30 novembre

 

Cosa non accadrà a Durban

Al via la diciassettesima conferenza delle parti sul clima di Durban, Sudafrica. PeaceReporter ha intervistato Tadzio Müller, portavoce del Climate Justice Action.

I lavori del Cop17 di Durban, Sud Africa, sono iniziati da sole ventiquattr'ore e le prospettive di arrivare, finalmente, a un accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sembrano già compromesse. Le divisioni sono sempre le stesse. Come l'anno scorso a Cancun e quello prima a Copenhagen, ci sono fondamentalmente due blocchi: quello delle grandi potenze, con in testa Stati Uniti, Giappone, Cina e Russia, e quello delle potenze "green", che vorrebbe un patto vincolante per tutti. C'è tempo fino al 9 dicembre per trovare la quadra del cerchio e provare a rinnovare il trattato di Kyoto, con una formula che, questa volta, impegni anche il governo di Washington. Per saperne di più sulla diciassettesima Conferenza delle parti sulla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) PeaceReporter ha intervistato Tadzio Müller , del Climate Justice Action.

Sembra che anche quest'anno sia presente un certo scetticismo fra i partecipanti al Cop17.
Ebbene sì. Partiamo dal presupposto che questa è la diciassettesima conferenza delle parti e se si guarda ai risultati prodotti da questi summit ogni anno, ci si accorgerà che sono stati sostanzialmente miseri. Prendiamo in considerazione gli input, le risorse e il tempo impiegato: è evidente che questi incontri possono semplicemente definirsi un fallimento. Chiediamo ai governi cosa hanno intenzione di proporre a Durban, ma sappiamo già che sarà l'ennesimo "nulla di fatto". Fallirà perché non verrà raggiunto alcun accordo su una riduzione drastica delle emissioni o su alcun altro tipo di soluzione.

Il blocco più importante sul raggiungimento di un'intesa comune pare essere ancora quella degli Stati Uniti. Senza la loro firma su un piano di riduzione, nessun'altra grande potenza si è detta disposta ad assumersi l'impegno di abbassare le emissioni.
Il ruolo degli Stati Uniti sul futuro di un accordo globale è indubbiamente importante. Alcuni biasimano il comportamento degli USA, altri quello della Cina, e altri ancora criticano l'intera struttura dell'accordo che divide le nazioni presenti sull'essenza stessa delle misure di riduzione dei gas a effetto serra. Non credo sia davvero realistico pensare che la posizione di un solo governo, per quanto potente sia, possa aver provocato una situazione che dura da ben sedici incontri. Voglio dire che l'annuale, insoluto, stallo del Cop non dipende solo dal ruolo giocato dagli Stati Uniti. Le cause sono molto più profonde. Nei fatti, le emissioni di gas a effetto serra sono il risultato della crescita esponenziale di un'economia capitalistica basata sullo sfruttamento dei combustibili fossili. Più la crescita è alta più sono alte le emissioni di gas. E questo lo sappiamo benissimo, perché le emissioni dannose per l'ambiente si sono ridotte ogni volta che si è provocato un collasso economico. Lo si è visto durante la crisi che ha colpito l'Europa dell'Est nei primi anni Novanta, o nel 2009 quando l'inizio dell'attuale crisi ha, quando non addirittura abbassato, almeno mantenuto costanti le emissioni. Per questo credo che le cause del mancato accordo non siano legate alla posizione di un governo ma piuttosto a quelle dell'attuale sistema economico. Ridurre le emissioni implica ridurre la crescita economica. E nessun Paese è disposto a questo compromesso.

L'anno scorso, prima del cop di Cancun, lei ha sostenuto l'importanza che gli Stati si impegnassero a livello nazionale nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Crede che sia ancora la strada migliore o sarebbe meglio puntare sul cosiddetto Kyoto 2?
Anche se Kyoto 2 dovesse essere la soluzione, non ci sarà il Kyoto 2. Dimentichiamocelo. È palese a tutti. Abbiamo appena saputo che il Canada è uscito dal protocollo di Kyoto, che il Giappone non rinnoverà il suo impegno e che gli Stati Uniti hanno ribadito per l'ennesima volta la loro posizione: quella di non entrare nel trattato. Tutto questo solo alla vigilia. Allo stesso tempo, i rappresentanti di una superpotenza industriale come la Cina hanno dichiarato che non hanno alcuna intenzione di impegnarsi per il raggiungimento degli obbiettivi di riduzione fissati al 2050, perché questo si ripercuoterebbe negativamente sulla curva di sviluppo economico del Paese. Quando ho sostenuto che è fondamentale concentrarsi sulle politiche di riduzione a livello nazionale è perché sono convinto che non si supererà mai lo stallo globale sull'accordo. E la ragione di ciò non sta nel fatto che ci sono nazioni buone che vogliono firmarlo e nazioni cattive che non vogliono, ma semplicemente nella circostanza che dipende tutto dalla struttura economica globale. Se vogliamo ridurre le emissioni di gas a effetto serra dobbiamo trasformare il sistema di produzione dell'energia e basarlo sulle energie rinnovabili e sulla decentralizzazione dei poteri. Poteri che non dovranno avere a che fare con le oligarchie delle corporation del petrolio. Abbiamo bisogno, in definitiva, di una trasformazione assolutamente democratica ed ecologica del sistema energetico. Questo è l'obiettivo. Poi potremo anche chiederci dove sono gli attori che dovranno favorire l'implementazione di questo nuovo sistema. Solo allora potremo guardare ai movimenti sociali, che sono organizzati a livello locale molto meglio di quanto lo siano a livello internazionale.

Antonio Marafioti

 

 Lavoro, Istat: retribuzioni ferme a +1,7%, inflazione al 3,4%

Le retribuzioni contrattuali dei lavoratori italiani a ottobre sono rimaste ferme su base mensile, tanto che la variazione tendenziale è a +1,7%. Il dato è stato diffuso dall’ Istat , secondo cui nella media del periodo gennaio-ottobre 2011 l’indice è cresciuto appena dell’1,8% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. Nei macrosettori , invece, nel mese scorso le retribuzioni orarie contrattuali hanno fatto registrare un incremento tendenziale dell’1,9% per i dipendenti del settore privato e dello 0,6% per quelli della pubblica amministrazione. Cresce su base annua, quindi, la forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,7%) e il livello d’inflazione(+3,4%), toccando una differenza pari a 1,7 punti percentuali. Il precedente record era a 1,3 punti percentuali. Si tratta del divario più alto almeno dal 1997.

I settori che hanno presentato gli incrementi maggiori rispetto allo stesso mese del 2010 sono quelli militari e della difesa (+3,7%), le forze dell’ordine (+3,5%), gomma, plastica e lavorazioni minerali non metalliferi e attività dei vigili del fuoco (per entrambi +3,1%). Variazioni nulle, al contrario, per ministeri, scuola, regioni e autonomie locali e servizio sanitario nazionale. A ottobre , inoltre, nessun accordo in attesa di rinnovo, tra quelli monitorati dall’indagine, è stato siglato: la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è rimasta quindi del 33,1% nel totale dell’economia e del 12,9% nel settore privato. L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è, in media, di 22,4 mesi nel totale e di 23,4 mesi nell’insieme dei settori privati. Alla fine di ottobre, i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica corrispondono al 66,9% degli occupati dipendenti e al 61,7% del monte retributivo osservato.
 

25 novembre

Rimborsi, benefit e sconti col fisco. Il Bengodi dei partiti

Ogni anno costano 217 milioni. I tagli del 30 per cento? Diventati del 3 per cento. E poi l'indennità, diarie, trasporti quasi gratis e perfino i parrucchieri. Però a loro non basta mai

E= mc al quadrato. Per una formuletta di tre lettere Einstein ha guadagnato il Nobel. Chissà che premio conquisterebbe uno scienziato capace di calcolare i rimborsi elettorali dei partiti italiani. Alla faccia della trasparenza. Ma quanto paghiamo ogni anno ai partiti? Nel 2011 circa 180 milioni (172 milioni per Camera, Senato, Europee e regionali cui vanno aggiunti amministrazioni a statuto speciale e referendum). Contando le voci accessorie si tocca quota 217, 5 milioni (senza contare esenzioni fiscali e sanatorie che vedremo). Un calcolo improbo ( guarda l’infografica in calce** ) . Primo, i finanziamenti sono divisi in cinque fondi, uno per ogni elezione (Camera, Senato, Europee, Regionali e referendum). Secondo, la somma va divisa per anni e per consultazioni elettorali. Per dire, nel 2010 i partiti hanno preso i rimborsi per le politiche del 2006. Ma nel frattempo si erano svolte anche quelle del 2008. Gli uffici della Camera spiegano: “In alcuni anni i rimborsi si sommano”.

Per non parlar di mazzette. E la riduzione promessa del 30%? Quasi nulla: nel 2008 i rimborsi, sommando Camera e Senato (+ 10 % rispetto al 2011), Europee (+ 2 %) e regionali (-15 %) arrivano a 177 milioni. I tagli sarebbero del 3%. Ma in quell’anno si sovrapposero i rimborsi di due elezioni politiche, aggiungendo altri 37 milioni, per un totale di oltre 250. La politica è vorace. Qualche maligno, vedendo quanto entra nelle casse dei partiti dalle mazzette, sostiene che potrebbe bastare (ogni anno la corruzione ci costa 60 miliardi, quanto gli interessi sul debito). Ma oltre ai finanziamenti illeciti ci sono quelli legali. Qui forse i partiti contano sulla memoria corta degli italiani che nel referendum del 1993 avevano votato con il 90, 3 % contro il finanziamento pubblico. Ma è bastato cambiare il nome e i soldi sono rimasti. Anzi, sono aumentati a dismisura. Oggi si chiamano “rimborsi elettorali”.

I risultati sono paradossali, anche senza contare casi come quello ricordato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del partito che alle Europee del 2004 spese 16. 435 euro e ne ricavò un rimborso di 3 milioni. Dal 1998 al 2008 i “rimborsi” ai partiti sono aumentati del 1110 %. Dal 1976 al 2006 gli italiani hanno sborsato ai partiti oltre 3 miliardi. Meglio non fare confronti: ogni francese paga 1, 25 euro l’anno, gli spagnoli arrivano a 2, 58, mentre noi italiani sfioriamo quota 3, 62 (contando i contributi ai giornali). Per carità di patria bisognerebbe tacere degli Stati Uniti, dove i cittadini pagano mezzo euro e una volta ogni 4 anni (per le Presidenziali).

