet può essere processato per gli assassini ordinati durante l'esecuzione della «Operazione Condor», un piano di terrorismo internazionale ideato da lui stesso, dal dittatore argentino Videla, dal boliviano Banzer e dal paraguayano Stroessner, il cui obiettivo era assassinare gli oppositori politici al di là delle frontiere nazionali. E lo fecero perfino negli Stati uniti dove, con la complicità della Cia, assassinarono Orlando Letelier, ex ministro degli esteri di Salvador Allende e la sua segretaria nord-americana, una ragazza di nome Ronnie Moffit. Questo è storia recente, l'abbiamo ripetuta tante volte ma siamo sempre andati a sbattere contro la maledetta complicità dei giudici cileni con la dittatura di Pinochet. Tutto il potere giudiziario cileno, in attività fra il `73 e l'80, fu costituito da prevaricatori, da personaggi indegni di esercitare il lavoro di giudici, di rappresentanti della legge. Un giorno dovranno anche loro finire sotto processo.

Anche questo è storia recente, e il desiderio di giustizia del popolo cileno si nutre di questa storia.

Poche settimane fa, a Santiago del Cile, sono stato a una riunione dei miei compagni della Guardia del presidente Salvador Allende, con i quali condivisi l'enorme onore di vegliare sulla sicurezza del compañero Presidente. Ci siamo ritrovati fra abbracci e scherzi sui nostri capelli bianchi o perduti, sui chili di troppo, noi sopravissuti, perché furono molti di più gli integranti del Gap che morirono lottando nella Moneda, e ancora di più quelli che scomparvero dopo essere stati atrocemente torturati nella caserma del reggimento Tacna di Santiago.

Fra le altre cose abbiamo parlato di quel che sta succedendo in Cile a partire dal rapporto sulla tortura, sull'orrore e il terrore sistematizzati che, durante i 17 anni della dittatura, furono l'unico modo di agire dei militari e delle forze di sicurezza. Il Gap era formato dai migliori «quadri politici» e tuttavia, pur con il passare del tempo, ci confortava constatare che continuavamo a essere persone, militanti, capaci di analizzare la realtà con la generosità e la passione di trent'anni prima. Anche questo è storia.

I miei compagni del Gap assolsero un onorevole compito imposto dalla nostra costituzione dello Stato cileno, che ci obbligava a prendere le armi per impedire la rottura istituzionale e l'affermazione di una dittatura. Anche questo è storia.

Nessuno dei miei compagni del Gap, né i familiari dei morti in combattimento, dei desaparecidos dopo che furono presi vivi, hanno ricevuto neanche la minima scusa o compensazione da parte dei tre governi democratici che sono seguiti alla dittatura. Non sono stati neppure ricevutidal presidente Lagos - un socialista - per potergli manifestare le loro necessità, e peggio ancora, continuano a trovarsi in una situazione di cittadini di seconda o terza categoria, quasi proscritti per avere fatto parte del Gap, della Guardia di Allende, per avere lottato in difesa del governo costituzionale. La maggior parte vive di lavori precari, malpagati, altri semplicemente non hanno lavoro, altri portano ancora in corpo pallottole, pezzi di piombo che fanno male con tutto il dolore del `73, però fra loro s'impone la solidarietà dei militanti, di quelli che diedero tutto, e così dividono quel poco che hanno. Anche questo è storia.

Ieri, che era lunedì e che è inverno in Europa, la stampa informava che il giudice Juan Guzman, un giudice decente, almeno uno, ha deciso di processare Pinochet per le sue responsabilità criminali nella «Operazione Condor», però i suoi difensori, capeggiati da un terrorista chiamato Pablo Rodriguez, uno degli assassini del generale René Schneider, comandante in capo dell'esercito cileno quando Allende e l'Unità popolare vinsero le elezioni nel `70, ha annunciato che presenterà un ricorso per evitare il processo al suo cliente.

Durante la dittatura, i familiari dei detenuti, dei desaparecidos, dei torturati, degli assassinati presentarono più di quindicimila ricorsi ai tribunali cileni, e non ne fu accolto nessuno. Anche questo è storia.

La giustizia cilena ha oggi l'opportunità di cominciare a lavarsi la faccia, negando l'appello a Pinochet e permettendo di portarlo alla sbarra. Il castigo sarà minimo, perché la giustizia cilena impedisce che un anziano finisca in carcere, e così deve essere, questo è legale, questo è umano, però il processo a Pinochet ha un valore che va oltre della sanzione: permetterà di conoscere la verità sui molti assassinii, e i nomi degli assassini.

Come molti cileni, anch'io auguro lunga vita a Pinochet, voglio vederlo spogliato di tutti i beni che ha rubato e che secondo i rapporti della banca Riggs ammontano a più di diciotto milioni di dollari in conti segreti. Quella rovina umana, questo avanzo della natura è un pugno di merda, che non merita la minor considerazione né la minima compassione.

