24 giugno

   
Lettera aperta di un'iraniana al suo popolo e all'Occidente
Tutto e' nero.Tutto ha perso il significato. Anche la lotta virtuale su internet. Su Facebook vedi tutti gli utenti con la stessa foto con i nomi cambiati. Non riconosci più gli amici.

Ti dicono di fare la stessa cosa. Ti dicono che gli studenti che in Italia hanno partecipato alle manifestazioni al rientro in Iran sono stati arrestati o si sono visti ritirare il passaporto. "Non tornare in Iran", ti dicono e tu senti un vuoto nel cuore. Fino a poche settimane fa ti sentivi soffocata perche' avevi paura di dire quello che pensavi. Oggi tremi nella prigione dell'angoscia di non poter piu' tornare nel tuo Iran. Pensi agli occhi della ragazza pochi secondi prima della sua morte, li ha visti tutto il mondo. Sta morendo e le dicono "non aver paura" e muore. Non so se ha avuto paura. Non avevo visto morire nessuno. In lei ho visto morire il mio Paese. Nei suoi occhi che si perdevano nel nulla ho visto morire l'umanità. Ebbene ti dici che non hai niente da perdere. Tanto ormai abbiamo perso tutti. Siamo dei grandi perdenti.

Abbiamo perso il nostro Iran. Ha perso la democrazia, cosi' come hanno perso i nuovi amici occidentali dell'Hitler iraniano. Anzi. Qua dobbiamo parlare di tanti Hitler. Stringetevi la mano e fate un brindisi con l'Occidente adesso che l'Iran non esiste piu'. Il nostro grido soffocato verra' forse ricordato dalla storia.
Il nemico e' nostrano. Segue le orme d'Israele. Le folle disperate degli iraniani intorno ai cadaveri morti mi ricordano i palestinesi. Quasi la stessa disperazione, ma la stessa identica angoscia, perche' l'Iran e' ormai occupato.
Noi abbiamo votato, loro ci hanno ucciso e l'Occidente ha taciuto. Voi fate brindisi alla vostra vittoria. Noi piangeremo la nostra rovina.

Solo fino a pochi giorni fa, verde era il colore della speranza. Oggi e' il colore del sangue, del lutto, della perdizione, degli occhi che si spengono per un Paese.
"Non avere paura", mi dico. Eppure piango e tremo. Ho sempre pensato a quelli che per aver detto la verita' dovevano vivere lontano dal Paese. Oggi vedo me e i miei amici tremare afflitti dalla paura. E' immisurabile la profondita' di questo dolore.
Ci hanno dimenticato tutti. Perfino il buon Dio sembra non voler sentire le nostre grida. E io non so piu' cosa rispondere agli amici atei. Hanno un sorriso amaro. Come se mi volessero dire "avevamo ragione noi".
Urla un'intera nazione. E il mondo sta a guardare tutto in silenzio. Aiutateci a rompere il silenzio. Aiutateci a tenere vivo il verde. Aiutateci a salvare quel poco che e' rimasto dell'Iran. Aiutateci a credere che l'umanita' esiste ancora. Non vi chiediamo molto: basta portate qualcosa di verde, fosse anche una semplice foglia attaccata sulla camicia.
E tu, buon Dio Onnipotente, se esisti davvero muovi almeno un dito.

Nardana Talachian, per tutti i ragazzi in piazza a Teheran

 

22 giugno

 

Estate da papi

di Marco Lillo e Peter Gomez

Il motoscafo del premier carico di belle ragazze: la pilotina dei Carabinieri. L'attracco a villa La Certosa. Le ferie di agosto di Berlusconi nel 2008

Palazzo Grazioli o villa La Certosa. Cambia lo scenario, ma il copione è sempre lo stesso: gran via vai di ragazze, tutte giovani e belle. Qualcuna è in cerca di soldi. Qualcun'altra vuole il successo e la fama. Ottobre scorso: un grande salone della residenza romana, una ventina di invitate, pizza, champagne e poi l'arrivo del premier, Silvio Berlusconi, che sorride, parla di politica, canta, si esibisce nelle sue mitiche barzellette.

Questo è il racconto che Patrizia D'Addario, candidata consigliere comunale a Bari in una lista vicina al centrodestra, ha regalato mercoledì 17 giugno al "Corriere della Sera". Una festa piccante, con tanto d'imprenditori specializzati nel procurare ragazze all'amico Silvio, che ricalca lo schema del veglione per il Capodanno 2008 già descritto da "L'espresso, ma ambientato in Sardegna.

Ed è proprio lì, nel buen retiro gallurese del presidente del Consiglio, che in agosto, un nuovo andirivieni i giovani donne viene fissato in immagini. In quei giorni, vista da lassù, dalla cima della ripida salita che dal mare porta fino a villa La Certosa, davvero l'Italia sembra essersi trasformata in un grande reality. Giù nella baia, tra le vele e i motoscafi, il Grand Bleu del magnate russo Roman Abramovich si staglia placido e imponente con i suoi 112 metri di lunghezza, pronto a calare in acqua uno dei suoi cinque tender per condurre a terra il proprietario del Chelsea.

Più vicino a riva, guardato a vista dalla pilotina dei carabinieri solita pattugliare la scogliera quando il capo dell'esecutivo è in casa, ecco lo Sweet Dragon: il Magnum 70 che il Cavaliere si era regalato 14 anni prima, subito dopo la sua storica discesa in campo. I fotografi, appostati nella speranza d'immortalare Abramovich, riprendono la potente e veloce imbarcazione del premier mentre è in manovra d'attracco.

Così nella memoria di una Nikon finiscono alcune scene di vita quotidiana di villa La Certosa. Sono le immagini di sette sinuose ospiti di Berlusconi che entrano nella sua tenuta dopo una giornata di sole e salsedine. L'orologio digitale della macchina fotografica segna le 17,32 del 14 agosto. Quel giovedì, come era sempre accaduto a partire dal 2005, Berlusconi era atteso per la tradizionale cena di Ferragosto dalla sua amica e vicina di casa, Anna Bettozzi, una consulente immobiliare dall'età indefinita che, folgorata sulla via del rock, si è reinventata cantante con il nome d'arte di Ana Bettz. Ana e il marito ci rimangono però male, perché "lui", questa volta, non arriva.

