Al via la diciassettesima conferenza delle parti sul clima di Durban,
Sudafrica. PeaceReporter ha intervistato Tadzio Müller, portavoce del Climate
Justice Action.
I
lavori del Cop17 di Durban, Sud Africa, sono iniziati da sole ventiquattr'ore e
le prospettive di arrivare, finalmente, a un accordo globale sulla riduzione
delle emissioni di gas a effetto serra sembrano già compromesse. Le divisioni
sono sempre le stesse. Come l'anno scorso a Cancun e quello prima a Copenhagen,
ci sono fondamentalmente due blocchi: quello delle grandi potenze, con in testa
Stati Uniti, Giappone, Cina e Russia, e quello delle potenze "green", che
vorrebbe un patto vincolante per tutti. C'è tempo fino al 9 dicembre per trovare
la quadra del cerchio e provare a rinnovare il trattato di Kyoto, con una
formula che, questa volta, impegni anche il governo di Washington. Per saperne
di più sulla diciassettesima Conferenza delle parti sulla Convenzione quadro
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) PeaceReporter ha
intervistato Tadzio Müller , del Climate Justice Action.
Sembra che anche quest'anno sia presente un certo scetticismo fra i partecipanti
al Cop17.
Ebbene sì. Partiamo dal presupposto che questa è la diciassettesima conferenza
delle parti e se si guarda ai risultati prodotti da questi summit ogni anno, ci
si accorgerà che sono stati sostanzialmente miseri. Prendiamo in considerazione
gli input, le risorse e il tempo impiegato: è evidente che questi incontri
possono semplicemente definirsi un fallimento. Chiediamo ai governi cosa hanno
intenzione di proporre a Durban, ma sappiamo già che sarà l'ennesimo "nulla di
fatto". Fallirà perché non verrà raggiunto alcun accordo su una riduzione
drastica delle emissioni o su alcun altro tipo di soluzione.
Il blocco più importante sul raggiungimento di un'intesa comune pare essere
ancora quella degli Stati Uniti. Senza la loro firma su un piano di riduzione,
nessun'altra grande potenza si è detta disposta ad assumersi l'impegno di
abbassare le emissioni.
Il ruolo degli Stati Uniti sul futuro di un accordo globale è indubbiamente
importante. Alcuni biasimano il comportamento degli USA, altri quello della
Cina, e altri ancora criticano l'intera struttura dell'accordo che divide le
nazioni presenti sull'essenza stessa delle misure di riduzione dei gas a effetto
serra. Non credo sia davvero realistico pensare che la posizione di un solo
governo, per quanto potente sia, possa aver provocato una situazione che dura da
ben sedici incontri. Voglio dire che l'annuale, insoluto, stallo del Cop non
dipende solo dal ruolo giocato dagli Stati Uniti. Le cause sono molto più
profonde. Nei fatti, le emissioni di gas a effetto serra sono il risultato della
crescita esponenziale di un'economia capitalistica basata sullo sfruttamento dei
combustibili fossili. Più la crescita è alta più sono alte le emissioni di gas.
E questo lo sappiamo benissimo, perché le emissioni dannose per l'ambiente si
sono ridotte ogni volta che si è provocato un collasso economico. Lo si è visto
durante la crisi che ha colpito l'Europa dell'Est nei primi anni Novanta, o nel
2009 quando l'inizio dell'attuale crisi ha, quando non addirittura abbassato,
almeno mantenuto costanti le emissioni. Per questo credo che le cause del
mancato accordo non siano legate alla posizione di un governo ma piuttosto a
quelle dell'attuale sistema economico. Ridurre le emissioni implica ridurre la
crescita economica. E nessun Paese è disposto a questo compromesso.
L'anno scorso, prima del cop di Cancun, lei ha sostenuto l'importanza che gli
Stati si impegnassero a livello nazionale nella riduzione delle emissioni di gas
a effetto serra. Crede che sia ancora la strada migliore o sarebbe meglio
puntare sul cosiddetto Kyoto 2?
Anche se Kyoto 2 dovesse essere la soluzione, non ci sarà il Kyoto 2.
Dimentichiamocelo. È palese a tutti. Abbiamo appena saputo che il Canada è
uscito dal protocollo di Kyoto, che il Giappone non rinnoverà il suo impegno e
che gli Stati Uniti hanno ribadito per l'ennesima volta la loro posizione:
quella di non entrare nel trattato. Tutto questo solo alla vigilia. Allo stesso
tempo, i rappresentanti di una superpotenza industriale come la Cina hanno
dichiarato che non hanno alcuna intenzione di impegnarsi per il raggiungimento
degli obbiettivi di riduzione fissati al 2050, perché questo si ripercuoterebbe
negativamente sulla curva di sviluppo economico del Paese. Quando ho sostenuto
che è fondamentale concentrarsi sulle politiche di riduzione a livello nazionale
è perché sono convinto che non si supererà mai lo stallo globale sull'accordo. E
la ragione di ciò non sta nel fatto che ci sono nazioni buone che vogliono
firmarlo e nazioni cattive che non vogliono, ma semplicemente nella circostanza
che dipende tutto dalla struttura economica globale. Se vogliamo ridurre le
emissioni di gas a effetto serra dobbiamo trasformare il sistema di produzione
dell'energia e basarlo sulle energie rinnovabili e sulla decentralizzazione dei
poteri. Poteri che non dovranno avere a che fare con le oligarchie delle
corporation del petrolio. Abbiamo bisogno, in definitiva, di una trasformazione
assolutamente democratica ed ecologica del sistema energetico. Questo è
l'obiettivo. Poi potremo anche chiederci dove sono gli attori che dovranno
favorire l'implementazione di questo nuovo sistema. Solo allora potremo guardare
ai movimenti sociali, che sono organizzati a livello locale molto meglio di
quanto lo siano a livello internazionale.
Antonio Marafioti
Lavoro,
Istat: retribuzioni ferme a +1,7%, inflazione al 3,4%
Le
retribuzioni contrattuali dei lavoratori italiani a ottobre sono rimaste ferme
su base mensile, tanto che la variazione tendenziale è a +1,7%. Il dato è stato
diffuso dall’ Istat , secondo cui nella media del periodo gennaio-ottobre 2011
l’indice è cresciuto appena dell’1,8% rispetto al corrispondente periodo
dell’anno precedente. Nei macrosettori , invece, nel mese scorso le retribuzioni
orarie contrattuali hanno fatto registrare un incremento tendenziale dell’1,9%
per i dipendenti del settore privato e dello 0,6% per quelli della pubblica
amministrazione. Cresce su base annua, quindi, la forbice tra l’aumento delle
retribuzioni contrattuali orarie (+1,7%) e il livello d’inflazione(+3,4%),
toccando una differenza pari a 1,7 punti percentuali. Il precedente record era a
1,3 punti percentuali. Si tratta del divario più alto almeno dal 1997.
I settori che hanno presentato gli incrementi maggiori rispetto allo stesso mese
del 2010 sono quelli militari e della difesa (+3,7%), le forze dell’ordine
(+3,5%), gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e attività dei
vigili del fuoco (per entrambi +3,1%). Variazioni nulle, al contrario, per
ministeri, scuola, regioni e autonomie locali e servizio sanitario nazionale. A
ottobre , inoltre, nessun accordo in attesa di rinnovo, tra quelli monitorati
dall’indagine, è stato siglato: la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è
rimasta quindi del 33,1% nel totale dell’economia e del 12,9% nel settore
privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in
media, di 22,4 mesi nel totale e di 23,4 mesi nell’insieme dei settori privati.
Alla fine di ottobre, i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per
la parte economica corrispondono al 66,9% degli occupati dipendenti e al 61,7% del monte
retributivo osservato.
25 novembre
Rimborsi, benefit e sconti
col fisco. Il Bengodi dei partiti
Ogni anno costano 217 milioni. I tagli del 30
per cento? Diventati del 3 per cento. E poi l'indennità, diarie, trasporti quasi
gratis e perfino i parrucchieri. Però a loro non basta mai
E= mc al quadrato. Per una formuletta di tre
lettere Einstein ha guadagnato il Nobel. Chissà che premio conquisterebbe uno
scienziato capace di calcolare i rimborsi elettorali dei partiti italiani. Alla
faccia della trasparenza. Ma quanto paghiamo ogni anno ai partiti? Nel 2011
circa 180 milioni (172 milioni per Camera, Senato, Europee e regionali cui vanno
aggiunti amministrazioni a statuto speciale e referendum). Contando le voci
accessorie si tocca quota 217, 5 milioni (senza contare esenzioni fiscali e
sanatorie che vedremo). Un calcolo improbo ( guarda l’infografica in calce** ) .
Primo, i finanziamenti sono divisi in cinque fondi, uno per ogni elezione
(Camera, Senato, Europee, Regionali e referendum). Secondo, la somma va divisa
per anni e per consultazioni elettorali. Per dire, nel 2010 i partiti hanno
preso i rimborsi per le politiche del 2006. Ma nel frattempo si erano svolte
anche quelle del 2008. Gli uffici della Camera spiegano: “In alcuni anni i
rimborsi si sommano”.
Per non parlar di mazzette. E la riduzione promessa del 30%? Quasi nulla: nel
2008 i rimborsi, sommando Camera e Senato (+ 10 % rispetto al 2011), Europee (+
2 %) e regionali (-15 %) arrivano a 177 milioni. I tagli sarebbero del 3%. Ma in
quell’anno si sovrapposero i rimborsi di due elezioni politiche, aggiungendo
altri 37 milioni, per un totale di oltre 250. La politica è vorace. Qualche
maligno, vedendo quanto entra nelle casse dei partiti dalle mazzette, sostiene
che potrebbe bastare (ogni anno la corruzione ci costa 60 miliardi, quanto gli
interessi sul debito). Ma oltre ai finanziamenti illeciti ci sono quelli legali.
Qui forse i partiti contano sulla memoria corta degli italiani che nel
referendum del 1993 avevano votato con il 90, 3 % contro il finanziamento
pubblico. Ma è bastato cambiare il nome e i soldi sono rimasti. Anzi, sono
aumentati a dismisura. Oggi si chiamano “rimborsi elettorali”.
I risultati sono paradossali, anche senza contare casi come quello ricordato da
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del partito che alle Europee del 2004 spese
16. 435 euro e ne ricavò un rimborso di 3 milioni. Dal 1998 al 2008 i “rimborsi”
ai partiti sono aumentati del 1110 %. Dal 1976 al 2006 gli italiani hanno
sborsato ai partiti oltre 3 miliardi. Meglio non fare confronti: ogni francese
paga 1, 25 euro l’anno, gli spagnoli arrivano a 2, 58, mentre noi italiani
sfioriamo quota 3, 62 (contando i contributi ai giornali). Per carità di patria
bisognerebbe tacere degli Stati Uniti, dove i cittadini pagano mezzo euro e una
volta ogni 4 anni (per le Presidenziali).
Non basta: in sedici anni lo Stato ha pagato 600 milioni di euro (37 milioni
l’anno) per i cosiddetti giornali organi di partito. Decine di testate, alcune
storiche come l’Unità , altre figlie di partiti nemici di Roma Ladrona, come la
Padania o il Foglio della famiglia Berlusconi e di Denis Verdini. Ma si ricorda
anche dei contributi al Campanile nuovo dell’Udeur di Clemente Mastella.
Giornali con una buona diffusione, ma anche testate mai viste in edicola. Fin
qui le voci (faticosamente) quantificabili.
Ci sono state altre entrate sparse in mille leggi e leggine. Prima c’era stata
la storia del 4 per mille infilato nella dichiarazione dei redditi. Ma è stata
eliminata. Anche perché aveva portato una miseria. Poi ecco una norma
mimetizzata nel testo unico sulle dichiarazioni dei redditi delle persone
fisiche: prevede un’esenzione fiscale del 19% sulle donazioni. In pratica su 100
euro di donazione 19 li mette lo Stato.
Questioni
di famiglia. Con esiti sconcertanti, come ricordato da Rizzo e Stella: “Le
aziende di Francesco Gaetano Caltagirone e della sua cerchia familiare hanno
donato tra il 2008 e il 2010 all’Udc di Pier Ferdinando Casini , marito di
Azzurra Caltagirone , 2 milioni e 700. 000 euro in 27 assegni da 100.000 euro”.
Perché tante complicazioni? “Le donazioni ai partiti, fino a un tetto di 103.
000 euro, hanno appunto uno sconto fiscale del 19 per cento. Avessero fatto un
assegno unico, con quel tetto, le aziende Caltagirone avrebbero potuto
risparmiare 19. 000 euro. Facendone 27 ne hanno risparmiati 19. 000 per
ciascuno. Risultato finale: uno sconto di 513. 000”. Niente di illegale, la
colpa non è di Caltagirone. Ma se invece che al partito del genero avesse
regalato la somma, per dire, a un’associazione per bambini malati avrebbe avuto
sgravi fiscali 51 volte inferiori.
Così ai 220 milioni di euro ne vanno aggiunti altri. Impossibile dire quanti.
Dovrebbero bastare. E invece no, perché poi a questo bisogna aggiungere stipendi
e benefit di tanti esponenti di partito che sono parlamentari o consiglieri
regionali. Un elenco che per gli inquilini di Montecitorio è lungo come un
rosario: l’indennità mensile, dopo le ultime riduzioni, è pari a 5. 246, 97 euro
netti (5. 007, 36 per chi svolge altri lavori). La diaria , riconosciuta a
titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma è di 3. 503, 11 euro. Il
rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori vale 3. 690 euro.
Pure i gettoni. Per i trasporti ogni deputato usufruisce di tessere per la
libera circolazione (in Italia) autostradale, ferroviaria, marittima e aerea.
Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra
l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso trimestrale
(da 3. 323, 70 a 3. 995, 10 euro). Il Parlamento non fornisce cellulari, ma ogni
deputato dispone di 3098, 74 euro l’anno per le spese telefoniche. Ecco poi
l’assegno di fine mandato e il vitalizio che a ogni legislatura si promette di
eliminare. Infine parrucchieri (uno ogni 52 parlamentari), bar e ristoranti che
costano come il dopolavoro ferroviario. Per non dire delle auto blu. Infine le
sanatorie per l’affissione abusiva di manifesti elettorali. Un classico. Così un
writer che scarabocchia un muro di Roma si becca 500 euro di multa. Mentre un
partito che imbratta mezza Italia si vota la sanatoria che liquida le multe con
mille euro.
da Il Fatto Quotidiano del 24 novembre 2011
Uganda, la guerra che
conviene - Intervista a Peter Eichstaedt
Da oltre 20 anni Kampala tenta di sgominare il
Lord's Resistance Army, senza risultati. Il giornalista americano, uno dei
massimi conoscitori della brutale milizia guidata da Joseph Kony, spiega perché
Il governo americano ha deciso di recente di inviare forze speciali per
aiutare l'Uganda a sconfiggere il Lord's Resistance Army. Come spiega il timing
di questa mossa? Washington non dovrebbe avere altre priorità in questo momento?
Il presidente Barack Obama ha inviato consiglieri militari in Uganda come
conseguenza dell'atto approvato dal Congresso e che lui ha firmato. La legge
prevede che gli Stati Uniti forniscano supporto ai governi della regione
impegnati nella lotta contro Joseph Kony e il suo Lord's Resistance Army. I
consiglieri non sono equipaggiati per il combattimento, anche se resta il fatto
che sono tutti pronti a entrare in azione, che è una condizione permanente, non
importa dove si trovino. Questa è la seconda volta che gli Stati Uniti mandano
militari in Uganda per aiutare l'esercito ugandese a catturare o uccidere Kony.
La prima volta, nel 2008, fu sotto la presidenza di G.W Bush. In quell'occasione,
aiutarono gli ugandesi a preparare un attacco contro il campo di Kony nel nord
del Congo. L'assistenza includeva un milione di dollari per logistica e
rifornimenti. L'attacco fallì perché venne rinviato e Kony ricevette una
soffiata che permise a lui e al suo esercito di dileguarsi. Ma dal momento che
continua ad uccidere, stuprare, saccheggiare nella regione che segna il confine
tra il Sud Sudan, l'Uganda, la Repubblica democratica del Congo e la Repubblica
Centrafricana, gruppi di attivisti hanno convinto il Congresso americano a
ribadire lo sforzo per aiutare l'Uganda e questi Paesi a continuare a dare la
caccia a Kony.
