25 ottobre 2018

 

Il Far West dentro casa: non è più reato sparare ai ladri. La legittima difesa è quasi legge. E si venderanno più armi

Una rivoluzione culturale in 9 articoli di legge. In meno di tre ore il Senato approva la nuova legittima difesa. Entro fine anno il sì della Camera. Salvini: “Un’altra promessa mantenuta”. La riforma a costo zero è utile adesso per tenete buona la base elettorale della Lega molto scontenta per la manovra. Minisci (Anm): “Resta il processo e sarà sempre un magistrato a valutare la proporzionalità tra offesa e reazione”. Inevitabile adesso un aumento delle armi. Romeo (Lega): “Ma non sarà il Far west”. Il duro attacco di Grasso (Leu) ai 5 Stelle: “State ballando sulla musica della Lega rinnegando voi stessi”

di Claudia Fusani, giornalista parlamentare

Prima di leggere qua, prendetevi 6 minuti e 20 secondi, andate su YouTube e guardate il video di Emma Gonzales. Diciotto anni, era nella sua classe del liceo di Parkland in Florida la mattina del 14 febbraio 2018 quando un ex alunno espulso cominciò a fare fuoco uccidendo 17 studenti e ferendone altri 15. Impiegando, per l’appunto, 6 minuti e 20 secondi. Sopravvissuta, Emma ha reagito a quella tragedia, l’ennesima nel paese dove le armi si comprano al supermercato, fondando il movimento Never again. IL 24 marzo, dieci giorni dopo, più di 500 mila ragazzi hanno marciato su Washington e decine di migliaia in altre 800 città americane. Sono i nuovi elettori americani, una nuova generazione di ragazzini che dice “mai più”. Quella mattina Emma disse “combatti per la tua vita prima che diventi il mestiere di qualcun altro”. Combatti perché le armi non siano un bene comune. Perché una società con più armi è una società meno sicura.

L’esempio di Emma
Quel video avrebbe dovuto essere proiettato ieri pomeriggio nell’aula di palazzo Madama dove in meno di tre ore, con grande fretta – forse per non pensarci su - è stata compiuta, per realizzare un dividendo politico e con grande soddisfazione, una rivoluzione culturale che segna una cesura importante nella storia del paese: sparare in casa propria diventa un diritto se c’è un “grave turbamento”. Chi spara in casa propria per difendersi non dovrà più dimostrare perché lo ha fatto, perché la difesa diventa sempre legittima. Le armi in Italia non saranno – si spera – mai vendute in un supermercato. E però è chiaro che la fabbrica della paura che ha conquistato così tanti consensi nel nostro paese ha spinto molte persone ad armarsi. Molte altre lo faranno perché ora sanno che usare le armi è, banalmente, più facile.

Larga maggioranza
Ieri pomeriggio alle 17 e 40 il Senato ha dato il primo via libera alla nuova legittima difesa. Una maggioranza di ben 195 voti, mai stata così larga in 4 mesi di governo, ha votato sì alle legge Molteni (Nicola, sottosegretario all’Interno, Lega, ndr) per cui la difesa è sempre legittima anche se resta il principio di proporzionalità. Tuttavia, la legittima difesa scatta anche senza la minaccia vera e propria di un'arma e se solo si è in uno stato di “grave turbamento”. Uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale della Lega, periodicamente, in coincidenza con qualche disgrazia, brandito come soluzione di tutti i mali, è legge dello stato. Per metà, visto che manca ancora il via libera della Camera. Che però potrà comunque arrivare entro la fine dell’anno vista la velocità che ha impiegato il testo al Senato.

Assenze nei 5 Stelle
Nei 195 sì ci sono anche i senatori del Movimento 5 Stelle che hanno votato compatti nonostante i numerosi mal di pancia. Sono mancati una decina di voti grillini: hannopreferito non essere presenti per evitare di dover rinnegare quello che è sempre stato il loro pensiero. Scriveva su Facebook: “Uno Stato serio non dovrebbe consentire ad un singolo individuo di tenere armi in casa. La detenzione delle armi andrebbe ridotta drasticamente”. Era il 2015. A dir la verità anche Di Battista ci andava giù pesante: “Faremo di tutto per non permettere che il nostro paese diventi come gli Stati Uniti”.

Il voto a favore è un pezzo del patto d’acciaio tratto tra Salvini e Di Maio. Un patto che è un compromesso: i 5 Stelle danno il via libera a legittima difesa e decreto sicurezza (pur mettendo in conto alcune posizioni contrarie) in cambio del voto compatto della Lega sulla manovra (reddito di cittadinanza) e decreto Genova, quello con dentro il condono a Ischia. Un compromesso che sta mandando in fibrillazione, e da giorni, la base del Movimento. Ieri sera, dopo il voto, il malcontento è circolato tra i 5 Stelle torinesi. Sulla chat era possibile leggere commenti come quello di Daniela Albano, consigliere comunale a Torino. ”Eh no, pure la legge sulla legittima difesa no! Ora mi pare che stiate esagerando”. Un collega di gruppo, Damiano Carretto, ironizza: “Pare fosse nel contratto. Ma sai per me ‘sto contratto dove può andare a finire…Preferisco continuare a marciare per fermare la Tav in val di Susa piuttosto che piegarmi al maschilismo omofono, razzista e violento della Lega”.