Si presenta invece il fratello Paolo, seguito poco dopo dalla sorella, recentemente scomparsa, Maria Antonietta. Paolo si giustifica: "Silvio non è potuto venire perché ha gente a cena ". E chi siano gli ospiti, o meglio l'ospite d'onore, lo racconteranno poi i giornali. Abramovich è alla Certosa, accompagnato da un gruppo di amici per discutere di affari, politica e soprattutto di calcio: in ballo c'è il rientro al Milan dell'attaccante Andriy Shevchenko, per nulla soddisfatto dell'esperienza londinese nelle fila del Chelsea. Le cronache della serata, come sempre accade quando si parla dei raduni conviviali di Berlusconi, sono però povere di particolari.

Si sa che Mariano Apicella ha allietato la compagnia cantando "Nel blu dipinto di blu", "'O sole mio", e "'O marenariello"; che ha accennato alla chitarra, in onore dell'ospite russo, "Oci ciornie" e che con Berlusconi ha anticipato alcuni brani del loro nuovo cd, in quel momento ancora in preparazione. Su tutto il resto, invece, è buio fitto. Non è chiaro se Veronica, da poco (momentaneamente) riconciliata col marito, sia presente in villa, né chi siano le ospiti femminili del premier. Una volta ingrandite, le foto scattate a riva e sulla barca del Cavaliere regalano comunque almeno quattro volti (e in qualche caso tatuaggi) straordinariamente somiglianti a quelli di ragazze destinate nei mesi successivi a fare molta carriera: tre stelline della tv (due protagoniste di reality e un'aspirante giornalista Mediaset), più una giovane promessa del Pdl. Inutile però cercare da loro conferme. "L'espresso" si è imbattuto in un muro di: "Non sono io" e di: "Mai stata a villa Certosa".

L'esponente politico non ha poi nemmeno voluto specificare dove avesse trascorso il Ferragosto. Questa volta, insomma, per Berlusconi niente veline ma, almeno ufficialmente, solo sosia. Gli interrogativi sull'identità delle ragazze appaiono comunque destinati ad avere vita breve. Esistono infatti altri scatti degli ospiti del premier durante quella tre giorni ferragostana. A riprenderli è stato l'ormai celebre fotoreporter sardo Antonello Zappadu che, tra il 2006 e il 2009, ha documentato con pazienza gli atterraggi e i decolli a Olbia degli aerei utilizzati da Berlusconi ed è anche riuscito a fotografare ciò che accadeva accadeva all'interno del parco della villa. Zappadu, tra l'altro, ha immortalato il premier il 17 agosto 2008, mentre s'imbarca su un volo per Milano, dove va a seguire un'amichevole del Milan. E, il giorno successivo, a quanto risulta a "L'espresso", ha pure fotografato un gruppo di giovani donne che si dirigono verso l'eliporto della tenuta. Con tutta probabilità le stesse che quattro giorni prima scendevano dal Magnum 70 del Cavaliere. In tutto sono 5 mila immagini messe in vendita sul mercato dei media internazionale da un'agenzia fotografica colombiana. Prima o poi, insomma, saranno pubblicate anche quelle, e molti dei segreti cadranno di botto. A svelare gli altri, invece, ci penserà forse la magistratura. A Bari la Procura indaga su due imprenditori sospettati di aver reclutato a pagamento alcune delle ospiti del premier. E molti pensano che sul reality di casa Berlusconi stiano per sfilare i titoli di coda.

 

L'ultimo appello
In occasione del decennale dei bombardamenti Nato in Kosovo, Amnesty chiede la verità per i desaparecidos del conflitto

Ci sono storie che proprio non si vogliono raccontare. La storia corre in fretta, senza guardarsi indietro. Il 9 giugno 1999, dieci anni fa, finivano i bombardamenti della Nato sulla Serbia. Da allora tante cose sono cambiate, al punto che per alcuni stati il Kosovo non è più una provincia serba a maggioranza albanese ma uno stato indipendente.

Kosovo graffiti. Il conflitto in Kosovo ebbe inizio il 24 marzo 1999 e terminò il 9 giugno dello stesso anno, con l'accordo di pace firmato a Kumanovo. La Nato decise di intervenire per porre fine a quella che ritenne una pulizia etnica perpetrata dal governo serbo contro gli albanesi in Kosovo.
Per 77 giorni i bombardieri Nato, inquadrati nell'operazione Allied Force, martellarono obiettivi militari in Serbia e in Kosovo. Come in tutte le guerre, però, ci sono gli effetti collaterali: il il 5 aprile un missile Nato mancò l'obiettivo ad Aleksinac e uccise 17 civili, il 12 aprile la Nato colpì per errore un treno di civili a Grdelica e ne uccise 55. Due giorni dopo, a Djakovica, sempre per errore, venne colpita una colonna di profughi: 75 morti. Un altro errore il 23 aprile, quando venne colpita la sede della tv a Belgrado e morirono 10 persone, mentre il 27 venne colpita una casa a Surdulica e rimasero uccise venti persone. Poi una corriera a Pristina il il 1 maggio: 47 morti. Il 7 maggio vennero colpiti, per sbaglio, l'ospedale civile e il mercato di Nis: 20 morti. Il giorno dopo venne centrata l'ambasciata della Cina a Belgrado e morirono tre persone. Il 13 maggio una bomba Nato colpì un campo profughi a Korisa uccidendo 87 persone. Furono 20 le vittime del bombardamento dell'ospedale di Surdulica. Una lunga catena di lutti, ormai dimenticati.

Un passato che non passa. Amnesty International, però, non ha dimenticato. In occasione dell'anniversario ha voluto tornare a occuparsi di quelle ''circa 1900 famiglie tra Kosovo e Serbia che ancora non hanno informazioni sul destino o sulle spoglie dei loro parenti dispersi'', come ha spiegato Sian Jones, la ricercatrice di Amnesty in occasione della presentazione di Seppellire il passato: 10 anni di impunità per le sparizioni forzate e i rapimenti in Kosovo, l'appello dell'organizzazione non governativa rivolto a tutti gli attori coinvolti nella vicenda. I governi di Serbia e Kosovo, l'Unione europea e la sua missione civile in Kosovo Eulex. Amnesty chiede all'Ue che vengano stanziate risorse adeguate per sostenere i tribunali che lavorano ai casi dei desaparacidos del conflitto del 1999 e per mettere in cantiere programmi di protezione dei testimoni dei crimini commessi durante il conflitto. ''Un sostegno che deve essere politico, non solo economico'', ha concluso Jones.
I dati di Amnesty sono eloquenti: sono almeno 3mila gli albanesi del Kosovo spariti nel nulla durante il conflitto, per mano di polizia, esercito e milizie paramilitari serbe. A questi vanno aggiunti gli almeno 800 tra serbi, rom (che le milizie albanesi ritennero alleati dei serbi) ed esponenti di altre minoranze etnico - religiose che finirono nelle mani dell' Uck, la milizia albanese del Kosovo.

