Archivio dicembre 2005

 

28 dicembre

IL COMMENTO
Il manuale dell'ipocrisia
e il garantismo da salotto

di CURZIO MALTESE

Il garantismo da salotto che imperversa da un decennio non si smentisce mai.
Presenti in massa in Parlamento quando si tratta di garantire l'impunità ai ricchi, i garantisti all'italiana di destra e sinistra disertano da anni i dibattiti su amnistia e indulto destinati ai poveracci che affollano le patrie galere. Ieri si è toccato il record della vergogna.

Alla seduta straordinaria della Camera si sono presentati soltanto 93 dei 205 firmatari della richiesta, più un'altra trentina di non firmatari. Visto il deserto, il presidente Casini ha archiviato la pratica e rinviato tutto al 10 gennaio, dopo le feste.

Qualche suicidio in cella in più non guasterà le vacanze di Natale alla Vanzina degli onorevoli deputati, fra sciate, cotechini, lenticchie e botti di fine anno. E' l'ultimo capitolo di un lungo manuale dell'ipocrisia scritto in questi anni dalla politica sul tema delle carceri.

Cinque anni fa si erano levati tutti ad applaudire commossi l'appello di Giovanni Paolo II al Parlamento per alleviare la pena supplementare e barbara inflitta a migliaia di detenuti, ormai stipati in carceri di livello boliviano. Passata la festa e gabbato il Santo Padre, sono trascorsi cinque anni, con cinque Pasque, Natali, Capodanni, Epifanie e soprattutto carnevali, senza mai trovare la data giusta per approvare il provvedimento.

In compenso, fra Cirami, Cirielli, depenalizzazioni varie e riforme di giustizia ad hoc, il Parlamento ha approvato la più gigantesca amnistia di classe, come si sarebbe detto una volta, della storia della repubblica.
Una pioggia di un milione e mezzo di prescrizioni a portata di mano dei clienti più ricchi, l'impunità di fatto per chiunque possa permettersi uno o più buoni avvocati, dai mafiosi ai bancarottieri fino ai presidenti del consiglio, ministri e onorevoli presenti e passati.
Le carceri italiane nel frattempo si gonfiano di stracci e dolore.

Basterebbe un indulto e perfino quello che si chiama indultino per ristabilire condizioni di vita decenti. Oltre il 60 per cento dei detenuti, 23 mila persone, deve scontare un residuo di pena inferiore ai tre anni. In quali condizioni?

Il quadro fornito da Patrizio Gonella, presidente dell'associazione Antigone, è da denuncia ad Amnesty International: "A Verona vivono tre detenuti in celle pensate per uno; a Piacenza vive più del doppio dei detenuti che il carcere potrebbe ospitare, in una struttura con i muri crepati e dove regolarmente piove all'interno; all'Ucciardone di Palermo più di cento detenuti di troppo vivono in celle fatiscenti dove la luce del sole penetra scarsamente; a Bari abbiamo celle di 18 metri quadri che ospitano ognuna sei detenuti, quasi sempre chiusi dentro per venti ore al giorno: togliendo bagno, letti e mobili, resta circa un metro quadro a disposizione di ciascun detenuto; al Poggioreale di Napoli si sta in cella quasi tutto il giorno, gli spazi comuni sono quasi nulli, si vive fino a 18 persone insieme, dividendosi l'unico bagno e l'unico tavolo disponibili; a Rebibbia vive circa il doppio dei detenuti che il carcere potrebbe ospitare; a Le Vallette di Torino ci sono 600 detenuti in più".

In teoria non vi sarebbe bisogno di ripercorrere l'inferno carcerario perché, sempre in teoria, esiste da anni in Parlamento una larga maggioranza bipartisan favorevole a risolvere la questione con gli strumenti dell'amnistia o dell'indulto, che non cancella il reato. In pratica però il garantismo da salotto continua a eclissarsi al momento di decidere.

Quello di ieri è stato l'ultimo episodio e il più avvilente. Quasi peggiore del fatto è stata poi l'inevitabile coda polemica, un altro squarcio dell'Italia dei furbetti. Un gruppo di parlamentari di sinistra, ormai liberati dall'odiosa autocritica, ha addossato la colpa del fallimento a Casini per aver convocato la seduta il mattino seguente un giorno festivo.

Il presidente della Camera ha avuto buon gioco a rispondere che gli altri italiani erano già al lavoro e quindi forse potevano mettere la sveglia anche i parlamentari meglio pagati d'Europa. Il ministro Castelli si è vergognato per gli altri, com'è costume nazionale, e ha additato il cinismo dei "pifferai" prima firmatari e poi assenti. Qualcuno a questo punto dovrà vergognarsi per Castelli, che non era presente alla seduta. In fondo, oltre a essere un militante leghista, rimane pur sempre il ministro della Giustizia, per quanto si possa capire e condividere la sua stessa incredulità.

Si resta perplessi di fronte alle parole di Marco Pannella: "Alla fine i presenti non erano pochi". Torna l'antico dubbio, c'è o ci fa? Non si capisce insomma se l'anziano leader radicale ci creda ancora o usi gli strumenti del glorioso passato, dall'auto-convocazione ai refendum, soltanto per sopravvivere sulla scena, senza calcolare gli effetti catastrofici che producono alla causa. Ai suoi nuovi compagni, i socialisti di Boselli, va invece riconosciuto la coerenza e l'onestà di essersi presentati al gran completo, unico gruppo con i verdi.

Il solo commento serio è venuto da dietro le sbarre di Rebibbia, dove il comitato dei detenuti ha fatto sapere di non essere deluso perché, alla lettera, "non ci aspettavamo nulla". Qualcuno ha aggiunto di non aspettarsi nulla neppure dalla convocazione di gennaio, che slitterà a febbraio, poi a marzo, aprile.

Figurarsi se questa politica trova il coraggio di prendere una decisione prima delle elezioni. Il problema delle carceri è destinato ad aggiungersi alla spaventosa eredità che il governo Berlusconi lascerà al Paese. Dopo aver amorevolmente abolito le tasse sull'eredità di famiglia.

