30 dicembre

Forze Armate e privatizzate

larussa9Tutta la gestione della Difesa passa in mano ad una società per azioni. Così un ministero smette di essere pubblico. Roma, 17 dic - (di Gianluca Di feo - L'Espresso)  Le Forze Armate italiane smettono di essere gestite dallo Stato e diventano una società per azioni. Uno scherzo? Un golpe? No è una legge, che diventerà esecutiva nel giro di poche settimane. La rivoluzione è nascosta tra i cavilli della Finnziaria che marcia veloce a colpi di fiducia soffocando qualunque dibattito parlamentare. Cosi, in un assordante silenzio, tutte le spese della Difesa diventeranno un affare privato, nelle mani di un consiglio d'amministrazione e di dirigenti scelti soltanto dal ministro in carica, senza controllo del Parlarmento, senza trasparenza. La privatizzazione di un intero ministero passa inosservata mentre introduce un principio senza precedenti. Che pochi parlamentari dell'opposizione leggono chiaramente come la prova generale di un disegno molto più ampio. Lo smantellamento dello Stato. "Ora si comincia dalla Difesa, poi si potranno applicare le stesse regole alla Sanità, all'Istruzione, alla Giustizia: non saranno più amministrazione pubblica, ma società d'affari" chiosa il senatore pd Gianpiero Scanu.
frecce298Stiamo parlando di Difesa Servizi Spa, una creatura fortissimamente voluta da Ignazio La Russa e dal sottosegretario Guido Crosetto: una società per azioni, con le quote interamente in mano al ministero e otto consiglieri d'amministrazione scelti dal ministro, che avrà anche l'ultima parola sulla nomina dei dirigenti. Questa holding potrà spendere ogni anno tra i 3 e i 5 miliardi di euro senza rispondere al Parlamento o ad organismi neutrali. In più si metterà nel portatogli un patrimonio di immobili "da valorizzare" pari a 4 miliardi. Sono cifre imponenti, un fatturato da multinazionale che passa di colpo dalle regole della pubblica aniministrazione a quelle del mondo privato. Ma questa Spa avrà altre prerogative abbastanza singolari. Ed elettrizzanti. Potra costruire centrali energetiche d'ogni tipo sfuggendo alle autorizzazioni degli enti locali: dal nucleare ai terrnovalorizzatori, nelle basi e nelle caserme privatizzate sarà possibile piazzare di tutto. Bruciare spazzatura o installare reattori atomici. Signorsì! Segreto militare e interesse economico si sposeranno, cancellando ogni parere delle comunità e ogni ruolo degli enti locali. Comuni, Province e Regioni resteranno fuori dai reticolati con la scritta "zona militare", utilizzati in futuro per difendere ricchi business. Infine, la Spa si occuperà di "sponsorizzazioni". Altro termine vago. Si useranno caccia, incrociatori e carri armati per fare pubblicità? Qualunque ditta è pronta a investire per comparire sulle ali delle Frecce Tricolori, che finora hanno solo propagandato l'immagine della Nazione. Ma ci saranno consigli per gli acquisti anche sulle fiancate della nuova portaerei Cavour o sugli stendardi dei reparti che sfilano il 2 giugno in diretta tv?
 
Lo scippo

Quali saranno i reali poteri della Spa non è chiaro: le regole verranno stabilite da un decreto di La Russa. Perché dopo oltre un anno di dibattiti, il parto è avvenuto con un raid notturno che ha inserito cinque articoletti nella Finanziaria. "In diciotto mesi la maggioranza non ha mai voluto confrontarsi. Noi abbiamo tentato il dialogo fino all'ultimo, loro hanno fatto un blitz per imporre la riforma", spiega Rosa Villecco Calipari, capogruppo Pd in commissione Difesa: "I tagli alla Difesa sono un data oggettivo, dovevano essere la premessa per cercare punti di convergenza. La tutela dello Stato non può avere differenze politiche, invece la destra ha tenuto una posizione di scontro fino a questo scippo inserito nella

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Portaerei Cavour
Finanziaria". Non si capisce nemmeno quanti soldi verranno manovrati dalla holding. Difesa Servizi gestirà tutte le forniture tranne gli armamenti, che rimarranno nelle competenze degli Stati maggiori. Ma cosa si intende per armamenti? Di sicuro cannoni, missili, caccia e incrociatori. E gli elicotteri? E i camion? E i radar e i sistemi elettronici? Quest'ultima voce ormai rappresenta la fetta più consistente dei bilanci, perché anche il singolo paracadutista si porta addosso uni serie di congegni costosissimi. La definizione di questo confine permetterà anche di capire se questa privatizzazione può configurare un futuro ancora più inquietante: una sorta di duopolio bellico. Finmeccanica, holding a controllo statale che ingaggia legioni di ex generali, oggi vende circa il 60 per cento dei sistemi delle forze armate. E a comprarli sarà un'altra Spa: due entità alimentate con soldi pubblici che fanno affari privati. Con burattinai politici che ne scelgono gli amministratori. All'orizzonte sembra incarnarsi un mostro a due teste che resuscita gli slogan degli anni Settanta. Ricordate? "Imperialismo del complesso industriale-militare". Un fantasma che improvvisamente si materializza nell'opera del governo Berlusconi.

Gli immobili

Questa Finanziaria in realtà realizza un altro dei sogni rivoluzionari: l'assalto alle caserme. E' una corsa agli immobili della Difesa per fare cassa, sotto la protezione di una cortina fumogena. La vera battaglia è quella per espugnare un patrimonio sterminato: edifici che valgono oro nel centro di Roma, Milano, Bologna, Firenze, Torino, Venezia. Un'altra catena di fortezze, poligoni, torri e isole in località di grande fascino che va dalle Alpi alla Sicilia. Da dieci anni si cerca di trovare acquirenti, con scarsi risultati: dei 345 beni ex militari messi all'asta dal governo Prodi, il Demanio è riuscito a piazzarne solo otto. Adesso, dopo un lungo braccio di ferro tra la Russa e Tremonti, si sta per scatenare l'attacco finale. Con una sola certezza: i militari verranno sconfitti, mentre sono molti a pensare che a vincere sarà solo la speculazione. All'inizio Difesa Servizi doveva occuparsi anche della vendita degli edifici: la nascente Spa a giugno si è presentata alla Borsa immobiliare di Cannes con tanto di brochure per magnificare il suo