Pace e giustizia. Un rapporto di 82 pagine, dettagliato e approfondito, che diviene un atto di accusa verso gli investigatori di Unmik, la missione Nato che dopo la fine dei bombardamenti venne dispiegata in Kosovo con l'ordine di vigilare sull'ordine pubblico e di indagare anche sui desaparecidos. Amnesty lo ha fatto, raccogliendo testimonianze e denunce, di persone che hanno paura di parlare per timore di ritorsioni. L'ong ha raccolto comunque una serie di storie che dipinge un puzzle fatto di esumazioni non documentate, documenti smarriti, ingerenze politiche nel sistema giudiziario, inchieste insabbiate e una pletora di soggetti inquirenti coinvolti che ha finito per vanificare gli sforzi delle indagini. Un muro di gomma, che ha privato i parenti dei desaparecidos del diritto di avere accesso alle informazioni sulle inchieste in corso. Una coltre è calata sul destino di almeno 3800 persone, generando un buco nero nella storia di quel conflitto. Un buco nero nel quale sono precipitati luoghi come la fonderia di Mackatica, dove sarebbero stati cremati centinaia di civili albanesi, oppure la famigerata 'casa gialla' nei pressi del villaggio di Burrel, dove circa 300 serbi sarebbero stati uccisi e privati degli organi. Un buco nero nel quale i parenti delle vittime aspettano, dopo dieci anni, di poter guardare. Per dimenticare in pace.

Christian Elia

 

Haiti, soldati ONU accusati di aver ucciso un manifestante

Secondo alcune testimonianze avrebbero risposto sparando al lancio di pietre

Una persona è morta oggi ad Haiti, colpita da una pallottola alla testa, in seguito agli incidenti di piazza scoppiati dopo il funerale di padre Gerard Jean Just, un sacerdote impegnato nella difesa dei diritti dei più deboli. A sparare sarebbero stati alcuni soldati della Minustah, la missione dell'Onu per la stabilizzazione del Paese, .

Il portavoce dell' Onu ha subito negato il coinvolgimento dei caschi blu, ma alcuni testimoni riferiscono di aver visto almeno tre soldati della Minustah mirare contro la folla. Gli incidenti sono iniziati al termine del funerale di padre Gerard Jean Juste, un sacerdote haitiano molto stimato dalla popolazione per la sua opera accanto ai più deboli, quando la rabbia contro il governo per la situazione economica devstante che attanaglia il Paese, si è scagliata contro i caschi blu, accusati di proteggere il governo di Rene Preval, con un lancio di pietre. A queste, gli uomini della Minustah avrebbero reagito imbracciando i fucili. Gli scontri sono proseguiti poi nella zona dell'università, con i cassonetti della spazzatura e alcuni autobus incendiati a mo' di barricate. I manifestanti hanno chiesto la partenza dei soldati Onu dall'isola e l'avvio di una serie di riforme politiche ed economiche in grado di risollevare le condizioni di uno dei paesi più poveri al mondo.

 

Hamas: "La CIA ha collaborato con l'ANP di Abbas"

L'accusa su un sito web. Abbas con l'aiuto della Cia voleva eliminare Muhammed Deif

La Cia ha collaborato Mahmoud Abbas, il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese per tentare di eliminare uno dei leader militari di Hamas, Muhammed Deif: lo sostiene il sito web del braccio armato di Hamas, le Brigate Ezzedin al-Qassam. Citando un portavoce dell'organizzazione, Abu Obeida, il sito afferma di aver ricevuto una documentazione risalente ad alcuni anni fa dalla quale emergerebbe una stretta collaborazione a Gaza di agenti della Cia con i servizi d'informazione di Abbas allo scopo di seguire i movimenti di Deif e di ascoltarne le conversazioni. Considerato da Israele uno dei terroristi palestinesi più pericolosi, Deif è scampato a ripetuti attentati.

 

16 giugno

 

A piazza Farnese a Roma l'iniziativa degli "autoconvocati". A Bologna manifestazione in musica. Alla Camera convegno con Napolitano

In piazza per ricordare Berlinguer."Avremmo ancora bisogno di lui"

Enrico Berlinguer

ROMA - Era l'11 giugno del 1984 quando Enrico Berlinguer moriva. Quelle immagini del malore durante un comizio a Padova, i giorni d'agonia e la marea umana che invase Roma per i funerali del leader comunista segnarono una pagina di storia d'Italia. Oggi, a distanza di 25 anni, sono molti a pensare che quella eredità non dovrebbe cadere nell'oblio ed ecco le cermonie organizzate per ricordarlo. Ufficiali e non solo.

A Roma, per esempio, l'appuntamento è per giovedì alle 18.30 in piazza Farnese. L'idea è venuta ad un gruppo di ex comunisti, ex diessini, attuali militanti nel Pd o semplici estimatori della figura di Berlinguer, adesso impegnati nella società e nella politica. Nata per caso, l'iniziativa è iniziata a lievitare attraverso giri di telefonate e mail. Nessuna cerimonia ampollosa e nessun palco. Solo un microfono e un modo semplice per ricordare uno dei leader più amati della storia comunista.

"Siamo un gruppo di cittadine e cittadini che, ispirati dalla memoria di Enrico Berlinguer, hanno sentito l'esigenza di celebrare in mezzo alla gente il venticinquesimo anniversario della sua morte" scrivono i firmatari dell'appello. Il 21 maggio, alla Camera, a ricordare l'ex segretario Pci, si era svolto un convegno aperto da Dario Franceschini. "L'esempio dell'uomo e del politico rappresenta un patrimonio per l'intera nazione, al di là degli steccati di parte. E di tale esempio noi siamo convinti che l'Italia e gli italiani abbiano ancora estremo bisogno, soprattutto in una stagione così travagliata come quella che il nostro Paese sta attraversando" scrivono i promotori dell'iniziativa. E a piazza Farnese ci saranno anche alcuni esponenti politici. Campagna elettorale permettendo.