Non punibilità
Il testo del disegno di legge modifica alcuni articoli del codice penale e, in particolare, l'articolo 52 e l'articolo 55. La riforma leghista allarga l’ombrello di copertura della legittima difesa e per far scattare la non punibilità non è necessario che il ladro abbia un'arma in mano ma è sufficiente la sola minaccia di utilizzare un'arma. Non ènecessaria neppure la minaccia specifica “alla persona”. Inoltre, viene riconosciuta la legittima difesa e, quindi, la non punibilità “se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.

9 articoli
Per la rivoluzione bastano 9 articoli. Il primo modifical'articolo 52 del codice penale e stabilisce che “chi compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere agisce sempre in stato di Legittima difesa”. Attenzione però, le modifiche lasciano intatto e quindi necessario il principio della “proporzionalità tra le difesa e l’offesa”. L’articolo 2 modifica l’articolo 55 del codice penale che disciplina l'eccesso colposo e riconosce la legittima difesa a chi si trova in uno stato di “grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto”. Questo articolo è stato votato anche dal Pd perché riprende la vecchia modifica presentata dall’allora deputato e oggi vicepresidente del Csm David Ermini che però non è mai diventata legge. L’articolo 3 interviene sulle pene ed esclude dalla sospensione condizionale della pena “chi si è reso responsabile di furto in appartamento se prima non risarcisce la vittima”.L’articolo 5 aumenta le pene per chi commette furti e scippi (minimo 4, massimo 7; erano 3 e 6 anni). Nessuna spesa legale (ok al gratuito patrocinio, art. 7) per chi si è difeso per legittima difesa e che dovrà comunque affrontare un processo. Esclusa anche la responsabilità civile per chi si è difeso (art.8). Negli anni talvolta si è assistito a famiglie di romeni, il cui congiunto era stato ferito o ucciso durante una rapina, presentarsi puntuali in aula a chiedere i danni.

Ma il processo resta
Ora, una cosa è bene chiarire subito: la rivoluzione delle armi inverte il principio dell’onere della prova (è il magistrato che deve dimostrare che non c’è stato, per esempio, il grave turbamento) ma non arriva ad eliminare l’inchiesta penale. Comunque sia, sarà sempre un magistrato a valutare se la difesa è stata legittima e l’uso delle armi proporzionale al pericolo. Una puntualizzazione che l’Anm si affretta subito a rimarcare. “Sia chiaro - dice Francesco Minisci, presidente dell’Anm - che nessuna modifica potrà prescindere da due cardini fondamentali per la nostra cultura giuridica: sarà sempre valutato il principio di proporzionalità tra offesa e difesa e i fatti saranno sempre accertati all' interno di un procedimento penale”.

“Nessun Far west”
Salvini festeggia con “promessa mantenuta” e il tormentone di ogni suo tweet “dalle parole ai fatti”. E’ una riforma a costo zero e torna utile in un momento in cui la base elettorale leghista soprattuto del nord è spiazzata e scontenta per il contenuto della manovra, lo spread a 320 e la Borsa in calo. Il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo rivendica “il provvedimento di buon senso” e parla di “strumento necessario per consentire ai cittadini di difendersi in casa propria quando si è costretti a vivere un’esperienza drammatica con quella di un’aggressione domestica”. Nessun Far west, dunque, “nè scardinamento del nostro ordinamento”. Gli imputati per eccesso colposo di legittima difesa - che in tutta Italia stanno sulle dita di una mano, segno che non c’è un’emergenza in questo senso - sono convocati per festeggiare già domenica. A cominciare da quel Mario Cattaneo, l’oste di Lodi che uccise un ladro ed è sotto processo per eccesso colposo di legittima difesa.

Le sinistre unite
La legge unisce il centrosinistra in una generale bocciatura del testo. Pippo Civati (Possibile) parla di “regalo di Salvini alla lobby delle armi”. “Dopo il decreto raddoppia armi per i titolari di licenza di tiro sportivo - dice Civati - gli italiani hanno adesso un motivo in più per armarsi nell’illusione di sentirsi più sicuri”. I dati, aggiunge, “smascherano la propaganda del governo a trazione leghista: i reati sono in calo, anche furti e rapine, la legittima difesa è già nel nostro codice e il 90% dei casi trovano l’assoluzione o l’archiviazione”. Valeria Valente, vice capogruppo del Pd, elenca quelle che erano le uniche vere e necessarie modifiche: “La richiesta di archiviazione nei casi di legittima difesa, le detrazioni per l'installazione di sistemi di allarme e di video sorveglianza, l'aumento del Fondo per le vittime di violenza, l'investimento di risorse per le esigenze di investimento delle Forze dell’ordine”. Emendamenti che “avrebbero garantito maggiore sicurezza ai cittadini, ma sono stati respinti a dimostrazione del fatto che questo provvedimento non tutela i cittadini, ma strumentalizza le loro paure”. Durissime, anche con i 5 Stelle, le parole dell’ex presidente del Senato Piero Grasso (Leu). “Nel nostro Paese non hanno diritto di cittadinanza né la vendetta né la pena di morte soggettiva” ha tuonato in aula l’ex magistrato. “Il danno grave, oltre che a livello normativo, è anche a livello culturale: la vostra propaganda sta facendo credere ai cittadini che sarà lecito sparare in casa propria, e produrrà un aumento di armi in circolazione nel nostro Paese”. Ai 5 Stelle ha rivolto un’amara considerazione: “State ballando sulla musica della Lega, rinnegando i vostri principi”.