Non basta: in sedici anni lo Stato ha pagato 600 milioni di euro (37 milioni l’anno) per i cosiddetti giornali organi di partito. Decine di testate, alcune storiche come l’Unità , altre figlie di partiti nemici di Roma Ladrona, come la Padania o il Foglio della famiglia Berlusconi e di Denis Verdini. Ma si ricorda anche dei contributi al Campanile nuovo dell’Udeur di Clemente Mastella. Giornali con una buona diffusione, ma anche testate mai viste in edicola. Fin qui le voci (faticosamente) quantificabili.

Ci sono state altre entrate sparse in mille leggi e leggine. Prima c’era stata la storia del 4 per mille infilato nella dichiarazione dei redditi. Ma è stata eliminata. Anche perché aveva portato una miseria. Poi ecco una norma mimetizzata nel testo unico sulle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche: prevede un’esenzione fiscale del 19% sulle donazioni. In pratica su 100 euro di donazione 19 li mette lo Stato.

Questioni di famiglia. Con esiti sconcertanti, come ricordato da Rizzo e Stella: “Le aziende di Francesco Gaetano Caltagirone e della sua cerchia familiare hanno donato tra il 2008 e il 2010 all’Udc di Pier Ferdinando Casini , marito di Azzurra Caltagirone , 2 milioni e 700. 000 euro in 27 assegni da 100.000 euro”. Perché tante complicazioni? “Le donazioni ai partiti, fino a un tetto di 103. 000 euro, hanno appunto uno sconto fiscale del 19 per cento. Avessero fatto un assegno unico, con quel tetto, le aziende Caltagirone avrebbero potuto risparmiare 19. 000 euro. Facendone 27 ne hanno risparmiati 19. 000 per ciascuno. Risultato finale: uno sconto di 513. 000”. Niente di illegale, la colpa non è di Caltagirone. Ma se invece che al partito del genero avesse regalato la somma, per dire, a un’associazione per bambini malati avrebbe avuto sgravi fiscali 51 volte inferiori.

Così ai 220 milioni di euro ne vanno aggiunti altri. Impossibile dire quanti. Dovrebbero bastare. E invece no, perché poi a questo bisogna aggiungere stipendi e benefit di tanti esponenti di partito che sono parlamentari o consiglieri regionali. Un elenco che per gli inquilini di Montecitorio è lungo come un rosario: l’indennità mensile, dopo le ultime riduzioni, è pari a 5. 246, 97 euro netti (5. 007, 36 per chi svolge altri lavori). La diaria , riconosciuta a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma è di 3. 503, 11 euro. Il rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori vale 3. 690 euro.

Pure i gettoni. Per i trasporti ogni deputato usufruisce di tessere per la libera circolazione (in Italia) autostradale, ferroviaria, marittima e aerea. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso trimestrale (da 3. 323, 70 a 3. 995, 10 euro). Il Parlamento non fornisce cellulari, ma ogni deputato dispone di 3098, 74 euro l’anno per le spese telefoniche. Ecco poi l’assegno di fine mandato e il vitalizio che a ogni legislatura si promette di eliminare. Infine parrucchieri (uno ogni 52 parlamentari), bar e ristoranti che costano come il dopolavoro ferroviario. Per non dire delle auto blu. Infine le sanatorie per l’affissione abusiva di manifesti elettorali. Un classico. Così un writer che scarabocchia un muro di Roma si becca 500 euro di multa. Mentre un partito che imbratta mezza Italia si vota la sanatoria che liquida le multe con mille euro.

da Il Fatto Quotidiano del 24 novembre 2011

 

Uganda, la guerra che conviene - Intervista a Peter Eichstaedt

Da oltre 20 anni Kampala tenta di sgominare il Lord's Resistance Army, senza risultati. Il giornalista americano, uno dei massimi conoscitori della brutale milizia guidata da Joseph Kony, spiega perché

Il governo americano ha deciso di recente di inviare forze speciali per aiutare l'Uganda a sconfiggere il Lord's Resistance Army. Come spiega il timing di questa mossa? Washington non dovrebbe avere altre priorità in questo momento?

Il presidente Barack Obama ha inviato consiglieri militari in Uganda come conseguenza dell'atto approvato dal Congresso e che lui ha firmato. La legge prevede che gli Stati Uniti forniscano supporto ai governi della regione impegnati nella lotta contro Joseph Kony e il suo Lord's Resistance Army. I consiglieri non sono equipaggiati per il combattimento, anche se resta il fatto che sono tutti pronti a entrare in azione, che è una condizione permanente, non importa dove si trovino. Questa è la seconda volta che gli Stati Uniti mandano militari in Uganda per aiutare l'esercito ugandese a catturare o uccidere Kony. La prima volta, nel 2008, fu sotto la presidenza di G.W Bush. In quell'occasione, aiutarono gli ugandesi a preparare un attacco contro il campo di Kony nel nord del Congo. L'assistenza includeva un milione di dollari per logistica e rifornimenti. L'attacco fallì perché venne rinviato e Kony ricevette una soffiata che permise a lui e al suo esercito di dileguarsi. Ma dal momento che continua ad uccidere, stuprare, saccheggiare nella regione che segna il confine tra il Sud Sudan, l'Uganda, la Repubblica democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana, gruppi di attivisti hanno convinto il Congresso americano a ribadire lo sforzo per aiutare l'Uganda e questi Paesi a continuare a dare la caccia a Kony.

Quali sono gli interessi americani nell'area e come questa decisione li tutela?

Gli interessi degli Stati Uniti sono legati alla crescita della minaccia terroristica in alcune remote regioni del Nordafrica. Un gruppo africano affiliato ad al Qaeda è attivo al momento nelle regioni desertiche e gli operativi americani stanno dando la caccia a questi elementi perché non mettano radici nell'area. Molti sostengono che gli Usa puntino soprattutto a risorse naturali, petrolio incluso, ma io non credo. Credo che siano molto più interessati alla sicurezza e alla lotta al terrorismo. Il 25 per cento del petrolio che ricevono gli Stati Uniti arriva dalla Nigeria e così gli Usa non hanno bisogno di altro greggio dall'Uganda, tanto più che le capacità estrattive di quest'ultimo sono ancora tutte da sviluppare. Se ce n'è uno, l'interesse americano è quello di liquidare la minaccia terroristica che sta crescendo in Africa.

Lei è uno dei pochi autori che abbia fatto ricerca e scritto dell'Lra: quali sono la struttura, i metodi e gli obiettivi di questa formazione?

La risposta più semplice a questa domanda è che uccidere, saccheggiare e rapire è tutto ciò chel'Lra sa fare. Proprio per questo, loro continuano a farlo. Dopo che nel 2006 lasciarono il nord dell'Uganda, rimasero tranquilli per un paio d'anni. Ma poi Kony non firmò il terzo trattato di pace nel 2008 e così la caccia al suo gruppo è ricominciata e lui ha risposto con carneficine che hanno fatto oltre mille morti. Quando Kony era in Uganda, giusitificava l'attività della sua formazione con la lotta al governo ugandese, rovesciarlo era la sua ragione d'essere. Ma lasciando il Paese ha perso questa scusa. In questo modo Kony e i suoi hanno mostrato chi sono davvero: un gruppo di feroci assassini.

A proposito di Kampala, nel suo blog ha messo in discussione la reale determinazione ugandese di neutralizzare una volta per tutte il problema dell'Lra. In effetti è strano che in oltre 20 anni un potente apparato militare non sia riuscito in questa impresa. Conferma questo scetticismo?

Resto convinto che l'Uganda, che ha uno dei più forti eserciti africani, poteva catturare e uccidere Kony in qualsiasi momento avesse voluto. Ma l'esercito non vuole. Perché? Perché al presidente Yoweri Museveni fa comodo che Kony continui a vivere e operare, visto che ciò gli consente di chiedere alla comunità internazionale milioni di dollari in aiuti militari. La maggior parte dei fondi vengono stornati dal governo e dagli ufficiali di alto rango e ben poco degli stanziamenti viene usato per il suo scopo principale. Cionostante, la comunità internazionale continua a dare soldi all'Uganda e così finge di contribuire alla cattura di Kony e allo smantellamento dell'Lra. Ma la verità è che non le interessa davvero se Kony sarà catturato o no. Un altro fattore importante è che l'Uganda fornisce la quasi totalità delle truppe che l'Unione Africana schiera a Mogadiscio, in Somalia. Questo fa sì che non debbano muoversi gli Usa, che si sdebitano fornendo all'Uganda ingenti aiuti. L'invio di consiglieri è parte della ricompensa.

Alberto Tundo

 

18 novembre

Nomine last minute. L’ultima infornata del governo Berlusconi

Prima di lasciare il ministero dei Beni culturali, Galan ha nominato nelle commissioni cinema Antonia Postorivo, moglie del senatore D’Alì, Valeria Licastro, moglie del commissario dell’Agcom Antonio Martusciello e il giornalista di Panorama Carlo Puca, Gigi Marzullo e altri. La Gelmini invece ha piazzato al Cnr Gennaro Ferrara, rettore della peggiore università del Paese, Parthenope

Raccontano i bene informati che Giancarlo Galan , ex ministro dei Beni culturali, vorrebbe raccontare un’altra storia. Non quella vietata e già impallinata dall’ironia delle nomine last-minute, crocevia di tanti governi più o meno balneari quando la fine è una prospettiva certa e il domani una comoda poltrona per qualcun altro ( leggi ) . Visti i nomi planati nelle commissioni cinema , però, le giustificazioni sull’obbligo di procedere alla sostituzioni delle precedenti (scadute a fine luglio) lasciano il proscenio alle valutazioni dei singoli. Ed è lì, in quella terra di mezzo tra “Prendi i soldi e scappa” e la “Stangata” che il ragionamento lascia spazio all’ilarità o per usare le parole del ministro uscente «all’indignazione».

Assieme ai competenti, su tutti Laura Delli Colli e i critici omonimi, Valerio Caprara e Magrelli , il gran circo delle commissioni preposte a erogare denaro per oltre sei milioni di euro l’anno, è un zoo che riempie gli occhi. Ci sono nuove specie e tipi umani in via di estinzione, vecchi leoni e pantere d’assalto. Antonia Postorivo , moglie del senatore D’Alì , alla seconda esperienza (spostata di competenza, ma sempre lì, combattiva, saldamente al suo posto). Poi Valeria Licastro , moglie del commissario dell’Agcom Antonio Martusciello , dama di compagnia delle relazioni istituzionali Mondadori. Non si è mai occupata di cinema in vita sua, ma ruggirà nella sezione “riconoscimento culturale dei cortometraggi”. L’occhiale del giornalista Carlo Puca di Panorama , esperto di politica, brillerà invece nella sottocommissione preposta alla promozione dei film d’essai, assise cult in cui di dividere il desco con Puca, si occuperà Gigi Marzullo , da anni, responsabile culturale di Rai 1, conduttore di “Cinematografo” sulla stessa rete, vera fucina di occupanti delle stanze ministeriali (dallo stesso programma anche il già citato Caprara e la conferma della moglie di Giuliano Ferrara , Anselma Dall’Olio , critica di Liberal , al quarto mandato).