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Portovenere-La Spezia
catalogo. Qualche perla? L'isola di Palmaria, di fronte a Portovenere, gioiello del Golfo dei Poeti affacciato sulle scogliere delle Cinque Terre. L'arsenale di Venezia, con ampi volumi e architetture suggestive, e un castello circondato dalla laguna. La roccaforte nell'angolo più bello di Siracusa, pronta a diventare albergo e yacht club. La Macao, un complesso gigantesco con tanto di eliporto nel cuore di Roma, palazzi a Prati e ai piedi dei Parioli. Aree senza prezzo in via Monti incastonate nel centro di Milano. Ma il dicastero di Tremoni ha puntato i piedi: proprietà e vendita restano al Tesoro, che le affiderà a società esterne. Con un doppio benefit, secondo le valutazioni del Pd, per renderle ancora più appetibili. Chi compra, potrà aumentare la cubatura di un terzo. E avrà bisogno solo del permesso del Comune: Provincia e Regione vengono tagliate fuori, aprendo la strada a progetti lampo. Questo banchetto prevede che metà dell'incasso vada allo Stato; ai municipi andrà dal 20 al 30 per cento; il resto ai militari. Difesa Servizi però intanto può "valorizzare" i beni. Come? Non viene precisato. In attesa della cessione, potrà forse affittarli o darli in concessione come alberghi, uffici o parcheggi. Intanto però gli appetiti si stanno scatenando. E fette della torta finiscono in pasto alle amministrazioni amiche. Con giochi di finanza creativa. A Gianni Alemanno per Roma Capitale sono state concesse caserme per oltre mezzo miliardo di euro. O meglio, il loro valore cash: il Tesoro anticiperà i quattrini, da recuperare con la vendita degli scrigni di viale Angelico, Castro Pretoria, via Guido Reni e di un paio di fortezze ottocentesche ormai inglobate dalla metropoli. Qualcosa di simile potrebbe essere regalato a Letizia Moratti, per lenire il vuoto nelle casse dell'Expo: un bel pacco dono di camerate e magazzini con vista sul Duomo. "Cosi le logiche diventano altre: non c'é più tutela del bene pubblico ma l'esternalizzare fondi e beni pubblici attraverso norme privatistiche" dichiara Rosa Calipari Villecco, sottolineando l'assenza di magistrati della Corte dei conti o altre figure di garanzia nella nuova Spa.Un anno fa i militari avevano manifestato insofferenza per questa disfatta edizilia. Il capo di Stato maggiore Vincenzo Camporini aveva fatto presente che era stato ceduto un tesoro da un miliardo e mezzo di euro senza "adeguato contraccambio". Oggi, come spiega l'onorevole Calipari, "non si sa nemmeno tra quanti anni le forze armate riceveranno i profitti delle vendite". Eppure i generali tacciono. Una volta ai soldati veniva insegnato "Credere, obbedire, combattere"; adesso il motto della Difesa privatizzata è "economicità, efficienza, produttività". La regola dell'obbedienza é rimasta però salda. E con i tagli al bilancio imposti da Tremonti - in un trennio oltre 2,5 miliardi in meno- anche gli spiccioli della nuova holding diventano vitali per tirare avanti e garantire l'efficienza di missioni ad alto rischio, Afghanistan in testa.

Business con logo

Di sicuro, Difesa Servizi Spa sfrutterà le royalties sui marchi delle forze armate. Un business ghiotto. Il brand di maggiore successo è quello dell'Aeronautica. Felpe, t-shirt, giubbotti e persino caschi con il simbolo delle Frecce Tricolori spopolano con un mercato che non conosce distinzioni d'età e di orientamento politico. Anche l'Esercito si è mosso sulla scia: sono stati aperti persino negozi monomarca, marina2con zaini e tute che sfoggiano i simboli dei corpi d'élite. Finora gli Stati maggiori barattavano l'uso degli stemmi con compensazioni in servizi: restauri di caserme, costruzione di palestre. D'ora in poi, invece, i loghi saranno venduti a vantaggio della Spa. Questo è l'unico punto chiaro della legge, che introduce sanzioni per le mimetiche senza licenza commerciale: anche 5 mila euro di multa. "La questione delle sponsorizzazioni è una foglia di fico per coprire altre vergogne. Tanto più che alla difesa vanno solo briciole", taglia corto il senatore Scanu. E trasformare il prestigio delle bandiere in denaro, però, non richiedeva la privatizzazione. La Marina ha appena pubblicato sui giornali un bando per mettere all'asta lo sfruttamento della sua insegna: si parte da 150 mila euro l'anno. Con molta trasparenza e senza foraggiare il cda scelto dal ministro di turno

 

29 dicembre

 

Protezione civile super Spa

di Fabrizio Gatti

La struttura di Bertolaso si trasforma in società per azioni. Così sui contratti per gli eventi ci saranno ancora meno controlli. Mentre il dossier choc sul rischio catastrofi viene ignorato

Aiuto, qualcuno protegga i nostri soldi da Guido Bertolaso. Ora che la Protezione civile diventa una società per azioni nessuno potrà più chiedere conto al governo su appalti ed eventuali spese allegre. Pochi giorni fa, il 17 dicembre, Gianni Letta ha fatto approvare al Consiglio dei ministri il decreto studiato e voluto dal Guido più amato dagli italiani, e da Silvio Berlusconi, in cambio del ritiro delle sue annunciate dimissioni. Un'altra mossa che toglie di mezzo il Parlamento. Il passaggio chiave è scritto in poche parole: «Il rapporto di lavoro dei dipendenti della società è disciplinato dalle norme di diritto privato». Scende così un ulteriore velo di riservatezza su forniture, contratti, progetti per centinaia e centinaia di milioni di euro all'anno, e su assunzioni e consulenze, che non dovranno più passare sotto la lente della trasparenza pubblica. Una scorciatoia che unita alle ordinanze di urgenza e ai poteri di emergenza di cui gode la Protezione civile, trasformerà Bertolaso, 60 anni il 20 marzo prossimo, in un vicerè dalle mani d'oro a completo servizio del presidente del Consiglio di turno. Come già succede ora, ma con meno obblighi da rispettare.

La questione non riguarda soltanto la rapidità di intervento dopo terremoti, frane o alluvioni. Prendete il tentativo di Berlusconi, per adesso soltanto rinviato, di scippare il Tfr agli italiani, la liquidazione di milioni di lavoratori dipendenti. Quei soldi il governo li voleva trasferire al fondo Grandi eventi di Palazzo Chigi. Cioè la cassaforte affidata in questi anni proprio a Bertolaso per organizzare summit, party esclusivi, adunate religiose, gare sportive attraverso procedure d'urgenza e poteri straordinari. Da quando nel 2001 diventa capo e indossa la famosa maglietta blu, fior di ingegneri e tecnici vengono dirottati a occuparsi di serate di gala, piscine e trampolini (Roma, mondiali di nuoto 2009), alberghi, aiuole e parcheggi (La Maddalena e L'Aquila, vertice G8 2009), asfaltatura di strade e rotonde (Varese, mondiali di ciclismo 2008). Risorse e professionalità che così non possono essere dedicate a tempo pieno ai veri pericoli naturali che minacciano l'Italia. Negli armadi della Protezione civile in via Ulpiano e in via Vitorchiano a Roma vengono infatti tenute segrete previsioni da paura.