Quali sono gli interessi americani nell'area e come questa decisione li
tutela?
Gli interessi degli Stati Uniti sono legati alla crescita della minaccia
terroristica in alcune remote regioni del Nordafrica. Un gruppo africano
affiliato ad al Qaeda è attivo al momento nelle regioni desertiche e gli
operativi americani stanno dando la caccia a questi elementi perché non mettano
radici nell'area. Molti sostengono che gli Usa puntino soprattutto a risorse
naturali, petrolio incluso, ma io non credo. Credo che siano molto più
interessati alla sicurezza e alla lotta al terrorismo. Il 25 per cento del
petrolio che ricevono gli Stati Uniti arriva dalla Nigeria e così gli Usa non
hanno bisogno di altro greggio dall'Uganda, tanto più che le capacità estrattive
di quest'ultimo sono ancora tutte da sviluppare. Se ce n'è uno, l'interesse
americano è quello di liquidare la minaccia terroristica che sta crescendo in
Africa.
Lei è uno dei pochi autori che abbia fatto ricerca e scritto dell'Lra: quali
sono la struttura, i metodi e gli obiettivi di questa formazione?
La risposta più semplice a questa domanda è che uccidere, saccheggiare e rapire
è tutto ciò chel'Lra sa fare. Proprio per questo, loro continuano a farlo. Dopo
che nel 2006 lasciarono il nord dell'Uganda, rimasero tranquilli per un paio
d'anni. Ma poi Kony non firmò il terzo trattato di pace nel 2008 e così la
caccia al suo gruppo è ricominciata e lui ha risposto con carneficine che hanno
fatto oltre mille morti. Quando Kony era in Uganda, giusitificava l'attività
della sua formazione con la lotta al governo ugandese, rovesciarlo era la sua
ragione d'essere. Ma lasciando il Paese ha perso questa scusa. In questo modo
Kony e i suoi hanno mostrato chi sono davvero: un gruppo di feroci assassini.
A proposito di Kampala, nel suo blog ha messo in discussione la reale
determinazione ugandese di neutralizzare una volta per tutte il problema dell'Lra.
In effetti è strano che in oltre 20 anni un potente apparato militare non sia
riuscito in questa impresa. Conferma questo scetticismo?
Resto convinto che l'Uganda, che ha uno dei più forti eserciti africani, poteva
catturare e uccidere Kony in qualsiasi momento avesse voluto. Ma l'esercito non
vuole. Perché? Perché al presidente Yoweri Museveni fa comodo che Kony continui
a vivere e operare, visto che ciò gli consente di chiedere alla comunità
internazionale milioni di dollari in aiuti militari. La maggior parte dei fondi
vengono stornati dal governo e dagli ufficiali di alto rango e ben poco degli
stanziamenti viene usato per il suo scopo principale. Cionostante, la comunità
internazionale continua a dare soldi all'Uganda e così finge di contribuire alla
cattura di Kony e allo smantellamento dell'Lra. Ma la verità è che non le
interessa davvero se Kony sarà catturato o no. Un altro fattore importante è che
l'Uganda fornisce la quasi totalità delle truppe che l'Unione Africana schiera a
Mogadiscio, in Somalia. Questo fa sì che non debbano muoversi gli Usa, che si
sdebitano fornendo all'Uganda ingenti aiuti. L'invio di consiglieri è parte
della ricompensa.
Alberto Tundo
18 novembre
Nomine last minute. L’ultima infornata del governo Berlusconi
Prima di lasciare il ministero dei Beni culturali, Galan ha nominato nelle
commissioni cinema Antonia Postorivo, moglie del senatore D’Alì, Valeria
Licastro, moglie del commissario dell’Agcom Antonio Martusciello e il
giornalista di Panorama Carlo Puca, Gigi Marzullo e altri. La Gelmini invece ha
piazzato al Cnr Gennaro Ferrara, rettore della peggiore università del Paese,
Parthenope
Raccontano
i bene informati che Giancarlo Galan , ex ministro dei Beni culturali, vorrebbe
raccontare un’altra storia. Non quella vietata e già impallinata dall’ironia
delle nomine last-minute, crocevia di tanti governi più o meno balneari quando
la fine è una prospettiva certa e il domani una comoda poltrona per qualcun
altro ( leggi ) . Visti i nomi planati nelle commissioni cinema , però, le
giustificazioni sull’obbligo di procedere alla sostituzioni delle precedenti
(scadute a fine luglio) lasciano il proscenio alle valutazioni dei singoli. Ed è
lì, in quella terra di mezzo tra “Prendi i soldi e scappa” e la “Stangata” che
il ragionamento lascia spazio all’ilarità o per usare le parole del ministro
uscente «all’indignazione».
Assieme ai competenti, su tutti Laura Delli Colli e i critici omonimi, Valerio
Caprara e Magrelli , il gran circo delle commissioni preposte a erogare denaro
per oltre sei milioni di euro l’anno, è un zoo che riempie gli occhi. Ci sono
nuove specie e tipi umani in via di estinzione, vecchi leoni e pantere
d’assalto. Antonia Postorivo , moglie del senatore D’Alì , alla seconda
esperienza (spostata di competenza, ma sempre lì, combattiva, saldamente al suo
posto). Poi Valeria Licastro , moglie del commissario dell’Agcom Antonio
Martusciello , dama di compagnia delle relazioni istituzionali Mondadori. Non si
è mai occupata di cinema in vita sua, ma ruggirà nella sezione “riconoscimento
culturale dei cortometraggi”. L’occhiale del giornalista Carlo Puca di Panorama
, esperto di politica, brillerà invece nella sottocommissione preposta alla
promozione dei film d’essai, assise cult in cui di dividere il desco con Puca,
si occuperà Gigi Marzullo , da anni, responsabile culturale di Rai 1, conduttore
di “Cinematografo” sulla stessa rete, vera fucina di occupanti delle stanze
ministeriali (dallo stesso programma anche il già citato Caprara e la conferma
della moglie di Giuliano Ferrara , Anselma Dall’Olio , critica di Liberal , al
quarto mandato).
PUCA HA PARLATO con Michele Anselmi del Secolo XIX rilasciando dichiarazioni
chiare sui criteri di elezione: “Qualche tempo fa andai a intervistare Galan per
Panorama. Non lo conoscevo. Finita l’intervista, ci siamo messi a parlare
d’altro, cordialmente. Qualche giorno dopo mi chiamò al telefono per propormi di
far parte di una delle quattro commissioni per il cinema: “Vorrei che tu ci
fossi””. Puca ci sarà, benché fanno sapere dal ministero, sarebbero giunte
almeno quattro lettere in cui i neoesperti (bontà loro) rimetterebbero il
mandato al gradimento del neo ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi ,
altro esperto in materia. Le nomine hanno avuto il via in equanime misura da
Galan e dalla Conferenza stato regioni. Il ministro si difende sostenendo che a
fine ottobre non c’era nessuna crisi di governo, ma anche se così fosse e a
maggior ragione, un’attenzione più viva ai criteri di cooptazione sarebbe stata
d’obbligo. Al contrario, hanno vinto appartenenze politiche (nume tutelare il
destrorso Alessandro Voglino , già direttore del Dipartimento cultura,
spettacolo e sport della Regione Lazio guidata da Storace) e imperscrutabilità.
Il misconosciuto Ivo Rapa , ad esempio. Nessuna esperienza cinefila. Nessuna
esperienza artistica. Secondo mandato, in quota Campania. Mistero puro e caso
diverso da quello di Gianvito Casadonte , inventore del Magna Grecia Film
Festival che almeno, conosce il mestiere. Nominare all’ultimo istante è una
mania che da sempre assale gli uscenti di destra e sinistra e ogni ambito della
vita nazionale. Caso esemplare, trafitto dalla penna di Gian Antonio Stella ,
quello del 74enne Gennaro Ferrara , promosso dal ministro Gelmini, in difficoltà
con tunnel e neutrini, al Cnr . Nonostante, come ricorda Stella, Ferrara sia
stato rettore della peggiore università del
Paese, Parthenope , una delle più care amiche di Bisignani non si è dimenticata
di lui. Largo ai giovani e in alto i cuori. Della velocità della luce,
Mariastella ha infine compreso la lezione. Senza arrossire, a schiena dritta,
fino alla prossima nomina.
Metà delle famiglie italiane
non riesce a far quadrare i conti
Il 15 % dei nuclei familiari deve intaccare ogni mese i propri risparmi,
mentre oltre il 6 % è costretto a chiedere aiuti e prestiti. "La povertà arriva
nelle situazioni che fino a cinque anni fa erano il presidio della nostra
ricchezza", dice Giuseppe De Rita. E tra i minori uno su cinque vive il rischio
della povertà. Il rapporto di Save the Children
MILANO
- Metà delle famiglie italiane riesce "appena a far quadrare i conti", secondo
uno studio del Forum Ania-Consumatori in collaborazione con l'Università di
Milano, presentata oggi. Il 15% dei nuclei è in maggiori difficoltà e ogni mese
deve intaccare i propri risparmi per sopravvivere e il 6,1% è costretto a
chiedere aiuti e prestiti. "E' arrivata la povertà in un soggetto come la
famiglia che fino a quattro-cinque anni fa era il presidio della nostra
ricchezza", ha commentato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita.
Peggiorano soprattutto le condizioni di vita dei bambini e i minori sembrano
pagare il prezzo più alto della crisi. Sono 10 milioni 229 mila i minori in
Italia, il 16,9% del totale della popolazione: uno su cinque (24,4%) è a rischio
povertà, il 18,3% vive in povertà (1.876.000 Minori, in famiglie che hanno una
capacità di spesa per consumi sotto la media), il 18,6% in condizione di
deprivazione materiale e il 6,5% (653.000 ragazzi) in condizione di povertà
assoluta, privi dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita
minimamente accettabile.
È L'allarme lanciato da Save the children nel secondo "Atlante dell'infanzia a
rischio" pubblicato oggi alla vigilia della giornata dell'infanzia. Secondo
l'associazione, dal 2008 ad oggi sono proprio le famiglie con minori ad aver
pagato il prezzo più alto della recessione mondiale: negli ultimi anni la
percentuale delle famiglie a basso reddito con un minore è aumentata dell'1,8%,
e tre volte tanto (5,7%) quella di chi chi ha due o più figli.
Dal dossier emerge che nel nostro paese due minori su tre che sono in povertà
relativa e più di un minore su due che è in povertà assoluta vivono nel
mezzogiorno. In particolare è la Sicilia ad avere la quota più elevata di minori
poveri (il 44,2%), seguita dalla Campania (31,9%) e Basilicata (31,1%), mentre
Lombardia (7,3%), Emilia Romagna (7,5%) e Veneto (8,6%) sono le regioni con la
percentuale inferiore di minori in povertà relativa. Per quanto riguarda i
bambini in povertà assoluta, anch'essi si concentrano nel sud Italia dove
rappresentano il 9,3% di tutta la popolazione minorile.
Inoltre il 18,6% di minori italiani versa in condizione di deprivazione
materiale: nel nord est il 7% delle famiglie con minori dichiara di aver
difficoltà a fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni e al sud il 14,7% di
famiglie con minori non ha avuto soldi per cure mediche almeno una volta negli
ultimi 12 mesi.
17 novembre
Un ministro per la
cooperazione. Che cosa dovrà fare?
Raffaele K Salinari*
Il governo Monti ha introdotto la figura del
Ministro per la cooperazione internazionale, mai esistito prima nella storia dei
governi repubblicani. Quali sfide si troverà ad affrontare il neo Ministro?
Il governo Monti ha introdotto la figura del
Ministro per la cooperazione internazionale. Una scelta originale dato che mai
prima d'ora, nella storia dei governi repubblicani, era esistita questa
posizione. Un Ministro, anche se di un governo tecnico, ha certamente delle
responsabilità politiche, specie per quello che concerne un dicastero di "nuovo
conio" come quello affidato a Riccardi. Quali sfide si troverà ad affrontare il
neo Ministro?
Vale la pena elencarne alcune, partendo però dall'evidenza che la legge che
regola le attività di cooperazione, la 49 del lontano 1987, metteva questa parte
della politica estera italiana all'interno della Farnesina. Ora cosa succederà?
Il nuovo Ministro che rapporti avrà con gli Esteri, anche tenendo in
considerazione che l'attuale responsabile della Farnesina è un diplomatico?
Assisteremo alla formalizzazione, per via tecnica, di quel bicefalismo tra
politica estera "hard" gestita dal MAE e le azioni "soft" della cooperazione? E
se la legge 49 incardina queste attività all'interno del MAE, sarà possibile
fare cooperazione senza pensare ad una riforma, peraltro attesa da vent'anni? O
forse la scelta è quella di mettere in essere una riforma de facto senza passare
per il Parlamento? Sono questioni, come si vede, che di tecnico non hanno nulla;
anzi.
Venendo al programma della Cooperazione, c'è in primis da notare che l'Italia è
letteralmente scomparsa dagli impegni internazionali sugli Obiettivi di Sviluppo
del Millennio con il suo risibile 0,1 per cento del Pil a fronte dello 0,7
promesso o almeno dello 0,3 dei paesi OCSE. E dunque il primo compito del
Ministro sarà certamente quello di riportare il Paese alla soglia di credibilità
internazionale triplicando il budget per la cooperazione. Ma, ancor prima dei
nuovi impegni, vanno onorati i vecchi. La foga sterminatrice di Tremonti,
infatti, aveva azzerato non solo il futuro ma anche il passato, in altre parole
sono stati bloccati i fondi per i progetti in corso. La Farnesina è riuscita a
riappropriarsi di parte di questi , ma mancano all'appello altri 10 milioni per
le sole attività delle ONG. Confidiamo che il Ministro, che dal non governativo
viene, avrà una particolare sensibilità su questo tema.
Ed infine, ma non per importanza, l'Italia è in forte debito con il Fondo di
lotta all'Aids, tubercolosi e malaria. Per colpa dei nostri ritardi non solo
siamo stati estromessi dal Board del Fondo, ma rappresentiamo un peso
insostenibile per le sue attività. Anche l'Europa comunitaria ci chiese di fare
la nostra parte, ma Frattini non si scompose. E dunque il neo dicastero per la
Cooperazione avrà molto lavoro da fare, ed anche qui la strada è obbligata.
Aspettiamo fiduciosi i fatti.
* Presidente Terre des Hommes
Incidenti sul lavoro.
Muoiono quattro operai
Bilancio pesante nei cantieri italiani. Le
vittime a Palermo, Carrara, Roma e in un cantiere sulla A3. Il presidente della
Regione siciliana: "Episodi inaccettabili"
ROMA
- E' un bilancio pesante quello di oggi per quanto riguarda le morti sul lavoro.
Quattro operai hanno perso la vita in quattro diversi incidenti avvenuti a
Palermo, Carrara, Roma e in un cantiere sulla A3.
Antonio Cinquemani, 47 anni, di Partinico (Palermo), operaio dell'Amap, azienda
acquedotti di Palermo, è morto dopo essere stato colpito da un getto d'acqua 1
fuoriuscito con una forte pressione da un grosso tubo. L'uomo, impegnato con
altri colleghi nell'individuare una perdita segnalata sulla condotta idrica di
grande portata, "Nuovo Scillato", che collega l'acquedotto del comune di
Scillato (Pa) con le utenze di Palermo, è stato proiettato a dieci metri di
distanza dal getto d'acqua uscito dall'esplosione della condotta idrica. I
medici del 118 hanno potuto solo constatare il decesso. I carabinieri hanno
eseguito i rilievi tecnici e gli accertamenti, mentre la procura di Termini
Imerese (Pa) ha aperto un'inchiesta. "Episodi come questi sono inaccettabili. Il
governo regionale ha messo come punto fondamentale la sicurezza del lavoro e la
diffusione della cultura della prevenzione dai rischi di infortuni, affinché le
morti bianche divengano un triste ricordo del passato", ha detto il presidente
della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, esprimendo anche a nome della giunta
di governo, il cordoglio per la morte di Cinquemani.