Sono altri i punti che occupano oggi e devono occupare l'attenzione dei cileni. Uno è la speranza reale, sincera, piena di emozione, che crea la candidatura di Michelle Bachelet alla presidenza della repubblica, una compagna serena e brillante che incarna il meglio della nostra tradizione politica e che conta con la simpatia, l'affetto e l'appoggio del 70% delle cilene e dei cileni. E un altro punto si chiama vita, la vita stessa, che abbiamo cominciato a ricostruire secondo i nostri sogni di libertà.

Ho ancora negli occhi l'ultimo giorno con i miei compagni del Gap a El Cañaveral, nella casa persa fra monti, boschi e fiumi dove ricevemmo l'addestramento necessario per difendere la vita del nostro caro compañero Presidente. Là, fra uomini temprati al combattimento, brillava la luce infinita della solidarietà: tutti si preoccupavano per la mia compagna, perché Carmen era passata per Villa Grimaldi, il luogo dove fu torturata insieme ad altre centinaia di ragazze e ragazzi. Le stavano tutti intorno, l'abbracciavano, le davano l'affetto forte dei militanti, la fiera tenerzza dei lottatori, la dolce ferocia dei valorosi.

Con questo ricordo, che cazzo m'importa della sorte di Pinochet? E anche questo è storia.

 

USA
A 10 anni in manette
La bambina aveva rubato un paio di forbici «In nome dell'emergenza uccidono i diritti civili»
PATRICIA LOMBROSO
«Ammanettare ed arrestare una bambina di 10 anni a scuola, perché "in possesso di armi" per aver sottratto delle forbicette sul tavolo dell'insegnante, come è accaduto a Filadelfia, è l'esempio del livello di discrezionalità raggiunto da questo paese, frutto delle tecniche di istigazione alla paura e all'insicurezza messe in atto dal governo per chiudere ogni spazio ancora esistente ai diritti civili previsti dalla Costituzione». Donna Lieberman, direttore della Aclu (Organizzazione dei diritti civili d'America) commenta così, con il manifesto, la notizia dell'arresto avvenuto a Filadelfia di una bambina di 10 anni, ammenettata e portata alla centrale di polizia per aver sottratto delle forbicette dal tavolo dell'insegnante in classe.

Com'è possibile che la polizia possa applicare il principio di tolleranza zero anche a casi come questo?

E' possibile grazie a due eventi: quanto avvenuto nella scuola di Colombine e l'attacco dell'11 settembre. Due tragedie che hanno fornito al governo l'opportunità di creare una nuova legislazione che va sotto il nome di «Patriot Act 1 e un secondo Patriot Act». Negli ultimi tre anni queste leggi hanno dato massima discrezionalità all'Fbi e alla polizia locale, permettendo loro di criminalizzare anche atti fino a ieri riconosciuti come leciti e garantiti dalla Costituzione. Come ad esemio l'arresto di cittadini durante una manifestazione di protesta contro la guerra in Iraq.

Avete registrato altri casi paradossali come quello di Filadelfia?

Durante la festa di Halloween un bambino di 11 anni è stato espulso dalla scuola perché aveva descritto in un tema scene di «orrore e violenza».

Come spiega che un programma di «Homeland security» è stato istituzionalizzato come corso universitario?

Dopo gli eventi della scuola di Colombine e l'attacco dell'11 settembre «tolleranza zero» ha costituito l'opportunità per il nostro governo di esercitare la massima discrezionalità per la tutela dell'ordine. Di conseguenza diventa accettabile e legittimo insegnare agli studenti tecniche di spionaggio e sorveglianza, ma anche processare segretamente oltre duemila cittadini immigrati perché musulmani o arabi. Generalmente, questa situazione di paura e imposizione del terrore e i vari settori della società viene diretta quasi sempre nei confronti di quella fetta di società più vulnerabile nel far valere i propri diritti civili. Una vera e propria politica discriminatoria per l'applicazione della «zero tollerance» viene indirizzata nei confronti di cittadini musulmani o arabi immigrati in America, bollati come «presunti terroristi». Il nostro governo ha applicato tutte le paranoie del periodo del maccartismo nei confronti di chi poteva essere «un comunista» ad un «musulmano». Per conseguenza anche l'arresto di una bambina di 10 anni per una forbice rientra in una norma estesa alle interferenze nella «privacy» di ogni cittadino. L'obiettivo finale è l'istigazione alla paura generalizzata e l'incapacità a far valere i diritti civili di cittadini in una società democratica.

 