PUCA HA PARLATO con Michele Anselmi del Secolo XIX rilasciando dichiarazioni chiare sui criteri di elezione: “Qualche tempo fa andai a intervistare Galan per Panorama. Non lo conoscevo. Finita l’intervista, ci siamo messi a parlare d’altro, cordialmente. Qualche giorno dopo mi chiamò al telefono per propormi di far parte di una delle quattro commissioni per il cinema: “Vorrei che tu ci fossi””. Puca ci sarà, benché fanno sapere dal ministero, sarebbero giunte almeno quattro lettere in cui i neoesperti (bontà loro) rimetterebbero il mandato al gradimento del neo ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi , altro esperto in materia. Le nomine hanno avuto il via in equanime misura da Galan e dalla Conferenza stato regioni. Il ministro si difende sostenendo che a fine ottobre non c’era nessuna crisi di governo, ma anche se così fosse e a maggior ragione, un’attenzione più viva ai criteri di cooptazione sarebbe stata d’obbligo. Al contrario, hanno vinto appartenenze politiche (nume tutelare il destrorso Alessandro Voglino , già direttore del Dipartimento cultura, spettacolo e sport della Regione Lazio guidata da Storace) e imperscrutabilità.

Il misconosciuto Ivo Rapa , ad esempio. Nessuna esperienza cinefila. Nessuna esperienza artistica. Secondo mandato, in quota Campania. Mistero puro e caso diverso da quello di Gianvito Casadonte , inventore del Magna Grecia Film Festival che almeno, conosce il mestiere. Nominare all’ultimo istante è una mania che da sempre assale gli uscenti di destra e sinistra e ogni ambito della vita nazionale. Caso esemplare, trafitto dalla penna di Gian Antonio Stella , quello del 74enne Gennaro Ferrara , promosso dal ministro Gelmini, in difficoltà con tunnel e neutrini, al Cnr . Nonostante, come ricorda Stella, Ferrara sia stato rettore della peggiore università del Paese, Parthenope , una delle più care amiche di Bisignani non si è dimenticata di lui. Largo ai giovani e in alto i cuori. Della velocità della luce, Mariastella ha infine compreso la lezione. Senza arrossire, a schiena dritta, fino alla prossima nomina.

 

Metà delle famiglie italiane non riesce a far quadrare i conti

Il 15 % dei nuclei familiari deve intaccare ogni mese i propri risparmi, mentre oltre il 6 % è costretto a chiedere aiuti e prestiti. "La povertà arriva nelle situazioni che fino a cinque anni fa erano il presidio della nostra ricchezza", dice Giuseppe De Rita. E tra i minori uno su cinque vive il rischio della povertà. Il rapporto di Save the Children

MILANO - Metà delle famiglie italiane riesce "appena a far quadrare i conti", secondo uno studio del Forum Ania-Consumatori in collaborazione con l'Università di Milano, presentata oggi. Il 15% dei nuclei è in maggiori difficoltà e ogni mese deve intaccare i propri risparmi per sopravvivere e il 6,1% è costretto a chiedere aiuti e prestiti. "E' arrivata la povertà in un soggetto come la famiglia che fino a quattro-cinque anni fa era il presidio della nostra ricchezza", ha commentato il presidente del Censis, Giuseppe De Rita.

Peggiorano soprattutto le condizioni di vita dei bambini e i minori sembrano pagare il prezzo più alto della crisi. Sono 10 milioni 229 mila i minori in Italia, il 16,9% del totale della popolazione: uno su cinque (24,4%) è a rischio povertà, il 18,3% vive in povertà (1.876.000 Minori, in famiglie che hanno una capacità di spesa per consumi sotto la media), il 18,6% in condizione di deprivazione materiale e il 6,5% (653.000 ragazzi) in condizione di povertà assoluta, privi dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile.

È L'allarme lanciato da Save the children nel secondo "Atlante dell'infanzia a rischio" pubblicato oggi alla vigilia della giornata dell'infanzia. Secondo l'associazione, dal 2008 ad oggi sono proprio le famiglie con minori ad aver pagato il prezzo più alto della recessione mondiale: negli ultimi anni la percentuale delle famiglie a basso reddito con un minore è aumentata dell'1,8%, e tre volte tanto (5,7%) quella di chi chi ha due o più figli.

Dal dossier emerge che nel nostro paese due minori su tre che sono in povertà relativa e più di un minore su due che è in povertà assoluta vivono nel mezzogiorno. In particolare è la Sicilia ad avere la quota più elevata di minori poveri (il 44,2%), seguita dalla Campania (31,9%) e Basilicata (31,1%), mentre Lombardia (7,3%), Emilia Romagna (7,5%) e Veneto (8,6%) sono le regioni con la percentuale inferiore di minori in povertà relativa. Per quanto riguarda i bambini in povertà assoluta, anch'essi si concentrano nel sud Italia dove rappresentano il 9,3% di tutta la popolazione minorile.

Inoltre il 18,6% di minori italiani versa in condizione di deprivazione materiale: nel nord est il 7% delle famiglie con minori dichiara di aver difficoltà a fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni e al sud il 14,7% di famiglie con minori non ha avuto soldi per cure mediche almeno una volta negli ultimi 12 mesi.

 

17 novembre

Un ministro per la cooperazione. Che cosa dovrà fare?

Raffaele K Salinari*

Il governo Monti ha introdotto la figura del Ministro per la cooperazione internazionale, mai esistito prima nella storia dei governi repubblicani. Quali sfide si troverà ad affrontare il neo Ministro?

Il governo Monti ha introdotto la figura del Ministro per la cooperazione internazionale. Una scelta originale dato che mai prima d'ora, nella storia dei governi repubblicani, era esistita questa posizione. Un Ministro, anche se di un governo tecnico, ha certamente delle responsabilità politiche, specie per quello che concerne un dicastero di "nuovo conio" come quello affidato a Riccardi. Quali sfide si troverà ad affrontare il neo Ministro?

Vale la pena elencarne alcune, partendo però dall'evidenza che la legge che regola le attività di cooperazione, la 49 del lontano 1987, metteva questa parte della politica estera italiana all'interno della Farnesina. Ora cosa succederà? Il nuovo Ministro che rapporti avrà con gli Esteri, anche tenendo in considerazione che l'attuale responsabile della Farnesina è un diplomatico? Assisteremo alla formalizzazione, per via tecnica, di quel bicefalismo tra politica estera "hard" gestita dal MAE e le azioni "soft" della cooperazione? E se la legge 49 incardina queste attività all'interno del MAE, sarà possibile fare cooperazione senza pensare ad una riforma, peraltro attesa da vent'anni? O forse la scelta è quella di mettere in essere una riforma de facto senza passare per il Parlamento? Sono questioni, come si vede, che di tecnico non hanno nulla; anzi.

Venendo al programma della Cooperazione, c'è in primis da notare che l'Italia è letteralmente scomparsa dagli impegni internazionali sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio con il suo risibile 0,1 per cento del Pil a fronte dello 0,7 promesso o almeno dello 0,3 dei paesi OCSE. E dunque il primo compito del Ministro sarà certamente quello di riportare il Paese alla soglia di credibilità internazionale triplicando il budget per la cooperazione. Ma, ancor prima dei nuovi impegni, vanno onorati i vecchi. La foga sterminatrice di Tremonti, infatti, aveva azzerato non solo il futuro ma anche il passato, in altre parole sono stati bloccati i fondi per i progetti in corso. La Farnesina è riuscita a riappropriarsi di parte di questi , ma mancano all'appello altri 10 milioni per le sole attività delle ONG. Confidiamo che il Ministro, che dal non governativo viene, avrà una particolare sensibilità su questo tema.

Ed infine, ma non per importanza, l'Italia è in forte debito con il Fondo di lotta all'Aids, tubercolosi e malaria. Per colpa dei nostri ritardi non solo siamo stati estromessi dal Board del Fondo, ma rappresentiamo un peso insostenibile per le sue attività. Anche l'Europa comunitaria ci chiese di fare la nostra parte, ma Frattini non si scompose. E dunque il neo dicastero per la Cooperazione avrà molto lavoro da fare, ed anche qui la strada è obbligata. Aspettiamo fiduciosi i fatti.

* Presidente Terre des Hommes

 

Incidenti sul lavoro. Muoiono quattro operai

Bilancio pesante nei cantieri italiani. Le vittime a Palermo, Carrara, Roma e in un cantiere sulla A3. Il presidente della Regione siciliana: "Episodi inaccettabili"

ROMA - E' un bilancio pesante quello di oggi per quanto riguarda le morti sul lavoro. Quattro operai hanno perso la vita in quattro diversi incidenti avvenuti a Palermo, Carrara, Roma e in un cantiere sulla A3.

Antonio Cinquemani, 47 anni, di Partinico (Palermo), operaio dell'Amap, azienda acquedotti di Palermo, è morto dopo essere stato colpito da un getto d'acqua 1 fuoriuscito con una forte pressione da un grosso tubo. L'uomo, impegnato con altri colleghi nell'individuare una perdita segnalata sulla condotta idrica di grande portata, "Nuovo Scillato", che collega l'acquedotto del comune di Scillato (Pa) con le utenze di Palermo, è stato proiettato a dieci metri di distanza dal getto d'acqua uscito dall'esplosione della condotta idrica. I medici del 118 hanno potuto solo constatare il decesso. I carabinieri hanno eseguito i rilievi tecnici e gli accertamenti, mentre la procura di Termini Imerese (Pa) ha aperto un'inchiesta. "Episodi come questi sono inaccettabili. Il governo regionale ha messo come punto fondamentale la sicurezza del lavoro e la diffusione della cultura della prevenzione dai rischi di infortuni, affinché le morti bianche divengano un triste ricordo del passato", ha detto il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, esprimendo anche a nome della giunta di governo, il cordoglio per la morte di Cinquemani.

A Torano (Carrara) nel pomeriggio un cavatore è morto folgorato e due colleghi sono rimasti gravemente feriti 2 , mentre lavoravano in una cava del bacino marmifero. I tre stavano lavorando nei pressi di una cabina elettrica quando sono stati investiti da una scarica elettrica. La vittima, 34 anni, lascia moglie e due figli. I due feriti sono stati trasportati in elicottero in ospedale a Carrara.