 
Le associazioni: su prezzi e tariffe aumenti fino a 1000 euro
Il Tesoro minimizza: "I settori controllati in linea con l'inflazione"
Carovita, allarme dei consumatori
"Un'altra stangata nel 2006"

di LUCIO CILLIS
 

<B>Carovita, allarme dei consumatori<br>"Un'altra stangata nel 2006"</B>

ROMA - Il Tesoro minimizza. E parla di "tariffe in linea con l'inflazione". Ma le polemiche sulla corsa dei prezzi nel nostro Paese vengono rilanciate dai dati delle associazioni dei consumatori, che parlano di una "ennesima stangata in arrivo sulle famiglie".

Il Tesoro ieri ha affidato la difesa dei dati pubblicati nel "quaderno" mensile ad una nota ufficiale: "Gli andamenti delle tariffe dei settori a regime controllato sono in linea con l'evoluzione dell'indice generale dei prezzi" ha spiegato il dipartimento del ministero dell'Economia, mentre "gli andamenti dei prezzi dei beni dei settori liberalizzati (ovvero dei settori in passato sottoposti a regime controllato) rispecchiano i dati Istat e sono riconducibili alla fortissima dinamica dei prezzi del greggio".

Ma i consumatori replicano con durezza, a poche ore dalla decisione dell'Authority per l'Energia sulle nuove tariffe in vigore dal gennaio. L'Adiconsum vede il 2006 come un anno tra i più difficili, su cui peserà "un aggravio di 600-800 euro per i monoreddito e di 1000-1200 euro per i bireddito".

L'associazione vicina alla Cisl, più in generale, contesta al governo la mancanza di una "politica di calmierazione" dei prezzi. I dati del Tesoro - secondo cui le tariffe di beni e servizi liberalizzati sono saliti per il paniere dell'intera collettività del 5,4% e del 2,4% per beni e servizi liberalizzati a fronte di un'inflazione del 2,2% - sono quindi un autogol: "Infatti - secondo Adiconsum - risparmiare sulle tariffe è molto più difficile che sul carrello della spesa. È importate - conclude l'Adiconsum - che il governo assuma provvedimenti di calmierazione, sulla benzina, sugli oneri impropri dell'energia elettrica, sulla rendita nel settore del gas, e vigili con adeguati controlli sulle tariffe assicurative e sui costi bancari".

E di "stangata dietro l'angolo" parla l'Intesaconsumatori. Che ha fatto un po' di conti sulle spese in arrivo al giro di boa del 2006: "Il prossimo anno le famiglie italiane si troveranno a dover sborsare 1.100 euro in più in seguito ai rincari di prezzi e tariffe".

Qualche esempio: la bolletta del gas salirà di 165 euro, quella della luce di 38 euro, mentre il riscaldamento subirà un incremento di 155 euro. Per il pieno dell'auto, invece, gli italiani pagheranno 165 euro in più sul 2005; per i servizi bancari e la tariffe ferroviarie 42 euro in più per ognuna delle due voci. Più contenuti i rincari di Rc Auto e i pedaggi (26 e 24 euro in più).

"A questi aumenti si aggiungono - secondo l'Intesa - le ricadute dei maggiori costi dell'energia dei processi industriali e dei trasporti commerciali sui prodotti di largo consumo: +4% per gli alimentari e +0,7% sugli altri beni non alimentari". In pratica per i generi alimentari i rincari saranno di 216 euro a famiglia.

Dal fronte politico reazioni stizzite della maggioranza (Forza Italia parla infatti di "dati strumentalizzati dalla sinistra") e attacchi frontali alla politica dell'esecutivo dal centrosinistra. Raffaele Morese, presidente di Confservizi, sottolinea, infine, il rischio di una nuova ondata di rincari: "Chi si meraviglia della crescita delle tariffe nel 2005, deve sapere che nel 2006 può andare peggio. Per evitarlo occorrerebbe una strategia di concertazione che, oggi - accusa Morese - non c'è".
Il presidente di Confeservizi suggerisce una concertazione "fondata su tre linee: fissare un incremento entro l'inflazione prevista per il 2006, concordare un price-cap e intervenire fiscalmente nei settori influenzati da fattori esogeni, come il prezzo dei prodotti energetici acquistati all'estero".


Tre cadaveri che camminano
di Eugenio Benetazzo autore del libro: "Duri e Puri: aspettando un nuovo 1929"
 