Botte fasciste Roma, tornano i picchiatori
C'è Alemanno, 4 feriti Il ministro era invitato a un convegno sugli ogm. Presidio dei collettivi studenteschi, estremisti di destra aggrediscono un gruppo di giovani
ANGELO MASTRANDREA
ROMA
E'cominciata con un pestaggio in stile squadrista e quattro studenti feriti, l'università presidiata dalle forze dell'ordine e chiusa agli studenti, la mattinata del ministro delle Politiche agricole Gianni Alemanno all'Università RomaTre, facoltà di Biologia e Scienze politiche. Tanto che alla fine il ministro sarà costretto a parlare solo davanti agli organizzatori. Alemanno era atteso al convegno su «L'Italia tra ogm e tradizione», organizzato da Azione universitaria, braccio giovanile del partito, ma anche da associazioni extrauniversitarie a lui vicine, come Foro 753 e 2punto11. Presenze contestate dai collettivi universitari che avevano indetto un presidio per «cacciare i fascisti dall'università», come già era accaduto un mese fa alla Sapienza per la visita di Gianfranco Fini. Ma, a differenza del vicepremier che in quella occasione aveva preferito desistere, Alemanno non ha fatto altrettanto. «Considero particolarmente grave opporsi all'invito a un ministro che viene a parlare di un tema, quello degli ogm, sul quale persino il manifesto ha riconosciuto la validità della nostra politica», ha detto il ministro, per il quale occorre invece «confrontarsi sulle idee, senza steccati chiusi e barriere inviolabili, lasciando che a vincere sia il più bravo a difendere le proprie idee». Peccato che a picchiare siano stati proprio i suoi supporter, che fin dalla prima mattina esibivano saluti romani davanti all'ateneo e tappezzavano l'università di striscioni. Tutto tra un ingente spiegamento di polizia e carabinieri che circondavano l'ateneo bloccando l'accesso a chiunque, perfino a una delegazione di una decina di studenti, guidata dal preside Luigi Moccia, che voleva appendere una targhetta antifascista. Nulla da fare, nonostante l'assunzione di responsabilità del preside la polizia non lasciava entrare proprio nessuno.

Ma il peggio accade in una stradina che sbuca su viale Marconi, sul quale affaccia l'università. Sono più o meno le nove quando cinque persone vestite di nero aggrediscono un gruppo di nove studenti diretti al presidio, a sua volta accerchiato dalla polizia davanti alla facoltà di Scienze politiche. «Erano tutti a volto scoperto, ho visto che prendevano a calci nella pancia una ragazza ma sono riuscita a scappare», dice una studentessa. «Dalle 7 di mattina c'erano ronde di fascisti nel quartiere», accusa un altro. E' un pestaggio in piena regola, del quale fanno le spese in quattro, colpiti forse con dei pugni di ferro e una spranga. Tre di loro finiscono al pronto soccorso. Nicola, studente dei collettivi della Sapienza, ha la peggio: per lui frattura alla spalla, che viene ingessata, e prognosi di 30 giorni. Michele ha invece il volto tumefatto, come a un pugile suonato hanno messo dei punti sotto l'arcata sopracciliare, la prognosi è di otto giorni e denuncia che a picchiare sarebbe stato il servizio d'ordine di An: «E' il ministro Alemanno che porta con sé i picchiatori del partito». Un terzo studente se la cava con un occhio livido e sette giorni di prognosi, mentre la ragazza colpita alla pancia non si farà ricoverare. I ragazzi accusano la polizia: «Hanno visto tutto ma non sono intervenuti e non ci hanno fatto passare per soccorrere i feriti».

La Digos cerca a sua volta filmati e foto per individuare gli aggressori. Di sicuro estremisti di destra, sui 40 anni e di corporatura molto robusta, il che lascia presumere che non si tratti di studenti universitari. Lo lascia intendere anche il rettore Guido Fabiani, quando conferma che l'iniziativa della destra «nei fatti è stata caratterizzata dalla prevalente partecipazione di componenti estranee alla comunità accademica» e «ciò ha creato un clima di tensione sfociato anche in alcune aggressioni, fino a indurre le autorità di pubblica sicurezza a interdire l'accesso alla facoltà di Scienze politiche per garantire l'incolumità di tutti». E Alemanno? Tiene il suo intervento davanti a una cinquantina di persone, difendendo il decreto che porta il suo nome, e dà la colpa degli incidenti a «chi pretendeva di negare il diritto di espressione a un ministro e a una parte importante degli studenti di questa università». I Giovani comunisti ne chiedono le dimissioni, mentre il verde Paolo Cento sottolinea le troppe passerelle di ministri di An negli atenei. I collettivi pensano invece a un'assemblea cittadina per affrontare il tema del neofascismo a Roma.

 

14 dicembre

Salta la rappresentazione dell'apologia di Socrate al Valle
Carlo Rivolta: "No alle strumentalizzazioni"
Comizio di Dell'Utri a teatro
e l'attore saluta e se ne va