Ancora un'iniziativa, all'Auditorium di via Rieti, giovedì pomeriggio. Si tratta di un convegno dal titolo "La questione morale", dove interverranno Giovanni Berlinguer, Giovanni Bachelet, Antonio Padellaro, Ivan Scalfarotto e Walter Tocci.

A Bologna, invece, sul palco di piazza 8 Agosto, si alterneranno cantanti e personaggi dello spettacolo e della politica."Per Enrico" è il titolo dell'iniziativa a cui parteciperanno, tra gli altri, Pierluigi Bersani e Romano Prodi. Tanti i cantanti, compresi i Modena City Ramblers che ai funerali del leader comunista hanno dedicato un brano. Ed ancora attori come Sabrina Ferilli, Massimo Ghini e Paolo Rossi. Uniti nel nome di un uomo che non ebbe mai un ruolo di governo, non entrò mai nella 'stanza dei bottoni', ma che ha lasciato una traccia indelebile. La manifestazione, curata da Estragon e dalla Fondazione Duemila, vuole essere "una grande festa popolare e apartitica - spiega Lele Roveri, presidente di Estragon - per dare un tributo alla figura più importante della sinistra del dopoguerra. Per chiunque ha fatto politica, Berlinguer è un punto di riferimento".

Il convegno. Domani alle 18, nella sala della Regina a Montecitorio si terrà il convegno "Enrico Berlinguer: l'uomo, i valori, la politica". Parteciperanno il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini. Parleranno Umberto Gentiloni, Giuseppe Pisanu, Carla Ravaioli ed Alfredo Reichlin.

12 giugno

 

di Giuseppe Di Lello
LA MAFIA RINGRAZIA
Il vero problema per le intercettazioni telefoniche era quello della loro pubblicazione e, quindi, del rispetto della privacy di persone che, seppur non implicate nelle indagini, venivano sbattute in prima pagina, spesso a causa della loro notorietà. Il governo però ha preso al volo l'occasione per regolare i conti con il sistema stesso delle intercettazioni, con i magistrati e con la stampa, uniti in una specie di «grumo eversivo» che in questi ultimi anni tanto danno ha fatto agli affari berlusconiani, pubblici e privati.
In un Paese afflitto da una cronica elusione delle leggi, la maggioranza di centrodestra sta rendendo ulteriormente complicato i controlli di legalità e, procedendo a colpi di voti di fiducia, oggi frena le indagini e imbavaglia la stampa come antipasto al già depositato progetto di riforma del processo penale che lo allungherà in ossequio alla certezza non della pena, ma della prescrizione.
Le modifiche alle intercettazioni prescindono, innanzitutto, dal necessario carattere d'urgenza e tempestività richiesto dalle circostanze. La richiesta del pm infatti deve essere vistata dal procuratore capo e inviata non più al gip del tribunale competente, ma al gip del tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello nel cui ambito ha sede il gip competente che, poi, dovrà decidere in composizione collegiale. Cioè se, per esempio, il gip competente è quello di Agrigento, la richiesta va inviata al gip del tribunale di Palermo che, appunto, è il tribunale del capoluogo del distretto. Alla sicura perdita di qualche settimana di tempo, si deve aggiungere che l'intercettazione può essere disposta solo se vi sono «gravi indizi di colpevolezza» ed è «assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini»: ma ciò attiene già ad una fase di acquisizione di prove abbastanza tranquillizzante per l'accusa e, pertanto, l'intercettazione sarebbe assolutamente superflua.
Le intercettazioni non possono durare più di trenta giorni, prorogabili per altri trenta giorni in due volte, ma per una serie di reati gravi i termini possono essere prorogati per tutta la durata delle indagini preliminari e basta che ci siano sufficienti indizi di reato. E' abbastanza chiaro che queste modifiche restrittive comporteranno gravi intralci alle indagini, specie per i reati dei «colletti bianchi» che, a questo punto, saranno pressoché impossibili per il combinato disposto dei gravi indizi di colpevolezza e della tagliola temporale.
Seppur intralciate, di esse comunque non se ne potrà avere notizia «anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari». Fatte salve le persone non implicate nelle indagini, perché ci deve essere un così pesante vulnus per il diritto all'informazione afferente, per giunta, anche a fatti sui quali non c'è nemmeno il segreto istruttorio? 
I tempi delle indagini preliminari sono a volte lunghi - soprattutto quelli che riguardano la criminalità organizzata - e sulle grandi inchieste calerà un silenzio tombale, rafforzato da pesanti sanzioni sia per i giornalisti (per i quali è addirittura previsto il carcere) che per i magistrati.
E' proprio a partire dall'inizio delle indagini che il diritto all'informazione deve dispiegarsi nella sua interezza se si vuole un vero «controllo sociale» sulla effettività e completezza delle stesse specie ora che si profila all'orizzonte una notizia di reato sottratta ai pm e affidata interamente alla polizia e, cioè, all'esecutivo.
Avremo un paese imbavagliato a maggior gloria dei criminali che truffano lo Stato, corrompono, devastano l'ambiente e attentano alla salute o alla vita dei cittadini o degli operai nei cantieri, tanto per fare qualche esempio esemplificatorio e non esaustivo. A chi giova tutto ciò se non ad una maggioranza di governo che nell'illegalità diffusa trova un grande bacino di consenso sociale ed elettorale?
C'è però, ed è necessario che monti e si rafforzi, una altrettanto grande area di opposizione sociale ed istituzionale a queste norme liberticide, a partire dai magistrati, dalle forze di polizia e dalla stampa, fino ai «semplici» cittadini, tutti espropriati dal diritto-dovere di contrastare l'illegalità e di essere informati sulle malefatte del potere: la sinistra, dovunque essa sia, ha una ulteriore occasione di ritrovare compattezza intorno ai valori di legalità così palesemente calpestati.
 