Sempre nel pomeriggio un operaio di 27 anni, dipendente di una ditta subappaltatrice dell'impresa Uniter impegnata in un cantiere per l'ammodernamento dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria tra Campotenese e Morano, è morto in seguito al ribaltamento di un carrello elevatore utilizzato per sollevare e trasportare materiale per l'esecuzione dei lavori. L'Anas ha spiegato che l'incidente si è verificato all'interno del cantiere in corrispondenza del km 181 dell'autostrada. L'operaio era alla guida del mezzo che, per cause da accertare, si è ribaltato. L'amministratore unico di Anas Pietro Ciucci ha espresso vivo cordoglio per l'accaduto ai familiari dell'operaio e ha nominato una commissione d'inchiesta interna per verificare la dinamica e le cause dell'incidente.

Un quarto operaio è morto schiacciato da una paratia 3 , in un cantiere stradale a Ponte Galeria, zona periferica di Roma. L'incidente è avvenuto in via Silvio Cambassi, intorno alle 14.30. L'uomo, 36 anni, di nazionalità romena, è rimasto schiacciato da una pesante paratia di metallo, caduta accidentalmente. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della stazione di Ponte Galeria e personale dell'Asl. Anche in questo caso ancora da chiarire la dinamica dell'accaduto.

 

16 novembre

 

Morti bianche, l’Italia rischia la procedura d’infrazione europea

Due settimane di tempo per Roma dopo la messa in mora Ue per le morti sul lavoro, poi scatterà l'infrazione. Tutto inizia con una denuncia di Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico di Firenze. Sotto accusa la norma salva-mager e altri cinque punti del testo unico sulla sicurezza sul lavoro

Dopo la messa in mora dell’Italia da parte di Bruxelles per non aver rispettato le disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, a Roma restano adesso un paio di settimane per le giustificazioni, poi scatterà la procedura d’infrazione. Roma è infatti accusata dall’Ue di non fare abbastanza per arginare il fenomeno delle cosiddette morti bianche. All’origine dell’intervento della Commissione europea la denuncia fatta da Marco Bazzoni , 37 anni, operaio metalmeccanico in un’azienda che produce frantoi e presse per il settore enologico nel fiorentino.

Sotto la lente della Direzione generale Occupazione e Affari sociali sono finiti ben sei punti del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro a partire dalla “deresponsabilizzazione del datore in caso di delega e subdelega”, una norma che a ben guardare sembra proprio riferirsi alla “salva manager”, il provvedimento che il ministro Maurizio Sacconi aveva detto di aver stralciato ma sembra riapparire tra un codicillo e l’altro della Legge 106/9 (Il testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro). Per scongiurare la sua entrata in vigore, un gruppo di penalisti aveva scritto a Giorgio Napolitano, sottolineando come la norma avrebbe spogliato “i soggetti che rivestono posizioni al vertice dell’impresa del loro indiscusso ruolo di garanti della vita e dell’incolumità fisica dei dipendenti”.

Tutto inutile. Come una serie di lettere e appelli che Bazzoni ha scritto a partiti e sindacati. A quel punto l’operaio decide di andare più in su, rivolgendosi direttamente a Bruxelles.

Dall’Europarlamento risponde Sergio Cofferati (Pd): “Bazzoni ha dimostrato un’attenzione per il rapporto tra la legislazione Ue e quella nazionale che le organizzazioni di settore non hanno avuto. Troppo spesso le organizzazioni utilizzano criteri di carattere troppo generale”. E adesso? “Ora è importante che tutti adempiano i vincoli indicati dall’Ue”.

Ecco come è iniziato tutto. “Insieme a un amico ingegnere della sicurezza sul lavoro abbiamo scritto una denuncia al Segretariato generale della Commissione europea”, spiega Bazzoni. “Il 27 novembre 2009 ho mandato una mail alla Commissione con tutti gli allegati del testo del decreto legislativo italiano”. Nel aprile 2010 i servizi della Commissione europea rispondono che in base alla denuncia avrebbero chiesto informazioni allo stato italiano. A fine Novembre la Commissione conferma che ci sarebbe stata la possibilità di aprire una procedura d’infrazione. A maggio 2011 la possibilità di una procedura d’infrazione inizia a prendere forma.

Così si arriva al 30 settembre 2011, giorno in cui il governo italiano si vede recapitare la lettera di messa in mora per presunta violazione della Direttiva Ue 89/391, quella sulla sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Lorenzo Fantini , responsabile della direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti del Ministero del lavoro, in un’intervista pubblicata sul sito dell’Inail, risponde che “si tratta di un insieme di censure fondate su un presupposto sbagliato: ritenere che le parti della legge siano volte a deresponsabilizzare il datore di lavoro”. In altre parole, il servizio giuridico della Commissione europea, il top del top degli esperti in diritto comunitario, si sarebbe sbagliato. E per quanto riguarda gli altri cinque punti contestati nero su bianco all’Italia? “Si tratta di censure di dettaglio che, a livello generale, si correlano a questa impostazione generale erronea”. Insomma Bruxelles avrebbe preso un enorme granchio.

Ora al nostro paese restano circa 15 giorni per convincere la Commissione europea che si è sbagliata e che il Testo unico sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro va bene così. In caso contrario scatterà una procedura d’infrazione con conseguente multa economica.

Intanto in Italia i lavoratori continuano a morire. Secondo l’Osservatorio indipendente di Bologna sui morti sul lavoro dall’inizio del 2011 i morti per infortuni sui luoghi di lavoro sono stati ben 542, oltre il 15 per cento di queste vittime lavoravano in nero o erano già in pensione. Una cifra che supera i 900 morti (stima minima) se si aggiungono i lavoratori deceduti in itinere, ovvero lungo il tragitto casa-lavoro lavoro-casa. Cifre che fanno paura e che non considerano i lavoratori in nero.

“Basta chiamarle morti bianche, non c’è niente di bianco in queste morti”, chiede Bazzoni. “Con questo termine le si vogliano sminuire, nascondere i responsabili, ma non è così, ci sono sempre dei responsabili”.

 

Il ricatto della Fiat

di Loris Campetti

In poche ore la Fiat ha annunciato la chiusura anticipata dello stabilimento di Termini Imerese - prima ancora dell'eventuale firma dell'accordo tra il nuovo aspirante acquirente e i sindacati - e ha minacciato la Fiom di chiuderne un altro, la ex Bertone, se i metalmeccanici della Cgil non rinunceranno a ricorrere al giudice per chiedere l'applicazione di una sentenza a essa favorevole emessa da un altro giudice. Il ricatto, la prepotenza di chi si ritiene impunibile e improcessabile, l'uso volgare della crisi per cancellare ogni dissenso e azzerare ogni diritto, sono pratica corrente di Sergio Marchionne.
Dietro la pistola puntata alla tempia di mille lavoratori piemontesi c'è nascosto un cannone: l'intenzione di estendere il modello Pomigliano a tutti gli stabilimenti del gruppo, nell'auto, nei camion, nei trattori, non più negli autobus perché la fabbrica campana dell'Irisbus l'ha già chiusa. Di conseguenza, i 70 mila lavoratori per ora sopravvissuti alla mannaia del manager dei due mondi vedrebbero cancellato il contratto nazionale, sostituito da uno aziendale «vuoto» imposto con la forza. Se si cancella alla Fiat, il contratto nazionale non esiste più.
Alla ex Bertone i due terzi dei dipendenti sono della Fiom, ma non possono ribadirlo con il voto perché un gruppo di compagni di merenda ha deciso di impedirlo. Fiat, Fim e Uilm stanno boicottando il rinnovo delle Rsu, perché tanto dal 1° gennaio non esisteranno più i delegati, ci saranno soltanto non-rappresentanti non-eletti ma nominati dai sindacati complici, grazie al modello Pomigliano. Come dice il segretario della Fiom Maurizio Landini, se si impedisce ai lavoratori di votare - oltre che di scioperare e ammalarsi - «è per fotterli». Sembra una metafora dell'Italia di queste ore: se si impedisce ai cittadini di votare, non sarà anche in questo caso per fotterli? La metafora viene in mente rileggendo un passo di un'intervista di qualche mese fa del Corriere a Mario Monti, in cui quest'ultimo lamenta «la maggiore influenza avuta dalla cultura marxista e la quasi assenza di una cultura liberale» in Italia. Ma non dispera, il presidente del consiglio incaricato: «Tutto questo può venir superato. L'abbiamo visto di recente con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio Marchionne. Grazie alla loro determinazione verrà un po' ridotto l'handicap dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili».
Se sono questi i modelli di Monti, vuol dire che il punto di programma sul lavoro del governo che dovrebbe prendere il posto di quello sfiduciato dalle borse è già scritto, ed è la fotocopia di quello partorito da Sacconi. Solo che, per lo meno, contro Sacconi c'era una qualche timida opposizione politica mentre Monti è il Salvatore della Patria, molto più che l'Unto del Signore. Oggi il presidente incaricato incontrerà le «parti sociali». Vogliamo sperare che ce ne sia almeno una in grado di mostrargli la stessa dignità di cui sono stati capaci gli operai di Pomigliano.

 

Genova: la protezione civile è una scienza

Catastrofi e protezione civile: il caso di Genova. Non tutto è sempre prevedibile, ma le norme della scienza deputata a proteggere non vengono di fatto applicate dall'amministrazione pubblica, centrale e locale

di Bruno Giorgini, fisico

Il sindaco Marta Vincenzi ha ripetuto più volte che l'evento era imprevedibile riferendosi all'onda di piena che ha spazzato via persone e cose in larga parte della città, e Marta Vincenzi è donna intelligente, nonché certamente amorosa di Genova e dei suoi concittadini. Eppure questa asserita "imprevedibilità" apocalittica non convince.
Intanto prevedibili e previste erano le piogge. Quindi si poteva adottare il principio di precauzione, secondo il quale gli esseri umani innanzi tutto vanno messi in sicurezza, seppure la probabilità di esondazione fosse stata bassa, o anche molto bassa (assumo qui che nei giorni precedenti qualcuno questa probabilità abbia a Genova valutato se non calcolato, o no?) attraverso l' evacuazione , ovviamente delle zone considerate a rischio (assumo qui che nei giorni precedenti qualcuno abbia mappato queste zone, o no?). In secondo luogo andavano eliminate le automobili dalle stesse zone, sia quelle parcheggiate che quelle in movimento (blocco del traffico pubblico e privato). I veicoli costituiscono un intoppo al libero fluire delle acque, moltiplicando l'onda d'urto, oltre a essere pericolosi per chi si trovi nonostante tutto in strada. In terzo luogo andava organizzata una comunicazione capillare dei rischi e delle precauzioni che ciascun cittadino avrebbe dovuto/potuto prendere, comunicazione e informazione dettagliata e tecnica sia agli individui che ai corpi sociali , per esempio se si tengono aperte le scuole bisogna dire agli insegnanti e altri operatori scolastici cosa fare in caso di evento/i catastrofico/i , rassicurando nel contempo i genitori che i loro figli non saranno lasciati a sé stessi, e lo stesso per i lavoratori privati e pubblici, se si decide che i luoghi di lavoro non vengano chiusi preventivamente. Ovviamente sto facendo i conti senza l'oste, perché di protezione civile quasi nessuno sa niente , non la si insegna nelle scuole e all'università (esiste qualche master qua e là), non la si pratica come disciplina di massa e patrimonio dei cittadini tutti , salvo poi tirare fuori i fazzoletti per piangere, ascoltare le omelie dei vescovi sulle bare, dichiarare lo stato di emergenza ex post, maledire il destino cinico e baro, fare gli scongiuri e cercare qualche capro espiatorio, la natura imprevedibile e/o il sindaco incompetente, per di più "piove governo ladro".