Sono le «Proiezioni rischio sismico XXI secolo »: in base a quanto è avvenuto negli ultimi 200 anni, è scritto nel rapporto riservato, nei prossimi 90 anni in Italia bisogna aspettarsi tra i 50 mila e i 200 mila morti e feriti per terremoti, con danni tra i 100 e i 200 miliardi di euro.

È fine novembre quando a Palazzo Chigi si studia come inserire nella legge finanziaria il prelievo del Tfr da destinare ai grandi eventi. Proprio in quei giorni a Rivoli, vicino a Torino, si ricorda il primo anniversario dalla morte di Vito Scafidi, 17 anni, lo studente del liceo scientifico Darwin ucciso dal crollo del soffitto della classe, collassato senza nemmeno la spintarella di una scossa sismica. I miliardi del trattamento di fine rapporto potrebbero servire a rendere più sicuri scuole e ospedali. Ma nel governo pensano a tutt'altro. Il primo dei grandi eventi che potrebbe entrare nel calendario della nuova Protezione civile spa è l'Expo 2015 a Milano: dove i ritardi, ormai sospetti, nella progettazione stanno creando le condizioni per la solita ordinanza d'urgenza. Oppure la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020: con la possibilità di usare le procedure in deroga sugli appalti come grimaldello per scardinare il piano regolatore e, sul modello dei Mondiali di nuoto, costruire centri sportivi e villaggi residenziali nella campagna intorno alla capitale. Altri contratti potrebbero arrivare con il trasferimento del gran premio di Formula 1 a Roma, oltre agli interventi collaterali che accompagneranno le grandi opere considerate strategiche per il futuro, come il ponte sullo Stretto o le centrali nucleari. Bertolaso ha trasformato la Protezione civile in una macchina per creare consenso. Anche tra gli imprenditori. Basta leggere i bilanci della società privata che dal 2001 in poi ha vinto tutti i principali appalti per l'organizzazione finale dei grandi eventi. È una srl con appena 35 mila euro di capitale. Si chiama Gruppo Triumph e ha sede a Monte Mario a Roma.

A capo del gruppo c'è una ex interprete dell'ambasciatore Usa in Vaticano, Maria Criscuolo, 47 anni, ben addentro al potere. Dal centrodestra al centrosinistra. Da Gianni Letta a Walter Veltroni. E anche nella Santa Sede. Maria Criscuolo guadagnava bene già nel 1994, con un fatturato in lire equivalente a 632 mila euro. Spiccioli rispetto a quanto fattura ora: 28 milioni 32 mila 705 euro, secondo i bilanci 2008 delle sue società a responsabilità limitata. Guido Bertolaso non bada a spese quando c'è da fare bella figura. Per il vertice Nato-Russia del 27 maggio 2002 a Pratica di Mare, alle porte di Roma, la Triumph di Maria Criscuolo incassa dalla Protezione civile 7 milioni 45 mila euro soltanto per le attività connesse all'organizzazione, gli allestimenti, la ristorazione, le fotocopiatrici, gli interpreti. Per preparare i due giorni di incontri, a cui partecipano Vladimir Putin e George Bush, il dipartimento di Bertolaso firma contratti per 36 milioni 284 mila euro. E nel resoconto non mancano cifre curiose. Come i 74 mila euro per il «facchinaggio da Pratica a Castelnuovo e trasporto statue»: 69 chilometri al costo di 1.072 euro a chilometro. Oppure il milione di euro per il taglio di prato e siepi, i 662 mila per la «riqualificazione del circolo ufficiali», i 21 mila per la «pedana per giornalisti», i 457 mila per la «consultazione dei notiziari di agenzia», i 42 mila per gli «annunci viabilità», i 17 mila per la stampa di menù e inviti.

Nel settore Maria Criscuolo ha la stessa fama di Michael Schumacher. Continua a vincere. Sono consulenze che pagano bene. Firmano contratti con lei ministri ed ex: Roberto Maroni, Franco Frattini, Antonio Martino, Altero Matteoli, Gianni Alemanno, Rocco Buttiglione, Giuliano Urbani, oltre al presidente dell'Istituto per il commercio estero, l'ambasciatore Umberto Vattani con cui allestisce il G8 di Genova. Il 7 dicembre 2007 un alto ufficiale delle forze armate che lavora a Palazzo Chigi scrive su due fogli e sigilla in due buste i nomi di chi vincerà l'appalto per l'organizzazione del G8 2009. È una specie di scommessa tra colleghi. Berlusconi è all'opposizione e in quel periodo il presidente del Consiglio, Romano Prodi, vuole portare il vertice alla Maddalena. Bertolaso fa propria l'idea. Anche se la sua nomina viene firmata da Berlusconi il 7 settembre 2001, la sua formazione professionale cresce nel centrosinistra come vicecommissario per il Giubileo del 2000, accanto a Francesco Rutelli, commissario e sindaco di Roma. Ma il suo padrino politico è Giulio Andreotti. Come ripete più volte ai suoi collaboratori, Bertolaso è diventato Bertolaso grazie agli insegnamenti dell'anziano leader democristiano che il capo della Protezione civile chiama pubblicamente «zio Giulio». Un rapporto nato quando Andreotti era presidente del Consiglio e Guido, laureato in medicina, un giovane assistente del suo seguito. Tra il 2008 e il 2009 la Protezione civile indice le gare e assegna gli appalti per il G8 dell'estate scorsa. Le buste sigillate con le previsioni sui vincitori non hanno nessun valore legale.

Ma l'alto ufficiale e i suoi colleghi, che chiedono l'anonimato, indovinano con mesi di anticipo. Il contratto ultramilionario e riservato per il vertice della Maddalena, poi trasferito a L'Aquila, lo vince ancora una volta la Triumph. E dal 23 settembre scorso, sul sito Internet della società già si guarda avanti: «La dottoressa Maria Criscuolo, presidente del Gruppo Triumph», è scritto, «è stata inserita da Eduardo Montefusco, vicepresidente dell'Unione industriali di Roma, nel comitato tecnico di Expo 2015». Le scommesse a Palazzo Chigi azzeccano anche chi sarà il coordinatore del G8 per la Protezione civile. È Marcello Fiori, 50 anni il mese prossimo, promosso dirigente generale della presidenza del Consiglio con un salto in avanti di diverse posizioni. Fiori ha una laurea in lettere e nessuna esperienza con alluvioni e terremoti. Un passato di portavoce dell'Acea, l'Azienda elettrica di Roma, nel 2007 è segretario generale del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni.