di CONCITA DE GREGORIO

ROMA - Marcello Dell'Utri il senatore in giacca e cravatta è davanti alla tenda chiusa del palcoscenico che parla ai giornalisti, gli spiega che è veramente strano che Carlo Rivolta l'attore abbia rifiutato di recitare stasera visto che lo ha già fatto "più di cento volte" per lui. Teatro Valle pieno. signore con sandali di strass, ministro Sirchia in prima fila, Elisabetta Gardini e Lino Jannuzzi, Sgarbi con splendida accompagnatrice di accento francese, i ragazzi delle università invitati da "Il Circolo" di Roma Capitale, presidente Roberto Mezzaroma il costruttore.
Carlo Rivolta l'attore, 61 anni, è a tre metri più indietro nel retropalco, dietro alla tenda chiusa. La signora Mezzaroma in jabot rosso e abbondanti gioielli lo supplica di recitare comunque, "lo faccia per i ragazzi", "signora, io vorrei parlare con suo marito", "esca e faccia un bel gesto", "signora, non vede, di là dalla tenda stanno facendo un comizio, la situazione è compromessa, Socrate ferito a morte".
La situazione è compromessa e surreale. Lo spettacolo, l'Apologia di Socrate, il primo dopo la condanna a mafia per nove anni, non ci sarà e gli illustri spettatori ne vengono informati solo quando con i taxi e con gli autisti sono già arrivati fin qui, seduti in sala. Non si sa perché Carlo Rivolta l'attore si è sentito "strumentalizzato" dal programma della serata che, si legge nel depliant, prevede un saluto di Mezzaroma il costruttore, poi gli interventi di Domenico Mimmo Contestabile presidente della Commissione difesa, Forza Italia, e di Marcello Dell'Utri, presidente nazionale dei Circoli, senatore, fondatore del partito, reclutatore di giovani, imputato fresco di condanna.

Dell'Utri spiega alle telecamere e al pubblico in abito da sera e pelliccia che, "Rivolta ha chiesto di leggere un comunicato di sapore sindacale dopo più di cento rappresentazioni per noi, io ho ritenuto che non fosse opportuno". Rivolta, lì dietro, è assistito dalla sua regista e compagna di nome Nuvola. Tiene in mano, lui, un foglietto scritto a penna, il comunicato. Ha lunghi capelli bianchi, pantaloni e maglione neri su una magrezza già da sola notevole. Dice, l'appunto: "Ho recitato l'Apologia di Socrate più di mille volte per i pubblici e i committenti più diversi. Intendo continuare a farlo in totale apertura e libertà. L'apologia è di Socrate e di nessun altro. Socrate parla all'umanità tutta per il sempre". Fuori passa Gasparri, sta andando a una festa di Natale per bambini. In sala una signora si sente male. Contestabile: "Tanto c'è Sirchia". Dell'Utri torna sulla richiesta dell'attore di leggere il comunicato. Dal pubblico: "Ma che è, un brigatista?". Contestabile: "Un comunicato, 'sto stronzo".
Sarebbe stata la prima rappresentazione dopo la condanna. Rivolta, orecchino di brillanti all'orecchio destro: "Non è per questo, non c'entra. E' che più che mai in un giorno così bisogna far parlare Socrate e basta. Questa non è l'apologia di Dell'Utri, come scrivono i giornali. Il pubblico è poi libero di fare le associazioni che crede, ma bisogna fare silenzio. Avere rispetto di Socrate e, se permettete, anche di me". Dell'Utri, dall'altra parte della tenda: "Se volete ve ne recito io una frase. Dice: "Meglio essere vittima di un'ingiustizia che commetterla". Rivolta: "Io ho prodotto questo spettacolo nel '92, Dell'Utri mi ha visto al teatro San Fedele e mi ha chiamato". Dell'Utri: "Rivolta ha recitato la prima volta nel '93 alla convention di Publitalia di Montecarlo". Rivolta: "Ho recitato nelle scuole, parrocchie, per le società, per i teatri. Dell'Utri è uno dei molti committenti. La condanna non cambia nulla, per me. Solo: Socrate è sacro e io non sono carne da cannone". La signora Mezzaroma insiste: "La prego". Lui si passa una mano fra i lunghi capelli: "Inaccettabile, ormai. Io sono un sacerdote che ufficia Socrate, questo clima non consente la rappresentazione". Dell'Utri spiega fra gli applausi della platea che il suo processo è "un'impalcatura costruita su una montagna di balle. Ma voi pensate davvero che io sia l'ambasciatore della mafia a Milano? Ma guardatemi in faccia". Coro di no, applausi.
Dell'Utri: "Farò una scuola quadri per Forza Italia, non solo a Roma e a Milano, anche altrove". Rivolta: "Certo, so benissimo che il rapporto col senatore da questa serata sarà compromesso. E' il minimo. Mi aspetto anche peggio. Molto peggio". Sul palco tavola rotonda di Dell'Utri Mezzaroma e Contestabile al posto dello spettacolo. Scusi Rivolta, che significa anche peggio? "Eh, per come vanno le cose in questo paese dopo una serata così c'è da temere non solo di perdere il lavoro, mi creda, non solo. Che brutta situazione, che brutto momento. Povero Socrate".

5 dicembre

I nostri giorni pieni d' incertezze

 

 

STRETTAMENTE PERSONALE

 