Il disco (in vinile) più venduto di tutti i tempi è stato Thriller di Michael Jackson, il cui video (scenografia e comparse) della canzone a quei tempi costò uno sproposito: la evergreen annunciava il ritorno dei morti viventi (gli zombies) con la camminata insensata dei cadaveri. Beh, a mio avviso quel vecchio pezzo musicale sarebbe l?ideale come jingle d'attesa per il numero verde di tre aziende italiane di cui tutti sembrano essere usciti pazzi per comprarne le obbligazioni!!!
Enel, Telecom e Fiat, tre cadaveri che camminano, il loro outlook di mercato a mio avviso non è molto confortante.
Enel ha il monopolio sulla distribuzione di energia elettrica per gli usi residenziali (da sottolineare come in Italia si paghino le tariffe più elevate di tutta Europa) ancora fino a dicembre 2005: successivamente avverrà un processo di liberalizzazione che consentirà di allacciarsi virtualmente al fornitore con le tariffe più convenienti (lo stesso avvenne quando decadde il monopolio di Telecom).
Perciò l'azienda elettrica italiana si trova in una situazione di mercato da cui può solo perdere nei prossimi anni (tra l'altro scordatevi i mega dividendi non appena il Ministero del Tesoro avrà ceduto interamente al mercato le sue quote residue): forse anche per questo motivo gli analisti di Dresner Bank hanno abbassato il rating a "reduce" (ridurre) sul titolo con un target price a 6,0 euro.
Su Telecom invece non c'è molto da dire: ha dovuto lanciare un offerta di pubblico acquisto su TIM per pagare i debiti consolidati del gruppo attraverso i proventi d?oro del gestore di telefonia mobile, ugualmente lo stesso che fece Vodafone United Kingdom nei confronti di Omnitel Pronto Italia.
Il futuro è nella telefonia mobile e nei servizi a banda larga (leggasi ADSL): il mercato del VOIP sarà la nuova torta da spartirsi nei prossimi cinque anni.
Il VOIP (acronimo di Voice Over Internet Protocol) rappresenta la nuova frontiera della telefonia fissa ovvero poter telefonare utilizzando una connessione a banda larga a costi pari a zero oppure pari ad un ventesimo rispetto alle vecchie tariffe telefoniche tradizionali.
Se ci aggiungiamo il fatto che in alcune aree urbane il servizio di unbundling (l'acquisto dell'ultimo miglio del doppino telefonico da parte del nuovo gestore telefonico da voi prescelto, liberandovi definitivamente dal canone Telecom) è già attivo, le valutazioni sulle potenzialità di questo titolo e sui suoi debiti pregressi non sono molto incoraggianti.
Riguardo infine a Fiat, beh che dire: se Parmalat aveva un debito pari al suo fatturato, Fiat ha debiti pari a dieci volte il suo fatturato, come ricorda scherzosamente Beppe Grillo. L'azienda ha sempre potuto contare su interventi di sostegno con capitale a fondo perduto, sempre e solo durante governi di centro sinistra.
Se General Motors in Marzo 2005 decise di pagare una super multa per sciogliere gli accordi infragruppo ci sarà un motivo: ha preferito spendere dieci e subito, piuttosto che rischiare di spenderne cento tra qualche anno, le auto Fiat si vendono poco e sono troppo costose per il livello di qualità che offrono.
Tra poco arriveranno le automobili cinesi e le conseguenze non tarderanno ad arrivare: proprio come hanno fatto le giapponesi in dieci anni acquistando quote di mercato a scapito dei produttori europei, così allo stesso modo faranno le cinesi, ma con conseguenze ancora più pesanti.
In quanto l'automobile cinese non compete sulle prestazioni ma solo sul costo, e con lo spettro della depressione in tutta Europa, la sfida sembra già vinta ancor prima che inizi.
Ma se va avanti così prima o poi qualcosa avverrà naturalmente a svegliare la gente normale, gli italiani che finora si sono sentiti presi per i fondelli da una vita, gli italiani stanchi ormai di tutto, quelli che non hanno più nulla da perdere, se non la propria vita fisica.
L'altra vita, quella della speranza di fare per i loro figli, alcuni l'hanno persa da un pezzo e altri la perderanno, perché sanno che il futuro dei loro figli è ormai tristemente compromesso.
Mi dispiace tuttavia pensare come la Teoria Finanziaria del Titanic considerando la corsa alla sottoscrizione di corporate bond di Enel, Telecom, Fiat & Company dimostri ancora una volta come il parco buoi risparmiatori non abbia ancora imparato la lezione dopo le mazzate ricevute in passato con i vari crack scandalo degli ultimi anni e periodi recenti.
Nessuno, infatti, tiene in considerazione il rischio (quasi certo) che si assumono sottoscrivendo queste obbligazioni aziendali (corporate bond) in quanto l?aumento dei tassi di interesse, che in America ormai si è già manifestato, presto arriverà anche in Europa con conseguenze negative sul valore degli stessi investimenti obbligazionari: per come la vedo io, l’influenza dei polli era già arrivata da un pezzo in Italia, ma non sui banchi dei supermercati, quanto piuttosto sugli sportelli e filiali degli istituti di credito.
 
 
ESTERI
IL BRACCIO VIOLENTO DELLA LEGGE DI NUOVO SOTTO ACCUSA LE FORZE DELL’ORDINE
Video a New Orleans,dieci agenti sparano a un nero col coltello
«Era pericoloso, ci minacciava». Alcuni testimoni confermano, altri smentiscono
 
di Maurizio Molinari
 
orleans
Nel video amatoriale i poliziotti circondano
con le pistole l'uomo di colore LE IMMAGINI
NEW YORK. Più di dieci agenti di polizia si avvicinano ad un uomo armato di coltello, lo circondano puntandogli contro le pistole di ordinanza e lui indietreggia, gli gettano contro spray accecante e lui si protegge il volto velocemente con la maglietta, stringono ancora di più il cerchio ma lui non getta il coltello ed è allora che un agente sentendosi minacciato apre il fuoco, seguito da tutti gli altri. La morte di un afroamericano di 38 anni in un parcheggio sulla St Charles Avenue di New Orleans, famosa per ospitare ogni anno le parate del Martedì Grasso, è stata ripresa attimo per attimo con un video amatoriale girato da un palazzo adiacente e le immagini da 24 ore rimbalzano da un network tv all'altro riproponendo la violenza degli agenti di polizia.
Proprio a New Orleans la scorsa settimana un altro video aveva ripreso il pestaggio a sangue di un uomo afroamericano lungo la Bourbon Street da parte di un gruppo di agenti che allora si erano difesi affermando che si trattava di «un ubriaco che disturbava la quiete pubblica». Ed anche ieri il portavoce del locale Dipartimento di polizia ha precisato che erano state prese tutte le «possibili precauzioni» per evitare il peggio. La polemica nasce dal fatto che le immagini descrivono una situazione apparentemente molto facile da controllare perché l'uomo alza le braccia, nega di avere armi da fuoco ed indietreggia in continuazione, fino al punto da essere completamente circondato.
Ma la ricostruzione degli agenti è differente: «Aveva un coltello in mano, si è rifiutato di posarlo a terra, non ha voluto fermarsi, continuava a sfuggire e quando gli è stato gettato dello spray al pepe si è difeso, quando un agente si è sentito minacciato dal coltello non ha potuto fare altro che usare la forza letale». Le testimonianze raccolte non aiutano a chiarire la dinamica di cosa è avvenuto. L'avvocato Robert Jenkins, che stava uscendo dal ristorante quanto ha visto la scena, parla di un evento che si è sviluppato «molto lentamente con l'individuo che aveva il coltello che aveva un atteggiamento molto aggressivo» mentre Try Brokaw, proprietario di un bar nella zona, assicura che il giovane «non sembrava in grado di fare del male a nessuno».
Phin Percy, il ragazzo autore del video, assicura che i poliziotti hanno tentato di convincere l'uomo a gettare il coltello per tre minuti, dopo i quali hanno fatto fuoco, lasciando sul terreno almeno dieci bossoli prima dell'arrivo di numerose altre pattuglie. La sovrapposizione fra questo episodio e quanto avvenuto a Burbon Street ripropone i dubbi sulla preparazione della polizia di New Orleans, ricostituita in fretta dopo l'uragano Katrina allorché molti agenti gettarono la divisa e si diedero alla fuga. Ma c'è anche una dimensione nazionale della polemica sull'etica di chi veste la divisa blu in quanto a inizio mese il Dipartimento di polizia di San Francisco è stato obbligato a prendere provvedimenti contro una ventina di poliziotti che avevano realizzato in proprio -e messo su Internet - dei video nei quali si facevano beffa di cittadini afroamericani, ispanici, asiatici, gay e transessuali.
Gli autori si giustificarono affermando di aver realizzato i filmati amatoriali per «vederli assieme durante i party di fine anno» ma alcune immagini erano tutt'altro che allegre come nel caso in cui si vede una macchina della polizia che travolge una donna afroamericana mentre i poliziotti bianchi che sono alla guida ridono divertiti.