A Torano (Carrara) nel pomeriggio un cavatore è morto folgorato e due colleghi
sono rimasti gravemente feriti 2 , mentre lavoravano in una cava del bacino
marmifero. I tre stavano lavorando nei pressi di una cabina elettrica quando
sono stati investiti da una scarica elettrica. La vittima, 34 anni, lascia
moglie e due figli. I due feriti sono stati trasportati in elicottero in
ospedale a Carrara.
Sempre nel pomeriggio un operaio di 27 anni, dipendente di una ditta
subappaltatrice dell'impresa Uniter impegnata in un cantiere per
l'ammodernamento dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria tra Campotenese e
Morano, è morto in seguito al ribaltamento di un carrello elevatore utilizzato
per sollevare e trasportare materiale per l'esecuzione dei lavori. L'Anas ha
spiegato che l'incidente si è verificato all'interno del cantiere in
corrispondenza del km 181 dell'autostrada. L'operaio era alla guida del mezzo
che, per cause da accertare, si è ribaltato. L'amministratore unico di Anas
Pietro Ciucci ha espresso vivo cordoglio per l'accaduto ai familiari
dell'operaio e ha nominato una commissione d'inchiesta interna per verificare la
dinamica e le cause dell'incidente.
Un quarto operaio è morto schiacciato da una paratia 3 , in un cantiere stradale
a Ponte Galeria, zona periferica di Roma. L'incidente è avvenuto in via Silvio
Cambassi, intorno alle 14.30. L'uomo, 36 anni, di nazionalità romena, è rimasto
schiacciato da una pesante paratia di metallo, caduta accidentalmente. Sul posto
sono intervenuti i carabinieri della stazione di Ponte Galeria e personale dell'Asl.
Anche in questo caso ancora da chiarire la dinamica dell'accaduto.
16 novembre
Morti bianche, l’Italia
rischia la procedura d’infrazione europea
Due settimane di tempo per Roma dopo la messa in mora Ue per le morti sul
lavoro, poi scatterà l'infrazione. Tutto inizia con una denuncia di Marco
Bazzoni, operaio metalmeccanico di Firenze. Sotto accusa la norma salva-mager e
altri cinque punti del testo unico sulla sicurezza sul lavoro
Dopo
la messa in mora dell’Italia da parte di Bruxelles per non aver rispettato le
disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, a Roma restano adesso un paio
di settimane per le giustificazioni, poi scatterà la procedura d’infrazione.
Roma è infatti accusata dall’Ue di non fare abbastanza per arginare il fenomeno
delle cosiddette morti bianche. All’origine dell’intervento della Commissione
europea la denuncia fatta da Marco Bazzoni , 37 anni, operaio metalmeccanico in
un’azienda che produce frantoi e presse per il settore enologico nel fiorentino.
Sotto la lente della Direzione generale Occupazione e Affari sociali sono finiti
ben sei punti del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro a partire dalla
“deresponsabilizzazione del datore in caso di delega e subdelega”, una norma che
a ben guardare sembra proprio riferirsi alla “salva manager”, il provvedimento
che il ministro Maurizio Sacconi aveva detto di aver stralciato ma sembra
riapparire tra un codicillo e l’altro della Legge 106/9 (Il testo unico sulla
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro). Per scongiurare la sua entrata in
vigore, un gruppo di penalisti aveva scritto a Giorgio Napolitano, sottolineando
come la norma avrebbe spogliato “i soggetti che rivestono posizioni al vertice
dell’impresa del loro indiscusso ruolo di garanti della vita e dell’incolumità
fisica dei dipendenti”.
Tutto inutile. Come una serie di lettere e appelli che Bazzoni ha scritto a
partiti e sindacati. A quel punto l’operaio decide di andare più in su,
rivolgendosi direttamente a Bruxelles.
Dall’Europarlamento risponde Sergio Cofferati (Pd): “Bazzoni ha dimostrato
un’attenzione per il rapporto tra la legislazione Ue e quella nazionale che le
organizzazioni di settore non hanno avuto. Troppo spesso le organizzazioni
utilizzano criteri di carattere troppo generale”. E adesso? “Ora è importante
che tutti adempiano i vincoli indicati dall’Ue”.
Ecco come è iniziato tutto. “Insieme a un amico ingegnere della sicurezza sul
lavoro abbiamo scritto una denuncia al Segretariato generale della Commissione
europea”, spiega Bazzoni. “Il 27 novembre 2009 ho mandato una mail alla
Commissione con tutti gli allegati del testo del decreto legislativo italiano”.
Nel aprile 2010 i servizi della Commissione europea rispondono che in base alla
denuncia avrebbero chiesto informazioni allo stato italiano. A fine Novembre la
Commissione conferma che ci sarebbe stata la possibilità di aprire una procedura
d’infrazione. A maggio 2011 la possibilità di una procedura d’infrazione inizia
a prendere forma.
Così si arriva al 30 settembre 2011, giorno in cui il governo italiano si vede
recapitare la lettera di messa in mora per presunta violazione della Direttiva
Ue 89/391, quella sulla sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Lorenzo Fantini
, responsabile della direzione generale delle relazioni industriali e dei
rapporti del Ministero del lavoro, in un’intervista pubblicata sul sito dell’Inail,
risponde che “si tratta di un insieme di censure fondate su un presupposto
sbagliato: ritenere che le parti della legge siano volte a deresponsabilizzare
il datore di lavoro”. In altre parole, il servizio giuridico della Commissione
europea, il top del top degli esperti in diritto comunitario, si sarebbe
sbagliato. E per quanto riguarda gli altri cinque punti contestati nero su
bianco all’Italia? “Si tratta di censure di dettaglio che, a livello generale,
si correlano a questa impostazione generale erronea”. Insomma Bruxelles avrebbe
preso un enorme granchio.
Ora al nostro paese restano circa 15 giorni per convincere la Commissione
europea che si è sbagliata e che il Testo unico sulla salute e sicurezza nei
luoghi di lavoro va bene così. In caso contrario scatterà una procedura
d’infrazione con conseguente multa economica.
Intanto in Italia i lavoratori continuano a morire. Secondo l’Osservatorio
indipendente di Bologna sui morti sul lavoro dall’inizio del 2011 i morti per
infortuni sui luoghi di lavoro sono stati ben 542, oltre il 15 per cento di
queste vittime lavoravano in nero o erano già in pensione. Una cifra che supera
i 900 morti (stima minima) se si aggiungono i lavoratori deceduti in itinere,
ovvero lungo il tragitto casa-lavoro lavoro-casa. Cifre che fanno paura e che
non considerano i lavoratori in nero.
“Basta chiamarle morti bianche, non c’è niente di bianco in queste morti”,
chiede Bazzoni. “Con questo termine le si vogliano sminuire, nascondere i
responsabili, ma non è così, ci sono sempre dei responsabili”.
Il ricatto della Fiat
di Loris Campetti
In poche ore la Fiat ha annunciato la chiusura anticipata dello stabilimento di
Termini Imerese - prima ancora dell'eventuale firma dell'accordo tra il nuovo
aspirante acquirente e i sindacati - e ha minacciato la Fiom di chiuderne un
altro, la ex Bertone, se i metalmeccanici della Cgil non rinunceranno a
ricorrere al giudice per chiedere l'applicazione di una sentenza a essa
favorevole emessa da un altro giudice. Il ricatto, la prepotenza di chi si
ritiene impunibile e improcessabile, l'uso volgare della crisi per cancellare
ogni dissenso e azzerare ogni diritto, sono pratica corrente di Sergio
Marchionne.
Dietro la pistola puntata alla tempia di mille lavoratori piemontesi c'è
nascosto un cannone: l'intenzione di estendere il modello Pomigliano a tutti gli
stabilimenti del gruppo, nell'auto, nei camion, nei trattori, non più negli
autobus perché la fabbrica campana dell'Irisbus l'ha già chiusa. Di conseguenza,
i 70 mila lavoratori per ora sopravvissuti alla mannaia del manager dei due
mondi vedrebbero cancellato il contratto nazionale, sostituito da uno aziendale
«vuoto» imposto con la forza. Se si cancella alla Fiat, il contratto nazionale
non esiste più.
Alla ex Bertone i due terzi dei dipendenti sono della Fiom, ma non possono
ribadirlo con il voto perché un gruppo di compagni di merenda ha deciso di
impedirlo. Fiat, Fim e Uilm stanno boicottando il rinnovo delle Rsu, perché
tanto dal 1° gennaio non esisteranno più i delegati, ci saranno soltanto
non-rappresentanti non-eletti ma nominati dai sindacati complici, grazie al
modello Pomigliano. Come dice il segretario della Fiom Maurizio Landini, se si
impedisce ai lavoratori di votare - oltre che di scioperare e ammalarsi - «è per
fotterli». Sembra una metafora dell'Italia di queste ore: se si impedisce ai
cittadini di votare, non sarà anche in questo caso per fotterli? La metafora
viene in mente rileggendo un passo di un'intervista di qualche mese fa del
Corriere a Mario Monti, in cui quest'ultimo lamenta «la maggiore influenza avuta
dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale» in Italia. Ma
non dispera, il presidente del consiglio incaricato: «Tutto questo può venir
superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a
Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione verrà
un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca,
nel fabbricare automobili».
Se sono questi i modelli di Monti, vuol dire che il punto di programma sul
lavoro del governo che dovrebbe prendere il posto di quello sfiduciato dalle
borse è già scritto, ed è la fotocopia di quello partorito da Sacconi. Solo che,
per lo meno, contro Sacconi c'era una qualche timida opposizione politica mentre
Monti è il Salvatore della Patria, molto più che l'Unto del Signore. Oggi il
presidente incaricato incontrerà le «parti sociali». Vogliamo sperare che ce ne
sia almeno una in grado di mostrargli la stessa dignità di cui sono stati capaci
gli operai di Pomigliano.
Genova: la protezione civile
è una scienza
Catastrofi e protezione civile: il caso di Genova. Non tutto è sempre
prevedibile, ma le norme della scienza deputata a proteggere non vengono di
fatto applicate dall'amministrazione pubblica, centrale e locale
di Bruno Giorgini,
fisico
Il
sindaco Marta Vincenzi ha ripetuto più volte che l'evento era imprevedibile
riferendosi all'onda di piena che ha spazzato via persone e cose in larga parte
della città, e Marta Vincenzi è donna intelligente, nonché certamente amorosa di
Genova e dei suoi concittadini. Eppure questa asserita "imprevedibilità"
apocalittica non convince.
Intanto prevedibili e previste erano le piogge. Quindi si poteva adottare il
principio di precauzione, secondo il quale gli esseri umani innanzi tutto vanno
messi in sicurezza, seppure la probabilità di esondazione fosse stata bassa, o
anche molto bassa (assumo qui che nei giorni precedenti qualcuno questa
probabilità abbia a Genova valutato se non calcolato, o no?) attraverso l'
evacuazione , ovviamente delle zone considerate a rischio (assumo qui che nei
giorni precedenti qualcuno abbia mappato queste zone, o no?). In secondo luogo
andavano eliminate le automobili dalle stesse zone, sia quelle parcheggiate che
quelle in movimento (blocco del traffico pubblico e privato). I veicoli
costituiscono un intoppo al libero fluire delle acque, moltiplicando l'onda
d'urto, oltre a essere pericolosi per chi si trovi nonostante tutto in strada.
In terzo luogo andava organizzata una comunicazione capillare dei rischi e delle
precauzioni che ciascun cittadino avrebbe dovuto/potuto prendere, comunicazione
e informazione dettagliata e tecnica sia agli individui che ai corpi sociali ,
per esempio se si tengono aperte le scuole bisogna dire agli insegnanti e altri
operatori scolastici cosa fare in caso di evento/i catastrofico/i , rassicurando
nel contempo i genitori che i loro figli non saranno lasciati a sé stessi, e lo
stesso per i lavoratori privati e pubblici, se si decide che i luoghi di lavoro
non vengano chiusi preventivamente. Ovviamente sto facendo i conti senza l'oste,
perché di protezione civile quasi nessuno sa niente , non la si insegna nelle
scuole e all'università (esiste qualche master qua e là), non la si pratica come
disciplina di massa e patrimonio dei cittadini tutti , salvo poi tirare fuori i
fazzoletti per piangere, ascoltare le omelie dei vescovi sulle bare, dichiarare
lo stato di emergenza ex post, maledire il destino cinico e baro, fare gli
scongiuri e cercare qualche capro espiatorio, la natura imprevedibile e/o il
sindaco incompetente, per di più "piove governo ladro".
Invece la protezione civile non è un'opera benefica più o meno dilettantesca ma
una scienza, che esige rigore, precisione, capacità di predizione, nei limiti
del possibile, e di prevenzione. Una scienza altamente interdisciplinare , che
corre dalla matematica, alla fisica, dalla dinamica dei fluidi alla dinamica
degli esseri umani, dalla psicologia all'ingegneria, dall'ecologia all'economia,
dalla computer science alla teoria della comunicazione, e altro ancora. Una
scienza sempre più necessaria, perché gli eventi potenzialmente catastrofici,
dalle grandi piogge sempre più frequenti e violente, ai terremoti, tsunami e
quant'altro, aumentano di numero e intensità anno dopo anno, per molteplici
ragioni che qui sarebbe troppo lungo analizzare (mutamenti climatici, effetto
serra, eccessivo sfruttamento del suolo, cementificazione del territorio e dei
corsi d'acqua, eccetera).
Certamente di tutto questo non può essere competente/responsabile il solo
sindaco, ma egli/ella dovrebbe tenere in conto questa dimensione tecnico
scientifica della protezione civile, predisponendo gli studi e le ricerche del
caso, nonché essere cosciente che per un altro verso la protezione civile, i
suoi principi basilari e le sue regole elementari di autodifesa, per essere
efficace deve essere anche di massa e partecipata , deve entrare a fare parte
del corredo genetico di ogni cittadino/a, più o meno come il codice della
strada, o un tempo l'educazione civica. Tra l'altro la coscienza razionale del
pericolo e la conoscenza diffusa di alcuni modi e comportamenti che possono
ridurre l'impatto dell'onda di catastrofe , riducono anche il panico, diminuendo
gli effetti caotici. Quindi, riassumendo, per affrontare le catastrofi, naturali
e/o provocate dall'uomo (spesso i due aspetti si mescolano) con una efficace
protezione civile bisogna in primo luogo aumentare l'intelligenza del sistema, e
dei singolo componenti, sia nel senso di scienza, conoscenza, informazione, che
in quello della predisposizione di strumenti e tecnologie adatte, per esempio
alla simulazione degli eventi catastrofici, onde potere sperimentare in silico e
vedere sullo schermo di un calcolatore cosa potrebbe accadere,e quali azioni
preventive possono essere messe in atto. Nonché operando, e qui siamo alla
politica , per sviluppare la coscienza civica che la protezione civile è
responsabilità e diritto/dovere di ciascuno con la preparazione di base
necessaria , in un meccanismo che vada dalla scuola a un sistema che potrebbe
essere simile alla leva obbligatoria d'antan, ovviamente senza elementi
coercitivi. Infine, tornando al punto iniziale dell'imprevedibilità, non so
quali ricerche e studi siano stati fatti sul sistema dei rii e torrenti
genovesi, e convengo che la predizione dei fenomeni fluidodinamici in
particolare turbolenti non sia una cosa semplice, so però che esistono oggi
modelli in grado di calcolare almeno in senso statistico, e simulare fenomeni
come l'esondazione e l'onda di piena che ha agito a Genova. Certo ci vuole un
sistema di misura e monitoraggio delle acque , possibilmente on line, cioè in
tempo reale e un sistema di computazione adeguato, ma si tratta di una impresa
per cui oggi esistono le teorie e le tecniche adeguate. Mi pare che dedicarsi a
questa nuova protezione civile sarebbe, per Marta Vincenzi ben più utile che
cercare di difendersi dalle critiche o accuse. Inoltre forse potrebbe essere un
modo di elaborare il lutto della città ritrovando un ottimismo della ragione
comune, del comune stare insieme, non solo ai funerali e nel cordoglio, non solo
nella comune ricostruzione, ma anche nella comune protezione civile . Oggi per
la catastrofe appena passata, e domani a fronte delle catastrofi future.
14 novembre
Alleluja!!!!!!!