 
MELFI
Fiat non rispetta gli accordi. La denuncia Fiom
La delegazione dei metalmeccanici della Cgil non ha partecipato, ieri, all'incontro previsto sul recupero della produzione della Grande Punto nello stabilimento della Fiat Sata. A Melfi, la produzione è stata bloccata per una settimana a causa di uno sciopero di solidarietà in due aziende dell'indotto, dove gli operai protestavano contro il mancato rinnovo di 70 contratti interinali (con un'anzianità media di quattro anni). Bene: mercoledì scorso era stato raggiunto un accordo nella sede degli industriali locali per il rinnovo (di due mesi) degli interinali in altre aziende dell'indotto, e la produzione era ripresa seduta stante. Ieri la denuncia Fiom: «A diversi giorni dall'intesa, non tutti i lavoratori sono stati richiamati e questo è un atteggiamento contro le istituzioni e la tenuta democratica degli assetti sociali. Fiat fa orecchie da mercante: «Noi non abbiamo firmato nessun accordo circa i lavoratori somministrati»
 

Ecco la guerra degli Italiani

di Gianluca Di Feo
Afghanistan: l'Italia schiera mille combattenti più 2.000 uomini di supporto. Una missione che non si può più chiamare di pace. Ecco la strategia del nostro contingente
 
Dalla fine di maggio la Folgore è passata all'iniziativa. Nelle province di Farah, al confine con la grande area di Helmand cuore dei talebani, e di Baghdis, al confine turkmeno strategico per il traffico di oppio, mille soldati italiani hanno cominciato a muoversi con le forze afghane per riprendere il controllo del territorio.

È la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale che l'Italia schiera una simile quantità di militari operativi: mille combattenti, altri 2000 uomini di supporto. Una missione che non si può più chiamare di pace, concordata e benedetta dall'amministrazione Obama.

Da allora, attacchi e scontri si sono moltiplicati: quasi uno al giorno. E altri rinforzi sono in arrivo: nuovi operativi, nuovi blindati, nuovi elicotteri. Ecco la strategia del nostro contingente e gli strumenti bellici per realizzarla. Con foto e video delle attività.

Americani e italiani, guerra senza quartiere al terrorismo e sostegno alla rinascita dell'Afghanistan. Fino a un anno fa erano missioni rigorosamente separate, con mandati, metodi e finalità molto diverse. Il governo Berlusconi, senza cambiare né le regole d'ingaggio né i numeri complessivi della spedizione, ha abbattuto la barriera. E l'offensiva voluta da Barack Obama renderà le due operazioni sempre più intrecciate.

Già oggi nelle mappe della regione affidata al nostro comando spicca una grande macchia ovale, con una sigla esplicita 'Operation box Tripoli'. È una zona sottratta al nostro controllo per volontà della Nato e consenso del nostro governo: territorio di caccia esclusivo dei marines della Task Force Tripoli, dal nome della prima battaglia combattuta due secoli fa dai fanti di Marina statunitensi contro i pirati musulmani. Nessuno degli alleati deve avvicinarsi a meno di 20 chilometri.

È considerata uno dei santuari dei talebani, utilizzato per organizzare le spedizioni verso Kandahar. Lì sono avvenuti alcuni degli scontri più feroci dell'ultimo anno e anche dei bombardamenti che hanno provocato decine e decine di vittime civili.

Ma anche una fetta rilevante dei rinforzi che il presidente americano sta mandando in Afghanistan prenderà posizione tra gli avamposti della Folgore. L'obiettivo è potenziare e motivare i reparti della polizia afgana, quelli che devono gestire il controllo di strade e paesi. Da giugno, 1.800 marines li affiancheranno, presidiando otto nuove postazioni nella regione 'italiana'. In particolare, stanno costruendo una grande base intorno all'aeroporto di Shindand, una struttura colossale creata dai sovietici e strategica anche per la vicinanza al confine iraniano.

Altri fortini avanzati, sempre con guarnigione mista americana-afgana, vengono edificati in tutta l'area di Farah, spesso a pochi chilometri da quelli dei nostri parà in modo da garantire appoggio reciproco in caso di attacco. La strategia del Pentagono è chiara: isolare la regione di Helmand, il cuore dell'etnia pashtun e della presenza fondamentalista. Per questo un'ala della nuova armata statunitense si muoverà dal confine pachistano; l'altra invece opererà a cavallo della regione di Herat per sigillare le vie di fuga verso Iran e Turkmenistan.

Gli scontri attesi per giugno saranno solo una prova generale della battaglia prevista per agosto, quando i fondamentalisti tenteranno di ostacolare le elezioni presidenziali. "Quella che abbiamo vissuto finora è stata la quiete prima della tempesta, legata al raccolto del papavero da oppio, ma la minaccia d'ora in poi continuerà a crescere fino alle elezioni", spiega il generale Rosario Castellano, comandante delle forze italiane e di tutto il dispositivo Nato nella regione sud-occidentale.

Anche gli italiani riceveranno altri rinforzi. Truppe scelte, per potenziare la Task Force 45: l'élite dei commandos che opera nella terra di nessuno lontano dai fortini. E un reparto di nuove autoblindo Freccia, con torrette e cannoncini per proteggere i convogli.

"L'aspetto militare è solo una componente della missione", insiste il generale Castellano, che sottolinea l'attività svolta dai centri per il sostegno alla popolazione: "Siamo qui per insegnare a pescare, non per distribuire pesci". Ma anche gli afgani chiedono più fondi, per finanziare progetti e iniziative. E a fronte di un costo che quest'anno rischia di arrivare a mezzo miliardo per la spedizione armata in Afghanistan, i finanziamenti disponibili per attività umanitarie sono di poche decine di milioni.

Una cosa è certa. Nessuno in Afghanistan parla più di missione di pace. Che si tratti di una guerra è chiaro sin dai simboli. In tutte le basi della Nato le bandiere sono sempre a mezzasta: il segno di lutto viene dedicato a ogni caduto, occidentale o delle forze governative afgane. E sono mesi che non si vedono le bandiere sventolare in alto
 

8 giugno

Silvio circus

di Edmondo Berselli

Disoccupazione in aumento. Consumi e fatturati in calo. Spesa pubblica fuori controllo. Ma Berlusconi spaccia una realtà immaginaria. Tra annunci epocali e realizzazioni precarie

Cronache da un'Italia molto immaginaria, in cui gli uomini di punta del Popolo della libertà e della Lega ripetono ogni due per tre che in un anno di legislatura il governo Berlusconi ha realizzato l'intero programma dei cinque anni di mandato popolare. Sono leggende, naturalmente, propaganda quintessenziale, alchimia mediatica pura. Si sono già sentite nella legislatura 2001-2006, allorché, imbrodandosi, ogni esponente della Cdl magnificava le 36 riforme del governo Berlusconi. Una mente fredda come quella di Tiziano Treu ebbe gioco facile a rispondere: "Se hanno prodotto la crescita zero, le riforme erano sbagliate". La diagnosi era azzeccata, anche in vista del crollo politico-economico della destra di metà mandato, testimoniato dal siluramento del megaministro Tremonti, accusato da Gianfranco Fini di avere truccato i conti.