 

La stampa Usa ignora la notizia
 
Non trova risalto sui quotidiani americani la notizia che oggi tiene banco in Italia, documentata da un video amatoriale, sull'uomo afroamericano abbattuto da un gruppo di poliziotti a New Orleans.
In Usa l'episodio è relegato a brevi trafiletti, per lo più d'agenzia, nelle pagine interne. Così è per il «Washington Post», che ritrascrive un'agenzia dell'Associated Press, mentre per il «New York Times» e il «Los Angeles Times» il fatto non esiste. Su «Usa Today» si è arrivati già alla conclusione: aprire il fuoco era «inevitabile» secondo la polizia di New Orleans.

 

 

22 dicembre

Elogio di Antonio Fazio
Domenico de Simone – www.malatempora.com

Fino all’ultimo Antonio Fazio ha difeso, con feroce coerenza il ruolo di supremo custode delle Istituzioni assunto nell’ormai lontano 1993. Anno difficile quello, dopo lo sfascio della politica, anno in cui tutti, lobbies media e imprenditori, indicarono negli uomini di Via Nazionale i Salvatori della Patria in pericolo. Ciampi, Dini, Monti e Fazio furono chiamati a gran voce a riempire il pericoloso vuoto lasciato dal ciclone di Tangentopoli. In un sol colpo, la Banca d’Italia divenne il tempio della democrazia e la fonte dell’etica, pubblica e privata. Fino alle convulse vicende degli ultimi giorni, alla minaccia di cacciarlo via per decreto che tremebondi politici, immemori dei tanti benefici ricevuti dalla Sua opera indefessa, hanno agitato dopo averlo per anni ossequiato ed elogiato.

Nulla, fino a quel momento aveva turbato la granitica fermezza con cui aveva condotto le vicende finanziarie ed economiche del paese. Non le intercettazioni delle telefonate con i furbetti del quartierino, non le accuse furibonde sui discutibili controlli su Parmalat e Cirio, non l’appoggio promesso e poi negato alla Telecom di Bernabé contro la scalata ostile dei soliti amici degli amici, nemmeno il palese conflitto di interessi tra Bankitalia e le sue proprietarie che essa stessa dovrebbe controllare, ebbene proprio nulla sembrava poterlo smuovere dal suo posto. Fino all’ultimo ha ripetuto, e non dubito che continuerà a ripetere in futuro, di essersi comportato sempre con la massima correttezza.

Ha ragione, è proprio vero. D’altra parte che volete? La menzogna, cari signori, è l’essenza del sistema finanziario e praticarla è perfettamente coerente con le regole del potere delle Banche. Non ci credete? Ebbene, pensate alla elementare regola di ogni mercato finanziario per cui è necessario dare fiducia agli investitori pena lo spavento, la crisi, il disastro, la catastrofe. Fiducia a tutti i costi, anche e soprattutto mentendo sapendo di mentire. Il Governatore di Bankitalia mente? Compie il suo dovere istituzionale. Dopo il 1992 il sistema bancario, che si fonda sulla menzogna e sulla truffa del signoraggio, è diventato la fonte dell’etica nazionale. Vuoi campare e avere un po’ di credito per comprare la macchina, il telefonino, la casa, un’azienda, una Banca? Solo se la Banca vuole, altrimenti sei morto. E’ la Banca che decide chi è degno e chi no, secondo suoi inappellabili criteri di giudizio. Il coro unanime del mediatico, ha investito questi signori per oltre un decennio del ruolo di supremi custodi dell’etica e della democrazia della Nazione. Un gruppo di oligarchi, sottratto ad ogni controllo, è divenuto il depositario del verbo democratico, in un paradosso da far impallidire Epimenide, ma assolutamente naturale per i nostri anchorman. L’apoteosi della truffa, perché tale è la creazione di denaro sul debito, perché tale è il signoraggio, Bankitalia, è divenuta la fonte dell’etica nazionale. Ah, se la gente sapesse come viene creato il denaro farebbe la rivoluzione prima di domattina, disse un Rothschild qualche secolo fa. La pubblica menzogna, eletta a sistema, ha custodito tanto bene il segreto che ancora oggi quasi nessuno lo conosce. Per questo non posso che elogiare Antonio Fazio, che, con la sua incrollabile fede nella menzogna istituzionale, con la sua strenua difesa della liceità della truffa bancaria, ci ha fatto scoprire che il Re è nudo. Grazie, Antonio!


21 dicembre

E mentre la Banda Bassotti ruba a norma di legge decine di miliardi di euro dalle tasche dei contribuenti (noi) per costruire TAV (treni ad alta velocità) o TAC (treni ad alta capacità) - per guadagnare solamente qualche minuto - la situazione fatiscente delle ferrovie italiane continua a mietere vittime tra bambini, operai, lavoratori, pensionati, ecc.
Ancora un incidente ferroviario
 