Il suo nome appare il 22 marzo 1999 in una lettera di raccomandazione firmata da Francesco Rutelli, di cui allora è vice capo di gabinetto. Il sindaco-commissario per il Giubileo chiede al segretario generale della presidenza del Consiglio, Paolo De Ioanna, di affidare a Fiori l'incarico «di coordinare le attività nell'azione di lotta al degrado ambientale, ai fini della salvaguardia del decoro nella città di Roma». Sospinto da Rutelli e Bertolaso, farà strada. Fino ai rifiuti di Napoli. Prima però Fiori diventa responsabile dell'ufficio emergenze della Protezione civile. La notte del 26 dicembre 2004 la sala operativa di via Vitorchiano lo sveglia per avvertirlo del fortissimo terremoto registrato dai sismografi di tutto il mondo e del successivo maremoto. Dove? In Indonesia, rispondono dalla sala operativa. Va bene, buona notte.

Qualche ora dopo Gianni Letta, chiamato dal ministero degli Esteri, butta giù dal letto Bertolaso che ancora non sa nulla. La regola prevede che sia il capodipartimento ad informare il governo. Questa volta succede il contrario. Ci sono migliaia di turisti italiani ed europei di cui non si hanno più notizie. Bertolaso vuole fare tutto da solo. Gestisce i soccorsi e i 16 milioni e 156 mila euro raccolti dagli italiani con l'idea degli sms. Snobba perfino il ministro degli Esteri. Il capo della Protezione civile fa decollare due Canadair del servizio antincendio, Can 23 e Can 24. Sono aerei inadatti alle operazioni di lungo raggio. Non superano i 365 chilometri orari di velocità e le 6 ore di autonomia. Quanto tempo impiegano per arrivare in Sri Lanka lo racconta una scheda sul sito della presidenza del Consiglio: «Partiti dall'Italia il 31 dicembre e arrivati a destinazione dopo quattro giorni di volo».

L'aereo è progettato per scaricare acqua. Non ha spazio per trasportare materiali. Così a ogni missione vengono recapitate soltanto 6 tende. Alla fine i piloti accumulano 452 ore di volo di cui 59 ore per distribuire soltanto 250 tende. Al costo di esercizio di un Canadair: 14 mila euro l'ora. Guido Bertolaso non parla mai più del dovuto. Quando davanti al consiglio comunale della Maddalena un rappresentante del Pdl critica i metodi di affidamento degli appalti, lui lo interrompe: «Lei è pregato di misurare le parole... Io posso anche fare direttamente degli esposti alle autorità competenti, per le affermazioni ingiuriose nei confronti di un rappresentante del governo. Sia ben chiaro».

Così nemmeno in quell'occasione il capo spiega perché la Protezione civile abbia invitato alle gare per il G8 e per i mondiali di nuoto proprio la famiglia di un imprenditore, Diego Anemone, 38 anni, in società con Filippo Balducci, 30 anni, figlio di Angelo: cioè il soggetto attuatore degli appalti che dal 2003, dall'emergenza Gran Sasso, al 2008 fa coppia fissa con Bertolaso nell'applicazione delle ordinanze di urgenza. La sua Protezione civile si occupa nel frattempo della canonizzazione di padre Pio (2002), di quella del fondatore dell'Opus Dei, Josemarìa Escrivà de Balaguer (2002), dell'incontro nazionale di Azione cattolica a Loreto con il papa (2004), dei funerali del papa (2005), della regata Vuitton Cup a Trapani (2007), dell'incontro a Loreto con il nuovo papa (2007), dei mondiali di ciclismo a Varese (2008), dei Giochi del Mediterraneo a Pescara (2009) e del 150° anniversario dell'Unità d'Italia (da celebrare fino al 2011). Tra feste e raduni, nonostante l'Abruzzo sia tra i territori più aggiornati nel censimento degli edifici pubblici a rischio sismico, il protocollo di prevenzione tra Regione e Protezione civile viene lasciato scadere (2008).

E il 6 aprile a L'Aquila abbiamo visto come è andata a finire. Meglio affidare la prevenzione delle catastrofi ai collaboratori esterni? Sembra di sì: infatti sono passati dai 113 del 2008 ai 199 di quest'anno. Quasi il doppio. Un po' per la ricostruzione a L'Aquila, un po' per le voci che prevedono un'infornata di trecento assunzioni nella nuova Protezione civile servizi spa. Ma anche loro devono dividersi.

Come Flaminia Lais, messa per metà del tempo a lavorare sulle frane del 2007 in provincia di Messina e l'altra metà sui grandi eventi. Nel 2008 l'emergenza messinese può contare anche su Gilda Miele, Fabrizia Spirito e Maria Anna Tortora. Quattro donne, 24 mila euro a testa Quest'anno i collaboratori per Messina e provincia salgono a quota sette. Cinque però hanno il compito di «far fronte ai problemi del traffico». Gli altri due possono dedicarsi agli «eccezionali eventi atmosferici» del 2007: nessuno però verifica che l'allerta meteo dell'ottobre 2009 nella stessa zona sia tradotta in uno sgombero preventivo di Giampilieri, Scaletta Zanclea e Altolia. Sei mesi dopo l'allarme mancato in Abruzzo, altri trentasei morti. E questo è nulla rispetto agli scenari custoditi negli armadi del dipartimento.

Esistono modelli in grado di stabilire il numero delle vittime di un terremoto, in base al materiale e all'anno di costruzione di case, uffici, scuole e ospedali. Se oggi si ripetesse il sisma di Avezzano del 1915, i morti e i feriti sarebbero 22.448. Gli sfollati 385.784. E i danni supererebbero i 20 miliardi. Nel caso di un terremoto e un maremoto a Messina come nel 1908, ci sarebbero 112.312 morti e feriti, 399.675 senzatetto, 25 miliardi di danni. Con onde che distruggerebbero il porto ed entrerebbero nella città per 350 metri. Sulle pagine di questi rapporti riservati, una piccola nota spiega che il danno economico è stato calcolato in base a un costo di ricostruzione di 820 euro al metro quadro. Per gli alberghi del G8 mancato alla Maddalena, gli uomini di Guido Bertolaso hanno invece autorizzato costi di costruzione di 4.345 euro al metro quadro. Ecco la differenza tra una e l'altra Protezione civile.

 

Cuba, il bloqueo dei rapporti

Chi si aspettava da Barack Obama una ventata di aria nuova si sbagliava. Gli Usa prolungano di un anno il blocco economico contro l'Isola di Castro

Ancora un altro anno. Il presidente degli Stati Uniti ha firmato la proroga di un anno dell'embargo commerciale contro l'isola di Cuba. Non una grande novità se si tiene conto che si va avanti così fin dagli anni Sessanta. Insomma, chi sperava in cambiamenti consistenti nei rapporti fra le parti si deve ricredere, nonostante le belle parole ascoltate nell'immediato post elezioni Usa.
Non solo. L'ambiguo comportamento di Washington verso i golpisti hondureñi ha fatto storcere il naso a diversi leader dell'area sudamericana.
Dunque, non sono bastati i buoni propositi del presidente cubano Raul Castro che aveva aperto le porte al possibile dialogo con Washington su tutti gli aspetti sociali che riguardano la vita sull'isola, dal rispetto dei diritti umani alla libertà di stampa.
Inoltre, per il diciottesimo anno consecutivo l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato a favore di Cuba e contro il bloqueo.
Ma il 2009 è stato anche l'anno dei rimpasti di governo e dell'allantanamento di due delle più importanti fiugure politiche cubane degli ultimi anni, Feliper Perez Roque e Carlos Lage, accusati di cospirare contro il presidente Raul Castro.