Fra le misure 'epocali' attuate dal governo a diretto coronamento della conquista di Palazzo Chigi nel 2008, oltre alla demagogica abolizione dell'Ici vanno messe agli atti la Robin Tax, approvata da Tremonti contro le banche e i petrolieri proprio mentre la congiuntura stava per virare, e gli sgravi fiscali sugli straordinari mentre era sul punto di esplodere il dato della cassa integrazione. Quanto all'efficienza del governo, è sufficiente mettere a fuoco il penoso fallimento della 'social card', strumento mortificante di pauperizzazione di pensionati e ceti non affluenti, che per una serie di incidenti tecnici si è rivelato un boomerang.

È la 'Fiction Italia', benvenuti, una soap opera con la griffe della destra. Un equilibrio sofisticatissimo di annunci epocali e di realizzazioni precarie. Immondizia che sparisce a Napoli per poi provocatoriamente riapparire a Palermo. Equilibri di un potere apparentemente inscalfibile, come quello gestito da Raffaele Lombardo a Palermo, che viene bombardato, "raso al suolo" dal governatore, con un specie di operazione milazziana che azzera alleanze, relazioni preferenziali, blocchi corporativi, e quella fitta trama di scambi che si era imperniata sul rapporto fra il Pdl, l'Udc, i patronage siciliani e i clientelismi locali e nazionali gestiti dall'abilità manovriera del leader del Movimento per l'autonomia.

Ora, che potesse reggere un equilibrio politico fondato proprio sul movimento di Lombardo era escluso dalla logica e dalla politica. Come aveva descritto Pier Luigi Bersani: "Nella destra c'è chi vuole tenere i soldi al Nord, e chi vuole i trasferimenti al Sud. Spiegatemi come si fa a dare le risorse del federalismo fiscale a Bossi e una fiscalità di vantaggio a Lombardo".

In realtà il metodo esisteva, sembra facilissimo e consiste nel gonfiare la spesa pubblica. Ciò che il governo ha fatto con puntualità, trovandosi tuttavia a dover manovrare conti difficili, prima per l'aggravarsi della recessione, poi per la necessità di fronteggiare il disastro sismico dell'Aquila.

In questo quadro largamente negativo, il capo del governo e il suo ministro dell'Economia non hanno saputo dire altro se non di "avere messo in sicurezza il risparmio degli italiani", in particolare con una serie di garanzie sui conti correnti bancari. Ottima scelta, se non si basasse su un'idea di continuità del funzionamento economico che per la verità è tutta da verificare. Perché il punto centrale della 'Fiction Italia' dipende proprio dalla valutazione della crisi economica. Sono mesi che Silvio Berlusconi si aggrappa all'idea che la recessione è tutta un fenomeno psicologico, una specie di ingorgo mentale di cui liberarsi al più presto "con la volontà, con il nostro entusiasmo di imprenditori".

È riuscito a comunicare questi concetti perfino alla platea della Confesercenti, non particolarmente simpatizzante nei suoi confronti, anche se non ha portato a casa risultati significativi. I commercianti, non importa se di destra e di sinistra, vedono ridursi "lo scontrino" e non vedono spiragli di ripresa. La stagnazione è qui con noi. L'entusiasmo non basta.

Per la sua parte Berlusconi, senza averle lette, è riuscito a portare sotto una dimensione 'berlusconiana' le considerazioni finali di Mario Draghi alla Banca d'Italia, che hanno rappresentato in realtà una delle più inquietanti sentenze economiche e finanziarie ascoltate negli ultimi anni. Perché il governatore Draghi non si è certamente fatto infinocchiare dalla retorica della destra, e ha esposto con nitidezza andamenti e fatti. E i fatti sono spietati.

Nonostante le iniziative assunte dal ministro più popolare del governo, vale a dire Renato Brunetta, e tutti i progetti sul piano del welfare ipotizzati nel Libro bianco da Maurizio Sacconi (ancora scolastici, slegati dalla dimensione istituzionale, e ispirati comunque a un'arretrata visione 'caritatevole'), la spesa pubblica è di fatto fuori controllo. Anzi, se si osservano gli andamenti reali della finanza nazionale, come ha rilevato Enrico Letta, e come è stato messo più volte in rilievo da Giuseppe Berta, il brivido nella schiena è assicurato, con un tendenziale del debito pubblico che ci riporta a un rapporto debito-Pil simile a quello degli anni Ottanta (120 per cento nel 2010), e con la sostanziale perdita di controllo del deficit.

In queste condizioni non c'è spazio per l'ottimismo di maniera. Le immagini di Alitalia e di Malpensa stanno lì a dimostrare l'effetto notte delle strategie nazionali e antimercato del governo. Anche perché i tenui segnali di rallentamento della recessione che sembra di incrociare nei dati economici rischiano di essere tutti bruciati dagli effetti reali della crisi. Se si osserva infatti la tendenza del settore manifatturiero nelle regioni italiane tradizionalmente vocate, si intravedono scenari inquietanti, con cadute del fatturato fra il 25 e il 50 per cento.
Le conseguenze di un simile trend sul piano occupazionale sono già state segnalate dal governatore Draghi nelle considerazioni finali, e comportano un incremento della disoccupazione fino a oltre il 10 per cento, con conseguente caduta della domanda di merci e servizi (e quindi con contraccolpi appariscenti nei livelli commerciali e nella grande distribuzione).

Nelle aree di grande industrializzazione come il triangolo industriale, il Nord-est, l'Emilia-Romagna, le imprese stringono i denti, usano con fantasia e duttilità i contratti di solidarietà in tutte le forme possibili, accedono al welfare in modo anche creativo, ma nessuno è in grado di prevedere per quanto tempo potranno resistere.

All'assemblea generale della Confindustria, Emma Marcegaglia ha invitato il premier, con calore e mimica perfino eccessivi, ad approfittare del consenso di cui gode (che andrà verificato alle elezioni europee, per uscire dalla numerologia del 75 per cento), per varare immediatamente "le riforme di cui il paese ha bisogno": che sono poi sempre le stesse, e di solito prendono il via dall'età pensionabile e dalla struttura remunerativa nel medio-lungo periodo della previdenza.