Ancora dolore.
Sono ancora i lavoratori, i pendolari, gli studenti e i bambini a pagare un prezzo altissimo per una politica irresponsabile e scellerata che individua nel mercato, nel profitto e nella redditività la sua strategia.
Si piange per colpa di chi ha scelto di liberalizzare il trasporto ferroviario.
Lo avevamo previsto e denunciato dopo l'incidente di Rometta Marea, di Crevalcore, di Viserba e, puntualmente, è accaduto.
Perché non è un caso che gli incidenti ferroviari avvengono e sono aumentati in maniera esponenziale proprio in seguito allo smantellamento della vecchia Azienda Autonoma Ferrovie dello Stato, all'avvio del processo di liberalizzazione, alla fortissima riduzione dei ferrovieri (sempre più spesso sostituiti con personale precario con contratti part-time, a tempo determinato, di apprendistato), all'abbassamento dei parametri di sicurezza, al peggioramento complessivo delle condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori delle ferrovie.
Purtroppo la strategia infrastrutturale attuale, delle grandi opere, messa in campo a partire dalla legge obiettivo, prevede, per il futuro, oltre ad un’accentuazione degli squilibri nel sistema del trasporto ferroviario anche e, soprattutto, un ulteriore taglio alle già esigue risorse per gli investimenti in sicurezza.
È evidente che le risorse economiche disponibili, saranno completamente fagocitate da quelle che sono le vere priorità per l'impresa, per il mercato e, cioè, l'alta velocità e le autostrade.
Continua, quindi, quello squilibrio nel sistema ferroviario che determina una situazione di estrema drammaticità.
Drammaticità per quello che riguarda la sicurezza; drammaticità per quello che riguarda l’impatto economico delle opere; drammaticità per quello che riguarda l’impatto ambientale; drammaticità per quello che riguarda il Mezzogiorno ancora a corto di infrastrutture decenti.
L'incidente di ieri non è imputabile al caso, ad un semaforo rosso, all'errore umano.
Trova la sua ragione e fondamento nelle responsabilità politiche di chi ha considerato la ferrovia non più come un bene pubblico ma come una impresa a scopo di lucro e, quindi, da privatizzare.
E gli investimenti sulla sicurezza, sul materiale rotabile e sulle infrastrutture delle linee cosiddette "secondarie" sono costi da "abbattere".
La lotta delle popolazioni di Val di Susa contro la TAV significa anche questo.
Ribellarsi ad opere inutili, costose, dannose e dirottare le risorse a favore di un trasporto pubblico, sociale, sicuro e sostenibile.
Esprimiamo il nostro profondo dolore, la nostra sincera solidarietà ai feriti, alle famiglie e ai parenti.
Esprimiamo la nostra rabbia nei confronti dei veri responsabili di quanto sta accadendo alle ferrovie di questo Paese.
Coordinamento Nazionale Ministero dell’Economia e delle Finanze

19 Dicembre 2005

Pomodori e buoi dei paesi tuoi
(Beppe Grillo)

buoi.jpg

Da più di vent'anni in Europa e nel mondo il trasporto delle merci cresce a velocità quasi doppia di quella della crescita del PIL. Miliardi di tonnellate di merci vanno avanti e indietro sulle strade, sulle ferrovie, nei cieli e sui mari. E ogni anno aumentano e vanno più lontano.

Il progresso non si può fermare, dicono. Come se il progresso fosse per forza una locomotiva in discesa e senza freni. L'unica cosa che non è stata ancora toccata dal progresso è l'idea di progresso. Io sono stufo di immaginarmi il progresso come facevano Marinetti e i futuristi dell’inizio del secolo scorso: macchine rombanti e sferraglianti, sempre più grosse, sempre più potenti.

Se vogliamo continuare a credere nel progresso, dobbiamo far progredire anche l'idea di progresso.
Un progresso progredito è un progresso che sussurra, che non romba. E' un progresso in punta di piedi, non un progresso con i cingoli. "Dall'atomo al bit" ci avevano promesso vent'anni fa i guru della tecnologia. Avevo capito che invece di spostare sempre più atomi, cioè materia, si sarebbero spostati sempre più bit, cioè informazione.

Avevo capito male.

Quello che sta succedendo è ben diverso. Stanno esplodendo lo scambio delle merci materiali e l'impiego di miliardi di tonnellate di infrastrutture e di combustibili per trasportare sempre più lontano sempre più cose, spesso sempre più insensate. Mi è ben chiaro che per secoli le vie di comunicazione sono state le arterie della civiltà e che commerci equi e liberi hanno portato vantaggi a tutti.

Ma la situazione è cambiata. Per più di duemila anni le merci sono state trasportate con varie forme di energia solare indiretta, quella degli animali da soma, del vento, dell’acqua. Oggi i mezzi di trasporto non usano più energia solare ma energia del petrolio, centinaia di milioni di tonnellate all'anno, che diventano miliardi di tonnellate di CO2 nell'atmosfera e che producono danni economici sotto forma di effetto serra, tifoni, uragani, siccità.

Gli storici dell'economia stimano che per secoli i tassi di crescita economica siano stati di qualche punto per mille ogni anno. Adesso i tassi di crescita economica sono di alcuni punti percentuali all'anno, e gli scambi monetari dell'economia raddoppiano ogni 10-30 anni. Inoltre i commerci materiali aumentano ancora più velocemente dell'economia monetaria. Mi sembra chiaro allora che il ritmo attuale di crescita dei trasporti è un mostro mai esistito prima e che mai potrà esistere in futuro. Stiamo vivendo pochi decenni di follia.

Se i prezzi di una bottiglia di vino australiano trasportato fino in Piemonte o di acqua San Pellegrino trasportata fino a Sidney, bruciando a ogni viaggio una bottiglia di petrolio, coprissero anche i costi dei danni ambientali generati, quel vino e quell'acqua costerebbero il doppio, il triplo, il quadruplo.

Perché le salsicce vendute a Norimberga devono essere fatte con maiali bavaresi portati a macellare a Mola vicino a Napoli? E i pigiami tessuti e venduti in Svizzera devono andare fino in Portogallo per farsi cucire i bottoni? E i gamberetti del mare del Nord venduti in Germania devono andare in Marocco per essere lavati? E nei supermercati di Stoccarda deve arrivare acqua minerale irlandese a prezzi inferiori a quella tedesca? E lo speck "nostrano" altoatesino deve essere fatto coi maiali belgi? E la carne secca dei Grigioni con i manzi brasiliani? E i corn flake a Ginevra con il granturco argentino? E la pizza a Napoli con il pomodoro cinese? E il pesto a Genova con il basilico del Vietnam?
La Gran Bretagna importa ogni anno duecentomila tonnellate di carne di porco straniero. Ma esporta anche duecentomila tonnellate di porco britannico. E se ognuno si mangiasse i porci suoi?

In un pianeta sempre più affollato, dove miliardi di persone vogliono a un maggior benessere materiale, si potrà soddisfare tutti solo se si ricomincerà a produrre e consumare localmente tutto quello che è possibile, lasciando ai commerci a lunga distanza il resto.

Un pomodoro prodotto in Cina , in Italia deve costare 50 euro, 10 centesimi di prodotto e 49,90 di danno ambientale.
Poi chi vuole il pomodoro esotico lo compri pure.