 

La morte silenziosa del diritto

La democrazia della Federazione russa nella sua discesa verso il baratro

Luca Rasponi

Le notizie non arrivano eclatanti o rumorose, ma sussurrate. E spesso vengono dimenticate il giorno dopo. Ma una ricognizione sull'intero 2009 restituisce la reale dimensione del fenomeno: la democrazia in Russia sta lentamente scivolando nell'oblio. Tutto è cominciato con l'omicidio di Anna Politkovskaja, il 7 ottobre 2006. Un delitto che ha attirato gli occhi del mondo. Ma non appena l'opinione pubblica ha distolto lo sguardo, i carnefici hanno proseguito nella loro opera di repressione, resi ancora più forti dall'impunità ottenuta dopo un omicidio così grave.
Il potere politico resta a guardare interessato. Alla condanna formale corrisponde l'approvazione sostanziale per quei gruppi di estrema destra che, lasciati proliferare al di là dei limiti di legge, garantiscono la punizione per chi osa far sentire la sua voce contro gli abusi perpetrati da quello stesso potere. La matrice neonazista fa sì che agli omicidi politici di giornalisti e attivisti per i diritti umani si affianchino quelli xenofobi e razzisti di migranti e minoranze interne alla Federazione russa. Si produce così una deriva d'insieme, che procedendo di questo passo ha una sola conclusione possibile: la fine dello Stato di diritto.

 

La guerra di David

Un anno fa, l'operazione Piombo Fuso devastava la Striscia di Gaza. 1.400 morti e l'economia palestinese azzerata

Il 27 dicembre 2008, l'esercito israeliano ha lanciato l'operazione 'Piombo Fuso' nella Striscia di Gaza. Si e' trattato del piu' pesante intervento militare nei Territori Occupati, dopo le guerre del '48 e del '67. Durante i 22 giorni di assedio sono stati uccisi 1.400 palestinesi. Tra questi, 300 bambini e 115 donne. Nell'incursione sono morti 13 soldati israeliani. Quattromila case sono state distrutte o danneggiate. Cinquantamila palestinesi sono rimasti senza un tetto e tra il 35 e il 60 percento delle attività economiche di Gaza ha subito danni irreversibili. I due principali settori dell'economia, pesca e agricoltura, sono stati colpiti duramente dagli effetti multipli dei confini chiusi, del conflitto e dell'impossibilita' di accesso a mare e terra. Pesanti restrizioni al movimento continuano a impedire ai palestinesi di lanciare le loro reti in acque pescose e terre arabili. Contadini e pescatori sono sottoposti a continui attacchi da parte dei militari israeliani.
Per questo, a un anno di distanza, la guerra dei palestinesi a Gaza non finisce mai. Soprattutto per contadini e pescatori. Durante Piombo Fuso migliaia di limoni, ulivi e palme sono stati sradicati. Sistemi di irrigazione, pozzi e serre sono stati distrutti. Israele, inoltre, non consente l'ingresso nella Striscia di fertilizzanti e sementi. Una zona di interposizione si estende per centinaia di metri dal confine con Israele verso l'interno della Striscia, limitando l'accesso alle terre coltivabili. Nel 2000 a Gaza c'erano diecimila pescatori. Oggi, i 3.500 rimasti devono pescare entro le tre miglia dalla costa. La guerra ha infatti imposto questo limite, dopo che, dagli accordi di Oslo (1995) l'area di pesca si era progressivamente ridotta dalle 20 miglia originarie. I pescherecci devono sfidare tale limite per poter portare a casa il necessario per la sopravvivenza. Le motovedette israeliane li ricacciano costantemente indietro, con idranti o, piu' spesso, cannonate. A decine rimangono uccisi.

Luca Galassi

 

17 dicembre

 

Un piccolo aiuto è rompere il silenzio

Pubblichiamo un appello giuntoci via e-mail.

Cari Amici

scusate se vi chiedo un piccolo aiuto; io e altri 1191 colleghi della ditta Agile ex Eutelia una sede è anche a Pregnana Milanese (tutti derivanti da aziende come Olivetti e Bull): a fine anno saremo tutti licenziati probabilmente senza poter usufruire degli ammortizzatori sociali.

Ben presto a noi si uniranno altri 6600 colleghi di Phonomedia uno dei più grandi call-center in Italia.

Tutto ciò grazie a degli imprenditori che qualcuno, con un eufemismo, ha definito "diversamente onesti".

Questo sta accadendo nel silenzio più totale, nonostante varie manifestazione anche eclatanti (incatenamenti davanti a Ministeri competenti, salite sui tetti delle sedi, occupazioni delle sedi), sembra che nessuno si accorga di noi.

Il Governo ci ignora, sembra che il destino di quasi 9000 famiglie non lo interessi nemmeno!

Non stiamo percependo alcun stipendio nè rimborsi spese ormai da 3 (tre) mesi (conosco colleghi cinquantenni, con mutui e/o affitti, che per mantenere la famiglia chiedono soldi a genitori e suoceri)!!!!!!!!

Vista la situazione qualcuno ha pensato di usare il tam-tam delle mail come la vecchia "catena di S. Antonio" per fare conoscere la nostra situazione al più alto numero di persone possibile, sperando che arrivi alle orecchie di qualcuno...."in alto".

Tutto quello che vi chiedo è:

Inviare al più presto una mail con l'allegato al maggior numero di amici possibile, con la preghiera che loro lo inviino al maggior numero di amici possibile.

In questo modo in pochi giorni migliaia, forse,milioni di persone saranno al corrente di quanto ci sta succedendo e chissà che la voce non arrivi a chi è in grado di farsi sentire.

Per cortesia, fate capire ai vostri amici che NON è la solita catena di S.Antonio, NON è uno scherzo, si tratta di 9000 famiglie che non sapranno come arrivare a fine mese!

Vi ringrazio di cuore fin d'ora

Gianfranco

P.s.: Se qualcuno vuole dei chiarimenti divulgate pure il mio ind.mail e i miei numeri di telefono, mi fido di voi.