Silvio Berlusconi si è dimesso. Dopo diciassette anni e una giornata
lunghissima, carica di tensione, seguita in diretta dai siti di tutto il mondo,
l'imprenditore televisivo che avrebbe dovuto far funzionare l'Italia come la sua
azienda molla la presa dopo averci trascinato al collasso e trasformato il suo
sogno nel nostro incubo. Ci lascia in eredità un paese sfigurato dal colossale
conflitto di interessi, sconvolto nelle elementari regole di convivenza,
spolpato nelle residue energie dalle cricche di ogni ordine e grado, umiliato
dalla prostituzione, non solo sessuale.
Purtroppo è difficile gustare pienamente la fine del sultanato, assaporare il
tramonto della pubblicità, apprezzare il declino della volgarità. Il perché è
molto semplice: a disarcionare il Cavaliere non è stata la forza delle
opposizioni, la rinascita di una sinistra, ma la potenza dello spread, la legge
dei mercati. Che hanno scelto di sostituire l'incapace e impresentabile gaffeur
con una bandiera eccellente del pensiero liberista, Mario Monti. Gli hanno
affidato la guida del governo, replicando in Italia lo schema greco: la nomina
di Lucas Papademos, ex-Bce designato da Bruxelles all'ufficio governativo di
Atene. Fino al punto di pilotare il nostro cambio della guardia nelle
quarantottore di chiusura dei listini, così da completare l'avvicendamento già
domani, quando i guardiani del Fondo monetario e della Banca centrale, insieme
al caffè, daranno il gradimento.
Tutto è a posto ma proprio niente è in ordine. Si apre ora una fase di massima
turbolenza, direttamente proporzionale allo sconquasso che l'avvicendamento a
palazzo Chigi provocherà negli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra,
catapultati in una recita surreale. Da una parte il centrodestra che urla di
rabbia per essere stato sostituito da un conservatore che applicherà il vangelo
liberista berlusconiano. Dall'altra il centrosinistra che si spella le mani per
applaudire chi gli farà ingoiare il rospo della ricetta economica firmata dalla
Bce. Una maionese impazzita, un'inversione dei ruoli che fotografa perfettamente
i nostri guai.
L'eccentrico laboratorio politico italiano chiude una stagione (un caso di
scuola) e già ne prepara un'altra. Non è che l'inizio. Anche per le opposizioni.
Carceri, altre due persone
si sono tolte la vita Dall'inizio dell'anno sono 58 i suicidi in cella
Gli episodi sono avvenuti nel reparto osservazione di Poggioreale, l'altro
nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. La denuncia del
sindacato della polizia penitenziaria della Uil. Dal 2000 ad oggi 681 suicidi
ROMA
- Due nuovi suicidi nelle carceri italiane. Dall'inizio dell'anno sono 58 le
persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre di una cella; dal 2000 ad
oggi sono in tutto 681 i suicidi e 1.908 i detenuti morti per altre ragioni. Gli
episodi sono avvenuti ieri nel Reparto Osservazione del carcere napoletano di
Poggioreale e nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia. A
denunciarli è stato il sindacato Uil Penitenziari.
''E' sempre difficile, se non impossibile, comprendere le motivazioni che
portano a queste auto soppressioni in cella - ha commentato il segretario
generale del sindacato, Eugenio Sarno - riteniamo, però, di poter affermare che
molto incida l'incapacità del sistema penitenziario di garantire una detenzione
dignitosa e umana oltreché l'impossibilità di adempiere al dettato
costituzionale di rieducazione e risocializzazione''.
2011 fino al 10 novembre scorso.
Lavoro, rispetto al 2008
disoccupati sempre più ai margini del sistema produttivo
Lo
dice il rapporto di Bankitalia sull'economia del Paese. Solite differenze tra
nord e sud, dove trovare impiego è ancora più difficile. Situazione drammatica
per chi è stato licenziato e cerca occupazione
In Italia , a causa della crisi, nell’arco di un anno poco più di un disoccupato
su quattro riesce a trovare lavoro, sia esso prima occupazione o nuovo impiego.
Tradotto in cifre, la percentuale è preoccupante: la probabilità di essere
assunti in tempi di magra è pari al 26,7%. E’ quanto emerge da ‘L’economia delle
regioni italiane’, il rapporto di Bankitalia che fotografa nel dettaglio il
Paese ‘reale’ in base ai dati aggiornati al 2010.
L’immagine che ne deriva è drammatica, specie se paragonata agli anni anteriori
al deflagrare della depressione economica europea. Nel 2008, ad esempio, nel
nostro Paese la ricerca di un posto di lavoro dava più soddisfazioni, con circa
un disoccupato su tre che entro dodici mesi era in grado di portare a casa un
contratto, per una probabilità del 33,5%. Lo dicono le elaborazioni di via
Nazionale su dati Istat .
Le possibilità di impiego sono sempre più strette su tutto il territorio, ma il
gap tra Nord e Sud resta forte. Alcuni dati. Nel 2010, ad esempio, le
probabilità di firmare un contratto di lavoro nel Nord Ovest è pari al 33%, nel
Nord est al 37,2%, al Centro al 25,9% e nel Mezzogiorno al 21,3%. Operazione
addirittura disperata, invece, per chi è stato licenziato, non è più alle prime
armi e deve provare a ricollocarsi nel mercato: i disoccupati over 35, infatti,
sono quelli che scontano le probabilità più basse di riuscire ad essere assunti
entro dodici mesi. Tradotto: una volta usciti dal sistema, rientrarci è
un’impresa a dir poco ardua.
Ad avere più chances, quindi, sono i giovani disoccupati, specie quelli alla
ricerca del primo impiego. Per loro la possibilità di “sistemarsi” tra il 2005 e
il 2010 è sempre stata leggermente superiore alla media in tutte le aree del
Paese. Tuttavia sono stati proprio i giovani i più colpiti dalla crisi e dal
2008 al 2010 il calo delle possibilità di strappare un contratto per gli under
35 è stato forte e ininterrotto, passando da circa il 35% del periodo pre crisi
a neppure il 28% del 2010. Anche per i giovani disoccupati Palazzo Koch registra
decisi squilibri territoriali, con la percentuali di successi che nel Nord Est è
doppia rispetto al Mezzogiorno.
11 novembre
Disoccupati, 3 milioni senza
speranza In Italia il triplo della media europea
L'esercito degli scoraggiati: senza lavoro, non lo cercano più. Un quinto di
loro hanno la laurea Sommati ai 2,1 milioni di inattivi rendono la situazione
allarmante
In
Italia ci sono 2,7 milioni di persone che pur essendo disponibili a lavorare non
cercano impiego. Lo sottolinea l'Istat: il dato è «triplo» rispetto a quello
medio Ue e si aggiunge ai 2,1 milioni di disoccupati (coloro che non hanno una
occupazione ma la cercano attivamente). Pesa l'effetto scoraggiamento.
Nel complesso, il 42% (circa 1,2 milioni) degli individui classificati tra gli
inattivi che non cercano lavoro ma sono disponibili è convinto di non potere
trovare un impiego perchè troppo giovane o troppo vecchio, di non avere le
professionalità richieste o perchè ritiene non esistano occasioni di impiego nel
mercato del lavoro locale. Si tratta del fenomeno noto come scoraggiamento, che
interessa in misura consistente sia uomini che donne.
L'incidenza degli scoraggiati, passata nel biennio della crisi dal 38,1% del
2008 al 42,5% del 2010, sale, dice ancora l'Istat, fino al 47% nelle regioni
meridionali, in cui alle minori opportunità d'impiego si affianca una maggiore
sfiducia nella possibilità di trovare e mantenere un'occupazione. «D'altra
parte- spiega l'istituto di statistica in un comunicato- la mancanza di
competenze specifiche da spendere sul mercato del lavoro alimenta un
atteggiamento di rinuncia alla ricerca attiva: gli scoraggiati che hanno
conseguito al massimo la licenza media sono la metà del totale, i laureati un
quinto».
Mentre il Titanic affonda,
Alfano pensa alle “canzoni del cuore” e al suo libro
Sconcerto tra i militanti del Pdl per l'iniziativa online del segretario.
Che nel pieno della crisi, chiede ai "fan" di suggerire brani per la sua playlist e si preoccupa di promuovere il suo saggio sulla mafia, appena
pubblicato da Mondadori
Silvio
Berlusconi annuncia le dimissioni dopo l’approvazione della legge di stabilità e
lancia Angelino Alfano come prossimo candidato premier. Eppure, mentre il
centrodestra non ha più i numeri e assiste alla deriva dei suoi parlamentari,
dal passaggio di Gabriella Carlucci all’Udc alla lettera dei ribelli firmata
dall’ex fedelissimo Stracquadanio , il segretario del Pdl pare essere impegnato
su altri fronti. Più precisamente sulla messa a punto di una compilation fatta
“solo con le canzoni del cuore dei miei amici” e sulla promozione del suo nuovo
libro. Almeno da quanto emerge su Facebook.
Sulla sua pagina pubblica l’ex Guardasigilli Angelino Alfano fino a domenica ha
scritto status relativi alle sue attività politiche (“Buongiorno e buona
domenica! Tra poco parteciperò alla convention degli amici di Popolo e
Territorio, hotel Parco Tirreno a Roma. Come sempre potrete trovare i lanci
stampa in real time su questa pagina e sul mio sito personale. A dopo!”) e link
che proponevano riflessioni sulla crisi economica, invitavano l’opposizione a
votare le misure presentate alla Ue e scartavano l’ipotesi di un governo
tecnico. Poi ha deciso di segnalare altri contenuti che nulla hanno a che vedere
con il suo ruolo nel Popolo della Libertà.
“Voglio comporre la mia nuova playlist musicale solo con le canzoni del cuore
dei miei amici… la chiamerò “fbfriends”! Mi suggerisci la tua canzone?” chiede
agli iscritti della pagina che con oltre 600 commenti decidono di prendere sul
serio il contest dell’ex ministro e rispondono. C’è chi propone “Where the
Steets have no name” degli U2, “l’ultima dei Coldplay” e “Un giudice” di De
Andrè ed Eleonora addirittura ringrazia “per questa bellissima iniziativa”. “Mi
preoccuperei più a dare una stabilità al Governo – nota Norbert -visto la
situazione economia che abbiamo e aiutare i nostri pensionati che vivono con dei
miseri soldi e dei giovani”, ma la sua rimane un’obiezione isolata tra centinaia
di suggerimenti musicali. In rete però, altri utenti condividono il post,
sbalorditi dalla richiesta di Alfano. “E questo qui è il segretario del tuo
partito nei momenti di crisi?”, si domanda Gabriele . “Mentre il Titanic
affondava l’orchestra suonava. Questo fa le playlist!”, rilancia Corina e per
Mattia la sua pagina “sembra uno scherzo”. Non ad Alfano, però, che ora ha
sospeso gli status musicali per occuparsi della promozione del suo nuovo libro
“La mafia uccide d’estate”, pubblicato da Mondadori. Sorvolando sul fallimento
della maggioranza.
“Domani pronti per una nuova battaglia parlamentare alla Camera”, ha scritto
lunedì, alla vigilia del voto sul rendiconto finanziario. Poi ha aggiunto: “A
proposito di domani…esce il mio libro, di cui vi ho già parlato: ‘La mafia
uccide d’estate’. Spero davvero vi possa piacere e sarò felice di leggere le
vostre recensioni!”. E posta la copertina, a cui seguono decine di commenti
entusiasti dei suoi fan. “Lo comprerò”, “sei un grande”, “sicuramente mi
piacerà”, anche se c’è chi, con toni pacati, gli ricordava l’esecutivo in
bilico. “Segretario, un libro per me, e due come regalo di Natale! Ma il
problema, è domani”, notava Carla , tra i pochi a sollevare perplessità sul voto
alla Camera e Alessandro invitava l’ex ministro a concentrarsi sulla politica e
non sulle sue fatiche editoriali (“Angelino, va a fare il Primo Ministro che ne
abbiamo bisogno, e lascia che del libro se ne occupino altri… Forza Italia –
pardon Pdl”). Ma Alfano lunedì prosegue con la promozione del libro e dopo avere
ricordato che è disponibile anche in versione elettronica (“dimenticavo… lo
troverete pure in formato ebook!”), si dedica alla relativa rassegna stampa.
“Ecco la prima recensione del mio libro ‘La mafia uccide d’estate’ a cura di
Francesco Verderami, uno degli editorialisti di punta del Corriere della Sera!”.
Seguivano solo commenti di complimenti e congratulazioni fino a ieri. Poi, dopo
l’annuncio di Berlusconi, gli utenti hanno iniziato a chiedere ragguagli sulla
sua candidatura e la crisi: “Mi perdoni la franchezza – scrive Marinella – ma in
questo momento vorrei sentire da lei delle parole che ci diano speranza. Va bene
la pubblicità al libro, ma in questo delicato momento abbiamo bisogno delle sue
parole”. Perché il “popolo del Pdl”, scrive Mauro, “ha bisogno di parole di
conforto dopo i fatti di ieri. Grazie.
Io, cavia umana in
Svizzera per colpa della crisi
Sono 750 gli italiani che ogni anno si presentano nella clinica in cui si
testano i farmaci. Il proprio corpo in cambio 1.200 euro
Sulla
cannula ci sono delle tacche. Indicano la profondità con cui la sonda è
penetrata nello stomaco. La mia dice 40, vuol dire che il sondino naso-gastrico
non è ancora entrato quanto dovrebbe, da qualche parte tra il naso e lo stomaco
è rimasto incastrato. I due medici davanti a me ripetono di respirare a fondo e
di bere, provano a spiegarmi dov’è l’ostacolo, ma non ce n’è bisogno, so bene
che la sonda si è incastrata in gola, la sento e, quando spingono, la sento
ancora meglio. È come avere una spina di pesce conficcata in gola, solo questa è
lunga un metro e larga mezzo centimetro.
I conati rendono difficile ragionare lucidamente, con la coda dell’occhio
continuo a controllare nessuno faccia cadere la telecamera nascosta, rendendo
tutto questo vano. In qualche modo devo far entrare la sonda, altrimenti rischio
di essere scartato. Come in un reality mi ritrovo in nomination, solo che in
questa casa ci sono in palio altre 5 settimane da cavia umana. Da quasi un mese
entro ed esco da questa clinica nel Canton Ticino, a pochi passi dal confine,
dove mi hanno promesso 1200 euro in cambio del mio corpo per 6 giorni di
ricovero (divisi in due periodi). Su di me e altri 27 soggetti sani, testano gli
effetti di un antiacido per lo stomaco e di un farmaco per le disfunzioni
tiroidee, “qualcosa di molto simile a un ormone” mi hanno spiegato. Effetti
collaterali? “Tachicardia, ansia, alterazioni della frequenza cardiaca, ma siete
coperti da assicurazione!”. Nessuno mi sa dire cosa preveda la polizza.
Ai tempi della crisi, si sopravvive anche così. Per le cliniche svizzere questo
è un business di tutto rispetto (le case farmaceutiche pagano cifre da capogiro
per l’ultima fase di test sui farmaci da immettere in commercio), per chi vive
nel nord della Lombardia quello delle cavie umane è un autentico ammortizzatore
sociale. 600 euro per due giorni di “lavoro”, si arriva a 4000 franchi per due
settimane. Soldi troppo facili perché chi si trova in difficoltà non ceda,
soprattutto gli italiani. “Gli svizzeri non ci vengono qui – mi racconta il
capo-infermiere mentre mi preleva il sangue – si vergognano. Non ne hanno
proprio bisogno, questo è un paese ricchissimo. Il 95 per cento dei pazienti è
italiano, il resto stranieri che vivono in Italia”. Non a caso le uniche tre
cliniche che offrono questo genere di studi si trovano in un raggio di 30
chilometri dal confine e il personale medico è composto da soli italiani.
Professionisti seri, gentili, la cui principale preoccupazione sembra quella di
aiutare i connazionali in difficoltà che chiedono di partecipare al maggior
numero di sperimentazioni possibile.
10 novembre
Ma Berlusconi non finisce
mica oggi
di L. Tondelli
Una volta le galline trovarono la volpe in
mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è
morta - gridarono le galline. – Facciamole il funerale...
Credo che a questo punto nessuno, nemmeno l'on. Carlucci, dubiti più che
Berlusconi sia un problema. Non è senz'altro il più grave – non lo è mai stato –
ma è il problema che dobbiamo risolvere per primo, il primo nodo del groppo.