In questo folle su e giù per il pianeta di aerei, navi, traghetti, camion e treni sempre più TAV chi ci guadagna è il commercio e non più la produzione.
Anzi, il contadino, l’artigiano vengono espulsi dal sistema produttivo dagli ipersupermegamercati, punti di carico e scarico delle merci del pianeta.
Sentinelle delle multinazionali che ci dicono cosa mangiare attraverso l’informazione e la pubblicità.
E se poi la carne, il miele, il latte prodotti localmente sono più sani e costano meno, chi se ne frega.


13 dicembre

I licenziamenti alla General Motors, il deficit commerciale, il collasso del sistema sanitario


 Una volta, un'ex presidente della General Motors disse: "Ciò che va bene per il Paese, va bene per la General Motors e viceversa". La G. M., già da tempo in perdita per miliardi di dollari, ha annunciato di voler tagliare 30 mila posti di lavoro. Ciò che è male per la General Motors è male per l'America? In questo caso sì. Gran parte dei commenti che riguardano i guai della G. M. sono di rassegnazione: anche gli esperti che si dicono rammaricati del declino di quella che un tempo era un'azienda importante e autorevole, non sono dell'avviso che si possa o si debba fare qualcosa al riguardo. Per non parlare dei commenti di alcuni conservatori i quali, con evidente tono di soddisfazione, sottolineano l'inevitabilità di tale situazione quasi a dire che l'ostinazione di quegli operai che si sono iscritti ai sindacati e hanno avanzato richieste sta ricevendo ciò che merita.

Non dovremmo essere così compiaciuti. Non difenderò le molteplici cattive decisioni prese dalla direzione della G. M., tantomeno le richieste avanzate dall'Associazione degli operai dell'industria automobilistica. Tuttavia, la perdita di posti di lavoro alla General Motors fa parte di un quadro economico più ampio che coinvolge l'intera industria manifatturiera americana specialmente quel settore che offre ai propri operai indennità e salari decenti. L'indebolimento dell'industria riflette due grandi alterazioni della nostra economia: un sistema sanitario mal funzionante e un deficit commerciale insostenibile. Secondo A. T. Kearney, l'anno scorso, per ogni veicolo prodotto, la General Motors ha speso 1.500 dollari in cure sanitarie per i propri dipendenti. Di contro, la Toyota ne ha spesi soltanto 201 per veicolo in Nord America e 97 in Giappone. Se gli Stati Uniti avessero un sistema sanitario nazionale, la G. M. verserebbe in condizioni di gran lunga migliori di quelle in cui invece si trova al momento. Un'assicurazione medica finanziata dai contribuenti non corrisponderebbe più o meno a un sussidio per l'industria automobilistica? Non proprio. Poiché la maggior parte degli americani crede che i propri concittadini abbiano diritto a cure sanitarie, e poiché il nostro sistema politico agisce, anche se in modo imperfetto, secondo quel credo, legare l'assicurazione medica all'occupazione ha l'effetto di distorcere l'economia: non fa che scoraggiare la creazione di posti di lavoro validi che comprendono benefici e indennità vantaggiose. Di fatto, molte delle spese mediche che la G. M. risparmierà tagliando posti di lavoro saranno semplicemente buttate sulle spalle dei contribuenti. Alcune famiglie di ex dipendenti della G. M. finiranno per ricevere assistenza sanitaria attraverso il Medicaid. Altri riceveranno cure che non saranno risarcite, ad esempio nei casi di emergenza e di pronto soccorso, e che finiranno per essere pagate o dai contribuenti o da coloro che sono coperti da assicurazione medica. Inoltre, i costi dell'assistenza medica della G. M. sono così elevati anche a causa dell'inefficienza del frammentario sistema sanitario americano. Spendiamo più noi a persona in cure mediche dei Paesi che godono di un sistema sanitario nazionale; e oltretutto con risultati peggiori.

Per quanto riguarda il deficit commerciale, la situazione è la seguente: in questo momento gli Stati Uniti importano più di quanto esportano. Lo scorso anno il deficit commerciale ha oltrepassato i 600 miliardi di dollari. L'altra faccia del deficit commerciale è un riorientamento della nostra economia che permetta di staccarsi dalle industrie che esportano o competono con le importazioni, specialmente quella manifatturiera, e di avvicinarsi alle industrie che non sono influenzate dalla competizione straniera, per esempio l'edilizia. Dal 2000, abbiamo perso circa tre milioni di posti di lavoro nell'industria manifatturiera, mentre l'Associazione degli agenti immobiliari è cresciuta del 50 per cento. Il deficit commerciale è insostenibile. Al momento possiamo permetterci di sostenerlo perché gli stranieri, i governi stranieri in particolar modo, sono disposti a prestarci grosse somme di denaro. Ma uno di questi giorni, il credito facile finirà e gli Stati Uniti dovranno iniziare a pagare il proprio ingresso nell'economia mondiale. Per farlo, dovremo riorientare la nostra economia all'indietro, verso la produzione di beni che possiamo esportare o per rimpiazzare così quello che ora importiamo. E ciò significherà il ritorno di molti operai all'industria manifatturiera. Quindi, il rapido ridimensionamento che dal 2000 sta interessando l'industria della manifattura equivale allo smantellamento di un settore che di qui a qualche anno dovremo ricostruire.

Non voglio attribuire tutti i problemi della G. M. alla nostra economia distorta. Uno degli stabilimenti che la G. M. ha in mente di chiudere si trova in Canada e si tratta di uno stabilimento che gode del sistema sanitario nazionale e che lo scorso anno ha registrato un'eccedenza della bilancia commerciale. Tuttavia, è evidente che le storture della nostra economia rendono i problemi della G. M. di gran lunga peggiori. Affrontare il problema del nostro deficit commerciale è una faccenda complicata che dovrò trattare un'altra volta. Ma le enormi difficoltà in cui versa la G. M. ci ricordano ancora una volta l'urgente necessità di mettere mano al nostro sistema sanitario. È ormai tempo che si passi a un sistema sanitario nazionale che riduca i costi, diminuisca il peso che è al momento sulle spalle dei lavoratori che cercano di fare la cosa giusta e sollevi le famiglie americane dalla paura di perdere la propria copertura assicurativa. Mettere mano alla sanità farebbe bene alla General Motors e farebbe bene al Paese.