Sulle altre riforme di mercato, a partire dalle liberalizzazioni, nel grigiore delle aule parlamentari e nelle commissioni la destra si è distinta in un'opaca opera di blocco delle vecchie lenzuolate di Bersani, a favore di un modello corporativo che fin qui appare come il vero e unico schema politico-sociale di Berlusconi e Tremonti.

Tanto più che oggi, in attesa del G8 aquilano, si ha la sensazione di una vistosa perdita di credibilità sul piano internazionale, testimoniata ad esempio dalle fallite spedizioni a Teheran del ministro Franco Frattini, e in qualche caso dalla percezione di una politica personale di Berlusconi, rivolta specialmente verso la Russia di Putin, in cui il premier non sembra avere le mani del tutto libere.

Insomma, finora la 'Fiction Italia' ha avuto successo esclusivamente nell'imporre un modello sociale ed estetico. Il mondo velinaro sembra realizzare effettivamente la fase suprema e la malattia senile del berlusconismo: una realtà in cui non si sa chi effettivamente crea valore, chi paga, chi spende, chi incassa. È il mondo dell'immagine e del look, immortalato dal fazzoletto del premier con il fondotinta incorporato. A cui si affianca la politica dura verso l'immigrazione, clandestina o no, con i respingimenti che hanno inquietato anche la gerarchia cattolica.

Tuttavia occorre considerare che l'Italia di oggi, simile in parte alla struttura occupazionale della Germania, è dotata di un apparato industriale che occupa ancora oggi il 20 per cento della forza lavoro. Rispetto a questa realtà, il berlusconismo è del tutto spiazzato. Non ha un'idea di politica industriale. Non ha una cultura in grado di inquadrare concettualmente la questione della crescita.

È possibile quindi che la soluzione alla fiction debba venire da altre fonti. Se è vero che per maneggiare l'evoluzione della crisi economica occorrono strumentazioni politiche assai più sofisticate, occorrerà prendere atto che nelle ultime settimane si è assistito a una fortissima redistribuzione dei poteri al livello internazionale, che dalla Casa Bianca di Barack Obama ha coinvolto la Francia di Nicolas Sarkozy e soprattutto la Germania di Angela Merkel.

Gli effetti di questa redistribuzione si sono visti nell'afasia del governo sul caso Fiat-Magna International, con i balbettii provinciali dei nostri ministri economici, Sergio Marchionne lasciato allo scoperto e la completa assenza di Berlusconi dal gioco grande, impegnatissimo com'era nel difendere i suoi silenzi sulle vicende velinare con le trame dei suoi staff produttori a getto continuo di format fasulli.

Per questo può nascere la sensazione che nonostante tutto, nonostante la maggioranza monstre, nonostante la sicurezza ostentata dal premier, qualcosa di essenzialmente politico si stia aggirando lentamente dentro la politica italiana, cercando qualche sbocco inatteso. Il partito unico del berlusconismo presenta diversi buchi. E allora l'attivismo ancora imprecisato ma visibile di Massimo D'Alema, il tentativo radical-conservatore di Gianfranco Fini, con i suoi continui spostamenti laterali dal paradigma del berlusconismo, e anche l'embrione di associazioni e fondazioni come quella di Luca Cordero di Montezemolo, sembrano dire che il grande processo di semplificazione (populista e istituzionale) a cui guarda o guardava Berlusconi, pare ormai secondario rispetto a ciò che avviene nel cuore della realtà politica.

La fiction potrebbe durare ancora, finché piacerà all'amoralismo degli italiani. Ma è assai difficile che la 'Fiction Italia' possa trovare un buon finale con la farragine narrativa di un modello che ormai appare largamente sfasato rispetto alla durezza della realtà

 

Italia-Usa, i segreti nucleari

di Gianluca Di Feo

Un dossier firmato Barack Obama divulgato per errore. Con dentro tutti i siti nucleari segreti degli Usa. E a sorpresa anche due progetti italiani

Un reattore della centrale di Caorso
Accomodatevi. Entrate nel cuore nucleare degli Stati Uniti: nei laboratori bunker dove gli scienziati progettano reattori innovativi; nei centri ricerche dove viene studiata la fusione del futuro; negli uffici dove si analizzano formule fisiche lunghe come autostrade. Avete paura di perdervi? Nessun problema: ci sono indirizzi esatti al centimetro, indicando anche i numeri delle stanze e mappe dettagliate dei complessi più significativi. Curiosi, appassionati e terroristi di Al Qaeda potrebbero individuare gli obiettivi senza nessuna possibilità di errore. Perché quello accaduto nel Congresso degli Stati Uniti è stato un errore colossale. Il dossier della Casa Bianca su tutti gli impianti nucleari è finito in rete. È diventato così pubblico un documento di 267 pagine, firmato dal presidente Barack Obama il 5 maggio scorso e destinato all'Iaea, l'Agenzia atomica internazionale: la precisione degli indirizzi nasce proprio dalla necessità di mettere gli ispettori internazionali in condizione di localizzare e controllare i siti. Cosa che adesso possono teoricamente fare tutti.

Il dossier è classificato come Highly Confidential Safeguards Sensitive: altamente confidenziale e sensibile, ma non formalmente segreto. Una finestra legale che ha convinto alcuni siti americani a rilanciarne la diffusione: primo fra tutti Fas, la federazione degli scienziati americani da sempre molto combattiva sul tema del nucleare. E, sorpresa delle sorprese, il secondo sito dell'elenco firmato Barack Obama riguarda l'Italia. Viene descritto un progetto della Westinghouse di Pittsburghs realizzato insieme a due enti italiani, l'Enea di Bologna e la Siet (società Informazioni ed esperienze termoidrauliche) di Piacenza, che ha tra gli azionisti Enea, Enel e Ansaldo.