Gianfranco Fusaz
Montereale Valcellina
tel 0427-79306
cell 347-4688960
mail gfusaz@alice.it

 

9 dicembre

 

Minareti e crocefissi, una pericolosa mistificazione

Di Agostino Spataro*

Due minoranze prevaricano  due stragrandi maggioranze- Sicurezza: chi specula e chi la difende- L’illustre precedente della moschea di Roma- Dal dialogo nasce la prosperità condivisa, dalla guerra solo morte e nuove povertà-  Quando l’Italia aveva una politica estera- Il Nobel per la pace che prosegue la guerra- L’import italiano d’idrocarburi: una dipendenza eccessiva da Russia e Libia - Conflitto fra religioni: un’indegna mistificazione- Cristo non ha bisogno di nuovi crociati-  Se un non-credente s’impegna per far costruire un luogo di culto.

 

Due minoranze di fanatici prevaricano due stragrandi maggioranze

Ci risiamo. Di nuovo minareti e crocefissi branditi come spade in questa guerra di simboli che può  degenerare in guerra vera. E’ accaduto in passato, anche in Europa, accade, oggi, in tante parti del mondo.

Ancora una volta, Occidente, sempre meno cristiano, e Oriente, sempre più islamico, si guardano in cagnesco a causa di due rumorose minoranze, fanatiche quanto ipocrite, che usano i simboli religiosi per imporre un nuovo “scontro di civiltà” a due sterminate maggioranze già ingravidate dei semi malefici dell’odio e dell’intolleranza.

E, alla fine, il mostro nascerà e porterà distruzione e morte fra i nostri popoli impauriti e confusi.

Ma, davvero, non c’è nulla da fare per fermare il fanatismo?

Più il tempo passa più il pericolo si accresce, anche perché dietro questo agitar di simboli spirituali  si celano interessi molto materiali, economici e politici.

Tuttavia, le due maggioranze, recuperate alla ragione, sono ancora in grado di sconfiggere i fomentatori di odio e ricacciarli negli anfratti da cui provengono.

Occorrono una generale presa di coscienza e una volontà determinata per ripristinare, in uno spirito di pace e di cooperazione, un dialogo fra popoli e Stati che era stato avviato con successo, non molto tempo fa.     

 

Sicurezza: chi specula e chi la difende

Dopo questo necessario preambolo, andiamo all’attualità, alle ultime polemiche provocate dai  leghisti che vorrebbero usare la vittoria del referendum svizzero anti-minareti  per scatenare in Italia la caccia all’islamico, dopo quella all’immigrato e a tutti i circolanti “diversi” rispetto al prototipo umano che pretendono di rappresentare.

Nessuno disconosce che la presenza islamica può comportare qualche problema alle comunità d’accoglienza. Si tratta, in gran parte, di problemi risolvibili con la conoscenza e la tolleranza reciproche. Secondo le leggi dell’ospitalità.

Nei casi più ostici, quali possono essere i comportamenti delittuosi, è ovvio che il “buonismo” non basta e sono necessarie misure adeguate di prevenzione e di repressione. Secondo la legge penale.

Soprattutto, quando si tratta di casi accertati di terrorismo, comunque colorato e/o mimetizzato, bisogna reagire con fermezza e unità.

Come avviene, del resto, con tutti i delinquenti italiani o di altre nazionalità.

Insomma, i capi leghisti devono convincersi che la sicurezza, la serenità dei cittadini è una preoccupazione di tutte le forze democratiche italiane e non loro esclusivo appannaggio.

Perciò, la divisione non corre fra chi le difende e chi no, ma tra chi agisce in buona fede e chi sopra ci specula, per un pugno di voti.   

 

L’illustre precedente della grande moschea di Roma

Il divieto d’erigere minareti in Svizzera che si vorrebbe importare in Italia, mi ha riportato alla mente un precedente illustre: la costruzione, negli anni ’80 e 90, della moschea di Roma ovvero la più grande d’Europa sorta nella Città eterna, a poca distanza dal Vaticano cuore pulsante della cristianità.

Qualcosa di più vistoso, impegnativo dei tanti magazzini adattati a luoghi di culto. Eppure, non si registrarono posizioni d’intolleranza, di rigetto sia negli ambienti religiosi sia tra le forze politiche e culturali. Certo, ci furono discussioni e polemiche insorte, soprattutto, intorno al problema- anche allora- del minareto. Nel senso che il progetto dell’architetto Paolo Portoghesi prevedeva la costruzione di un minareto più alto della cupola di S. Pietro.

Alla fine prevalse il buon senso e il progetto fu modificato nel senso richiesto e il  cupolone continuò a primeggiare sopra i cieli di Roma.

Da notare, che il terreno (30.000 mq ai piedi di Monte Parioli) fu donato dal Comune di Roma al Centro islamico d’Italia ossia l’ente morale incaricato di curare i lavori di costruzione.

Ci vollero tempo ed enormi finanziamenti (sauditi) e un incessante lavorio politico e diplomatico, sovente dietro le quinte, prima di giungere all’inaugurazione, nel 1995.

Oggi, la moschea di Roma convive in pace col quartiere e con la città come luogo di culto per i tanti mussulmani presenti nella capitale e come simbolo di dialogo e di reciproca comprensione fra religioni ed anche fra popoli e Stati.

 

Dal dialogo nasce la prosperità condivisa, dalla guerra solo morte e povertà 

Un fatto, oggi, impensabile in Italia. Altri tempi, si dirà. In realtà, sono trascorsi soltanto una ventina d’anni durante i quali sono cambiati (in peggio) l’approccio, la concezione e la sostanza delle relazioni internazionali dell’Italia, dell’Europa e anche del mondo arabo,

Si è passati, infatti, dal dialogo alla sfiducia, alla provocazione, al conflitto.      

Altri tempi. Certo. Allora, era possibile realizzare moschee al centro di Roma, di Parigi, di Oslo, di Berlino, senza scandalo anzi nella più generale concordia.

Erano quelli i tempi di un’Italia solidale e popolare che aveva una politica estera, ampiamente condivisa in Parlamento, aperta al dialogo e alla cooperazione economica, in primo luogo con i Paesi dello scacchiere arabo e mediterraneo.

Una politica di pace che generava nuove occasioni d’incontro, nuovi mercati e commesse importanti per le imprese italiane.

Le buone relazioni politiche e culturali italo - arabe erano la chiave di volta per accrescere il volume degli scambi economici e commerciali.

Insomma, lo sforzo per una convivenza pacifica assicurava all’Italia un ruolo primario nell’area arabo-mediterranea, anche in campo economico.

Oggi, invece, la nostra politica estera verso questo scacchiere si è, di fatto, militarizzata e i risultati sono doppiamente in perdita. Alle ingenti spese per finanziare missioni militari in zone di guerra bisogna, infatti, aggiungere la crescita del deficit commerciale. Oltre, naturalmente, i nuovi rischi, in termini di sicurezza, cui si espone il Paese. 