'The New York Times'-'L'espresso'

traduzione di Rosalba Fruscalzo

20 cose sorprendenti del voto negli USA
Angry Girl - Nightweed.com
Link alla pagina originale
Traduzione a cura di Stefano Pravato per Disinformazione.it

Forse non tutti sanno che....
1.  L'80% di tutti i voti americani sono stati elaborati solo da due aziende:  Diebold e ES&S.
http://www.onlinejournal.com/evoting/042804Landes/042804landes.html
http://en.wikipedia.org/wiki/Diebold
2.  Non esiste un'agenzia federale che abbia autorità di supervisione o vigilanza sull'industria dei sistemi di votazione.
http://www.commondreams.org/views02/0916-04.htm
http://www.onlinejournal.com/evoting/042804Landes/042804landes.html
4.  Il chairman e CEO della Diebold è uno dei maggiori sponsor e organizzatori della campagna a favore di Bush e nel 2003 ha scritto che si era "impegnato ad aiutare l'Ohio a portare i suoi voti elettorali al presidente per il prossimo anno."
http://www.cbsnews.com/stories/2004/07/28/sunday/main632436.shtml
http://www.wishtv.com/Global/story.asp?S=1647886
5.  Il Senatore Repubblicano Chuck Hagel è stato chairman della ES&S.  I voti con cui è divenuto Senatore sono stati contati da macchine della ES&S.
http://www.motherjones.com/commentary/columns/2004/03/03_200.html
http://www.onlinejournal.com/evoting/031004Fitrakis/031004fitrakis.html
6.  Il Senatore Repubblicano Chuck Hagel, il cui collegamento con la famiglia Bush è di lunga data, è stato recentemente ripreso dal Comitato Etico del Senato per avere mentito a riguardo dei suoi trascorsi nella  ES&S.
http://www.blackboxvoting.com/modules.php?name=News&file=article&sid=26
http://www.hillnews.com/news/012903/hagel.aspx
http://www.onlisareinsradar.com/archives/000896.php)
7.  Il Senatore Chuck Hagel figurava in una lista ristretta di candidati alla vicepresidenza di George W. Bush.
http://www.businessweek.com/2000/00_28/b3689130.htm
http://theindependent.com/stories/052700/new_hagel27.html
8.  La ES &S è la maggiore azienda americana di macchinette per votare e le sue macchinette scrutinano quasi il 60% di tutti i voti.
http://www.essvote.com/HTML/about/about.html
http://www.onlinejournal.com/evoting/042804Landes/042804landes.html
9.  Le nuove macchientte con touch screen della Diebold non creano documentazione cartacea di nessun voto.  Detto altrimenti, non c'è maniera di controllare se le scelte registrate dalla macchina siano le stesse che sono state espresse dai votanti.
http://www.commondreams.org/views04/0225-05.htm
http://www.itworld.com/Tech/2987/041020evotestates/pfindex.html
10.  La Diebold costruisce anche le ATM, lettori ottici e biglietterie automatiche, ognuna delle quali registrano ogni transazione e possono generare un registro cartaceo.
http://www.commondreams.org/views04/0225-05.htm
http://www.diebold.com/solutions/default.htm
12.  La Diebold ha impiegato 5 pregiudicati condannati quali consulenti e sviluppatori come aiuto per scrivere il codice del programma che conteggia il 50% dei voti in 30 stati.
http://www.wired.com/news/evote/0,2645,61640,00.html
http://portland.indymedia.org/en/2004/10/301469.shtml  
13.  Jeff Dean era Senior Vice-President della Global Election Systems quando si trasferì alla Diebold.  Sebbene fosse stato condannato per 23 capi d'imputazione connessi a furto in primo grado, Jeff Dean fu utilizzato come consulente alla Diebold ed è stato il principale responsabile della programmazione del software di ricognizione ottica ora in uso in quasi tutti gli Stati Uniti.
http://www.scoop.co.nz/mason/stories/HL0312/S00191.htm
http://www.chuckherrin.com/HackthevoteFAQ.htm#how
http://www.blackboxvoting.org/bbv_chapter-8.pdf
14.  Il consulente della Diebold, Jeff Dean, è stato condannato per l'uso di back doors nei suoi programmi e per l'uso di “alto livello di sofisticazione” per sviare le ricerche, durante un periodo di due anni.
http://www.chuckherrin.com/HackthevoteFAQ.htm#how
http://www.blackboxvoting.org/bbv_chapter-8.pdf
15.  Nessun osservatore internazionale è stato ammesso ai seggi elettorali dell'Ohio.
http://www.globalexchange.org/update/press/2638.html
http://www.enquirer.com/editions/2004/10/26/loc_elexoh.html
16.  La California ha bandito l'uso delle macchinette Diebold per questioni di sicurezza.  Di fronte alle affermazioni della Diebold che i log di controllo non potevano essere violati, è riuscito a farlo uno scimpanzè!  (Per vederne il film fare click qui http://blackboxvoting.org/baxter/baxterVPR.mov.)
http://wired.com/news/evote/0,2645,63298,00.html
http://www.msnbc.msn.com/id/4874190
17.  Il 30% di tutti i voti degli Stati Uniti vengono espressi tramite touch screen non controllabili e senza registro cartaceo.
http://www.cbsnews.com/stories/2004/07/28/sunday/main632436.shtml
18.  Tutti – non alcuni -- ma tutti gli errori dei sistemi di votazione scoperti e denunciati in Florida erano a favore di Bush o dei candidati Repubblicani..
http://www.wired.com/news/evote/0,2645,65757,00.html
http://www.yuricareport.com/ElectionAftermath04/ThreeResearchStudiesBushIsOut.htm
http://www.rise4news.net/extravotes.html

 

10 dicembre

«Sporco negro» si può dire
ALESSANDRO PORTELLI

Dopo ponderata riflessione, la Corte di Cassazione, la nostra più alta istanza giudiziaria, ha emesso l'alta sentenza: «Sporco negro» non è un insulto razzista. Spiega la Repubblica:«Per la Cassazione l'espressione `sporco negro' - pronunciata da un italiano mentre aggredisce persone di colore alle quali provoca serie lesioni - non denota, di per sé l'intento discriminatorio e razzista di chi la pronuncia perché potrebbe anche essere una meno grave manifestazione di 'generica antipatia, insofferenza o rifiuto' per chi appartiene a una razza diversa». Come se una generica antipatia, insofferenza o rifiuto non fosse, appunto già sinonimo di un atteggiamento razzista - specie se accompagnata dall'aggressione e dalle botte. E infatti, se non è un insulto razzista questo, che attribuisce intrinseca sporcizia al colore della pelle («sporco negro», cioè sporco perché «negro»), che cosa lo è? Per quanto mi sforzi di immaginare espressioni peggiori, tali da poter essere riconosciute come razziste dall'alta Corte, non mi viene in mente niente di più conciso, puntuale e offensivo di questa, che associa indissolubilmente un'idea di sporcizia a una presunta identità razziale. La Cassazione spiega che si tratta di razzismo solo in caso di «restrizione o preferenza basata sulla razza, che abbia lo scopo di distruggere o compromettere il godimento in condizioni di parità dei diritti e delle libertà fondamentali».