Fonte: Tiscali

 

4 ottobre 2018

 

Brindisi, fascisti ancora una volta contro la Cgil

Uno striscione firmato da Casapound è apparso davanti alla sede locale del sindacato: “Immigrati tutelati, lavoratori abbandonati”. La confederazione su Twitter: “Chi ha a cuore la democrazia, farebbe bene a interrogarsi sulle ragioni di questi attacchi"

Nella notte fra il 3 e il 4 ottobre è apparso davanti alla sede della Cgil di Brindisi uno striscione firmato da Casapound che recita “Cgil: immigrati tutelati, lavoratori abbandonati”. L’organizzazione di estrema destra ha poi rincarato la dose diffondendo un comunicato: “È chiaro che a queste persone (il riferimento è ai sindacalisti della Cgil locale, ndr) poco importa della difesa della classe lavoratrice brindisina, poco utile dal punto di vista programmatico ed elettorale, preferendo tutelare altri settori, decisamente più affini dal punto di vista ideologico ed economico”.

Arriva su twitter un primo commento della Cgil nazionale: “Stanotte fascisti all’opera a Brindisi, dove è stato esposto uno striscione contro la Cgil. Chi ha a cuore la democrazia farebbe bene a interrogarsi sulle ragioni di questo attacco ripetuto al sindacato che difende i lavoratori, il loro reddito, quindi la libertà delle persone”.

“Questo vile attacco nei nostri confronti – aggiunge il segretario generale della Cgil di Brindisi Antonio Macchia interpellato dall’agenzia Dire – non fa altro che confermare il clima razzista che si respira nel Paese. Lo striscione è arrivato in risposta a un nostro comunicato di solidarietà al sindaco di Riace. Ma noi non ci faremo intimorire, ogni giorno rappresentiamo i più deboli”.

È questa solo l’ultima di una serie di intimidazioni e violenze che si sono succedute nei mesi scorsi, senza contare gli attacchi e le minacce giunte via social. L'episodio più rilevante risale alla notte tra il 22 e il 23 maggio scorsi, quando davanti alle sedi del sindacato di molte città italiane sono apparsi striscioni di Forza Nuova con scritte violente, "un attacco congiunto in piena regola" secondo Cgil, Cisl e Uil..

Ma l’elenco è lungo. Il 21 giugno le Camere del Lavoro di Pavia, Mantova e Crema sono state inondate di volantini e striscioni a firma www.progettonazionale.it con frasi e immagini a sfondo razzista, omofobo e fascista contro la Cgil e il suo segretario generale. “Una nuova provocazione che si somma alle precedenti che denunciamo da tempo e dà chiaro il senso del clima minaccioso e intimidatorio che si respira in diverse città della Lombardia”, commentò in quel caso la Cgil regionale.

Analoga preoccupazione lo scorso 2 luglio era stata espressa dalla Cgil di Roma Sud Pomezia Castelli “per l’escalation di episodi di violenza di stampo neofascista nel territorio del VII municipio". E soltanto un mese dopo, il 2 agosto, Arci e Cgil Firenze lanciavano un altro allarme “di fronte alle ‘passeggiate notturne’ di Casapound a San Jacopino, chiedendo alla istituzioni cittadine di intervenire nei confronti di questi “giustizieri delle notti estive”.

Il 7 agosto ancora scritte e simboli fascisti a Empoli: a pochi giorni dall'attacco vandalico che aveva distrutto la lapide in ricordo dell'eccidio nazifascista al Padule del Fucecchio, scritte inneggianti a Hitler sono apparse nel parco vicino alla Casa del Popolo di Brusciana. “Non si deve sottovalutare l'ennesimo rigurgito neofascista e razzista visto a Empoli e nel suo circondario”, commentò in quel caso la Cgil di Firenze.

Infine, la manifestazione del 25 settembre organizzata dalla Cgil a Bari in risposta all’aggressione fascista di quattro giorni prima quando, "al termine di una pacifica e partecipata manifestazione antirazzista, una squadraccia partita da un ben identificato covo fascista ha colpito con violenza e impunemente un rappresentate del parlamento europeo e altri militanti politici, nonostante il dispiego di forze dell'ordine presente per l'iniziativa antirazzista".

Flai: striscione offende tutti i lavoratori

“Alla Cgil di Brindisi la solidarietà e la vicinanza di tutta la Flai Cgil nazionale per il grave gesto intimidatorio”. Lo dice Ivana Galli, segretaria generale Flai Cgil. “Si tratta di affermazioni che offendono non solo il sindacato, ma tutti i lavoratori, che sanno bene come la Cgil difende chi ha bisogno, chi è più debole, chi vuole far valere i propri diritti. I lavoratori sanno bene che non ci sono divisioni tra persone di nazionalità diverse e chi agita simili spettri è destinato a fallire. La Cgil ora e sempre è con i lavoratori, tutti, è con i più deboli, e se sono i lavoratori immigrati, siamo con i lavoratori immigrati”.