Basta non credere che questo nodo si possa sciogliere domani, o posdomani, o
comunque nel momento in ogni caso non molto remoto in cui Berlusconi accetterà
di rassegnare le dimissioni. Quella sarà la fine di un governo (il quarto a
portare il suo nome), non di Berlusconi. Che ha ancora diverse carte da giocare,
e di sicuro non scomparirà dalla scena, come non è scomparso nel 1994 o nel
2006.
Se ormai possiamo parlare di ventennio berlusconiano è perché riconosciamo che
anche nei periodi in cui non governava, B. è riuscito a mettersi al centro del
dibattito politico e a trasformarlo in un eterno sondaggio su sé stesso. Non c'è
motivo di pensare che non farà la stessa cosa anche stavolta: non gli mancano
certo le risorse, né le strutture che in tutti questi anni hanno retto il suo
consenso (tv, giornali, pubblicità). Le defezioni di questi giorni potrebbero
certo indurci a pensare che gli mancano gli uomini (e le donne), ma in fondo
sappiamo che non è vero: che per ogni Carlucci o Stracquadanio che se ne va,
Berlusconi può trovarne altri tre, altri quattro aspiranti parlamentari
ugualmente professionali e magari anche più piacenti. Mal che vada c'è il
casting per il Grande Fratello.
Mettiamo pure che oggi (o domani, o tra una settimana, un mese) Berlusconi cada
sul serio. A questo punto i commentatori ci mostrano due scenari: un governo
tecnico fino alla fine della legislatura (sorretto da un inedito arco
antiberlusconiano Fini-Casini-PD e forse anche dalla Lega) o un governo simile
ma assai più breve che ci porti alle elezioni il più presto possibile, con o
senza riforma elettorale (Maroni domenica sera sembrava possibilista: secondo
lui si può abrogare il porcellum e andare a votare anche a gennaio con una legge
decente; ma sembra fantascienza). In entrambi gli scenari c'è una zona d'ombra,
ovvero: che farà, nel frattempo, Silvio Berlusconi? Se ne starà a guardare lo
spettacolo dei suoi ex amici Fini e Casini che gli devono tutto e che tornano al
governo coi voti dei suoi figuranti, scritturati dalle sue agenzie, lanciati
dalle sue televisioni e coi suoi manifesti? Se abbiamo imparato un po' a
conoscerlo in questi anni, sappiamo che non lo farà.
E che farà, quindi? Non importa quanti topolini abbandoneranno la nave del PDL
nei prossimi giorni: Berlusconi continuerà a mantenere uno zoccolo duro di
pretoriani in Camera e Senato, utili a mettere in crisi la composita maggioranza
antiberlusconiana nei momenti in cui si troverà ad approvare decreti impopolari.
Nel frattempo la vera artiglieria partirà da carta stampata e tv: di golpe si
parlerà tutti i giorni sui canali Mediaset, su Libero, il Giornale, il Tempo, il
Secolo d'Italia, il Foglio (Ferrara si accoderà, s'è sempre accodato). Ne
parleranno anche i berlusconiani superstiti nei palinsesti Rai, visto che
probabilmente la maggioranza antiberlusconiana sarà troppo timida per parlare di
epurazioni.
Finché rimane al governo, Berlusconi è costretto a sfoggiare un europeismo
d'ordinanza; una volta all'opposizione, non ci sarà più nessun attrito con la
realtà e il partito-azienda potrà cavalcare gioiosamente l'ondata antieuropeista
più becera che riterrà necessario per sopravvivere: tornerà quel vecchio
ritornello mai veramente accantonato, “è colpa dell'euro”: qualche
pseudointellettuale scritturato all'uopo chiederà a gran forza il ritorno della
lira e di quel meraviglioso lubrificante del boom italiano che fu l'inflazione.
Tutto assolutamente inverosimile, proprio come quando prometteva milioni di
nuovi posti di lavoro. Del resto sono solo promesse, B. non ha mai avuto
intenzione di mantenerle. È solo lo spettacolo che gli serve per presentarsi
alle elezioni
Probabilmente gli italiani non la berranno come nel 1994 o nel 2001 o nel 2008,
ma questo non ha molta importanza: l'artiglieria di Mediaset e dei suoi giornali
gli consentirà comunque un buon piazzamento. E Berlusconi – anche questo
dovremmo averlo capito – vince anche quando perde . La presenza di un suo
partito in parlamento lo legittima, gli consente margini di trattativa, per non
parlare dell'opportunità di comprarsi in aula i seggi che non è riuscito a
vincere alle elezioni. Tanto più che mentre sta all'opposizione, sugli scranni
della maggioranza siederà un'alleanza scarsamente coesa (sia che ne faccia parte
l'UDC sia che ci entri la SEL di Vendola) costretta da Bruxelles e Fondo
Monetario a scelte che deluderanno comunque gli elettori di centrosinistra –
mentre a destra Lega e berlusconiani batteranno la grancassa
dell'antieuropeismo. Avremo insomma un altro governo debole, come il Prodi 2, e
forse perderemo altri anni – salvo che non abbiamo più anni da perdere. E
allora?
E allora forse bisogna tornare da capo e avere il coraggio di mettere nero su
bianco che Berlusconi è un problema, ma non perché sta al governo. Berlusconi è
un problema perché da vent'anni occupa la scena politica col suo ingombrante
partito-azienda. Quando osservatori stranieri certo non sospettabili di
estremismo, come il Financial Times , ci chiedono di farla finita di Berlusconi,
non intendono semplicemente di convincerlo a rassegnare le dimissioni da
presidente del consiglio. Loro parlano esplicitamente di esilio , e forse
qualcuno dovrebbe cominciare anche qui. http://leonardo.blogspot.com
“L’Europa dei giovani sempre
più a destra”. E tra i partiti ‘estremi’ spunta anche al Lega
Secondo il think tank britannico Demos, i
movimenti estremisti fanno sempre più adepti tra i giovanissimi. Comune
denominatore, l'odio per lo straniero. E tra i partiti italiani spicca il
Carroccio accumunato a Casa Pound
Nazionalisti, xenofobi e sempre più di estrema
destra. Questo è il ritratto dei giovani in Europa secondo l’ultimo rapporto
pubblicato ieri a Bruxelles dal think-tank britannico Demos . “ The new face of
digital populism ” scatta la fotografia di una nuova generazione di giovani
europei arrabbiati, disillusi, amareggiati ma soprattutto in disperata ricerca
di identità.
Proprio la forte identità nazionale sembra il nuovo aggregatore degli under 30
nei 27 Paesi Ue, che sempre più spesso, secondo Demos, si riconoscono in
movimenti o gruppi di estrema destra. A volta si tratta di veri partiti, come la
Lega Nord in Italia o il Front National in Francia, ma spesso di semplici gruppi
organizzati e apartitici, che anzi non disdegnano l’anti-politica. “Mentre
numerosi Paesi europei hanno gli occhi puntati sulla loro economia, un’altra
crisi di fiducia si prepara. In tutta l’Europa, i giovani si sentono abbandonati
dai partiti tradizionali e dai loro rappresentanti e manifestano simpatia per i
gruppi populisti”, avverte Jamie Bartlett , uno degli autori dei report.
Dove è svanito «el sueño
americano»
Mike Davis
Nel sud-est della California al confine con il
Messico, dove la disoccupazione è fra le più alte e il reddito fra i più bassi
degli Usa, il movimento si connette con l'attivismo di vecchia data
La
mia autoradio riferisce di una bufera artica su Wall Street, ma Main Street a El
Centro cuoce tranquillamente in un caldo autunnale da 90 gradi farenheit. Nella
Imperial Valley califoniana, dove l'acqua del fiume Colorado sovvenzionata dal
governo federale ha irrigato i profitti di latifondisti anglosassoni per oltre
un secolo e dove i contadini muoiono troppo spesso a causa di colpi di sole e
disidratazione a 120 gradi farenheit ad agosto, questo è il clima adatto per
protestare.
Quaranta o cinquanta residenti della Valley marciano lungo la Main, passano
davanti a facciate di negozi tappezzate di manifesti, negozietti ormai chiusi un
tempo gestiti da famiglie, si fermano di fronte a varie sedi bancarie e a un
McDonald's cantando: «Basta, basta oppressione. Il 99% non ne può più dello
sfruttamento».
La protesta parte da due iniziative - Occupy El Centro e Occupy Imperial County
- ma entrambe si sono ormai unite in un unica rete emergente di attivisti (il
nome in spagnolo, che preferisco, è l'audace Tome el Valle, Prendi la Valley).
Dopo alcune vigorose scansioni di El pueblo unido jamas sera vencido («lo slogan
migliore da sempre» mi dice un allievo di terza media) i manifestanti convergono
verso una tenda a Adams Park, dove un altare del Giorno del giudizio
drappeggiato con delle coperte messicane è stato eretto in memoria del «Sogno
americano».
Ci sono delle scritte di disperazione fatte con lo spray, dei teschi dipinti in
cartapesta, il ritratto di un santo (Cesar Chàvez), foglie di pannocchia, semi
di zucca, pan de muertos, piccole bandiere americane, amuleti, una targa con i
nomi dei morti in guerra locali e una copia del Trattato di Guadalupe Hidalgo
del 1848. Sopra l'altare c'è una grande scritta: «99%».
Capitale della disoccupazione Usa
Avremmo anche potuto leggere «32%» - il tasso
ufficiale di disoccupazione nell'Imperial County all'inizio di settembre.
Secondo i dati dell'Ufficio delle statistiche sul lavoro, El Centro e le città
dei sobborghi sono in testa per la disoccupazione nelle aree metropolitane.
Stessa cosa per il reddito pro capite (sugli 11mila dollari) che oggi è circa il
10% in meno di dieci ani fa. Insediamenti costruiti a metà - che erano destinati
a pendolari di lunga distanza che lavorano a San Diego - stanno diventando
polverose città fantasma e corre persino voce che anche il cimitero locale verrà
ipotecato.
In altri termini, statisticamente il sueño americano (sogno americano) nell'Imperial
Valley è quasi senza fiato. E il mondo esterno si compiace a mettere sale sulla
piaga.
Un sito sullo stile di vita yuppy, per esempio, ha votato El Centro come «la
peggiore città» degli Stati uniti, mentre William Vollman, il Forrest Gump del
giornalismo letterario americano, ha descritto l'Imperial County come il cuore
dei limiti dell'oscurità - se non addirittura come l'inferno stesso - in un
immenso e interminabile libro solipsistico (il suo Imperial, pubblicato nel 2009
è di 1344 pagine, la mia edizione di Guerra e Pace di Tolstoj ne fa 1296).
Dopo la marcia, mentre gli organizzatori stavano smantellando l'altare, ho
parlato con un certo numero di manifestanti a proposito dell'immagine che la
Valley ha all'esterno. Un adolescente pensava che lo prendessi in giro quando
gli ho descritto la grande opera di Vollman: «È sul El Centro? Davvero? Perché?
Questo non è altro che un posto normale».
Un'altra persona di origine latino-americana ricorda il brutale e straordinario
passato anti-Union della Valley, ma nello stesso tempo chiede anche rispetto per
il suo ricco nocciolo culturale di vita familiare, attività ricreative
all'aperto, ed eredità messicana. «Se i nostri figli se ne vanno - sottolinea -
non è perché odiano il deserto, ma perché non ci sono posti di lavoro decenti».
I venti della morte
Più tardi, di fronte a una torta di mele e a dei
nachos (dolci messicani) lì vicino da Denny's, ho avuto l'opportunità di
intervistare sei degli occupanti. Sono particolarmente interessato a come
collegano i più ampi temi dell'avidità e dell'ineguaglianza allo loro situazione
locale.
Ho soprannominato Imperial la contea più «reazionaria» in California. Susan
Massey, una maestra in pensione della vicina Holtville, per lungo tempo
militante per la pace, è scettica. «Forse i più poveri», ma sottolinea il
rinnovamento (80% della popolazione è oggi di latinos) che ha messo fine a un
lungo periodo di aperto fascismo rurale, quando gridare degli slogan
anti-plutocrazia in Main Street portava in carcere o addirittura al linciaggio.
Elettoralmente, Imperial è ora una terra democratica sicura (rappresentata al
Congresso dal liberal Bob Filner di San Diego) anche se gli elettori respingono
decisamente ancora i matrimoni gay. Ma tutti attorno alla tavola sono d'accordo
sul fatto che l'ampiezza del problema della disoccupazione nella Valley è troppo
grande per le magre risorse del governo locale. Come nella Louisiana del sud,
lavoro e ambiente sono strettamente legati, poiché la regione sta avvicinandosi
a un punto di non ritorno.
Anita Nicklen, avvocata che si occupa dei migranti e madre di due giovani
manifestanti, spiega questi legami in termini di una catena fatale. «I contadini
sono messi sotto una fortissima pressione per lasciare la terra a riposo e per
vendere i loro diritti all'acqua ai sobborghi di San Diego. Meno raccolti
significano meno contadini e meno dollari che circolano nell'economia locale».
«C'è anche meno acqua per l'irrigazione proveniente dal Salton Sea, che si sta
asciugando. I pesci muoiono, gli uccelli migratori se ne vanno, i turisti
restano a casa. E a misura che il Sea si asciuga, i suoi residui tossici sono
esposti al vento».
(In seguito, un mio amico scienziato ha suggerito una ricetta per fronteggiare i
fanghi sul fondale del Sea: «Aggiungere sali alcalini, residuati di pesticidi e
scorie industriali cancerogene alle ampie quantità di fertilizzatori e prodotti
dell'agricoltura industriale. Lasciar asciugare. Lasciare che si disperda
nell'aria. Chiudere i finestrini della macchina e partire il più in fretta
possibile il più lontano possibile»).
Un deserto alla Chernobyl?
Il rischio non è teorico. Los Angeles spende
centinaia di milioni di dollari per recuperare parti del lago Owen, le cui
riserve d'acqua sono state deviate verso l'acquedotto di Los Angeles nel 1910,
per ridurre le tempeste di polvere alcalina che per anni hanno causato gravi
problemi respiratori nelle comunità dell'alto deserto. Ma la morte del Salton
Sea, un enorme serbatoio di sinistri prodotti chimici, significherebbe aprire il
vaso di Pandora. Uno strisciante Chernobyl di malattie respiratorie e cancro.
Può seguire un parziale spopolamento delle valli di Imperial e Coachella.
Per evitare questa Apocalisse, Sacramento ha proposto un piano di recupero di 9
miliardi di dollari per il Sea, ma l'ente che doveva appropriarsi della zona è
stato bloccato da una sentenza giudiziaria e il piano deve ora far fronte alle
drastiche scelte imposte dalla crisi del debito dello stato. Tuttavia, il
cambiamento climatico e la siccità del Colorado Basin aumentano la pressione
politica per permettere maggiori trasferimenti d'acqua dall'Imperial Valley alla
costa.
Il Nafta non deve sgocciolare
Cambio la mia linea di inchiesta. «D'accordo,
l'agricoltura dovrà declinare, ma cosa dire sull'economia di frontiera?» L'Imperial
Valley sorge lungo due principali corridoi di trasporto del Nafta (North
Atlantic Free Trade agreement, ndt.) e il suo gemello siamese, la Mexicali
Valley, sta industrializzandosi rapidamente e diversificandosi.
El Centro ha una popolazione di 42mila abitanti, Mexicali più di un milione.
Lungo la barriera della frontiera c'è una foresta di nomi di società straniere,
che fanno lavorare le maquiladoras (fabbriche di assemblaggio, ndt): Sanyo,
Kenworth, Allied Signal, Goldstar, Nestlé, ecc. E un ambizioso nuovo parco
industriale - Silicon Border - sta pescando in Asia per riportare in Nord
America le fabbriche di semi-conduttori.
È possibile che il dinamismo di Mexicali rinvigorisca anche l'Imperial Valley?
Purtroppo nessuno da Denny's riesce a ricordarsi di un solo nuovo impianto
industriale che sarebbe stato favorito dall'accordo di libero scambio (in
effetti, sembra che non ce ne sia nessuno). Dall'altro lato, tutti hanno da
raccontare una storia orribile sull'impatto economico e personale del dopo 11
settembre.