Ora, nel caso specifico l'insulto è stato proferito mentre l'imputato aggrediva due giovani donne nere per cacciarle da dove si trovavano, e gli provocava lesioni: quindi è connesso precisamente a un tentativo di negare il loro godimento del diritto fondamentale occupare lo spazio e di preservare la propria integrità fisica - implicitamente, di esistere. La logica leguleia della Corte invece separa le parole dai comportamenti di cui invece sono parte integrante, o premessa immediata. Per esempio. Se uno cerca «sporco negro» su Google, trova sempre storie di contestualità o rapido passaggio dalle parole alle azioni. In un bar di piazzale della Radio a Roma, due tizi dicono al barista africano, «sporco negro, ora torno con la pistola e t'ammazzo» e, passando dalle parole ai fatti, si ripresentano subito dopo armati e gli puntano una semiautomatica col colpo in canna alla gola. Oppure: se (come ha raccontato il Corriere della Sera) un bambino in una scuola della collina Fleming a Roma si sente dire «sporco negro, puzzi» queste parole accompagnano anche un comportamento concreto che lo priva di un diritto fondamentale: l'esclusione dai giochi e dalla socialità dei compagni di classe che lo insultano.

Ma anche l'immaterialità delle parole può ledere diritti non meno fondamentali per il fatto di essere immateriali. Il bambino della collina Fleming cancella tutto quello che scrive perché ha paura di essere giudicato; e (come l'africano Olaudah Equiano nel 1780 o l'italo-franco-sarawi Nassera Chora nel 1993 - o il pulcino Calimero in un famoso Carosello di tanti anni fa) chiede ansiosamente alla mamma, ogni mattina, di lavarlo più a fondo per ripulirlo della sporcizia che ormai è sicuro di avere addosso e che - «sporco negro», appunto - ritiene incarnata nel colore della sua pelle. Sarà o no un diritto fondamentale, per un bambino, o per un adulto, quello di sentirsi a proprio agio nella propria pelle e non avere disprezzo di sé?

C'è una radicata e irriflessa strategia di negazione di cui questa sentenza fa parte: i fatti esistono, ma il razzismo non c'entra. Sulla collina Fleming il direttore della scuola nega che sia successo (e comunque è colpa del bambino); ma il più delle volte presidi e direttori ammettono il mobbing verso bambini immigrati ma negano che c'entri il razzismo - come quei commentatori calcistici che sostengono che il verso della scimmia ai giocatori neri non è un messaggio razzista ma solo un modo di farli innervosire. Noi italiani siamo brava gente, non siamo razzisti, il razzismo o non esiste o sta sempre da un'altra parte. Infatti eravamo brava gente anche quando bombardavamo i libici o sterminavamo i preti copti in Etiopia. Ogni caso è un caso isolato; magari si possono stigmatizzare gli atti ma sempre negandone la motivazione razzista.

Penso a certe sentenze del dopoguerra (anche di Cassazione) contro le spie che denunciavano gli ebrei ai nazisti. Come ha mostrato Amedeo Osti Guerrazzi in un utile libro recente (Caino a Roma. I complici romani della Shoah, Cooper, 2005), i tribunali e la stessa corte di Cassazione nel dopoguerra consideravano il fine di lucro delle denunce molto più grave e importante del fine razziale, per cui una delazione fatta per puro odio razziale finiva per non essere punibile in quanto tale. Insomma, persino la consegna degli ebrei ai nazisti non poteva essere pensata come atto razzista e andava derubricata in reato comune. Anche qui, il razzismo non c'entra...

D'altra parte, uscivamo appena da un'epoca in cui dire «sporco ebreo» non solo non era reato ma era quasi un dovere patriottico. E se «sporco negro» non è un insulto razzista, perché non lo sarebbe qualunque espressione analoga verso altre identità? Che direbbe la suprema corte di Cassazione, se qualcuno denunciasse di essere stato chiamato «sporco ebreo»? Non è un'ipotesi astratta. Il razzismo è indivisibile; un insulto a uno scatena il pericolo per tutti. Se uno cerca «sporco arabo» su Google, trova le stesse storie: «Non mio piaceva andare a scuola e mi inventavo delle scuse. Tipo: papà non ci vado perché un compagno mi ha chiamato sporco arabo. Mio padre mi obbligava a lavare le mani e mi invitava a dire l'indomani, no, sono un arabo pulito». Se uno cerca «sporco ebreo», rischia di imbattersi in blog dove impazzano irripetibili fantasie razzistico-scatologiche. Scrive Edgar Morin che uno degli insulti preferiti dei poliziotti francesi è «sporco arabo»; al tempo stesso, Pierre-André Taguieff ha scritto: «Ti dicono `sporco ebreo' e la polizia classifica l'insulto come `atto di inciviltà'», anziché come manifestazione razzista. Commenta Taguieff: «Ormai il termine è diventato un insulto qualunque, un equivalente di 'idiota'». La nostra corte di Cassazione è felicemente avviata sulla stessa strada dei poliziotti francesi - e oltre. Gli echi sinistri del linguaggio della sentenza sono ancora più profondi.

Insultare gli ebrei era un dovere patriottico perché, come diceva il documento degli intellettuali razzisti da cui scaturirono le leggi razziste italiane del 1938, «le razze esistono». Nonostante tutto quello che antropologi e genetisti hanno detto in contrario, da Lévi-Strauss a Cavalli Sforza, la corte di Cassazione mostra di pensarla ancora allo stesso modo e parla di «chi appartiene a una razza diversa» come se fosse pacifico che, appunto, «le razze esistono». Basterebbe questo per porsi problemi seri su che cosa siano la cultura e il dilagante senso comune che hanno dettato una simile sporca sentenza.
 

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