Biagi Enzo

Una volta, a Bombay, ero con Giovanni Ansaldo ed altri colleghi. Io lo ammiravo, lo consideravo un grande del mestiere, e gli volevo anche bene. Lo vidi avvicinarsi a un banchetto e comperare della frutta avvolta da un nugolo di insetti. Gli corsi accanto: «Ma sei matto? Vuoi che ti venga il colera?». Risposta: «Ho digerito il massimalismo, il fascismo, sto digerendo la Democrazia Cristiana: non mi può far niente». Stiamo vivendo tempi incerti, confusi, anche un po' foschi. Abbiamo paura del domani. La gente avrebbe bisogno che il mese fosse di tre settimane: alla quarta arriva già con fatica. La metà dei nostri compatrioti ha dovuto ridurre le spese alimentari; non quella dei coriandoli e dei «cotillons». La pizza, non lo champagne. Poi c' è chi trasloca dalla città nei paesi, per ridurre gli affitti, e occupa il tempo fischiettando ai giardinetti: l' 80 per cento, dicono le statistiche, niente cinema il sabato sera, e per il fine settimana quattro passi in piazza. L' unico soddisfatto mi sembra Berlusconi. È perfino visivamente cambiato: sorride sempre, i capelli gli sono ricresciuti e neri, ha rafforzato la compagnia del governo nientemeno con Follini e Baccini, e nonostante i perfidi comunisti figura tra i più ricchi d' Europa. Berlusconi ha già dichiarato il suo programma: «Voglio stravincere, voglio una valanga di voti e un programma che batta sul concetto di sogno». Bravo: e già che c' è ci dia anche i numeri da giocare al Lotto. Intanto il ministro della Giustizia Castelli (una volta era anche di Grazia ma si è visto che è superfluo) sollecita Ciampi a firmare alla svelta la riforma dell' ordinamento giudiziario o a mandare un messaggio alle Camere. Ciampi, che è una persona seria, ha fatto rispondere che ognuno badi ai fatti suoi.

La lezione di Einaudi e lo Stato editore

 

 

Il Foglio prende 3,5 milioni di aiuti. Libero arriva a 5. Il Riformista riesce a guadagnare

 

a conti fatti

 

Mucchetti Massimo

Il 28 settembre 1943, quando l' Italia democratica era ancora un sogno, Luigi Einaudi scriveva: «E' legittimo che ogni partito abbia i suoi organi; ma questi debbono essere dichiarati tali e debbono essere mantenuti a spese del partito». Sessant' anni dopo, i giornali di partito quadrano i loro conti grazie ai contributi a fondo perduto della presidenza del Consiglio. Probabilmente Einaudi avrebbe capito: una volta deciso il finanziamento pubblico delle forze politiche parlamentari, l' aiuto ai loro quotidiani è solo una conseguenza. Quello che l' economista liberale, primo presidente eletto della Repubblica, difficilmente avrebbe compreso è il resto. Che «l' Unità» o il «Secolo d' Italia» abbiano un aiuto può andare. Magari ne registriamo la consistenza - la prima prende contributi per 6,8 milioni contro 21 milioni di ricavi editoriali, il secondo per 3,1 milioni contro ricavi di 1,2 milioni - per osservare come il quotidiano fondato da Antonio Gramsci sia più radicato di quello di An, e dunque, in proporzione, meno dipendente dall' obolo di Palazzo Chigi. Lo stesso metro di giudizio può essere applicato alla «Padania», voce della Lega: 4 milioni di aiuti dal governo centrale contro 3,3 portati da lettori e inserzionisti. E a «Liberazione», testata di Rifondazione comunista: 3,7 milioni di aiuti contro 3,2 venuti dal pubblico. Ma alla fine diremo che la democrazia ha i suoi costi, e pazienza. Qualche buona ragione potrà pure essere riconosciuta ad «Avvenire», il quotidiano della Conferenza episcopale italiana che, peraltro, gode già dell' 8 per mille, o alle cooperative storiche che editano in modo spartano il «Corriere mercantile» di Genova o «il manifesto». Più arduo, invece, è apprezzare la posizione di testate che rappresentano intraprese commerciali sostenibili solo grazie allo Stato. Tanto più se le stesse testate fanno del taglio della spesa pubblica il proprio cavallo di battaglia. In quest' editoria parastatale, spiccano «Il Foglio», che perde 336 mila euro nonostante 3,5 milioni di aiuti, pari al 71% dei ricavi ordinari, e «Libero» di Vittorio Feltri, che pareggia con 5 milioni di contributi e 17,5 di fatturato. Il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara si è affiliato alla Convenzione per la giustizia, movimento politico con 2 parlamentari, per avere i contributi della legge 250. Lo stesso ha fatto il giornale guidato da Vittorio Feltri, che si dice, con una scritta quasi invisibile, organo del Movimento monarchico italiano. Poiché il giochetto venne replicato da molti, talvolta a meri scopi speculativi, il Parlamento chiuse la porta, ma non fece uscire chi era entrato. Con voto trasversale, agli "imprenditori" più svelti sono stati confermati i pubblici soccorsi a patto che trasformassero le società editrici in cooperative. Ed ecco apparire la coop Libero formata dagli Angelucci, i re delle cliniche romane, e dai loro professionisti, con 50 mila euro di capitale, un centesimo del contributo che lo Stato dà ogni anno al giornale. Anche l' ultima nata, la cooperativa del Riformista, organo del Movimento per le ragioni del socialismo diretto da Antonio Polito, ha chiesto 2 milioni che, assieme a 3 milioni di ricavi, le consentono il miglior profitto del settore: 474 mila euro. L' anno scorso furono 93 le testate a dividersi 120 milioni. Adesso, il Dipartimento per l' editoria decide analoghe assegnazioni a valere sui conti 2003. L' intera editoria, invece, riceve crediti d' imposta del 3% per cinque anni sugli investimenti e contributi pari alla metà del servizio del debito relativo (92 milioni per l' ultimo triennio). Anche questo in linea di principio è un aiuto, ma è legato allo sviluppo e non alla copertura delle perdite. Non a caso il commissario Ue, Mario Monti, non l' ha considerato aiuto di Stato. (con la consulenza tecnica di Miraquota)