 

Quando l’Italia aveva una politica estera

Basterebbe fare qualche conto e alcuni confronti fra le bilance commerciali di allora e di oggi per capire le cause dell’attuale svantaggio italiano e scoprire la differenza che corre fra il dialogo e la chiusura razzistica. O se si preferisce fra la cooperazione pacifica e lo scontro di civiltà.

La tanto biasimata “prima Repubblica” era riuscita, in quegli anni, a produrre una politica estera equilibrata, lungimirante e unitaria di cui va dato merito ai tre grandi partiti popolari (Dc, Pci e Psi) e ai loro più prestigiosi dirigenti: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Bettino Craxi, Riccardo Lombardi, ecc.

Seguendo la linea della giustizia e del diritto internazionale dei popoli, abbiamo contribuito a rafforzare la pace nello scacchiere, tutelato il nostro Paese da rischi micidiali e, al contempo, creato importanti occasioni di scambio, reciprocamente vantaggiosi. In questo nuovo contesto, si era delineata, perfino, una prospettiva seria per il nostro Mezzogiorno oggi ricacciato ai margini dello sviluppo, assillato dalla criminalità e ridotto a mero deposito di risorse energetiche al servizio del centro-nord ipersviluppato.

Insomma, ieri l’Italia, col concorso di tutte le forze di progresso, dei lavoratori e degli imprenditori, riuscì a raggiungere primati davvero eccezionali, fino al punto di figurare fra le prime otto potenze industriali del pianeta.

Oggi, il populismo e il “patriottismo” di bottega, per altro molto costoso, stanno vanificando gran parte di quei risultati e avviato il Paese su una china molto preoccupante sia sul terreno politico e democratico sia su quello della coesione sociale e della prospettiva economica.

 

Il Nobel per la pace che prosegue la guerra

I fatti parlano da soli e chiaramente. Mentre in Italia si chiudono scuole, ospedali, centri di ricerca si continua a finanziare costose missioni militari all’estero, soprattutto in Medio oriente.

E segnatamente in Afghanistan dove, storicamente, nessun esercito d’occupazione ha mai vinto una guerra. Ci addolora la decisione del presidente Usa, Barak Obama, la cui elezione avevamo salutato con speranza e simpatia, d’inviare altri 34.000 soldati, più altre 6-7 mila dei paesi alleati, fra cui mille nuovi effettivi italiani che Berlusconi si è affrettato a promettere d’inviare.

Da notare che col nuovo incremento il contingente italiano in Afghanistan salirà dal sesto al quarto posto per consistenza numerica.

Dopo otto anni di combattimenti inconcludenti, Obama giustifica l’invio “per finire il lavoro” e presto rientrare. Ma quando? In realtà, l’invio è certo, mentre il rientro è solo una promessa aleatoria che nessuno può dire se, e quando, si potrà realizzare. Intanto la guerra avrà altre nuove micidiali impennate.

In questa vicenda anche il linguaggio meraviglia anche se usato da Obama per esigenze di propaganda. Comunque sia, mi sembra aberrante chiamare “lavoro” una guerra così terribile e spietata che miete decine di migliaia di vittime militari e, soprattutto, civili.

Così come strana e sconcertante appare la sua decisione di proseguire la guerra assunta alla vigilia del suo viaggio a Oslo dove andrà (10 dicembre p.v.) a ritirare il premio Nobel per la pace. Boh!

 

L’import italiano d’idrocarburi: un’eccessiva dipendenza da Russia e Libia.

Ma non divaghiamo, torniamo all’Italia, alla sua politica estera militarista e mercantilista che- come già detto- produce una doppia fregatura: gli alti costi delle missioni e un saldo sfavorevole  dell’interscambio globale con i paesi del Medio oriente e dell’area mediterranea.  

Particolare preoccupazione dovrebbero destare i dati concernenti l’import d’idrocarburi sempre più elevato (in valore) e concentrato in pochi paesi esportatori con alla testa la Russia di Putin (col 21,8%) seguita dalla Libia di Gheddafi (col 21,2%).

Insieme i due Paesi coprono il 43% dell’import italiano (dati 1° semestre 2009) e, forse, meglio spiegano il senso dell’attuale politica estera italiana.

Insomma, mentre prima la costante di ogni politica estera economica era la diversificazione degli approvvigionamenti, negli ultimi anni la lista dei fornitori si sta restringendo e modificando a favore di alcuni Paesi non propriamente affidabili sotto diversi profili.

Di questo passo, l’Italia rischia una dipendenza eccessiva da governi che, in caso di crisi, potrebbero esercitare pesanti condizionamenti sull’economia del nostro paese.

Quando si dice la sovranità!

Se, invece che di leggi ad personam, di prostitute, di trans e ruffiani, partiti e parlamento, e anche i media, si occupassero di questi problemi e d’altri consimili certamente avremo una rappresentazione più veritiera e pulsante della realtà drammatica che l’Italia sta vivendo.

 

Conflitto fra religioni: un’indegna mistificazione

La moschea, i minareti, i crocefissi, le nuove crociate leghiste…tutto è buono per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica, sempre più frastornata e impaurita, dai suoi problemi di vita e di lavoro a quelli presunti o comunque ingigantiti provocati, qua e là, dagli immigrati la cui colpa, forse, è quella di assicurare un importante contributo alla barcollante tenuta della nostra economia. In primo luogo di quella dei “territori leghisti”.

Il vero rischio che oggi corre l’Italia, specie in alcune aree, non è certo dovuto alla presenza degli immigrati, che certo va regolamentata, controllata e anche aiutata, ma, di più, a queste indecorose risse mediatiche, alle odiose campagne xenofobe scatenate, periodicamente, da certi politici che, per risultare credibili e utili, devono mostrare in tv la bava delle loro rabbiose provocazioni.

Alieni, gente estranea alla tradizione politica e culturale repubblicana che vorrebbero far passare   un’immagine falsata, irriconoscibile dell’Italia: lacerata e impotente, e soprattutto egoista e timorosa del progresso. Anche se il momento è opaco, ciascuno di noi, nell’intimo, sa che l’Italia repubblicana non è stata, non è, come la si vuole, artatamente, rappresentare o costruire.    

La gente è stanca di questa manfrina e desidera un cambiamento capace di recuperare e valorizzare tutte le risorse e le grandi potenzialità esistenti. Per riallinearsi all’Europa e per ridare speranze agli italiani e, in primo luogo, ai giovani i quali, però, dovrebbero darsi una mossa per non restare soggetti passivi di certa politica e conquistare un ruolo da protagonisti nell’opera immane di costruzione di un nuovo futuro. Del loro futuro.