Invece la protezione civile non è un'opera benefica più o meno dilettantesca ma una scienza, che esige rigore, precisione, capacità di predizione, nei limiti del possibile, e di prevenzione. Una scienza altamente interdisciplinare , che corre dalla matematica, alla fisica, dalla dinamica dei fluidi alla dinamica degli esseri umani, dalla psicologia all'ingegneria, dall'ecologia all'economia, dalla computer science alla teoria della comunicazione, e altro ancora. Una scienza sempre più necessaria, perché gli eventi potenzialmente catastrofici, dalle grandi piogge sempre più frequenti e violente, ai terremoti, tsunami e quant'altro, aumentano di numero e intensità anno dopo anno, per molteplici ragioni che qui sarebbe troppo lungo analizzare (mutamenti climatici, effetto serra, eccessivo sfruttamento del suolo, cementificazione del territorio e dei corsi d'acqua, eccetera).

Certamente di tutto questo non può essere competente/responsabile il solo sindaco, ma egli/ella dovrebbe tenere in conto questa dimensione tecnico scientifica della protezione civile, predisponendo gli studi e le ricerche del caso, nonché essere cosciente che per un altro verso la protezione civile, i suoi principi basilari e le sue regole elementari di autodifesa, per essere efficace deve essere anche di massa e partecipata , deve entrare a fare parte del corredo genetico di ogni cittadino/a, più o meno come il codice della strada, o un tempo l'educazione civica. Tra l'altro la coscienza razionale del pericolo e la conoscenza diffusa di alcuni modi e comportamenti che possono ridurre l'impatto dell'onda di catastrofe , riducono anche il panico, diminuendo gli effetti caotici. Quindi, riassumendo, per affrontare le catastrofi, naturali e/o provocate dall'uomo (spesso i due aspetti si mescolano) con una efficace protezione civile bisogna in primo luogo aumentare l'intelligenza del sistema, e dei singolo componenti, sia nel senso di scienza, conoscenza, informazione, che in quello della predisposizione di strumenti e tecnologie adatte, per esempio alla simulazione degli eventi catastrofici, onde potere sperimentare in silico e vedere sullo schermo di un calcolatore cosa potrebbe accadere,e quali azioni preventive possono essere messe in atto. Nonché operando, e qui siamo alla politica , per sviluppare la coscienza civica che la protezione civile è responsabilità e diritto/dovere di ciascuno con la preparazione di base necessaria , in un meccanismo che vada dalla scuola a un sistema che potrebbe essere simile alla leva obbligatoria d'antan, ovviamente senza elementi coercitivi. Infine, tornando al punto iniziale dell'imprevedibilità, non so quali ricerche e studi siano stati fatti sul sistema dei rii e torrenti genovesi, e convengo che la predizione dei fenomeni fluidodinamici in particolare turbolenti non sia una cosa semplice, so però che esistono oggi modelli in grado di calcolare almeno in senso statistico, e simulare fenomeni come l'esondazione e l'onda di piena che ha agito a Genova. Certo ci vuole un sistema di misura e monitoraggio delle acque , possibilmente on line, cioè in tempo reale e un sistema di computazione adeguato, ma si tratta di una impresa per cui oggi esistono le teorie e le tecniche adeguate. Mi pare che dedicarsi a questa nuova protezione civile sarebbe, per Marta Vincenzi ben più utile che cercare di difendersi dalle critiche o accuse. Inoltre forse potrebbe essere un modo di elaborare il lutto della città ritrovando un ottimismo della ragione comune, del comune stare insieme, non solo ai funerali e nel cordoglio, non solo nella comune ricostruzione, ma anche nella comune protezione civile . Oggi per la catastrofe appena passata, e domani a fronte delle catastrofi future.

 

14 novembre

Alleluja!!!!!!!

Silvio Berlusconi si è dimesso. Dopo diciassette anni e una giornata lunghissima, carica di tensione, seguita in diretta dai siti di tutto il mondo, l'imprenditore televisivo che avrebbe dovuto far funzionare l'Italia come la sua azienda molla la presa dopo averci trascinato al collasso e trasformato il suo sogno nel nostro incubo. Ci lascia in eredità un paese sfigurato dal colossale conflitto di interessi, sconvolto nelle elementari regole di convivenza, spolpato nelle residue energie dalle cricche di ogni ordine e grado, umiliato dalla prostituzione, non solo sessuale.

Purtroppo è difficile gustare pienamente la fine del sultanato, assaporare il tramonto della pubblicità, apprezzare il declino della volgarità. Il perché è molto semplice: a disarcionare il Cavaliere non è stata la forza delle opposizioni, la rinascita di una sinistra, ma la potenza dello spread, la legge dei mercati. Che hanno scelto di sostituire l'incapace e impresentabile gaffeur con una bandiera eccellente del pensiero liberista, Mario Monti. Gli hanno affidato la guida del governo, replicando in Italia lo schema greco: la nomina di Lucas Papademos, ex-Bce designato da Bruxelles all'ufficio governativo di Atene. Fino al punto di pilotare il nostro cambio della guardia nelle quarantottore di chiusura dei listini, così da completare l'avvicendamento già domani, quando i guardiani del Fondo monetario e della Banca centrale, insieme al caffè, daranno il gradimento.

Tutto è a posto ma proprio niente è in ordine. Si apre ora una fase di massima turbolenza, direttamente proporzionale allo sconquasso che l'avvicendamento a palazzo Chigi provocherà negli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra, catapultati in una recita surreale. Da una parte il centrodestra che urla di rabbia per essere stato sostituito da un conservatore che applicherà il vangelo liberista berlusconiano. Dall'altra il centrosinistra che si spella le mani per applaudire chi gli farà ingoiare il rospo della ricetta economica firmata dalla Bce. Una maionese impazzita, un'inversione dei ruoli che fotografa perfettamente i nostri guai.

L'eccentrico laboratorio politico italiano chiude una stagione (un caso di scuola) e già ne prepara un'altra. Non è che l'inizio. Anche per le opposizioni.

 

Carceri, altre due persone si sono tolte la vita Dall'inizio dell'anno sono 58 i suicidi in cella

Gli episodi sono avvenuti nel reparto osservazione di Poggioreale, l'altro nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia. La denuncia del sindacato della polizia penitenziaria della Uil. Dal 2000 ad oggi 681 suicidi

ROMA - Due nuovi suicidi nelle carceri italiane. Dall'inizio dell'anno sono 58 le persone che si sono tolte la vita dietro le sbarre di una cella; dal 2000 ad oggi sono in tutto 681 i suicidi e 1.908 i detenuti morti per altre ragioni. Gli episodi sono avvenuti ieri nel Reparto Osservazione del carcere napoletano di Poggioreale e nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia. A denunciarli è stato il sindacato Uil Penitenziari.

''E' sempre difficile, se non impossibile, comprendere le motivazioni che portano a queste auto soppressioni in cella - ha commentato il segretario generale del sindacato, Eugenio Sarno - riteniamo, però, di poter affermare che molto incida l'incapacità del sistema penitenziario di garantire una detenzione dignitosa e umana oltreché l'impossibilità di adempiere al dettato costituzionale di rieducazione e risocializzazione''.
2011 fino al 10 novembre scorso.

 

Lavoro, rispetto al 2008 disoccupati sempre più ai margini del sistema produttivo

Lo dice il rapporto di Bankitalia sull'economia del Paese. Solite differenze tra nord e sud, dove trovare impiego è ancora più difficile. Situazione drammatica per chi è stato licenziato e cerca occupazione

In Italia , a causa della crisi, nell’arco di un anno poco più di un disoccupato su quattro riesce a trovare lavoro, sia esso prima occupazione o nuovo impiego. Tradotto in cifre, la percentuale è preoccupante: la probabilità di essere assunti in tempi di magra è pari al 26,7%. E’ quanto emerge da ‘L’economia delle regioni italiane’, il rapporto di Bankitalia che fotografa nel dettaglio il Paese ‘reale’ in base ai dati aggiornati al 2010.

L’immagine che ne deriva è drammatica, specie se paragonata agli anni anteriori al deflagrare della depressione economica europea. Nel 2008, ad esempio, nel nostro Paese la ricerca di un posto di lavoro dava più soddisfazioni, con circa un disoccupato su tre che entro dodici mesi era in grado di portare a casa un contratto, per una probabilità del 33,5%. Lo dicono le elaborazioni di via Nazionale su dati Istat .

Le possibilità di impiego sono sempre più strette su tutto il territorio, ma il gap tra Nord e Sud resta forte. Alcuni dati. Nel 2010, ad esempio, le probabilità di firmare un contratto di lavoro nel Nord Ovest è pari al 33%, nel Nord est al 37,2%, al Centro al 25,9% e nel Mezzogiorno al 21,3%. Operazione addirittura disperata, invece, per chi è stato licenziato, non è più alle prime armi e deve provare a ricollocarsi nel mercato: i disoccupati over 35, infatti, sono quelli che scontano le probabilità più basse di riuscire ad essere assunti entro dodici mesi. Tradotto: una volta usciti dal sistema, rientrarci è un’impresa a dir poco ardua.