Cgil Bari: solidarietà, non ci facciamo intimorire

La Camera del Lavoro di Bari "esprime la sua vicinanza ai compagni e alle compagne della Cgil Brindisi vittime di un assurdo attacco da parte di organizzazioni neofasciste teso a diffamarne la costante opera di tutela e difesa dei lavoratori e dei loro diritti". Lo dichiara il segretario generale della Cgil barese, Gigia Bucci. Solo pochi giorni fa la nostra città ha vissuto sulla sua pelle la pericolosità di queste formazioni, con un'aggressione ai danni di alcuni cittadini a cui si è risposto con una grande mobilitazione popolare, con la Cgil in prima linea, che ha portato migliaia di persone in piazza a difendere il portato libero, democratico e antifascista della nostra società. La sequenza di questi episodi, spiega, "non può fare altro che spingerci ulteriormente ad attivarci e schierarci contro chi crede di poterci intimorire, motivo per cui ribadiamo alle istituzioni la richiesta di scioglimento delle suddette organizzazioni come disposto dalla nostra Costituzione".

Cgil Puglia: presidio a Brindisi sabato dalle 10

Ieri notte "un aggregato dichiaratamente neofascista ha affisso uno striscione dinanzi alla sede della Camera del Lavoro di Brindisi. Ai dirigenti e militanti manifestiamo totale solidarietà e vicinanza di tutta la Cgil pugliese. Rispediamo al mittente scritte provocatorie e xenofobe, firmate dalla stessa sigla che si è resa protagonista della violenta aggressione a Bari ai danni di quattro persone a margine di una manifestazione antirazzista". Lo afferma il sindacato regionale, in una nota. "Quali lavoratori e in che modo la Cgil rappresenta e tutela, a prescindere da nazionalità e colore della pelle, lo sanno bene i braccianti delle campagne pugliesi o i tanti operai impegnate in vertenze a difesa dei proprio posti di lavoro con fabbriche a rischio chiusura - continua l'organizzazione - Ci chiediamo ancora una volta cosa aspettano le istituzioni preposte a dichiarare fuorilegge queste organizzazioni neofasciste, a chiuderne le sedi, a denunciare chi si macchia di azioni violente o propaganda xenofoba". La Cgil pugliese tutta e la Camera del Lavoro di Brindisi, infine, "non si fanno certo intimidire e a questo clima di inquinamento della vita democratica, cui contribuisce anche la propaganda governativa anti immigrati, rispondiamo con un presidio antifascista che si terrà a Brindisi davanti la Camera del Lavoro sabato 6 ottobre dalle ore 10".

Fonte: Rassegna Sindacale

 

2 agosto 2018

 

Tweet populisti dalla Russia sulla politica italiana. Come negli Usa

In varie occasioni, negli ultimi anni, hanno attivamente rilanciato i contenuti di profili di Twitter in italiano che sostenevano le posizioni dei partiti populisti oggi al governo

di Federico Fubini

I profili di social network delle «fabbriche» russe dei troll, quelli dedicati per la gran parte del tempo all’azione di disturbo nella campagna elettorale americana, non si sono limitati a sostenere Donald Trump e a osteggiare Hillary Clinton. Non si sono confinati agli Stati Uniti e all’uso della lingua inglese. In varie occasioni, negli ultimi anni, hanno attivamente rilanciato i contenuti di profili di Twitter in italiano che sostenevano le posizioni dei partiti populisti oggi al governo (pur senza essere ufficialmente legati né al M5S, né alla Lega).

È quanto emerge dalla più grande fuga di notizie mai avvenuta nell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate, lo scandalo delle interferenze russe durante la campagna delle presidenziali americane del 2016. Nelle ultime ore il sito statunitense d’informazione «Fivethirtyeight.com», guidato da Nate Silver,ha pubblicato i nove vastissimi file Excel contenenti oltre un milione di interventi su Twitter da parte dei profili fortemente sospettati da Mueller di appartenere a operatori russi. Quasi tutti intervengono, in inglese, sui temi della campagna presidenziale americana. Non tutti però. Con loro sorpresa, gli investigatori di Washington hanno constatato che una parte del materiale è in italiano. In tutti i casi che il «Corriere» ha potuto esaminare, non sono contenuti originali direttamente immessi nel circuito del dibattito politico nel nostro Paese. Piuttosto, i profili della «fabbrica» russa rilanciano con una serie di retweet altri profili noti per essere al centro della conversazione sul social network degli ambienti simpatizzanti con le forze populiste in Italia.

Va detto, sulla base del materiale disponibile, che nulla permette di ipotizzare che M5S o la Lega abbiano ricercato o concordato alcun tipo di sostegno da parte delle fabbriche di troll della Russia. Non risulta in nessun modo dai documenti di Mueller pubblicati da Nate Silver abbiano sollecitato l’aiuto di Mosca. È invece evidente dall’enorme massa di post su Twitter, in parte ancora da decifrare, che da parte dei «troll» si sono voluti sostenere i partiti populisti in Italia. In altri termini, esistono indizi di un tentativo di interferenza esterna a favore dei populisti nella vita politica del nostro Paese.