 

 

1 dicembre

«Grazie Silvio per questo caffè»
A Milano la manifestazione più grande per lo sciopero generale contro la finanziaria: i «bamba» non si bevono la storia delle buste paga più pesanti, sanno che Berlusconi toglie ai poveri per dare ai ricchi. Epifani: «Il governo è isolato, si arrampica sugli specchi. Ma noi non siamo allodole»
MANUELA CARTOSIO
MILANO
AVenezia c'era l'acqua alta, a Imperia grandinava, a Roma pioveva. A Milano Giove pluvio è stato più collaborativo. Si è messo in pausa un'ora prima che dai Bastioni partisse il corteo verso Piazza del Duomo. Con 50 mila partecipanti la manifestazione di Milano è stata la più grande delle quasi ottanta organizzate dai sindacati confederali nel giorno dello sciopero generale, il quinto contro il Berlusconi due. La finanziaria, il taglio delle tasse «a rovescio», la messa in mora del contratto del pubblico impiego, il Mezzogiorno negletto, l'assenza di uno straccio di politica industriale hanno ricompattato Cgil, Cisl e Uil. Sin Cobas e Ugl hanno aderito, gli enti locali di centro sinistra hanno plaudito, Confindustria ha annuito. Risultato: adesione media attorno all'80%, con punte ancor più alte nel pubblico impiego e nell'industria. Tutta fatica sprecata, a sentire Berlusconi. Anche questa volta, alla vigilia, il Cav. aveva ripetuto che a lui gli scioperi generali non fanno neppure solletico. Visto da Milano, lo sciopero di ieri è stato un punto segnato con serietà e diligenza dal sindacato contro il governo Berlusconi. Ma la massa critica, necessaria per farlo cadere, non è stata ancora raggiunta. Più che dai numeri, lo si capisce dal mood dei manifestanti. Compassati e coi piedi per terra, meno fantasiosi di anni fa, non si fanno illusioni sulle capacità del centro sinistra di accorciare la vita al governo. Cifre alla mano sanno smontare le balle di Vittorio Feltri che sulla prima pagina crumira di Libero li sfotte come «bamba» autolesionisti che scioperano contro il regalo che il munifico Berlusca mette nelle loro busta paga. Però temono che, con il «potere mediatico» a disposizione, il mago Silvan riesca a trasformare il «fumo negli occhi» del taglio alle tasse in arrosto elettorale.

«Non siamo noi le allodole», precisa Guglielmo Epifani prima ancora di salire sul palco. Il governo è isolato, dice il segretario della Cgil, «e per non naufragare si aggrappa agli specchi». Con il taglio delle tasse «dà poco a tanti, niente a molti, tanto a pochissimi». Il poco che viene dato con una mano, con l'altra viene tolto tagliando i servizi sociali o facendoli pagare. Solo scovando gli evasori si possono tagliare «veramente» le tasse, ricorda il numero uno della Cgil suscitando l'applauso della piazza. «E invece l'anno scorso l'Agenzia delle entrate ha fatto 150 mila controlli fiscali in meno». Epifani batte sul paese «fermo», sui salari che «vanno sempre indietro», sul «caos» della scuola. Nel suo comizio dedica attenzione alla condizione «precaria» dei giovani e alla povertà di troppi anziani.

Sparsi lungo il corteo c'erano diversi gruppi organizzati di precari. «Al Comune di Milano siamo in 3 mila, in Provincia 600», racconta Andrea che «esige» la cancellazione della legge 30 dall'ipotetico futuro governo di centro sinistra, ma non dimentica che «ha iniziato Treu, che magari oggi sfila con noi».

La precarietà si è insinuata anche nelle vita degli «adulti». Le donne della Breter di Paderno Dugnano «all'improvviso» si ritrovano in mobilità: la multinazionale Rockwell Automation ha deciso di spostare nella Repubblica Ceca la produzione di apparecchiature elettromeccaniche. In quella fabbrica Margherita Rinaudo c'era entrata ragazzina, «mi hanno fatto annusare la pensione e ora mi lasciano a casa». Il suo è «un dramma familiare», alla Breter lavorano anche un figlio e un genero. Le hostess e i piloti di Volare aprono il corteo, aggrappati al loro striscione e alla speranza che un commissario riesca a salvare la compagnia aerea affondata allegramente dagli azionisti. Il disastro di Volare trascina nell'incertezza i cinquanta autisti degli autobus navetta della Star Fly. Volare è rimasta a terra e loro sono stati «sospesi dal servizio». Sergio, uno degli autisti, ha moglie e due figli piccoli: «Abbiamo la fortuna di avere la casa di proprietà. Finora, stando attenti a tutto, riuscivamo a starci dentro con il mio unico stipendio. Adesso?».