Ad avere più chances, quindi, sono i giovani disoccupati, specie quelli alla ricerca del primo impiego. Per loro la possibilità di “sistemarsi” tra il 2005 e il 2010 è sempre stata leggermente superiore alla media in tutte le aree del Paese. Tuttavia sono stati proprio i giovani i più colpiti dalla crisi e dal 2008 al 2010 il calo delle possibilità di strappare un contratto per gli under 35 è stato forte e ininterrotto, passando da circa il 35% del periodo pre crisi a neppure il 28% del 2010. Anche per i giovani disoccupati Palazzo Koch registra decisi squilibri territoriali, con la percentuali di successi che nel Nord Est è doppia rispetto al Mezzogiorno.

 

11 novembre

Disoccupati, 3 milioni senza speranza In Italia il triplo della media europea

L'esercito degli scoraggiati: senza lavoro, non lo cercano più. Un quinto di loro hanno la laurea Sommati ai 2,1 milioni di inattivi rendono la situazione allarmante

In Italia ci sono 2,7 milioni di persone che pur essendo disponibili a lavorare non cercano impiego. Lo sottolinea l'Istat: il dato è «triplo» rispetto a quello medio Ue e si aggiunge ai 2,1 milioni di disoccupati (coloro che non hanno una occupazione ma la cercano attivamente). Pesa l'effetto scoraggiamento.

Nel complesso, il 42% (circa 1,2 milioni) degli individui classificati tra gli inattivi che non cercano lavoro ma sono disponibili è convinto di non potere trovare un impiego perchè troppo giovane o troppo vecchio, di non avere le professionalità richieste o perchè ritiene non esistano occasioni di impiego nel mercato del lavoro locale. Si tratta del fenomeno noto come scoraggiamento, che interessa in misura consistente sia uomini che donne.

L'incidenza degli scoraggiati, passata nel biennio della crisi dal 38,1% del 2008 al 42,5% del 2010, sale, dice ancora l'Istat, fino al 47% nelle regioni meridionali, in cui alle minori opportunità d'impiego si affianca una maggiore sfiducia nella possibilità di trovare e mantenere un'occupazione. «D'altra parte- spiega l'istituto di statistica in un comunicato- la mancanza di competenze specifiche da spendere sul mercato del lavoro alimenta un atteggiamento di rinuncia alla ricerca attiva: gli scoraggiati che hanno conseguito al massimo la licenza media sono la metà del totale, i laureati un quinto».

 

Mentre il Titanic affonda, Alfano pensa alle “canzoni del cuore” e al suo libro

Sconcerto tra i militanti del Pdl per l'iniziativa online del segretario. Che nel pieno della crisi, chiede ai "fan" di suggerire brani per la sua playlist e si preoccupa di promuovere il suo saggio sulla mafia, appena pubblicato da Mondadori

Silvio Berlusconi annuncia le dimissioni dopo l’approvazione della legge di stabilità e lancia Angelino Alfano come prossimo candidato premier. Eppure, mentre il centrodestra non ha più i numeri e assiste alla deriva dei suoi parlamentari, dal passaggio di Gabriella Carlucci all’Udc alla lettera dei ribelli firmata dall’ex fedelissimo Stracquadanio , il segretario del Pdl pare essere impegnato su altri fronti. Più precisamente sulla messa a punto di una compilation fatta “solo con le canzoni del cuore dei miei amici” e sulla promozione del suo nuovo libro. Almeno da quanto emerge su Facebook.

Sulla sua pagina pubblica l’ex Guardasigilli Angelino Alfano fino a domenica ha scritto status relativi alle sue attività politiche (“Buongiorno e buona domenica! Tra poco parteciperò alla convention degli amici di Popolo e Territorio, hotel Parco Tirreno a Roma. Come sempre potrete trovare i lanci stampa in real time su questa pagina e sul mio sito personale. A dopo!”) e link che proponevano riflessioni sulla crisi economica, invitavano l’opposizione a votare le misure presentate alla Ue e scartavano l’ipotesi di un governo tecnico. Poi ha deciso di segnalare altri contenuti che nulla hanno a che vedere con il suo ruolo nel Popolo della Libertà.

“Voglio comporre la mia nuova playlist musicale solo con le canzoni del cuore dei miei amici… la chiamerò “fbfriends”! Mi suggerisci la tua canzone?” chiede agli iscritti della pagina che con oltre 600 commenti decidono di prendere sul serio il contest dell’ex ministro e rispondono. C’è chi propone “Where the Steets have no name” degli U2, “l’ultima dei Coldplay” e “Un giudice” di De Andrè ed Eleonora addirittura ringrazia “per questa bellissima iniziativa”. “Mi preoccuperei più a dare una stabilità al Governo – nota Norbert -visto la situazione economia che abbiamo e aiutare i nostri pensionati che vivono con dei miseri soldi e dei giovani”, ma la sua rimane un’obiezione isolata tra centinaia di suggerimenti musicali. In rete però, altri utenti condividono il post, sbalorditi dalla richiesta di Alfano. “E questo qui è il segretario del tuo partito nei momenti di crisi?”, si domanda Gabriele . “Mentre il Titanic affondava l’orchestra suonava. Questo fa le playlist!”, rilancia Corina e per Mattia la sua pagina “sembra uno scherzo”. Non ad Alfano, però, che ora ha sospeso gli status musicali per occuparsi della promozione del suo nuovo libro “La mafia uccide d’estate”, pubblicato da Mondadori. Sorvolando sul fallimento della maggioranza.

“Domani pronti per una nuova battaglia parlamentare alla Camera”, ha scritto lunedì, alla vigilia del voto sul rendiconto finanziario. Poi ha aggiunto: “A proposito di domani…esce il mio libro, di cui vi ho già parlato: ‘La mafia uccide d’estate’. Spero davvero vi possa piacere e sarò felice di leggere le vostre recensioni!”. E posta la copertina, a cui seguono decine di commenti entusiasti dei suoi fan. “Lo comprerò”, “sei un grande”, “sicuramente mi piacerà”, anche se c’è chi, con toni pacati, gli ricordava l’esecutivo in bilico. “Segretario, un libro per me, e due come regalo di Natale! Ma il problema, è domani”, notava Carla , tra i pochi a sollevare perplessità sul voto alla Camera e Alessandro invitava l’ex ministro a concentrarsi sulla politica e non sulle sue fatiche editoriali (“Angelino, va a fare il Primo Ministro che ne abbiamo bisogno, e lascia che del libro se ne occupino altri… Forza Italia – pardon Pdl”). Ma Alfano lunedì prosegue con la promozione del libro e dopo avere ricordato che è disponibile anche in versione elettronica (“dimenticavo… lo troverete pure in formato ebook!”), si dedica alla relativa rassegna stampa. “Ecco la prima recensione del mio libro ‘La mafia uccide d’estate’ a cura di Francesco Verderami, uno degli editorialisti di punta del Corriere della Sera!”. Seguivano solo commenti di complimenti e congratulazioni fino a ieri. Poi, dopo l’annuncio di Berlusconi, gli utenti hanno iniziato a chiedere ragguagli sulla sua candidatura e la crisi: “Mi perdoni la franchezza – scrive Marinella – ma in questo momento vorrei sentire da lei delle parole che ci diano speranza. Va bene la pubblicità al libro, ma in questo delicato momento abbiamo bisogno delle sue parole”. Perché il “popolo del Pdl”, scrive Mauro, “ha bisogno di parole di conforto dopo i fatti di ieri. Grazie.

 

Io, cavia umana in Svizzera per colpa della crisi

Sono 750 gli italiani che ogni anno si presentano nella clinica in cui si testano i farmaci. Il proprio corpo in cambio 1.200 euro

Sulla cannula ci sono delle tacche. Indicano la profondità con cui la sonda è penetrata nello stomaco. La mia dice 40, vuol dire che il sondino naso-gastrico non è ancora entrato quanto dovrebbe, da qualche parte tra il naso e lo stomaco è rimasto incastrato. I due medici davanti a me ripetono di respirare a fondo e di bere, provano a spiegarmi dov’è l’ostacolo, ma non ce n’è bisogno, so bene che la sonda si è incastrata in gola, la sento e, quando spingono, la sento ancora meglio. È come avere una spina di pesce conficcata in gola, solo questa è lunga un metro e larga mezzo centimetro.

I conati rendono difficile ragionare lucidamente, con la coda dell’occhio continuo a controllare nessuno faccia cadere la telecamera nascosta, rendendo tutto questo vano. In qualche modo devo far entrare la sonda, altrimenti rischio di essere scartato. Come in un reality mi ritrovo in nomination, solo che in questa casa ci sono in palio altre 5 settimane da cavia umana. Da quasi un mese entro ed esco da questa clinica nel Canton Ticino, a pochi passi dal confine, dove mi hanno promesso 1200 euro in cambio del mio corpo per 6 giorni di ricovero (divisi in due periodi). Su di me e altri 27 soggetti sani, testano gli effetti di un antiacido per lo stomaco e di un farmaco per le disfunzioni tiroidee, “qualcosa di molto simile a un ormone” mi hanno spiegato. Effetti collaterali? “Tachicardia, ansia, alterazioni della frequenza cardiaca, ma siete coperti da assicurazione!”. Nessuno mi sa dire cosa preveda la polizza.

Ai tempi della crisi, si sopravvive anche così. Per le cliniche svizzere questo è un business di tutto rispetto (le case farmaceutiche pagano cifre da capogiro per l’ultima fase di test sui farmaci da immettere in commercio), per chi vive nel nord della Lombardia quello delle cavie umane è un autentico ammortizzatore sociale. 600 euro per due giorni di “lavoro”, si arriva a 4000 franchi per due settimane. Soldi troppo facili perché chi si trova in difficoltà non ceda, soprattutto gli italiani. “Gli svizzeri non ci vengono qui – mi racconta il capo-infermiere mentre mi preleva il sangue – si vergognano. Non ne hanno proprio bisogno, questo è un paese ricchissimo. Il 95 per cento dei pazienti è italiano, il resto stranieri che vivono in Italia”. Non a caso le uniche tre cliniche che offrono questo genere di studi si trovano in un raggio di 30 chilometri dal confine e il personale medico è composto da soli italiani. Professionisti seri, gentili, la cui principale preoccupazione sembra quella di aiutare i connazionali in difficoltà che chiedono di partecipare al maggior numero di sperimentazioni possibile.

 

10 novembre

 

Ma Berlusconi non finisce mica oggi

di L. Tondelli

Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è morta - gridarono le galline. – Facciamole il funerale...

Credo che a questo punto nessuno, nemmeno l'on. Carlucci, dubiti più che Berlusconi sia un problema. Non è senz'altro il più grave – non lo è mai stato – ma è il problema che dobbiamo risolvere per primo, il primo nodo del groppo. Basta non credere che questo nodo si possa sciogliere domani, o posdomani, o comunque nel momento in ogni caso non molto remoto in cui Berlusconi accetterà di rassegnare le dimissioni. Quella sarà la fine di un governo (il quarto a portare il suo nome), non di Berlusconi. Che ha ancora diverse carte da giocare, e di sicuro non scomparirà dalla scena, come non è scomparso nel 1994 o nel 2006.