Uno esempio fra i tanti è la scelta di un «troll» che va sotto il nome di «Brianwarning», il 21 gennaio 2016, di rilanciare un post in italiano in cui ci si chiede «che cosa farà la Gran Bretagna con il suo referendum» (allora non ancora avvenuto) sull’uscita dall’Unione europea. Il contenuto è relativamente neutro, mentre la lista dei profili collegati a quel tweet è marcatamente politica per la sua vicinanza all’area dei Cinque Stelle. C’è fra gli altri Gianluigi Paragone (@gparagone), oggi senatore pentastellato; c’è un certo (anonimo) @soqquadroM che ancora ieri era attivo su Twitter a sostegno del sovranista Marcello Foa come presidente della Rai; e c’è il profilo più misterioso, quello al centro di questo intrigo dei file di Mueller. Il suo nome è in codice: Elena07617349 e oggi non esiste più, anche se di essa si trovano ancora molte tracce in rete. Questa indefinibile «Elena» è stata cancellata, ma fino alla primavera del 2017 si distingueva per la sua associazione a contenuti Twitter contro Barack Obama (e allora si esprimeva in inglese), contro il Giglio magico di Matteo Renzi o contro gli sbarchi, quando dialogava in italiano con un profilo chiamato «123stoka #iostoconsalvini». In un’altra occasione, un troll russo chiamato «Carriethornthon» rilancia un post legato a «Elena» e a un «Junioborghese1», collegato all’estrema destra, con un’accusa all’ex ministro dell’Interno: «Minniti è un ex comunista, loro sono abili nel mascherare».

Proprio il profilo bilingue di «Elena» sembra al centro dell’Italian Connection dei documenti di Mueller. Il troll anonimo russo «Chessplaychess» per esempio rilancia proprio nel giorno del referendum costituzionale del dicembre 2016 un post nel quale si dice: «Si è diffusa l’idea che votare non è previsto dalla Costituzione, strana ‘sta cosa». Collegato a quel post c’è un altro profilo filo-populista italiano anonimo ma importante: si chiamava «@NoemijBra» ed è improvvisamente sparito nel marzo 2017 non appena il fact-checker David Puente ha smascherato una fake news di «NoemiJBra» ai danni dell’allora ministro Pd Giuliano Poletti. Nei file di Mueller è poi molto attivo con contenuti originali un troll anonimo attribuito alla Russia ma in italiano. Si chiama «Marialuigi5». Uno dei suoi post, del marzo 2017, sottolinea la solidarietà degli abitanti di Lodi verso un negoziante che ha sparato a un ladro e lo ha ucciso.

Fonte: Corriere della Sera

 

31 maggio 2018

 

Lavoro, Istat: “Ad aprile risale la disoccupazione giovanile. Record di posti a termine, giù quelli stabili”

Gli occupati salgono a 23,2 milioni, 23mila in più rispetto al picco toccato prima della crisi. E' anche massimo storico di precari: sono 2 milioni 973 mila. L’occupazione femminile registra un nuovo massimo, al 49,4%, ma resta forte la distanza rispetto agli uomini (67,5%). Il tasso degli under 25 senza lavoro è al 33,1%, 15,8 punti sopra la media dell'Eurozona

Occupati in aumento fino a quota 23,2 milioni, 23mila in più rispetto al picco toccato prima della crisi. Ma in aprile, rileva l’Istat, sono cresciuti solo quelli a termine, mentre i dipendenti permanenti sono calati di 37mila unità. Così si rinnova anche il record assoluto relativo al numero di dipendenti precari: sono 2 milioni 973 mila. E se il tasso di disoccupazione generale resta inchiodato all’11,2%, quello dei giovani under 25 risale al 33,1%: 0,6 punti percentuali in più sul mese precedente e 15,8 punti sopra la media dell’Eurozona, stando ai dati Eurostat. E’ il valore più alto dopo quelli registrati in Grecia (45,4%) e Spagna (34,4%). Anche il mese scorso, poi, la crescita dell’occupazione ha coinvolto tutte le classi di età ad eccezione dei 25-34enni.

Ad aprile gli occupati in Italia sono cresciuti dello 0,3%, pari a 64mila unità, con il tasso di occupazione che si attesta al 58,4%, in crescita di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente. Di conseguenza il numero degli occupati ha raggiunto il record storico di 23 milioni e 200mila, il livello più alto dall’inizio delle serie storiche, ovvero dal 1977. La composizione dell’occupazione è però cambiata: ora si contano più donne, più anziani ed è nettamente più alta la quota dei tempi determinati, spiega l’istituto. L’occupazione femminile registra un nuovo massimo, al 49,4%, ma resta forte la distanza rispetto agli uomini (67,5%).

Il tasso di disoccupazione, dopo i livelli massimi toccati a fine 2014, è tornato “sui livelli della seconda metà del 2012“, su cui viaggia ormai già da tempo, spiega l’Istat. Tuttavia la stima delle persone in cerca di occupazione registra un aumento dello 0,6% (+17mila) su marzo e dello 0,8% (+24mila) su base annua. Il numero dei disoccupati si attesta così a 2 milioni 912 mila, anche per effetto del calo degli inattivi che diminuiscono di 74mila unità. Il tasso di inattività scende al 34%, minimo storico, e il calo riguarda donne e uomini ed è diffuso su tutte le classi di età.