Anita, che milita in Angeles sin fronteras (Angeles senza frontiere) - un
rifugio per migranti deportati a Mexicali - racconta della fatica addizionale
che rappresentano le almeno due ore di attesa nelle strade verso nord che
portano in California. I ritardi, sottolinea, hanno fatto fuori gran parte del
commercio al dettaglio frontaliero, che una volta nutriva le vie commerciali
dell'Imperial Valley, i mercati e i supermercati.
(Ho scoperto poi uno studio del 2007 realizzato dal Dipartimento dei trasporti
della California, che stimava che questi ritardi sono costati all'Imperial
County migliaia di posti di lavoro e decine di milioni di dollari in termini di
tasse sulle vendite.)
I supposti vantaggi del Nafta, in altre parole, non hanno avuto effetti sulla
Valley. Tuttavia, come è possibile avere il più alto tasso di disoccupazione del
paese a uno sputo di distanza dal corridoio commerciale più trafficato?
I vigorosi interventi del Messico e dei governi federali per mantenere il boom
di Mexicali contrastano con l'abbandono in cui è stata lasciata la crisi
dell'occupazione dell'Imperial Valley da parte sia di Sacramento che di
Washington.
Mobilitarsi per organizzarsi
Sono andato a El Centro pensando di trovare una
semplice replica della protesta di Wall Street: un'azione sussidiaria, non
adatta a crescere nel clima ostile dell'Imperial County. Invece, ho scoperto un
fiore nel deserto sbocciato grazie a una combinazione di lunga coltivazione (la
tradizione di attivisti locali); molta visibilità (dialogo attraverso i media
sociali) e, di eguale importanza, l'esistenza di una serra locale (uno spazio
fisico per incontrarsi e per l'interazione).
(Mi scuso con Occupy El centro per non essere stato in grado di intervistare un
numero maggiore dei suoi iniziatori, e anche per gli eventuali errori della mia
interpretazione degli eventi.)
In primo luogo, ecco una storia: alcuni dei più anziani attivisti - Anita e
Susan, per esempio - sono dei veterani del movimento contro la guerra del 2003.
Anche se non fu mai molto grossa, l'Imperial Valley Peace Coalition è
all'origine di azioni specifiche, di incontri informali e di riprese
cinematografiche. È stata anche una scuola politica dove degli adolescenti
curiosi - come Camden Aguilera (che adesso ha 24 anni) della città di Imperial -
hanno fatto i primi passi sulla strada del dissenso.
La rete della pace si è fatta sentire quando Wind Zero - una misteriosa società
di San Diego guidata da un ex ufficiale della Marina - aveva ottenuto il
permesso da parte delle autorità dell'Imperial County di costruire un enorme
centro di addestramento militare privato nel deserto, vicino al villaggio di
Ocotillo. Il progetto è pressoché una copia del noto tentativo di Blackwater di
alcuni anni fa, di costruire delle aree di tiro e delle piste per le corse
d'automobili nella comunità di Potrero, a est di san Diego.
Blackwater a San Diego alla fine venne sconfitta da un'unica coalizione tra
residenti conservatori della campagna e attivisti pacifisti e adesso People
Against Wind Zero, appoggiata da Occupy El Centro, sta costruendo un'alleanza
simile.
L'importanza di avere uno spazio
Nelle attuali proteste globali, i forum fisici e
gli spazi pubblici hanno recuperato la loro centralità nella ribellione. Nel
caso della Valley, sia Camden che Anita sottolineano entrambi il ruolo centrale
svolto dal Center for Religious Science di El Centro - un centro spirituale
destinato alla meditazione - che ha fornito uno spazio funzionale per attori,
musicisti e poeti e ha incoraggiato gli incontri su temi come la pace e la
giustizia ambientale. Camden dice che il centro favorisce le contro-culture e lo
sviluppo di idee alternative nella Valley.
Benché gli attivisti nella Coachella Valley (nella parte nord del Salton Sink)
di recente siano riusciti ad occupare il Palm's Desert Civic Central Park - sei
di loro sono stati arrestati - il movimento dell'Imperial Valley conserva forze
per il futuro. Come afferma con eloquenza Anita, «dobbiamo passare dalla
mobilitazione all'organizzazione».
I primi militanti delle manifestazioni de El Centro hanno messo assieme
un'impressionante agenda di temi cari al movimento del 99%, compresi i diritti
dei migranti (Anita), l'anti-Wind Zero (Susan), il femminismo (Camden) e i
diritti dei veterani (John Hernandez di Brawley).
Occupy El Centro fornisce un quadro organizzativo sia per l'organizzazione delle
forze - come nel caso contro Wind Zero - e per creare nuove reti di solidarietà.
«A causa del fatto che Imperial Valley è sulla frontiera», Camden vede
«un'opportunità per prendere parte non solo in un militantismo locale o
nazionale, ma anche globale». Anita, in particolare, spera di poter stabilire
dei legami con gruppi simili a Mexicali e cominciare così a costruire un
movimento che abbia la dimensione di Occupy the Border (occupare la frontiera).
Infine, visto che sono un po' arretrato dal punto di vista tecnologico, sono
rimasto affascinato dall'aspetto di comunità virtuale che ha Occupy El Centro.
Grazie a Facebook, per esempio, la diaspora del college della Valley - compresa
Jessica Yocupicio, appena laureata all'Uc Santa Cruz - è stata in grado di
svolgere un ruolo di primo piano nell'organizzare la protesta.
Secondo Susan, «un ragazzo, Sky Ainsworth, ha dato vita al processo con un
appello on line per l'azione. All'inizio poca gente aveva risposto, ma Jessica
ha preso contatto con Anita, che aveva conosciuto ai tempi dell'organizzazione
anti Wind Zero, e a sua volta lei ha contattato Camden e John Hernandez per dare
vita al dialogo sulla programmazione. Altri giovani hanno letto i blog e si sono
uniti».
Alla fine della giornata, però, l'occupazione de El Centro è stata fatta con i
vecchi metodi. Come spiega Susan: «Volevo aggiungere che sono stata commossa
dagli enormi sforzi devoluti dai giovani organizzatori della marcia. Nessuno di
loro aveva la macchina, e andavano al lavoro o a scuola con i mezzi pubblici.
Nell'Imperial Valley gli autobus sono molto rari e ciò significa perdere due o
tre ore per andare in un posto dove basterebbero 20 minuti in macchina. Sono
anche molto attenti ad aiutare gli amici e le famiglie che hanno problemi, per
questo è stato incredibile che abbiano potuto realizzare questo».
Viareggio, licenziato dalle
Ferrovie, era il consulente Cgil per la strage
Era da anni impegnato nelle battaglie per la
sicurezza dei treni. Ferrovie: "Si è compromesso il rapporto di fiducia". E in
un comunicato spiega: "Ha rivolto gravi ingiurie e insulti all'amministratore
delegato"
Riccardo Antonini, il ferroviere che svolge un
ruolo di consulente di parte civile nell'incidente probatorio per l'inchiesta
lucchese sulla strage alla stazione di Viareggio (giugno 2009, 32 morti) è stato
licenziato dalle Ferrovie. Lo rende noto Antonini, ricordando di aver già
ricevuto in passato una lettera di richiamo e un provvedimento di sospensione
legate alla sua attività di consulenza. Il licenziamento è senza preavviso per
giusta causa perchè si è "definitivamente compromesso il rapporto fiduciario".
Antonini è stato prima consulente di un familiare delle vittime, poi della Cgil.
Grazie al suo ruolo ha potuto partecipare agli accertamenti avvenuti nell'
ambito dell'incidente probatorio, che si è concluso nei giorni scorsi al
tribunale a Lucca, dove c'è stato uno scontro tra esperti. I periti del gip e
del gruppo Fs da una parte, i consulenti della procura e delle parti offese
dall'altra.
Oggetto della contrapposizione la causa dello squarcio nella cisterna carica di
gpl che poi esplose. Fra gli indagati ci sono i vertici del Gruppo Fs.
Antonini ha ricordato di aver ricevuto una lettera di diffida in cui gli si
contestava di aver partecipato all'udienza dell'incidente probatorio dell'8
ottobre, quando vennero contestati i consulenti del Gruppo Ferrovie, e alla
manifestazione del Pd, il 9 settembre a Genova, quando venne criticato l'ad del
Gruppo Fs Mauro Moretti.
"E' un'altra fesseria del dottor Moretti - ha commentato Antonini - E' un atto
di intimidazione nei confronti dei lavoratori e un'offesa per le vittime della
strage di Viareggio".
Non si fa attendere la precisazione delle Ferrovie: "Al fine di ristabilire la
verità dei fatti, si precisa che Riccardo Antonini è stato destinatario del
provvedimento di licenziamento in particolare per le gravi ingiurie e i pesanti
insulti rivolti direttamente all'amministratore Delegato Mauro Moretti, nel
corso di un dibattito pubblico nell'ambito di una manifestazione organizzata dal
PD e tenutasi a Genova il giorno 9 settembre". E ancora: "Si ricorda che la
manifestazione in oggetto è stata interrotta pochi minuti dopo il suo inizio per
le intemperanze di alcuni contestatori, tra i quali proprio Riccardo Antonini.
Come documentato e come risulta dalla contestazione disciplinare, Antonini,
munito di megafono, ha rivolto all'amministratore delegato di Fsi pesanti
ingiurie, quali "sei un vigliacco", "sei un assassino e devi pagare", "sei un
buffone", "bastardo", "pezzo di merda" ecc. Tali frasi, gravemente offensive e
lesive della persona e dell'immagine dell'ad e dell'Azienda, hanno rotto
definitivamente, come ovvio, il rapporto fiduciario con il lavoratore".
Il sindaco di Viareggio Luca Lunardini a nome della città esprime solidarietà a
Riccardo Antonini: "Ho un senso di stupore per quanto accaduto pur non entrando
nel merito formale della decisione presa dalle Ferrovie: sarà il giudice del
lavoro che dovrà pronunciarsi su questa vicenda. Resta, riguardo al risvolto
umano di quanto accaduto, un senso di sorpresa. La città, compreso il
sottoscritto, si aspetta comunque che venga fatta giustizia e verità su quanto
accaduto il 29 giugno 2009 per il rispetto delle 32 vittime innocenti, dei
feriti e dei loro familiari".
"Moretti conferma di essere spietato" è il commento del presidente della
Provincia di Lucca Stefano Baccelli in merito a questa vicenda. "Sin dall'inizio
- dichiara Baccelli - l'ad di Fs, Mauro Moretti, non ha mai messo in discussione
né se stesso, né la parte che rappresenta, le Ferrovie dello Stato. Da subito
Moretti ha messo in atto una strategia di attacco irrispettosa, innanzitutto,
del dolore dei parenti delle vittime. Questo ultimo atto appartiene alla
medesima logica aggressiva". Poi la solidarietà: "Esprimo la mia vicinanza ad
Antonini. Qual'è la sua colpa? Forse quella di aver voluto dare il suo
contributo alla ricerca della verità".
Bankitalia: “Il 23% dei
giovani non studia né lavora”. Dato in crescita rispetto al 2008
Il dato è legato solo in parte al fenomeno
della disoccupazione. Nel 2008 solo il 30,8 per cento dei Neet (Not in education,
employment or training) cercava un'occupazione, nel 2010 la percentuale è salita
al 33,8 per cento
Cresce
il numero dei “ Neet “: la sigla non ha niente a che fare con la rete, ma è
l’acronimo inglese (Not in education, employment or training) che indica coloro
che non lavorano né studiano. Secondo il rapporto “Economie regionali” elaborato
dalla Banca d’Italia su dati Istat del 2010, la percentuale dei giovani tra i 15
e i 29 anni che non fanno alcuna attività “è pari al 23,4%, equivalente a 2,2
milioni. In altre parole, quasi un ragazzo su quattro”. Nel periodo 2005-2008 i
Neet della stessa fascia d’età “erano poco meno di 2 milioni, pari al 20% dei
15-29enni”. Il fenomeno è cresciuto maggiormente nel nord e nel centro Italia:
“Nel Mezzogiorno la crescita è stata meno pronunciata perché l’incidenza dei
giovani ‘Neet’ era vicina al 30% già prima della crisi. In particolare, dei 2,2
milioni di under 30 che non studiano e non lavorano ben 1,2 milioni, ovvero più
della metà, si trova nel Sud e nelle Isole”. In queste zone sono 1.253.731 i
Neet, su un totale nazionale di 2.233.672. “Marcate risultano anche le
differenze – dice Bankitalia – tra la componente femminile e quella maschile
(20,5% tra gli uomini e 26,4% tra le donne)”.
La condizione di Neet è solo in parte collegata al fenomeno della disoccupazione
. “Nel 2008 il 30,8 per cento dei Neet cercava un’occupazione (il 25,3 per cento
tra le donne); tale quota ha raggiunto il 33,8 per cento nel 2010. Nel Nord
Ovest e al Centro quasi il 40 per cento dei giovani che non studiano e non
lavorano era alla ricerca di un’occupazione, il 38 per cento nel Nord Est. Nel
Mezzogiorno, dove la partecipazione al mercato del lavoro è inferiore per tutte
le fasce d’età, la quota non raggiungeva nemmeno il 30 per cento”. Alzando
l’asticella fino ai 35 anni, per includere coloro che hanno terminato un corso
di laurea o di specializzazione, la quota dei neet tra i laureati resta, pur se
inferiore alla media, abbastanza alta (pari al 20,5%). Quindi, il titolo di
studio un pò aiuta (chi ha solo la terza media cade più facilmente nel bacino
dei neet (24,8), ma non risolve il problema. Inoltre, se prima della crisi la
condizione del neet era per una buona parte solo temporanea, oggi non è più
così, con la quota di chi passa velocemente tra gli occupati che è sensibilmente
calata.
Il rapporto segnala anche come la ripresa economica del paese si sia fermata
nell’estate del 2011 ”Nelle regioni centrali e meridionali i livelli di attività
hanno ristagnato in tutti i primi nove mesi dell’anno. In tutte le aree le
aspettative degli imprenditori sono peggiorate durante l’estate per effetto
dell’instabilità sopraggiunta sui mercati finanziari”. Infine nel primo semestre
del 2011 “le esportazioni sono cresciute più lentamente del semestre precedente;
l’aumento è stato superiore nel Nord e nel Mezzogiorno”.
Genova: la protezione civile
è una scienza
Catastrofi e protezione civile: il caso di
Genova. Non tutto è sempre prevedibile, ma le norme della scienza deputata a
proteggere non vengono di fatto applicate dall'amministrazione pubblica,
centrale e locale
di Bruno Giorgini
fisico
Il sindaco Marta Vincenzi ha ripetuto più volte
che l'evento era imprevedibile riferendosi all'onda di piena che ha spazzato via
persone e cose in larga parte della città, e Marta Vincenzi è donna
intelligente, nonché certamente amorosa di Genova e dei suoi concittadini.
Eppure questa asserita "imprevedibilità" apocalittica non convince.
Intanto prevedibili e previste erano le piogge. Quindi si poteva adottare il
principio di precauzione, secondo il quale gli esseri umani innanzi tutto vanno
messi in sicurezza, seppure la probabilità di esondazione fosse stata bassa, o
anche molto bassa (assumo qui che nei giorni precedenti qualcuno questa
probabilità abbia a Genova valutato se non calcolato, o no?) attraverso l'
evacuazione , ovviamente delle zone considerate a rischio (assumo qui che nei
giorni precedenti qualcuno abbia mappato queste zone, o no?). In secondo luogo
andavano eliminate le automobili dalle stesse zone, sia quelle parcheggiate che
quelle in movimento (blocco del traffico pubblico e privato). I veicoli
costituiscono un intoppo al libero fluire delle acque, moltiplicando l'onda
d'urto, oltre a essere pericolosi per chi si trovi nonostante tutto in strada.
In terzo luogo andava organizzata una comunicazione capillare dei rischi e delle
precauzioni che ciascun cittadino avrebbe dovuto/potuto prendere, comunicazione
e informazione dettagliata e tecnica sia agli individui che ai corpi sociali ,
per esempio se si tengono aperte le scuole bisogna dire agli insegnanti e altri
operatori scolastici cosa fare in caso di evento/i catastrofico/i , rassicurando
nel contempo i genitori che i loro figli non saranno lasciati a sé stessi, e lo
stesso per i lavoratori privati e pubblici, se si decide che i luoghi di lavoro
non vengano chiusi preventivamente. Ovviamente sto facendo i conti senza l'oste,
perché di protezione civile quasi nessuno sa niente , non la si insegna nelle
scuole e all'università (esiste qualche master qua e là), non la si pratica come
disciplina di massa e patrimonio dei cittadini tutti , salvo poi tirare fuori i
fazzoletti per piangere, ascoltare le omelie dei vescovi sulle bare, dichiarare
lo stato di emergenza ex post, maledire il destino cinico e baro, fare gli
scongiuri e cercare qualche capro espiatorio, la natura imprevedibile e/o il
sindaco incompetente, per di più "piove governo ladro".