Una giovane impiegata di Banksiel ci mette in mano un volantino contro Telecom Italia - «premiata macelleria industriale, specialità: spezzatino e frattaglie» - che sta vendendo all'asta il comparto informatica. Se la prende con Tronchetti Provera anche Franco Facci, delegato di lungo corso della Bicocca. Per coprire i buchi di Telecom, il bel Tronchetti vende il settore cavi della Pirelli e sui pneumatici investe all'estero, ma non in Italia. Ergo, «Leopoldo riprenditi la Pirelli», ironizza (ma non troppo) lo striscione.

Chiudiamo con un florilegio dei commenti scritti e parlati sul taglio delle tasse. Un cartello: «Grazie per il caffè». Lavoratori del turismo: «Noi siamo dei signori. I nostri venti euro li giriamo a Feltri». Due assistenti dell'Istituto don Gnocchi: «Per abbassare le tasse ai ricchi tagliano il personale nella sanità. Noi dovremo lavorare di più e gli utenti saranno assistiti peggio». «Cassa delle libertà», ha scritto sul suo cartello il pensionato Nino Carbutti. Garantisce che «dai ceti medi ai diseredati tutti ormai sono incazzati con Berlusca, nessuno si beve più le sue balle». Un dipendente di Banca Intesa conferma, ma un impiegato comunale non ci mette la mano sul fuoco: «Controllano le tv, riescono a far sembrare vero il falso». Attenzione, avverte Archimede Tripiedi, muratore quasi in pensione, «con la mossa del taglio delle tasse il cavaliere vuol rompere il nostro fronte, non sediamoci sugli allori perché il centro sinistra si è preso la provincia a Milano o la Sardegna».


 

Roma, il pubblico impiego alza la voce
Nella capitale il corteo degli statali: protesta per il contratto, contro il governo tagliatutto
Anche all'Istat si sciopera: i ricercatori occupano la sala stampa e ritardano di un'ora la diffusione delle statistiche mensili sull'inflazione

GIANNI DEL VECCHIO
ROMA
«Piove, governo ladro». Così cantavano e gridavano le prime file del corteo che ieri ha attraversato le vie del centro di Roma (da piazza Bocca della Verità a piazza Farnese) per protestare contro la finanziaria del governo Berlusconi. E mai più coro fu azzeccato, visto che per i quarantamila partecipanti (secondo i dati degli organizzatori) la pioggia è stato il vero leitmotiv della giornata di sciopero generale: inclemente e incessante li ha accompagnati dall'inizio della manifestazione ai comizi di chiusura dei rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil. Una pioggia che tuttavia non ha impedito una significativa affluenza di lavoratori, studenti, pensionati, tutti stanchi delle continue promesse non mantenute dell'esecutivo di centrodestra. La parte del leone l'hanno fatta sicuramente i dipendenti del pubblico impiego, presenti in massa sotto diverse sigle sindacali. Una presenza emblematica, visto che la categoria è nell'occhio del ciclone per il mancato rinnovo contrattuale (ormai congelato da quasi un anno) e per il blocco del turn over previsto dalla finanziaria. Una duplice misura che ha portato i sindacati della pubblica amministrazione a estendere lo sciopero a otto invece che quattro ore.

E l'adesione dei lavoratori pubblici romani è stata cospicua, secondo i dati diffusi dalle organizzazioni sindacali: il 75% al Comune di Roma, l'80% nella sanità della capitale e all'uficio entrate del ministero dell'economia, per dare qualche numero. Anche i dipendenti dell'Istat hanno scioperato: un gruppo di lavoratori ha addirittura occupato la sala stampa provocando la ritardata diffusione (di un ora) dei dati sull'inflazione. Per poi recarsi davanti Palazzo Vidoni, sede del ministero della funzione pubblica, per protestare contro le politiche economiche del governo e contro il mancato rinnovo del contratto, che per la ricerca significa anche mancato rinnovo del primo biennio 2002-2003. In pratica, i dipendenti dell'istituto di statistica sono in attesa del contratto da circa 35 mesi.

Le preoccupazioni sul futuro dei dipendenti pubblici hanno poi trovato naturale sfogo nei comizi di chiusura dei rappresentanti dei sindacati a piazza Farnese. «A Roma - ha affermato Giuseppe Moretti, segretario generale della Uil di Roma e Lazio - la diminuzione del numero dei dipendenti pubblici si farà particolarmente sentire non solo nel settore ma sul complesso dell'economia locale, così come il mancato rinnovo del contratto di lavoro, atteso da 11 mesi, peserà e non poco sulle tasche dei lavoratori». Sul mancato rinnovo del contratto si sofferma anche Giampaolo Patta, segretario nazionale della Cgil, sottolineando come dopo quasi un anno le parti sociali non siano ancora state convocate per il rinnovo. La denuncia di Patta si estende poi all'operato complessivo del governo in carica: «L'esecutivo in questi anni ha pensato solamente a perseguire gli interessi del premier con varie leggi come quella sulla depenalizzazione del reato di falso in bilancio o il lodo Schifani. La politica economica è stato un continuo tirare a campare, grazie al reiterato uso dello strumento dei condoni. E anche l'ultima riforma fiscale non fa altro che privilegiare le classi ricche rispetto quelle più deboli».