Su base annua il tasso di occupazione cresce in tutte le classi di età, con maggiore intensità nelle classi estreme: +1,4 punti percentuali per i 15-24enni, +1 punto per gli over 50. Il tasso di disoccupazione è in calo fino ai 34 anni mentre aumenta dai 35 anni in poi. La contrazione più forte si ha tra i giovani di 15-24 anni: -2,5 punti.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

8 marzo 2018

 

La commissione d’inchiesta sul sistema di accoglienza

In questi anni la commissione ha prodotto varie relazioni, spesso con l’appoggio dell’opposizione. Per non essere sprecato questo lavoro dovrebbe essere la base per le future politiche di accoglienza

Finita la legislatura arriva a naturale conclusione anche il lavoro delle commissioni di inchiesta. Durante questi anni il parlamento ne ha istituite 15 di cui 4 bicamerali, 5 del senato e 6 della camera dei deputati. Tra queste si trova anche la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate.

Mentre le altre commissioni d’inchiesta della camera hanno tutte pubblicato una relazione conclusiva, lo stesso non è avvenuto per la commissione sul sistema di accoglienza. Questo ha provocato la reazione polemica dell’opposizione di centro destra all’interno e all’esterno della commissione. Gli onorevoli Ravetto e Fontana di Forza italia (FI) hanno fatto notare che l’elaborazione di una relazione finale è prevista dal regolamento, sostenendo che si sia evitato di presentarla per non “evidenziare le gravi mancanze e deficienze nella gestione del fenomeno”.

Al contrario secondo il presidente della commissione Federico Gelli del Partito democratico (Pd) non era necessario che la commissione facesse una relazione conclusiva visto che nel corso degli anni sono state fatte varie relazioni su diverse materie. L’opinione espressa dal presidente è quindi che una relazione riassuntiva avrebbe sminuito il lavoro fatto con le altre relazioni. Inoltre, sempre secondo Gelli la relazione del 20 dicembre sul sistema di protezione e di accoglienza dei richiedenti asilo, può essere considerata una relazione conclusiva, pur non tornando sui temi specifici trattati nelle altre relazioni.

Lo scopo della commissione è peraltro parzialmente mutato nel tempo. Inizialmente era previsto che avesse durata di un anno e che presentasse al termine una relazione conclusiva. Nei primi mesi del 2016 la durata del suo mandato è stata estesa a tutta la legislatura. In quello stesso periodo la commissione ha presentato la sua prima relazione ed ha stabilito di formare dei gruppi di lavoro, ciascuno dei quali avrebbe prodotto una relazione su un tema specifico. Arrivati alla fine della legislatura le relazioni presentate (esclusa la prima) hanno riguardato:

Purtroppo le commissioni non hanno alcun obbligo di rendere pubbliche le loro votazioni, comunque alcuni elementi utili possono essere ricavati dai resoconti stenografici. In primo luogo possiamo quindi rilevare che la relazione sulla prima accoglienza è stata la più divisiva. Infatti è stata l’unica ad aver portato due gruppi di opposizione a presentare delle relazioni di minoranza, una presentata dall’on. Fontana (FI) e l’altra dall’on. Palazzotto di Sinistra italiana (Si).

Negli altri casi non ci sono state relazioni di minoranza. A volte dei gruppi si sono astenuti nel voto perché contrari ad alcuni punti del testo, senza però contestare l’impianto complessivo. In due casi gli stenografici riportano invece il voto unanime della commissione. Si tratta della relazione sulle vicende concernenti l’ex CARA di Mineo e di quella sulla gestione dei dati relativi al fenomeno migratorio, di cui è stato relatore l’on. Fontana, deputato di Forza Italia.

Le difficoltà che si registrano nel reperimento di dati completi e affidabili sul fenomeno dell’accoglienza è evidente per chiunque si sia occupato della materia. Avere una conoscenza ampia e dettagliata è chiaramente un prerequisito per qualsiasi politica di ampio respiro, indipendentemente dalle posizioni politiche. È quindi sicuramente un bene che i diversi gruppi abbiano collaborato in questo campo, analizzando i limiti del sistema informativo attuale e cominciando a lavorare su modelli nuovi.

Per quanto riguarda la relazione sul sistema di protezione e di accoglienza dei richiedenti asilo, che come abbiamo visto il presidente considera la relazione conclusiva, non ci sono informazioni complete sul voto in commissione. Dal resoconto emergono comunque alcuni elementi interessanti come ad esempio il voto favorevole del Movimento 5 stelle (M5s). Anche dalla Lega nord ha espresso apprezzamento per il lavoro fatto e ha deciso di non presentare emendamenti, pur facendo notare alcuni limiti della relazione.

Il testo in sostanza descrive il sistema di accoglienza sia nei suoi aspetti normativi che nella sua reale attuazione, registrando una grande distanza tra teoria e pratica. Nelle sue conclusioni individua poi due proposte, una normativa e una pratica per rendere più efficace il sistema. Si tratta della riorganizzazione delle norme in materia di asilo in un testo unico e la creazione di un’agenzia nazionale per l’accoglienza.

Proprio perché il documento non ha risparmiato critiche al sistema attuale è stato apprezzato dall’opposizione, ma per questa stessa ragione secondo i componenti di FI non si è voluto dare risalto al lavoro fatto con una relazione conclusiva, evitando di riaprire il tema in piena campagna elettorale.