Invece la protezione civile non è un'opera benefica più o meno dilettantesca ma
una scienza, che esige rigore, precisione, capacità di predizione, nei limiti
del possibile, e di prevenzione. Una scienza altamente interdisciplinare , che
corre dalla matematica, alla fisica, dalla dinamica dei fluidi alla dinamica
degli esseri umani, dalla psicologia all'ingegneria, dall'ecologia all'economia,
dalla computer science alla teoria della comunicazione, e altro ancora. Una
scienza sempre più necessaria, perché gli eventi potenzialmente catastrofici,
dalle grandi piogge sempre più frequenti e violente, ai terremoti, tsunami e
quant'altro, aumentano di numero e intensità anno dopo anno, per molteplici
ragioni che qui sarebbe troppo lungo analizzare (mutamenti climatici, effetto
serra, eccessivo sfruttamento del suolo, cementificazione del territorio e dei
corsi d'acqua, eccetera).
Certamente di tutto questo non può essere competente/responsabile il solo
sindaco, ma egli/ella dovrebbe tenere in conto questa dimensione tecnico
scientifica della protezione civile, predisponendo gli studi e le ricerche del
caso, nonché essere cosciente che per un altro verso la protezione civile, i
suoi principi basilari e le sue regole elementari di autodifesa, per essere
efficace deve essere anche di massa e partecipata , deve entrare a fare parte
del corredo genetico di ogni cittadino/a, più o meno come il codice della
strada, o un tempo l'educazione civica. Tra l'altro la coscienza razionale del
pericolo e la conoscenza diffusa di alcuni modi e comportamenti che possono
ridurre l'impatto dell'onda di catastrofe , riducono anche il panico, diminuendo
gli effetti caotici. Quindi, riassumendo, per affrontare le catastrofi, naturali
e/o provocate dall'uomo (spesso i due aspetti si mescolano) con una efficace
protezione civile bisogna in primo luogo aumentare l'intelligenza del sistema, e
dei singolo componenti, sia nel senso di scienza, conoscenza, informazione, che
in quello della predisposizione di strumenti e tecnologie adatte, per esempio
alla simulazione degli eventi catastrofici, onde potere sperimentare in silico e
vedere sullo schermo di un calcolatore cosa potrebbe accadere,e quali azioni
preventive possono essere messe in atto. Nonché operando, e qui siamo alla
politica , per sviluppare la coscienza civica che la protezione civile è
responsabilità e diritto/dovere di ciascuno con la preparazione di base
necessaria , in un meccanismo che vada dalla scuola a un sistema che potrebbe
essere simile alla leva obbligatoria d'antan, ovviamente senza elementi
coercitivi. Infine, tornando al punto iniziale dell'imprevedibilità, non so
quali ricerche e studi siano stati fatti sul sistema dei rii e torrenti
genovesi, e convengo che la predizione dei fenomeni fluidodinamici in
particolare turbolenti non sia una cosa semplice, so però che esistono oggi
modelli in grado di calcolare almeno in senso statistico, e simulare fenomeni
come l'esondazione e l'onda di piena che ha agito a Genova. Certo ci vuole un
sistema di misura e monitoraggio delle acque , possibilmente on line, cioè in
tempo reale e un sistema di computazione adeguato, ma si tratta di una impresa
per cui oggi esistono le teorie e le tecniche adeguate. Mi pare che dedicarsi a
questa nuova protezione civile sarebbe, per Marta Vincenzi ben più utile che
cercare di difendersi dalle critiche o accuse. Inoltre forse potrebbe essere un
modo di elaborare il lutto della città ritrovando un ottimismo della ragione
comune, del comune stare insieme, non solo ai funerali e nel cordoglio, non solo
nella comune ricostruzione, ma anche nella comune protezione civile . Oggi per
la catastrofe appena passata, e domani a fronte delle catastrofi future.
7 novembre
Anche il Financial Times
scarica Berlusconi: “In nome di Dio e dell’Italia, vattene”
Il quotidiano inglese dedica alle vicende nostrane tutta la prima pagina per
affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: "Solo un cambio
di leadership potrà ridare credibilità all'Italia"
Il
Financial Times ha rivolto al presidente del Consiglio italiano un invito
inequivocabile: “In nome di Dio , dell’ Italia e dell’ Europa , vai”. Il
quotidiano inglese dedica alle vicende italiane tutta la prima pagina per
affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: “solo un cambio
di leadership potrà ridare credibilità all’Italia”. Se il cambio della guardia a
Palazzo Chigi è un “imperativo”, il Ft mette però in guardia anche quelli che
pensano che la cacciata di possa essere la panacea di tutti i mali per uscire
dalle secche della crisi economica e del debito. “Sarebbe ingenuo credere che
quando Berlusconi se ne andrà, l’Italia possa reclamare subito piena fiducia dei
mercati”, scrive il foglio britannico.
Negli articoli di cronaca si sottolinea poi che al G20 di Cannes, l’Italia ha
accettato un monitoraggio del Fondo monetario internazionale “altamente
intrusivo”. E, secondo i cronisti inglesi, è una “concessione senza precedenti”
perché l’Italia, per il momento, è un paese che non è ancora fallito.
Ma le parole più brucianti sono nell’editoriale in cui il Cavaliere viene
paragonato a George Papandreou , primo ministro greco. “Tutti e due si reggono
su una sottile e risicata maggioranza parlamentare, e tutti e due stanno
litigando con il loro ministro delle Finanze . Ma, la cosa più importante di
tutte, hanno entrambe la tendenza a rinnegare le loro promesse in un periodo nel
quale i mercati sono preoccupati sulle finanze pubbliche dei loro paesi”. E poi
la stoccata finale: “Il rischio che potrebbe minare il Paese riguarda il leader
attuale: avendo fallito l’obiettivo di realizzare riforme nelle due decadi
passate in politica, Berlusconi manca della credibilità per portare avanti
questi significativi cambiamenti”.
Così, anche se non sarebbe una soluzione a tutti i problemi, “il cambio di
leadership è imperativo” e “un nuovo primo ministro impegnato nell’agenda della
riforma potrebbe rassicurare il mercato, che è alla ricerca disperato di un
piano credibile per bloccare la corsa del quarto debito più grande del mondo”.
Tuttavia il fatto che il Cavaliere sia arroccato alla sua poltrona, è cosa nota
anche in riva al Tamigi. Tant’è che il pezzo dedicato alla politica di casa
nostra viene titolato così: “il sopravvissuto dell’Italia determinato a durare”.
Pdl, iscrizioni record in
Campania
I signori delle tessere del partito del premier si sono scatenati: quasi
200mila iscritti e una raccolta fondi che ha toccato quasi quota 2 milioni di
euro
E
meno male che il segretario del Pdl Angelino Alfano si era tanto raccomandato di
non esagerare, per non trasferire nel tesseramento lo scontro tra i leader e gli
aspiranti coordinatori cittadini e provinciali. A Napoli e dintorni il suo
appello è caduto nel vuoto. Nella Campania di Nicola Cosentino , che festeggia
il sesto anno da coordinatore regionale a dispetto di inchieste e rinvii a
giudizio per camorra e trame varie, il Pdl ha staccato ben 185.000 tessere e ha
raccolto quasi due milioni di euro . Una fetta molto consistente del milione e
mezzo di persone che in tutt’Italia avrebbe versato almeno dieci euro per
iscriversi al partito di Berlusconi. Sulla genuinità e spontaneità della
campagna di adesioni campana, si pronunceranno le varie commissioni di garanzia.
Le cui maglie di solito, per usare un eufemismo, non sono strettissime.
Ma di fronte a certi numeri i sospetti sono inevitabili. Come sono stati
raggiunti? Col consueto lavorìo dietro le quinte di parlamentari e capobastone
locali. I soliti noti che da anni fanno il bello e il cattivo tempo nei
territori. Luigi Cesaro . Nicola Cosentino, Edmondo Cirielli . Vincenzo Nespoli
. Si racconta che a Sant’Antimo , feudo del presidente della Provincia “Giggino
‘a Purpetta’” Cesaro, le tessere azzurre erano così tante da riempire ben due
pulmini, diretti a Roma col pieno di benzina poche ore prima della chiusura
della campagna. “Ma quali pulmini” ha replicato stizzito Cesaro in un’intervista
a Dario del Porto sulle pagine napoletane di Repubblica “un gruppo di giovani ha
utilizzato un Doblò per trasportare le scatole. E solo perché serviva una
vettura più capiente, altrimenti avremmo dovuto impiegare tre o quattro auto”.
Cesaro è il signore delle tessere di Napoli. Col suo triplo ruolo di deputato,
Presidente della provincia e coordinatore provinciale del partito dai tempi di
Forza Italia , nonché fedelissimo del Cavaliere fino al punto di inserire in
giunta una delle sue ‘pupille’, la ex billionarina Giovanna Del Giudice , Cesaro
controllerebbe un pacchetto di circa 40.000 iscritti attraverso le adesioni
raccolte dal suo gruppo sul territorio. Angelo Agrippa , giornalista del
Corriere del Mezzogiorno molto informato sulle vicende in casa Pdl, disegna così
la mappa del tesseramento dell’area Cesaro: 3000 iscritti riconducibili al
consigliere regionale originario dell’isola d’Ischia, Domenico De Siano ; 4000 a
un altro consigliere regionale, Massimo Iannicello; 3500 alla parlamentare
Giulia Cosenza; 4000 al capogruppo regionale Pdl Fulvio Martusciello, fratello
di Antonio Martusciello, ex vice ministro di un vecchio governo B. e attualmente
commissario all’Agcom; 1000 tessere sono riferibili al Responsabile
sottosegretario all’Economia Bruno Cesario; 10.000 tessere, infine, farebbero
capo a un ex finiano, il deputato Amedeo Laboccetta. Il variegato e variopinto
gruppo ha un cavallo su cui puntare per il ruolo di coordinatore provinciale: il
giovane sindaco di Pollena Trocchia, Francesco Pinto. Più complicata la corsa
per il coordinatore della città di Napoli, dove Laboccetta dovrà vedersela con
l’ex parlamentare e assessore regionale all’Urbanistica Marcello Taglialatela,
detentore di un pacchetto di circa 7000 tessere e collocabile nello scacchiere
nazionale vicino al sindaco di Roma Gianni Alemanno. Saranno decisive
probabilmente le mosse di alcuni politici non collocabili in questo o quello
schieramento cittadino, come il senatore Raffaele Calabrò, detentore di 5000
adesioni, dell’area di Gaetano Quagliariello , e il senatore Giuseppe Scalera,
fedelissimo di Lamberto Dini, che vale 1000 tessere.
In provincia, si segnalano le 6000 tessere raccolte dal sindaco-deputato di
Afragola Vincenzo Nespoli, in ambasce per la recente sentenza della Consulta che
lo costringerà a lasciare uno dei due incarichi. Se dovesse rinunciare a quello
di parlamentare, però, scatterebbe per lui l’esecuzione degli arresti
domiciliari disposti nell’ambito di un’inchiesta per bancarotta fraudolenta sul
fallimento di alcuni istituti di vigilanza, misura cautelare congelata per il
diniego della Camera dei deputati . Chiudono l’elenco le duemila tessere del
deputato nolano Paolo Russo, le tremila riconducibili al sindaco di
Castellammare di Stabia Luigi Bobbio (ben 10.000 adesioni in tutto nella città
delle Terme), le 5000 iscrizioni raccolte a Giugliano
A Salerno e provincia hanno aderito al Pdl 25.000 persone. E circa 22.000 lo
avrebbero fatto grazie agli input del presidente della Provincia e deputato
Edmondo Cirielli, padrone incontrastato del partito salernitano, un potere che
nemmeno la ministra conterranea Mara Carfagna è riuscita a scalfire. In Irpinia
circa 5000 tessere sono state raccolte intorno al presidente della Provincia e
deputato Cosimo Sibilia e al consigliere regionale Antonia Ruggiero. Infine,
Caserta e hinterland. Dove il Pdl è una cosa sola con Nicola Cosentino.
Quindicimila iscritti e due uomini forti sul territorio, il presidente del
consiglio regionale della Campania Paolo Romano (quasi 4000 tessere) e il
consigliere regionale Angelo Polverino (3500 tessere).
Il governatore Pdl della Campania, Stefano Caldoro , era contrario all’apertura
della campagna di tesseramento. In alcune interviste ha predicato la necessità
di costruire un partito aperto, sul modello americano. Dichiarando:
“L’organizzazione del consenso in un partito non si costruisce solo con le
tessere, che possono essere un elemento di valutazione, ma occorre puntare a un
modello moderno di partito nel quale il tesseramento sia un aspetto marginale”.
Alla fine, però, si è iscritto anche lui.
Portorico, a Vieques
continua la contaminazione ambientale della Marina Usa
La Marina Usa continua a far esplodere bombe e a bruciare vegetazione. La
popolazione protesta "Inquinamento provoca tumori"
La
Marina Militare Usa se ne è andata il 1 maggio 2003 ma la situazione a Vieques ,
splendida isola caraibica a poco più di 8 miglia dalle coste dell'isola di
Portorico, non è mai migliorata.
Due terzi dell'isola sono stati utilizzati per decenni dai militari Usa per
effettuare manovre militari , provare armi, preparare invasioni , come vi
abbiamo raccontatto nel numero di giugno di E-Il Mensile. Oggi a otto anni di
distanza la popolazione soffre ancora per i danni causati dagli agenti chimici
contenuti nelle bombe esplose per 'prova' ed ha conquistato il triste primato di
area con un'altissima incidenza di tumori e leucemie. La conferma arriva da
Ismael Guadalupe , uno dei leader delle proteste isolane che culminarono con la
cacciata dell'esercito.
"La contaminazione continua a esistere e le malattie come il cancro dilagano.La
Marina "continua a riversare agenti tossici, avvelenando acqua mare e terra. La
contaminazione uccide la nostra gente mentre altri stanno in silenzio, come il
governo"
Secondo quanto raccontato da Guadalupe le attività della Marina nelle ultime
settimane si sarebbero intensificate . Certo, non ci sono più le manovre, ma le
attività nell'area proseguono. Come il disboscamento delle aree ex Marina per
scoprire bombe inesplose e farle detonare. E sono recenti le foto mostrate da
Guadalupe che ritraggono un fungo, figlio dell'esplosione di alcuni ordigni. "Da
molti anni l'organizzazione in difesa del territorio rifiuta con energia
qualsiasi tipo di esplosione aperta" ma a poco sembra servito.
Nel frattempo, la situazione sta degenerando . E poco sembra importare se le
autorità Usa hanno già stabilito che e riconosciuto che le attività della
Marina, che ha utilizzato anche uranio impoverito , hanno causato seri danni
alla salute della popolazione.
4 novembre
Di lavoro si continua a
morire
da Michele Michelino*
Altri due operai morti all'interno di un pozzo
artesiano a Somma Vesuviana. Il pozzo doveva essere ampliato per la raccolta
delle acque nel tentativo di evitare gli allagamenti, in caso di piogge e
temporali.
Antonio Annunziata e Alfonso Peluso, i due operai morti a Somma Vesuviana, non
risultano dichiarati alla Cassa Edile, erano costretti a lavorare in nero per
portare a casa il pane per le loro famiglie.
Ogni giorno si allunga la lista dei morti sul lavoro e di lavoro. Solo in
Campania sono 117 gli assassinii di lavoratori, chiamati omicidi bianchi,
dall'inizio dell'anno, tra la provincia di Napoli e la regione Campania.
Nonostante il “progresso” e le campagne sulla sicurezza del governo e
Confindustria, sui posti di lavoro si continua a morire come nel passato. La
mancanza di rispetto delle norme di sicurezza, la precarietà, il ricatto del
posto di lavoro attuato dai datori di lavoro (cioè i padroni), lo stress di non
arrivare a fine mese e i turni bestiali, costringono gli operai e i lavoratori a
lavorare a ritmi bestiali e in condizioni incivili.