Se ormai possiamo parlare di ventennio berlusconiano è perché riconosciamo che anche nei periodi in cui non governava, B. è riuscito a mettersi al centro del dibattito politico e a trasformarlo in un eterno sondaggio su sé stesso. Non c'è motivo di pensare che non farà la stessa cosa anche stavolta: non gli mancano certo le risorse, né le strutture che in tutti questi anni hanno retto il suo consenso (tv, giornali, pubblicità). Le defezioni di questi giorni potrebbero certo indurci a pensare che gli mancano gli uomini (e le donne), ma in fondo sappiamo che non è vero: che per ogni Carlucci o Stracquadanio che se ne va, Berlusconi può trovarne altri tre, altri quattro aspiranti parlamentari ugualmente professionali e magari anche più piacenti. Mal che vada c'è il casting per il Grande Fratello.

Mettiamo pure che oggi (o domani, o tra una settimana, un mese) Berlusconi cada sul serio. A questo punto i commentatori ci mostrano due scenari: un governo tecnico fino alla fine della legislatura (sorretto da un inedito arco antiberlusconiano Fini-Casini-PD e forse anche dalla Lega) o un governo simile ma assai più breve che ci porti alle elezioni il più presto possibile, con o senza riforma elettorale (Maroni domenica sera sembrava possibilista: secondo lui si può abrogare il porcellum e andare a votare anche a gennaio con una legge decente; ma sembra fantascienza). In entrambi gli scenari c'è una zona d'ombra, ovvero: che farà, nel frattempo, Silvio Berlusconi? Se ne starà a guardare lo spettacolo dei suoi ex amici Fini e Casini che gli devono tutto e che tornano al governo coi voti dei suoi figuranti, scritturati dalle sue agenzie, lanciati dalle sue televisioni e coi suoi manifesti? Se abbiamo imparato un po' a conoscerlo in questi anni, sappiamo che non lo farà.

E che farà, quindi? Non importa quanti topolini abbandoneranno la nave del PDL nei prossimi giorni: Berlusconi continuerà a mantenere uno zoccolo duro di pretoriani in Camera e Senato, utili a mettere in crisi la composita maggioranza antiberlusconiana nei momenti in cui si troverà ad approvare decreti impopolari. Nel frattempo la vera artiglieria partirà da carta stampata e tv: di golpe si parlerà tutti i giorni sui canali Mediaset, su Libero, il Giornale, il Tempo, il Secolo d'Italia, il Foglio (Ferrara si accoderà, s'è sempre accodato). Ne parleranno anche i berlusconiani superstiti nei palinsesti Rai, visto che probabilmente la maggioranza antiberlusconiana sarà troppo timida per parlare di epurazioni.

Finché rimane al governo, Berlusconi è costretto a sfoggiare un europeismo d'ordinanza; una volta all'opposizione, non ci sarà più nessun attrito con la realtà e il partito-azienda potrà cavalcare gioiosamente l'ondata antieuropeista più becera che riterrà necessario per sopravvivere: tornerà quel vecchio ritornello mai veramente accantonato, “è colpa dell'euro”: qualche pseudointellettuale scritturato all'uopo chiederà a gran forza il ritorno della lira e di quel meraviglioso lubrificante del boom italiano che fu l'inflazione. Tutto assolutamente inverosimile, proprio come quando prometteva milioni di nuovi posti di lavoro. Del resto sono solo promesse, B. non ha mai avuto intenzione di mantenerle. È solo lo spettacolo che gli serve per presentarsi alle elezioni

Probabilmente gli italiani non la berranno come nel 1994 o nel 2001 o nel 2008, ma questo non ha molta importanza: l'artiglieria di Mediaset e dei suoi giornali gli consentirà comunque un buon piazzamento. E Berlusconi – anche questo dovremmo averlo capito – vince anche quando perde . La presenza di un suo partito in parlamento lo legittima, gli consente margini di trattativa, per non parlare dell'opportunità di comprarsi in aula i seggi che non è riuscito a vincere alle elezioni. Tanto più che mentre sta all'opposizione, sugli scranni della maggioranza siederà un'alleanza scarsamente coesa (sia che ne faccia parte l'UDC sia che ci entri la SEL di Vendola) costretta da Bruxelles e Fondo Monetario a scelte che deluderanno comunque gli elettori di centrosinistra – mentre a destra Lega e berlusconiani batteranno la grancassa dell'antieuropeismo. Avremo insomma un altro governo debole, come il Prodi 2, e forse perderemo altri anni – salvo che non abbiamo più anni da perdere. E allora?

E allora forse bisogna tornare da capo e avere il coraggio di mettere nero su bianco che Berlusconi è un problema, ma non perché sta al governo. Berlusconi è un problema perché da vent'anni occupa la scena politica col suo ingombrante partito-azienda. Quando osservatori stranieri certo non sospettabili di estremismo, come il Financial Times , ci chiedono di farla finita di Berlusconi, non intendono semplicemente di convincerlo a rassegnare le dimissioni da presidente del consiglio. Loro parlano esplicitamente di esilio , e forse qualcuno dovrebbe cominciare anche qui. http://leonardo.blogspot.com

 

“L’Europa dei giovani sempre più a destra”. E tra i partiti ‘estremi’ spunta anche al Lega

Secondo il think tank britannico Demos, i movimenti estremisti fanno sempre più adepti tra i giovanissimi. Comune denominatore, l'odio per lo straniero. E tra i partiti italiani spicca il Carroccio accumunato a Casa Pound

Nazionalisti, xenofobi e sempre più di estrema destra. Questo è il ritratto dei giovani in Europa secondo l’ultimo rapporto pubblicato ieri a Bruxelles dal think-tank britannico Demos . “ The new face of digital populism ” scatta la fotografia di una nuova generazione di giovani europei arrabbiati, disillusi, amareggiati ma soprattutto in disperata ricerca di identità.

Proprio la forte identità nazionale sembra il nuovo aggregatore degli under 30 nei 27 Paesi Ue, che sempre più spesso, secondo Demos, si riconoscono in movimenti o gruppi di estrema destra. A volta si tratta di veri partiti, come la Lega Nord in Italia o il Front National in Francia, ma spesso di semplici gruppi organizzati e apartitici, che anzi non disdegnano l’anti-politica. “Mentre numerosi Paesi europei hanno gli occhi puntati sulla loro economia, un’altra crisi di fiducia si prepara. In tutta l’Europa, i giovani si sentono abbandonati dai partiti tradizionali e dai loro rappresentanti e manifestano simpatia per i gruppi populisti”, avverte Jamie Bartlett , uno degli autori dei report.

 

Dove è svanito «el sueño americano»

Mike Davis

Nel sud-est della California al confine con il Messico, dove la disoccupazione è fra le più alte e il reddito fra i più bassi degli Usa, il movimento si connette con l'attivismo di vecchia data

La mia autoradio riferisce di una bufera artica su Wall Street, ma Main Street a El Centro cuoce tranquillamente in un caldo autunnale da 90 gradi farenheit. Nella Imperial Valley califoniana, dove l'acqua del fiume Colorado sovvenzionata dal governo federale ha irrigato i profitti di latifondisti anglosassoni per oltre un secolo e dove i contadini muoiono troppo spesso a causa di colpi di sole e disidratazione a 120 gradi farenheit ad agosto, questo è il clima adatto per protestare.

Quaranta o cinquanta residenti della Valley marciano lungo la Main, passano davanti a facciate di negozi tappezzate di manifesti, negozietti ormai chiusi un tempo gestiti da famiglie, si fermano di fronte a varie sedi bancarie e a un McDonald's cantando: «Basta, basta oppressione. Il 99% non ne può più dello sfruttamento».
La protesta parte da due iniziative - Occupy El Centro e Occupy Imperial County - ma entrambe si sono ormai unite in un unica rete emergente di attivisti (il nome in spagnolo, che preferisco, è l'audace Tome el Valle, Prendi la Valley).
Dopo alcune vigorose scansioni di El pueblo unido jamas sera vencido («lo slogan migliore da sempre» mi dice un allievo di terza media) i manifestanti convergono verso una tenda a Adams Park, dove un altare del Giorno del giudizio drappeggiato con delle coperte messicane è stato eretto in memoria del «Sogno americano».
Ci sono delle scritte di disperazione fatte con lo spray, dei teschi dipinti in cartapesta, il ritratto di un santo (Cesar Chàvez), foglie di pannocchia, semi di zucca, pan de muertos, piccole bandiere americane, amuleti, una targa con i nomi dei morti in guerra locali e una copia del Trattato di Guadalupe Hidalgo del 1848. Sopra l'altare c'è una grande scritta: «99%».

Capitale della disoccupazione Usa

Avremmo anche potuto leggere «32%» - il tasso ufficiale di disoccupazione nell'Imperial County all'inizio di settembre. Secondo i dati dell'Ufficio delle statistiche sul lavoro, El Centro e le città dei sobborghi sono in testa per la disoccupazione nelle aree metropolitane.
Stessa cosa per il reddito pro capite (sugli 11mila dollari) che oggi è circa il 10% in meno di dieci ani fa. Insediamenti costruiti a metà - che erano destinati a pendolari di lunga distanza che lavorano a San Diego - stanno diventando polverose città fantasma e corre persino voce che anche il cimitero locale verrà ipotecato.
In altri termini, statisticamente il sueño americano (sogno americano) nell'Imperial Valley è quasi senza fiato. E il mondo esterno si compiace a mettere sale sulla piaga.
Un sito sullo stile di vita yuppy, per esempio, ha votato El Centro come «la peggiore città» degli Stati uniti, mentre William Vollman, il Forrest Gump del giornalismo letterario americano, ha descritto l'Imperial County come il cuore dei limiti dell'oscurità - se non addirittura come l'inferno stesso - in un immenso e interminabile libro solipsistico (il suo Imperial, pubblicato nel 2009 è di 1344 pagine, la mia edizione di Guerra e Pace di Tolstoj ne fa 1296).
Dopo la marcia, mentre gli organizzatori stavano smantellando l'altare, ho parlato con un certo numero di manifestanti a proposito dell'immagine che la Valley ha all'esterno. Un adolescente pensava che lo prendessi in giro quando gli ho descritto la grande opera di Vollman: «È sul El Centro? Davvero? Perché? Questo non è altro che un posto normale».
Un'altra persona di origine latino-americana ricorda il brutale e straordinario passato anti-Union della Valley, ma nello stesso tempo chiede anche rispetto per il suo ricco nocciolo culturale di vita familiare, attività ricreative all'aperto, ed eredità messicana. «Se i nostri figli se ne vanno - sottolinea - non è perché odiano il deserto, ma perché non ci sono posti di lavoro decenti».