Fonte: Openpolis

 

15 febbraio 2018

 

Alcoa, firma sul passaggio a Sider Alloys. Calenda: "Oggi è l'inizio, non la conclusione"

Si chiude la partita decennale. In gioco ottocento posti di lavoro, tra interni e indotto. La Fiom chiede al Mise di garantire per la solidità finanziaria degli svizzeri acquirenti

MILANO - E' stato firmato al Mise l'accordo per la cessione dello stabilimento di Portovesme (ex Alcoa) da Invitalia al gruppo svizzero Sider Alloys. "Oggi non è una conclusione ma l'inizio di un processo e come ho detto chiaramente ai lavoratori di Alcoa, si festeggerà quando uscirà il primo lingotto di alluminio fino ad allora c'è solo da lavorare", ha detto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

Il passaggio dello stabilimento di Portovesme da Invitalia al nuovo investitore segue l'accordo di programma - arrivato poco prima di Natale - con la stessa Invitalia e la Regione Sardegna ai fini dell'acquisizione, che prevede un investimento complessivo previsto di circa 140 milioni di euro, con agevolazioni Mise e Regione Sardegna di circa 94 milioni di euro. Si dovrebbe chiudere così con un rilancio la partita decennale dell'impianto sardo, che negli ultimi tempi aveva visto le parti impegnate in un'estenuante trattativa con la multinazionale anglo-svizzera Glencore, poi fallita nonostante le offerte del governo. Il gruppo svizzero ha messo sul piatto il riavvio degli impianti, fermi da più di 4 anni, la bonifica delle acque sotterranee dell'area industriale di Portovesme e il rafforzamento della struttura produttiva.

Resta tutta da giocare la partita con i sindacati sul fronte occupazionale. Alla vigilia della firma, accolta positivamente dai rappresentanti dei lavoratori, hanno infatti posto l'accento sulla necessità di accelerare i prossimi passi. "Ci aspettiamo che i sindacati siano convocati un minuto dopo la firma dell'accordo che sancirà il passaggio di Alcoa a Sider Alloys", ha detto il segretario regionale di Cisl metalmeccanici, Rino Barca. "Abbiamo necessità di conoscere il piano industriale e di avere delucidazioni su quello occupazionale", ha aggiunto. I lavoratori interessati sono in tutto circa settecento, quattrocento diretti e trecento degli appalti.

Oltre a ciò, continua il numero uno di Fsm Cisl, "è importante capire quali saranno i tempi per il riavvio dello smelter". La ripartenza delle linee è prevista secondo un processo graduale, che potrebbe impiegare anche un anno. In ogni caso, "sarà fondamentale verificare la capacità di reazione di uno smelter che dovrà produrre 150mila tonnellate di alluminio".

Simile impostazione per il leader Uilm, Rocco Palombella: "Ora ci sono le condizioni per conoscere il piano industriale. Vogliamo capire quali e quanti investimenti, e con che tempi di realizzo, saranno effettuati dal gruppo svizzero oltre a voler conoscere il perimetro occupazionale dell'operazione". "Il compito del Mise non può dirsi esaurito: deve infatti garantire sulla compatibilità finanziaria dell'operazione. Garantire cioè che il gruppo elvetico sia in grado di reggere finanziariamente l'acquisizione ed il rilancio di Portovesme", ha aggiunto la leader Fiom, Francesca Re David. Sulla forza finanziaria del gruppo, ha aggiunto, "siamo al buio completo così come siamo al buio sul piano industriale che avremmo sperato di discutere prima del perfezionamento della cessione alla Sider Alloys e che dunque dobbiamo affrontare immediatamente".

Fonte: La Repubblica

 

16 gennaio 2018

 

Cooperazione: il budget oscuro, tra aiuti allo sviluppo e contrasto all'immigrazione

Una nuova analisi di Openpolis e Oxfam fotografa l’impegno italiano sull'uso delle risorse destinate agli interventi nei Paesi poveri e alla lotta alla povertà. Una quota crescente delle risorse rimane nei Paesi ricchi, dove viene usata per gestire l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Questa quota sta letteralmente esplodendo

ROMA - Parla di "opacità" nell'uso delle risorse destinate alla Cooperazione, alle emergenze umanitarie e allo sviluppo dei Paesi poveri, il rapporto lanciato oggi da Openpolis e Oxfam, che rappresenta un primo canale di approfondimento su questi temi. Il rapporto contiene aggiornamenti su aspetti come il raggiungimento degli obiettivi internazionali e l’uso dei fondi, analizzati attraverso i dati ufficiali. L’obiettivo è contribuire al dibattito pubblico fondati su contenuti analitici, corredati da notizie, grafici e infografiche, spunti di riflessione e newsletter tematiche. L'obiettivo è quello di chiedere conto a Istituzioni e alle autorità di riferimento degli impegni e dei risultati ottenuti.