 

Aids, il ricatto di bigpharma

di Vittorio Agnoletto

Un vero e proprio "apartheid" sanitario mondiale. Così potrebbe essere definita la situazione attuale nella lotta all'AIDS. Infatti degli oltre 39 milioni di persone sieropositive attualmente viventi circa 35 milioni non possono accedere ai farmaci a causa degli altissimi costi delle terapie che variano dai 7000 ai 10.000 dollari all'anno. Tale situazione è il prodotto della condizione di assoluto monopolio garantito dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) alle multinazionali; infatti il Wto, attraverso gli accordi TRIPS sulla proprietà intellettuale, stabilisce che per un periodo di 20 anni, prorogabile di altri 5, la produzione di un farmaco resta di totale esclusività dell'azienda che l'ha immesso sul mercato alla quale spetterà il diritto insindacabile di stabilirne il prezzo.

Nella conferenza del Wto svoltasi a Doha nel novembre 2001, in seguito alle proteste realizzate dalle associazioni e dai movimenti antiliberisti, fu stabilito che i Paesi in via di sviluppo (PVS) - che si trovavano a dover fronteggiare contemporaneamente una situazione di grande povertà ed un'epidemia di AIDS - avrebbero potuto, fino al 31/12/2004, produrre direttamente i farmaci antiretrovirali. In Brasile, in Tailandia e soprattutto in India alcune industrie locali sono state in grado di mettere sul mercato le stesse terapie (attraverso la produzione di farmaci generici, quindi non coperti da brevetto) a costi 30-40 volte inferiori a quelli praticate dalle multinazionali.

D'altra parte la vendita di questi farmaci generici ai Paesi poveri non in grado di produrli direttamente, situazione comune a tutto il continente africano, fu vietata dalla conferenza di Doha; né ottennero alcun risultato le decisioni assunte dal Wto nell'agosto del 2003, nonostante fossero state pubblicizzate in tutti i media mondiali come un passo importante verso la soluzione del problema. Infatti le condizioni stabilite come necessarie affinché una nazione africana potesse, ad esempio, acquistare farmaci direttamente da un'industria indiana risultarono talmente complesse che nessun Paese ha potuto fino ad ora beneficiarne.

Ma l'attuale apartheid sanitario è destinato a peggiorare: dal 1° gennaio 2005 cesserà la moratoria ai TRIPS e da quel momento India, Tailandia e Brasile non potranno produrre i farmaci antiretrovirali, che dovranno essere acquistati direttamente dalle multinazionali ai prezzi da loro stabiliti.

Di fronte alla drammaticità di questa situazione risultano del tutto inaccettabili gli appelli lanciati alle aziende farmaceutiche affinché riducano almeno di un poco i prezzi e compiano qualche donazione di farmaci gratuiti ai derelitti della Terra. Non si tratta di chiedere l'elemosina, ma di rivendicare il diritto alla vita, alla salute e quindi a modificare gli accordi che ora regolano il mercato mondiale. Soprattutto considerando che le industrie farmaceutiche si collocano da due decenni ai primi posti nella classifica realizzata da Fortune tra le 500 aziende al mondo che realizzano i maggiori profitti. Ma come si sa la fame viene mangiando; ed infatti gli Usa hanno istituito un meccanismo denominato "Special 301 trade mechanism"per minacciare e punire, tramite sanzioni bilaterali, i Paesi che non applicano in modo sufficientemente rigoroso la normativa sulla proprietà intellettuale dei farmaci, senza tener in alcun conto la necessità, ma anche gli obblighi costituzionali, che ogni governo ha verso la tutela della salute del proprio popolo.

Oggi, in occasione della giornata mondiale di lotta all'AIDS, il Parlamento Europeo discuterà una mozione, sottoscritta anche dal gruppo della Sinistra Unita Europea (Gue), affinché l'Ue sostenga, nel prossimo incontro del Wto, un prolungamento della moratoria sugli accordi TRIPS oltre che una loro profonda revisione. Come GUE presenteremo alcuni emendamenti finalizzati a impegnare la Commissione Barroso: a destinare almeno 1 miliardo di euro all'anno al Fondo Globale per la lotta all'AIDS, alla TBC e alla Malaria e a condannare il ricatto esercitato dagli Usa verso i PVS e quindi a non instaurare a propria volta un meccanismo simile allo "Special 301 trade mechanism". Qualora fosse approvata la mozione rappresenterà, sul terreno politico e della diplomazia internazionale, un grande risultato frutto di anni di dure battaglie, ma non sarà sufficiente. Ancora una volta, affinché le parole si trasformino in fatti sarà necessario un grande impegno di tutto il movimento antiliberista e della sua capacità di trasformare la solidarietà nord-sud nella consapevolezza di un comune interesse per un mondo che giorno dopo giorno assomiglia sempre più ad un vero villaggio globale.