 

Cristo non ha bisogno di nuovi crociati

Infine, qualche considerazione sull’ipocrita campagna sanfedista a difesa del “crocefisso” cavalcata da taluni politici e sindaci e presidenti provincia che vorrebbero imporlo nelle scuole e in tutti gli uffici pubblici, anche mediante la minaccia di multe salate e provvedimenti coercitivi.

Credo che la gente avrà capito il vero intento di cotanta, interessata premura. Tuttavia, è sempre utile richiamarne l’attenzione per non cadere nella manovra portata avanti da partiti e individui che hanno ben poco da spartire con quel Cristo che si pretende di difendere da chissà quali attacchi. Anche il clero cattolico, pur difendendo legittimamente i suoi valori e simboli, ritengo abbia ben compreso il fine di questa rumorosa “improvvisata” e non farà trascinare la Chiesa nell’anacronistica diatriba.

Anzi, prima o poi, potrebbe richiamare i troppo zelanti politici e amministratori a curarsi degli affari di loro pertinenza. Magari con più efficienza e onestà. Sarebbe, infatti, molto imbarazzante che il crocefisso fosse difeso da gente che lo calpesta ogni giorno, trasgredendo gli insegnamenti del Cristo dei vangeli per ubbidire agli istinti del potere. La figura del Cristo è universalmente accettata e comunque rispettata, anche da noi non credenti. Non c’è, davvero, bisogno d’imporla d’autorità, a colpi di multe. Specie in un Paese dove vige una Costituzione laica e tollerante.

 

Se un non-credente s’impegna per far costruire un luogo di culto

Chiudo con un aneddoto, con fatto capitatomi a margine della vicenda della moschea di Roma alla cui realizzazione contribuì, soprattutto sul piano dell’iniziativa politica e parlamentare, la nostra Associazione italo - araba, composta dai rappresentanti dei tre principali partiti (Dc, Pci, Psi) e più volta presieduta dall’ex ministro dc Virginio Rognoni.

In questa come in altre importanti vicende, l’associazione svolse una funzione politico/diplomatica parallela a quella del governo e dei partiti che rappresentava.

Un giorno fui invitato per un colloquio dal principe Abdelghassem Amini, un aristocratico afghano, persona di fiducia dei sauditi e, in quanto tale, presidente del Centro culturale islamico d’Italia curatore del progetto della moschea.

Solitamente lo incontravo in delegazione o in qualche convegno. Quella volta m’invitò da solo.

Lo andai a trovare al Centro e dopo il caffè e un po’ di convenevoli, mi rivolse alcune domande a bruciapelo. “Lei è un deputato del Pci? ”- “Certamente”, risposi. “Perciò è un marxista?” – “Sicuro” “Voglio dire ateo?”Si, sono ateo”.

Domande pleonastiche le sue (sapevo chi ero) che gli servivano a porre quella più impegnativa: “Allora –mi spieghi- perché un ateo, com’è lei si dichiara, si è tanto adoperato per consentire la realizzazione della moschea? “

Il principe non si capacitava di tanta (mia) incoerenza o forse immaginava i comunisti come orde di barbari dediti alla distruzione dei luoghi di culto.

Gli risposi che, in quanto comunista e cittadino di questa Repubblica, mi ero semplicemente adoperato per garantire ai lavoratori di religione islamica, come di altre, il diritto ad avere un luogo di raccoglimento e d’incontro. Esattamente come postula la nostra Costituzione per tutte le religioni, purché non s’ingeriscano nella politica e negli affari di Stato.

Il principe mi volle insignire di una medaglia e mi regalò un bellissimo esemplare del Corano che vergò con una dedica riconoscente: “All’on. Agostino Spataro…per tutto l’aiuto che ha dato all’Islam”. Insomma, c’eravamo capiti.

                                                             

5 dicembre 2009

                                             

* Agostino Spataro è stato membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati. E’ direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it)

 

1 dicembre

 

A ottobre boom di disoccupati in Italia: quasi 2 milioni

Scajola: "Stiamo meglio degli altri Paesi"

La disoccupazione schizza a livelli record, con il numero dei senza lavoro che a ottobre, per la prima volta dal marzo del 2004, sfonda la soglia dei 2 milioni. A ottobre - comunica l'Istat - il tasso di disoccupazione è salito all'8% dal 7,8% di settembre (un punto percentuale in più rispetto allo stesso mese dell'anno scorso), raggiungendo il valore massimo dal novembre del 2004.Aumenta la disoccupazione giovanile - Il numero delle persone in cerca di lavoro è quindi 2.004.000, in aumento del 2% (+39mila persone) rispetto a settembre e del 13,4% (+236mila) su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile - aggiunge l'istituto di statistica - a ottobre è aumentato al 26,9% dal 26,2% di settembre, con una crescita del 4,5% rispetto a ottobre dell'anno scorso.La Cassa integrazione frena il calo - L'occupazione regge l'impatto della crisi economica grazie agli ammortizzatori sociali. A ottobre - secondo le stime provvisorie dell'Istat - il numero di occupati è stato pari a 23.099.000 (dati destagionalizzati), invariato rispetto a settembre ma inferiore dell'1,2% (pari a -284mila persone) su base annua. Un andamento che si mantiene stabile da luglio, dopo mesi di progressiva discesa, con la cassa integrazione che ha frenato quindi il calo degli occupati. Il tasso di occupazione - aggiunge l'istituto di statistica - a ottobre è pari al 57,6%, con un -0,1 punti percentuali rispetto a settembre e -0,9 nel confronto con ottobre dell'anno scorso.Scajola: dati migliori della media europea - Il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, osserva i dati ma commenta "sono comunque molto meglio della media europea e degli altri Paesi". Ad affermarlo è , a margine di un convegno di Confindustria. "La crisi economica - ha detto il ministro - si trasferisce sulla disoccupazione. E' un dato però che non è peggiore della media europea: teniamo meglio noi". "Ora speriamo - ha aggiunto - che la ripresa ci faccia dire che si possa recuperare".Disoccupazione stabile nell'Eurozona - In ottobre il tasso di disoccupazione nella zona dell'euro, dopo mesi di costante crescita, è rimasto stabile al 9,8% rispetto al mese precedente (in settembre il dato è stato rivisto rispetto alla prima indicazione del 9,7%). Lo rileva Eurostat che per l'Unione europea indica invece ancora un aumento dal 9,2% di settembre al 9,3% di ottobre. Un anno fa la disoccupazione nei sedici Paesi dell'euro era al 7,9% mentre nell'Ue-27 al 7,3%. Secondo le stime di Eurostat, i disoccupati nell'Ue in ottobre erano 22,510 milioni di cui 15,567 milioni nella zona dell'euro.

 

LA LETTERA.

Il direttore generale della Luiss
avremmo voluto che l'Italia fosse diversa e abbiamo fallito

"Figlio mio, lascia questo Paese"

di PIER LUIGI CELLI

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre


L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.

 

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