Ma cos'è che andiamo finanziando? Negli ultimi anni, molti dei Paesi europei - Italia inclusa - dichiarano di aumentare le risorse destinate alla Cooperazione allo sviluppo. In effetti, le cifre rendicontate registrano un aumento costante. Ma cosa finanziano effettivamente queste risorse? Raggiungono i Paesi più poveri o no? Parte da qui, la fotografia scattata da Il budget oscuro tra cooperazione e migrazione, seconda edizione di Cooperazione Italia, il lavoro di analisi, realizzato da Openpolis e Oxfam, che fa i conti dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo italiano (Aps), incrociando in questa edizione un altro capitolo della spesa pubblica, quello per l’emergenza migranti, come viene definito nel Documento di Economia e Finanze (def) del 2017 “Un trasferimento di risorse e mezzi in Paesi e aree ancora in difficoltà”, così la Cooperazione allo sviluppo continua a essere raccontata ufficialmente. Da alcuni anni, tuttavia, una quota crescente di Aps rimane nei Paesi ricchi, dove viene usata per gestire l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Questa quota di aiuto sta letteralmente esplodendo, ragione per cui i fondi sulla carta destinati a promuovere lo sviluppo di Paesi poveri, in realtà rimangono in Italia.

L’impossibilità di vederci chiaro su due budget contigui. In questo esercizio di trasparenza sui conti pubblici è stato necessario incrociare due capitoli della spesa pubblica apparentemente distinti, entrambi in crescita costante negli ultimi anni. Da un lato, le risorse Aps, composte da una quota sempre maggiore di risorse per l’accoglienza dei rifugiati. Dall’altro lato, le stime fornite nel Def 2017 per la gestione dell’intero fenomeno migratorio, comprensivo di richiedenti asilo e rifugiati, e di tutti gli altri migranti. I due consuntivi di spesa hanno in comune la voce “accoglienza” e dovrebbe essere possibile metterli in relazione. “Si tratta di una partita di 6,6 miliardi di euro nell’ultimo anno, rispetto ai quali è necessario essere trasparenti, fornendo dati leggibili per avere un quadro chiaro e rigoroso sulla classificazione delle risorse impegnate - ha detto Francesco Petrelli, consigliere politico di Oxfam Italia - ad esempio: se è giustificabile che una parte delle risorse, sulla carta destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo, vengono invece dirottate su attività umanitarie, come il salvataggio in mare, non è affatto corretto che quelle stesse risorse vengano spese per l’accoglienza o l’integrazione dei migranti, che è invece giusto gravino su altri capitoli del bilancio statale”.

L’aiuto gonfiato: le risorse che non vanno alla Cooperazione. Nel 2016, il volume dell’Aps mondiale ha superato 154 miliardi di euro, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente (+33% rispetto al 2011). Rispetto al 2015 l’Italia ha incrementato del 13% le risorse e nel 2016 arriva a destinare all’Aps 4 miliardi e 476 milioni di euro. Con l’esplosione dei costi per i rifugiati, aumentano però in modo considerevole i soldi che rimangono nei Paesi donatori, tra cui l’Italia, mentre diminuisce costantemente la quota di risorse che raggiunge i Paesi più poveri (least developed countries - ldcs). I fondi degli Stati dell'Unione Europea destinati ai Paesi ldcs passano da 9,7 miliardi di euro del 2011 a 8,5 miliardi nel 2016. I fondi italiani per i Paesi ldcs diminuiscono del 71%. Negli stessi anni i fondi dei paesi Ue non destinati geograficamente – voce di bilancio composta in gran parte dai costi per l’accoglienza dei rifugiati – passano da 9,2 miliardi di euro del 2011 a 20,8 miliardi di euro nel 2016. Nel nostro Paese l’impegno per la voce rifugiati è aumentato del 63,4% solo nell’ultimo anno, passando dai 960 milioni di euro del 2015 a 1 miliardo e 570 milioni del 2016. Nel 2015, costituiva il 24,3% dell’Aps totale, per arrivare al 35% nel 2016.

Le richieste al Governo. “Chiediamo al Governo italiano - ha aggiunto Francesco Petrelli - un graduale azzeramento delle risorse etichettabili come 'aiuto gonfiato', cioè costituito da risorse che non finanziano progetti di Cooperazione in senso stretto, oppure che non sono realmente addizionali. Questo tipo di aiuto mina i criteri di efficacia degli interventi e limita i possibili successi nella lotta alla povertà. È necessario che l’Aps italiano - ha detto ancora Petrelli - non solo cresca quantitativamente, confermando nella nuova legislatura il rispetto degli impegni a breve e lungo termine, con l'obiettivo di raggiungere lo 0,7% del rapporto (Aps/Rnl: Aiuto Pubblico allo Sviluppo-Reddito Nazionale Lordo) entro il 2030; ma sia progressivamente composto solo di aiuto autentico. Già nel corso del 2018 - ha concluso il senior policy advisor di Oxfam - raccomandiamo il riferimento alle nuove regole stabilite dal comitato sviluppo dell’OCSE e chiediamo una maggiore trasparenza nella rendicontazione degli aiuti, soprattutto dopo che la recente adesione dell'Italia all’Indice internazionale di trasparenza degli aiuti (IATI)".

Il fondo Africa. Il fondo Africa dotato per il 2017 di 200 milioni di euro, rappresenta una vicenda emblematica per la contiguità stabilita ufficialmente tra Cooperazione, controllo delle frontiere e aspetti militari, Di questi, sono stati rendicontati solo 143 milioni di euro e comprendono anche interventi militari. Il Niger riceve il 48% di queste risorse, seguito dalla Libia a cui va il 29%. Tra gli interventi in apparenza di tipo militare si segnalano i 12 milioni di euro destinati alla Tunisia per la manutenzione di motovedette, rimpatri celeri e formazione di polizia di frontiera.

Fonte: La Repubblica

 

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