Secondo i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti e sugli
infortuni sul lavoro dall’inizio dell’anno “ci sono stati 555 morti per
infortuni sul lavoro, oltre il 15% di queste sono vittime che lavoravano in nero
o erano già in pensione”.
Se a questi dati aggiungiamo le decine di miglia di morti per malattie
professionali che avvengono in silenzio ogni anno, otteniamo la sanguinosa
rappresentazione di una strage dimenticata, un crimine contro l’umanità i cui
responsabili, i padroni, rimangono impuniti.
Non possiamo accettare che i lavoratori siano considerati carne da macello
Non conosciamo, al momento, la causa della morte dei due operai , se è dovuta al
cedimento delle pareti del pozzo o alle esalazioni venefiche del terreno, anche
se una cosa è certa: i due operai non avevano misure di protezione.
Quando non si hanno proprietà da difendere o profitti da realizzare sullo
sfruttamento degli esseri umani, la solidarietà fra lavoratori viene prima di
tutto e può succedere che, nel disperato tentativo di salvare il compagno, un
operaio dia la vita.
Ancora una volta per la solidarietà di classe che si instaura fra compagni di
lavoro uno di loro non ha esitato a infilarsi nel pozzo a nove metri di
profondità per soccorrere il compagno colpito da malore, perdendo anch’egli la
vita.
Eppure i padroni, il governo, la Comunità Europea, la Banca Europea e il Fondo
Monetario Internazionale continuano a colpire la classe operaia con attacchi al
salario e alle condizioni di vita, vanificando i diritti al lavoro, alla sanità,
alla scuola, imponendo nuovi sacrifici e - in nome dell’aumento dell’aspettativa
di vita (di chi?, non certo degli operai) - aumentando l’età pensionabile e
tagliando le pensioni e i salari.
E’ arrivato il momento di dire basta.
Siamo stufi di pagare e morire per una minoranza di sfruttatori e speculatori,
per mantenere il debito del sistema capitalista, per salvare un sistema che ci
affama e che si arricchisce e prospera sulla nostra miseria.
Se questo è il futuro, allora è auspicabile il crac di questo stato, che difende
solo gli interessi dei capitalisti.
Sesto S.Giovanni, 3 novembre 2011
*Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
Regionali Molise, 300
denunciati per falso. Dopo 18 giorni manca vincitore
Le operazioni di controllo e verifica nelle commissioni elettorali
provinciali di Campobasso e Isernia sono terminate ieri sera e ora tutta la
documentazione è negli uffici della Corte d’Appello. La verifica di una
quarantina di seggi aveva portato al “recupero” di circa 500 voti da parte del
candidato di centrosinistra Frattura
Trecento
cittadini molisani saranno denunciati per falso dalla procura della repubblica
di Campobasso. E’ la conseguenza di un atto dovuto, stando a quanto si apprende
in ambienti giudiziari, da parte delle commissioni elettorali che hanno avuto il
compito di controllare la documentazione che i partiti hanno dovuto allegare per
la presentazione delle candidature alle recenti elezioni regionali.
Si tratta in sostanza di cittadini che hanno sottoscritto liste di diversi
partiti contravvenendo così alla legge elettorale che prevede che l’elettore può
firmare per la presentazione di una sola lista.
Alcuni lo avrebbero fatto ignari del reato che stavano commettendo, altri invece
avrebbero agito pur sapendo di correre questo rischio. Con il lavoro delle
commissioni però le doppie firme sono venute a galla, i funzionari delegati
infatti si sono trovati di fronte a nomi di cittadini che comparivano a corredo
di più di una lista.
E così diciotto giorni dopo le elezioni regionali in Molise non è ancora stato
proclamato ufficialmente il vincitore delle regionali tra il candidato del
centrodestra e presidente uscente, Michele Iorio , e quello del centrosinistra,
Paolo Di Laura Frattura , battuto per 1.505 voti.
Le operazioni di controllo e verifica nelle commissioni elettorali provinciali
di Campobasso e Isernia sono terminate ieri sera e ora tutta la documentazione è
negli uffici della Corte d’Appello. Quest’ultima, però, potrebbe anche disporre
ulteriori accertamenti prima di proclamare ufficialmente eletto il nuovo
presidente.
La verifica di una quarantina di seggi aveva portato al “recupero” di circa 500
voti da parte di Frattura. Resta per ora il fatto che neanche stamane la
proclamazione ha avuto luogo e non è chiaro quanto bisognerà aspettare ancora.
3 novembre
Il comma 22 dei
licenziamenti
Alessandro Robecchi
L'idea che per diminuire la disoccupazione si
debba licenziare liberamente è incredibilmente molto gettonata in questo povero
paese di squilibrati. È come se per curare la bronchite si prescrivessero al
paziente due pacchetti di sigarette al dì, un sigaro dopo i pasti e una dose di
curaro inalata per aerosol. In questo modo - spiega il ministro del lavoro
Sacconi - faremmo posto a nuovi ammalati di bronchite da trattare,
eventualmente, nello stesso modo. È un paradosso in stile Comma 22: le aziende
non assumono perché non possono licenziare. Ma se hanno bisogno di assumere,
perché diamine scalpitano per licenziare? Mi rendo conto che è un ragionamento
complesso, si vede bene che mentre lo spiega Sacconi rischia esplodere per lo
sforzo. Ma in generale, si respira aria di festa: il fatto che due governi di
destra (francese e tedesco) incoraggino il più impresentabile dei leader
mondiali a licenziare a piacere i lavoratori, mette d'accordo tutti. Sacconi lo
dice come può, coi suoi strumenti, che sono poca cosa. Più astuto, il telegenico
Matteo Renzi, preferisce citare con eleganza la flexsecurity nordeuropea,
facendo finta di non sapere come vanno le cose da queste parti sudeuropee, cioè
che prima diventi flex a bastonate, e la security, invece forse, vedremo, le
faremo sapere... Tutti e due, tra l'altro, citano deliziati le teorie economiche
di Pietro Ichino che Repubblica, forse in preda a delirio narcotico, definisce
«economista scomodo». Pensa quelli comodi! Che venga da un ente inutile (il
ministero del lavoro di un paese dove lavoro non ce n'è) o dalla nuova
gauche-iPhone ancora affascinata da Tony Blair (perversi, eh!), la solfa è
quella solita: vent'anni di flessibilità non sono bastati, siete ancora troppo
rigidi, dunque mollate i vostri diritti, gente, è per il vostro bene. La fine è
nota: il povero Pd, l'unica vera forza europeista italiana, se lo prende in quel
posto come da tradizione, costretto a gridare «viva l'Europa» anche quando
l'Europa impone la libertà di licenziare senza regole i suoi elettori.
Balzo della disoccupazione a
settembre. 29,3% tra i giovani, ai massimi dal 2004
La percentuale complessiva di chi non ha un
impiego arriva all'8,3, ai livelli di novembre 2010. Tra gli under 24 uno su tre
è senza occupazione, il dato peggiore da gennaio di sette anni fa. "Inattiva"
quasi un'italiana su due: non ha lavoro né lo cerca
ROMA
- Nubi nere su giovani e donne. Per loro il lavoro è sempre più un miraggio. Il
tasso di disoccupazione a settembre è balzato all'8,3%, dall'8,0% di agosto. Lo
rileva l'Istat in base a stime provvisorie, sottolineando che così il tasso si
riporta ai livelli del novembre 2010. Tra i giovani (15-24 anni) quelli senza
lavoro sono il 29,3%, dal 28,0% di agosto. Si tratta del dato più alto dal
gennaio 2004, ovvero dall'inizio delle serie storiche.
Il tasso di disoccupazione a settembre risulta così in aumento di 0,3 punti
percentuali sia rispetto ad agosto sia rispetto all'anno precedente. In
particolare, quello maschile aumenta di 0,3 punti percentuali nell'ultimo mese,
portandosi al 7,4%, mentre quello femminile, con un aumento della stessa entità,
si attesta al 9,7%. Rispetto all'anno precedente il tasso di disoccupazione
maschile sale di 0,2 punti percentuali, quello femminile di 0,3 punti
percentuali.
Stando alle cifre Istat, inoltre, quasi una donna su due in Italia né lavora né
è in cerca di un posto, ovvero non rientra né nella fascia degli occupati né in
quella dei disoccupati. L'Istat, nelle stime provvisorie, rileva che a settembre
il tasso di inattività femminile è pari al 48,9%, mentre quello maschile si
attesta a 26,9%. In generale, spiega l'Istituto, il tasso di inattività si
attesta al 37,9%, registrando un aumento congiunturale di 0,1 punti percentuali.
Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni crescono dello 0,1% (21 mila unità) rispetto
al mese precedente. Su base annua gli uomini diminuiscono dello 0,2%, mentre le
donne inattive aumentano dello 0,5%.
Sull'altro fronte, gli occupati scendono a 22,911 milioni, in calo dello 0,4%
(-86 mila unità) rispetto ad agosto. Anche in questo caso la diminuzione
interessa sia uomini che donne. Il tasso di occupazione maschile, pari al 67,7%,
diminuisce di 0,2 punti percentuali rispetto ad agosto, restando invariato su
base annua. Quello femminile, pari al 46,1%, registra una diminuzione di 0,2
punti percentuali sia in termini congiunturali sia tendenziali.
Glaming, la Mondadori di
Berlusconi entra nel business del gioco d’azzardo
Una nuova concessionaria per il gioco d’azzardo
online. Ma non una concessionaria qualunque, nella torta del ricco mercato del
gioco in Internet ora c’è anche la Mondadori di Marina Berlusconi con la sua
Glaming . Questo il tema della puntata di Report, in onda questa sera su Rai
Tre. Nell’inchiesta di Sigfrido Ranucci la ricostruzione dell’ennesimo caso di
conflitto di interessi nella vicenda politica e imprenditoriale del premier. Già
perché per operare nel mercato dei giochi, che in Italia a fine 2011 varrà circa
70 miliardi di euro, serve una concessione. E a dare le concessioni sono i
Monopoli dello Stato , che a loro volta dipendono dal governo.
Insomma, l’esecutivo del presidente del Consiglio, attraverso l’amministrazione
dei Monopoli, concede l’autorizzazione ad operare ad una società che di fatto
appartiene al 70% al premier stesso. L’altro 30% , racconta Report, è
controllato dalla Fun Gaming . Quest’ultima, a sua volta è per 49% inserita in
una fiduciaria, mentre il restante 51% appartiene a Marco Bassetti , marito di
Stefania Craxi , che al governo siede come sottosegretario agli Esteri.
Ma i profili del conflitto di interessi non finiscono qui. Quando il cda di
Mondadori discute la nascita di Gamling, nel novembre del 2010, tra i
consiglieri presenti – in videoconferenza – c’è anche Mario Resca , ex numero
uno di McDonald’s e attuale direttore generale del ministero dei beni culturali.
Per non dire di Aldo Ricci , che di Glaming è presidente. Ricci è già stato, per
due volte, amministratore delegato della Sogei , società pubblica che gestisce
l’anagrafe tributaria. Voluto da Tremonti è stato rimosso da Visco e poi
richiamato dallo stesso Tremonti.
Germania, le verità non
dette sulla strage di Kunduz
La commissione d'inchiesta del parlamento
tedesco ha concluso i lavori sulla strage di Kunduz, la prima dolorosa
operazione di guerra dai tempi del secondo conflitto mondiale
Perché
il colonnello Klein ordinò di bombardare quelle due cisterne a Kunduz? Perché
politici e vertici militari tedeschi cercarono di coprire o minimizzare quell'operazione?
A queste domande, la commissione d'inchiesta del Bundestag doveva dare delle
risposte.
I fatti: il 4 settembre del 2009 due F-15 americani sganciano due bombe da 500
libbre su due autocisterne cariche di carburante arenatesi sul letto di un fiume
in secca. Decine di persone dei villaggi vicini si erano radunate nei pressi
sperando di raccogliere qualche litro di combustibile. L'esplosione delle bombe,
amplificata dal carburante, uccise 91 afgani, secondo le cifre ufficiali Isaf,
142 secondo fonti afgane. La maggior parte di essi erano civili.
A ordinare il bombardamento, fu il colonnello Georg Klein . Le immagini
sgranate, senza audio, provocarono sdegno in Germania, i cui cittadini credono
che le missioni militari debbano avere solo una funzione di peacekeeping .
L'affaire "Kunduz" è finora costata la testa del comandante generale Wolfgang
Schneiderhahn e di due ministri della Difesa: Franz Josef Jung prima e il suo
successore Karl Theodor zu Guttenberg , poi, che si è dimesso lo scorso marzo.
La commissione d'inchiesta ha iniziato i lavori nel gennaio del 2010: dopo 79
sedute in cui sono stati ascoltati 41 testimoni ee esaminati 339 documenti
ufficiali, si è giunti a una conclusione più politica, sulla missione in
Afghanistan in generale, che non una conclusione di merito sull'operazione.
Secondo i membri della maggioranza di governo (Cdu+Fdp) nessuna colpa è
imputabile al colonnello Klein che agì secondo le informazioni a sua
disposizione (che i talebani volessero usare le cisterne per attaccare la vicina
base tedesca) e per proteggere i suoi uomini. Le opposizioni, Spd in testa, pur
non ritenendo Klein responsabile della strage, ritengono che abbia preso una
decisione sbagliata, che avrebbe dovuto attendere per avere maggiori
informazioni sulla presenza di civili. La questione dell'opportunità della
missione in Afghanistan ha per lo più preso il sopravvento.
Nessuna risposta si è avuta invece sulle mezze verità e i goffi tentativi di
insabbiamento da parte del ministro della difesa Guttenberg il quale, appena
insediatosi al posto del dimissionario Jung aveva detto - siamo al 6 novembre
del 2009 - che le operazioni si erano svolte secondo le regole d'ingaggio Isaf.
Salvo ribaltare il suo giudizio meno di un mese dopo, il 4 dicembre, quando
ammise che erano stati compiuti degli errori , che erano state prese delle
misure inappropriate.
Poiché il rapporto - allora segreto - della Nato che individuava una serie di
gravi errori procedurali doveva essere già noto al ministro Guttenberg, in molti
si sono chiesti perché abbia ingannato il parlamento e il popolo tedesco . I più
maliziosi ritengono che Guttenberg credesse che il rapporto sarebbe rimasto
secretato per lungo tempo, se non per sempre. Le 74 pagine della relazione Nato
sono state rese pubbliche nel gennaio del 2010: come detto, Klein, secondo gli
inquirenti dell'Alleanza Atlantica, " ha commesso tutti gli errori possibili e
immaginabili ". Il colonnello si basò sulle informazioni di intelligence fornite
da un solo soggetto, dimostratesi inadeguate a dare un quadro completo .
"Inettitudine e disinformazione". Il rapporto Nato sottolineava "l'inesperienza
e la mancanza di professionalità" dei militari tedeschi che non sono stati in
grado di gestire una situazione così delicata. Per più di 45 minuti, i messaggi
radio rimbalzavano tra il suolo, dove c'erano i soldati tedeschi, e i cieli dove
incrociavano i jet americani. Klein ordinò di armare sei bombe da 500 libbre e
lo fece per sette volte: i piloti americani ritenevano che fosse sufficiente
volare a bassa quota per spaventare le persone e farle allontanare. Klein
insistette, affermando che le truppe tedesco stavano per "entrare in contatto"
con gruppi nemici. Era falso, come lo stesso Klein ha poi ammesso alla
commissione d'inchiesta Isaf, ma pensò che fosse l'unico modo per ottenere il
fuoco dall'alto e proteggere la base. Come poi è stato stabilito dalla stessa
Isaf, non c'era nessun pericolo imminente che giustificasse l'attacco Alle 1:08
del mattino, i caccia sganciarono le due bombe.
I tedeschi conoscono la verità dei fatti e sanno degli errori compiuti che hanno
causato una strage di civili. Manca, per adesso, il riconoscimento della
responsabilità politica : le dimissioni di Guttenberg, considerato per lungo
tempo il delfino di Angela Merkel, non bastano a un popolo che ha, per ragioni
storiche, un'avversione alla guerra e alle armi.