Si tratta di un esperimento sugli incidenti nei reattori nucleari di nuova generazione: obiettivo è analizzare le piccole fratture con perdita di liquido di raffreddamento. Il problema classico delle grandi centrali, quello della fuga radioattiva di Three Miles Island nel 1979 che ispirò anche il film "Sindrome Cinese". Obiettivo della ricerca è quello di progettare un laboratorio dove vengano simulati questi incidenti e poi condurre dei test. Lo scopo finale è quello di arrivare a costruire un reattore integrale con sistemi di sicurezza interamente passivi: apparati che entrino in funzione automaticamente, senza bisogno di intervento umano, rendendo l'impianto a prova di errore. Il tutto incluso nel programma internazionale Gnep. Il progetto italo-statunitense è stato approvato - recita la scheda - nel maggio 2005 e si prevede che venga completato entro il settembre 2012. Fa parte degli studi mantenuti in vita nel nostro paese nonostante il referendum del 1986 che decretò la fine della produzione di energia nucleare e la chiusura delle centrali.

Un secondo programma parallelo unisce la Westinghouse, la Siet di Piacenza, il Politecnico di Milano, l'università di Pisa e un ateneo croato. Si tratta di studiare gli incidenti in un altro tipo di reattori integrali. Il progetto è cominciato nel settembre 2006 e si chiuderà tra due anni. Il tutto nell'ambito di una ricerca internazionale chiamata Iris. Il resto dell'elenco è molto suggestivo. Ci sono i laboratori di Los Alamos, quelli dove Enrico Fermi guidò la costruzione della prima bomba atomica. O il centro di ricerche di Oak Bridge e quelli della Pacific Northwest di Richland (Wa). O le analisi sui depositi di scorie di Idaho Falls. Tutto il complesso del gruppo francese Areva di Lynchburg in Virginia viene descritto nei minimi dettagli, piante, sezioni e postazioni di guardia incluse. C'è una sola aerea oscurata, di cui vengono fornite tutte le indicazioni e le mappe ma non la località: sono depositi di plutonio e derivati, fondamentali per il combustibile e per le testate nucleari.

 

Israele, la lobby Usa dei coloni

Come il re dei casinò californiani finanzia l'estensione degli insediamenti

Per scoprire quanto stabili e intimi siano i legami tra governo e coloni in Israele, bastava presenziare alla consegna dei Premi 'Moskovitz' per il Sionismo, il 22 maggio scorso a Gerusalemme. A dispetto delle richieste di Obama, che verranno sicuramente reiterate domani nel corso della sua visita al Cairo, il governo di Netanyahu ha annunciato l'espansione degli insediamenti in Cisgiordania. Il perchè lo spiega la storica e profonda influenza esercitata dal partito dei coloni nella politica israeliana. Una contiguità, se non una compenetrazione vera e propria, ben palpabile nella cerimonia del 22 maggio.

'Scarso aiuto alla pace'. A rivelare tali legami è Max Blumenthal, un giornalista ebreo statunitense, tanto acuto quanto ironico, detestato dalla comunità ebraica Usa per la sua critica feroce della destra ultraortodossa. Blumenthal è riuscito a farsi invitare alla cerimonia di premiazione del Premio Moskovitz per il Sionismo tenutosi una decina di giorni fa a Gerusalemme Est. Alcune migliaia di ebrei radicali si sono riuniti di fronte a un palco con mega-schermo montato (provocatoriamente?) a poche decine di metri dal quartiere di Silwan, dove le autorità municipali prevedono di demolire 88 case di cittadini palestinesi per costruire un parco tematico archeologico, espellendo quasi 1.500 residenti. Un'operazione definita eufemisticamente dal Segretario di Stato Usa Hillary Clinton 'di scarso aiuto' alla causa della pace.

Nomen omen, il premio Moskovitz è stato organizzato da Irvin Moskovitz, padrone della catena californiana di casinò 'Hawaiian Gardes'. Denunciato più volte per lo sfruttamento di lavoratori irregolari, Moskovitz da anni convoglia milioni di dollari verso Israele per sostenere l'espansione degli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Solo chi si distingue per particolari meriti alla causa sionista viene insignito dell'omonimo premio. Moskovitz è ricordato da Blumenthal per la sua amicizia con il Primo ministro Netanyahu, convinto proprio da lui a costruire nel 1996 un'uscita del tunnel sotto la Spianata delle Moschee: tale decisione fu all'origine degli scontri che condussero alla Seconda Intifada. L'impronta di Moskovitz sulla terra ove sorgono i 'settlement' dei coloni è però visibilmente impressa nell'espansione di Kiryat Arba, focolaio di estremismo ortodosso. A palesarne l'evidenza, il Premio Moskovitz 2009, attribuito, con i suoi bei 50 mila dollari, proprio al fondatore di Kiryat Arba, Noam Arnon. Dopo la consegna, il giornalista Blumenthal ha avvicinato il colono Arnon, che gli ha confessato la seguente verità: "Crediamo che gli arabi abbiano ormai preso il controllo dei media e degli umori internazionali, convincendo il mondo a credere che esista un popolo palestinese che merita un proprio Stato. E questo è totalmente falso".

Premi Nobel e ministri. Il premio è stato consegnato da Robert John Aumann, premio Nobel per l'Economia nel 2a005 (per la Teoria dei giochi), alla presenza del ministro israeliano per le Infrastrutture, Uzi Landau. Aumann si oppose allo sgombero della Striscia di Gaza del 2005, definendolo un crimine contro le colonie di Gush Katif, nonché un serio pericolo per la sicurezza di Israele. Il docente utilizzò persino la sua Teoria dei giochi per giustificare l'occupazione dei Territori palestinesi. Prima della consegna del Nobel, una petizione di oltre mille firme era già stata inviata all'Accademia svedese per chiedere la cancellazione del Premio ad Aumann. Un collega canadese del giornalista statunitense, Jesse Rosenfeld, è riuscito a eludere la sicurezza e ha avvicinato il ministro delle Infrastrutture, mentre gigioneggiava tra la platea dei coloni. Gli ha chiesto che ne pensasse del richiamo di Obama alla necessità di congelare l'ampliamento degli insdediamenti. La risposta non lascia dubbi sulla posizione sua, del suo partito (Yisrael Beiteynu) e del suo governo: "Qualcuno dice che gli arabi possono costruire a destra e a manca e gli ebrei no. Questa posizione va rifiutata in toto".

Da come Netanyahu riuscirà a tenersi in equilibrio tra gli ultra-ortodossi del partito Yisrael Beiteynu e gli appelli di Obama dipenderà non solo il futuro del suo governo ma anche quello dell''amicizia particolare' tra Washington e Tel Aviv.

Luca Galaas

 

 

 

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