I venti della morte

Più tardi, di fronte a una torta di mele e a dei nachos (dolci messicani) lì vicino da Denny's, ho avuto l'opportunità di intervistare sei degli occupanti. Sono particolarmente interessato a come collegano i più ampi temi dell'avidità e dell'ineguaglianza allo loro situazione locale.
Ho soprannominato Imperial la contea più «reazionaria» in California. Susan Massey, una maestra in pensione della vicina Holtville, per lungo tempo militante per la pace, è scettica. «Forse i più poveri», ma sottolinea il rinnovamento (80% della popolazione è oggi di latinos) che ha messo fine a un lungo periodo di aperto fascismo rurale, quando gridare degli slogan anti-plutocrazia in Main Street portava in carcere o addirittura al linciaggio. Elettoralmente, Imperial è ora una terra democratica sicura (rappresentata al Congresso dal liberal Bob Filner di San Diego) anche se gli elettori respingono decisamente ancora i matrimoni gay. Ma tutti attorno alla tavola sono d'accordo sul fatto che l'ampiezza del problema della disoccupazione nella Valley è troppo grande per le magre risorse del governo locale. Come nella Louisiana del sud, lavoro e ambiente sono strettamente legati, poiché la regione sta avvicinandosi a un punto di non ritorno.
Anita Nicklen, avvocata che si occupa dei migranti e madre di due giovani manifestanti, spiega questi legami in termini di una catena fatale. «I contadini sono messi sotto una fortissima pressione per lasciare la terra a riposo e per vendere i loro diritti all'acqua ai sobborghi di San Diego. Meno raccolti significano meno contadini e meno dollari che circolano nell'economia locale». «C'è anche meno acqua per l'irrigazione proveniente dal Salton Sea, che si sta asciugando. I pesci muoiono, gli uccelli migratori se ne vanno, i turisti restano a casa. E a misura che il Sea si asciuga, i suoi residui tossici sono esposti al vento».
(In seguito, un mio amico scienziato ha suggerito una ricetta per fronteggiare i fanghi sul fondale del Sea: «Aggiungere sali alcalini, residuati di pesticidi e scorie industriali cancerogene alle ampie quantità di fertilizzatori e prodotti dell'agricoltura industriale. Lasciar asciugare. Lasciare che si disperda nell'aria. Chiudere i finestrini della macchina e partire il più in fretta possibile il più lontano possibile»).

Un deserto alla Chernobyl?

Il rischio non è teorico. Los Angeles spende centinaia di milioni di dollari per recuperare parti del lago Owen, le cui riserve d'acqua sono state deviate verso l'acquedotto di Los Angeles nel 1910, per ridurre le tempeste di polvere alcalina che per anni hanno causato gravi problemi respiratori nelle comunità dell'alto deserto. Ma la morte del Salton Sea, un enorme serbatoio di sinistri prodotti chimici, significherebbe aprire il vaso di Pandora. Uno strisciante Chernobyl di malattie respiratorie e cancro. Può seguire un parziale spopolamento delle valli di Imperial e Coachella.
Per evitare questa Apocalisse, Sacramento ha proposto un piano di recupero di 9 miliardi di dollari per il Sea, ma l'ente che doveva appropriarsi della zona è stato bloccato da una sentenza giudiziaria e il piano deve ora far fronte alle drastiche scelte imposte dalla crisi del debito dello stato. Tuttavia, il cambiamento climatico e la siccità del Colorado Basin aumentano la pressione politica per permettere maggiori trasferimenti d'acqua dall'Imperial Valley alla costa.

Il Nafta non deve sgocciolare

Cambio la mia linea di inchiesta. «D'accordo, l'agricoltura dovrà declinare, ma cosa dire sull'economia di frontiera?» L'Imperial Valley sorge lungo due principali corridoi di trasporto del Nafta (North Atlantic Free Trade agreement, ndt.) e il suo gemello siamese, la Mexicali Valley, sta industrializzandosi rapidamente e diversificandosi.
El Centro ha una popolazione di 42mila abitanti, Mexicali più di un milione. Lungo la barriera della frontiera c'è una foresta di nomi di società straniere, che fanno lavorare le maquiladoras (fabbriche di assemblaggio, ndt): Sanyo, Kenworth, Allied Signal, Goldstar, Nestlé, ecc. E un ambizioso nuovo parco industriale - Silicon Border - sta pescando in Asia per riportare in Nord America le fabbriche di semi-conduttori.
È possibile che il dinamismo di Mexicali rinvigorisca anche l'Imperial Valley? Purtroppo nessuno da Denny's riesce a ricordarsi di un solo nuovo impianto industriale che sarebbe stato favorito dall'accordo di libero scambio (in effetti, sembra che non ce ne sia nessuno). Dall'altro lato, tutti hanno da raccontare una storia orribile sull'impatto economico e personale del dopo 11 settembre.
Anita, che milita in Angeles sin fronteras (Angeles senza frontiere) - un rifugio per migranti deportati a Mexicali - racconta della fatica addizionale che rappresentano le almeno due ore di attesa nelle strade verso nord che portano in California. I ritardi, sottolinea, hanno fatto fuori gran parte del commercio al dettaglio frontaliero, che una volta nutriva le vie commerciali dell'Imperial Valley, i mercati e i supermercati.
(Ho scoperto poi uno studio del 2007 realizzato dal Dipartimento dei trasporti della California, che stimava che questi ritardi sono costati all'Imperial County migliaia di posti di lavoro e decine di milioni di dollari in termini di tasse sulle vendite.)
I supposti vantaggi del Nafta, in altre parole, non hanno avuto effetti sulla Valley. Tuttavia, come è possibile avere il più alto tasso di disoccupazione del paese a uno sputo di distanza dal corridoio commerciale più trafficato?
I vigorosi interventi del Messico e dei governi federali per mantenere il boom di Mexicali contrastano con l'abbandono in cui è stata lasciata la crisi dell'occupazione dell'Imperial Valley da parte sia di Sacramento che di Washington.

Mobilitarsi per organizzarsi

Sono andato a El Centro pensando di trovare una semplice replica della protesta di Wall Street: un'azione sussidiaria, non adatta a crescere nel clima ostile dell'Imperial County. Invece, ho scoperto un fiore nel deserto sbocciato grazie a una combinazione di lunga coltivazione (la tradizione di attivisti locali); molta visibilità (dialogo attraverso i media sociali) e, di eguale importanza, l'esistenza di una serra locale (uno spazio fisico per incontrarsi e per l'interazione).
(Mi scuso con Occupy El centro per non essere stato in grado di intervistare un numero maggiore dei suoi iniziatori, e anche per gli eventuali errori della mia interpretazione degli eventi.)
In primo luogo, ecco una storia: alcuni dei più anziani attivisti - Anita e Susan, per esempio - sono dei veterani del movimento contro la guerra del 2003. Anche se non fu mai molto grossa, l'Imperial Valley Peace Coalition è all'origine di azioni specifiche, di incontri informali e di riprese cinematografiche. È stata anche una scuola politica dove degli adolescenti curiosi - come Camden Aguilera (che adesso ha 24 anni) della città di Imperial - hanno fatto i primi passi sulla strada del dissenso.
La rete della pace si è fatta sentire quando Wind Zero - una misteriosa società di San Diego guidata da un ex ufficiale della Marina - aveva ottenuto il permesso da parte delle autorità dell'Imperial County di costruire un enorme centro di addestramento militare privato nel deserto, vicino al villaggio di Ocotillo. Il progetto è pressoché una copia del noto tentativo di Blackwater di alcuni anni fa, di costruire delle aree di tiro e delle piste per le corse d'automobili nella comunità di Potrero, a est di san Diego.
Blackwater a San Diego alla fine venne sconfitta da un'unica coalizione tra residenti conservatori della campagna e attivisti pacifisti e adesso People Against Wind Zero, appoggiata da Occupy El Centro, sta costruendo un'alleanza simile.

L'importanza di avere uno spazio

Nelle attuali proteste globali, i forum fisici e gli spazi pubblici hanno recuperato la loro centralità nella ribellione. Nel caso della Valley, sia Camden che Anita sottolineano entrambi il ruolo centrale svolto dal Center for Religious Science di El Centro - un centro spirituale destinato alla meditazione - che ha fornito uno spazio funzionale per attori, musicisti e poeti e ha incoraggiato gli incontri su temi come la pace e la giustizia ambientale. Camden dice che il centro favorisce le contro-culture e lo sviluppo di idee alternative nella Valley.
Benché gli attivisti nella Coachella Valley (nella parte nord del Salton Sink) di recente siano riusciti ad occupare il Palm's Desert Civic Central Park - sei di loro sono stati arrestati - il movimento dell'Imperial Valley conserva forze per il futuro. Come afferma con eloquenza Anita, «dobbiamo passare dalla mobilitazione all'organizzazione».
I primi militanti delle manifestazioni de El Centro hanno messo assieme un'impressionante agenda di temi cari al movimento del 99%, compresi i diritti dei migranti (Anita), l'anti-Wind Zero (Susan), il femminismo (Camden) e i diritti dei veterani (John Hernandez di Brawley).
Occupy El Centro fornisce un quadro organizzativo sia per l'organizzazione delle forze - come nel caso contro Wind Zero - e per creare nuove reti di solidarietà. «A causa del fatto che Imperial Valley è sulla frontiera», Camden vede «un'opportunità per prendere parte non solo in un militantismo locale o nazionale, ma anche globale». Anita, in particolare, spera di poter stabilire dei legami con gruppi simili a Mexicali e cominciare così a costruire un movimento che abbia la dimensione di Occupy the Border (occupare la frontiera).
Infine, visto che sono un po' arretrato dal punto di vista tecnologico, sono rimasto affascinato dall'aspetto di comunità virtuale che ha Occupy El Centro. Grazie a Facebook, per esempio, la diaspora del college della Valley - compresa Jessica Yocupicio, appena laureata all'Uc Santa Cruz - è stata in grado di svolgere un ruolo di primo piano nell'organizzare la protesta.
Secondo Susan, «un ragazzo, Sky Ainsworth, ha dato vita al processo con un appello on line per l'azione. All'inizio poca gente aveva risposto, ma Jessica ha preso contatto con Anita, che aveva conosciuto ai tempi dell'organizzazione anti Wind Zero, e a sua volta lei ha contattato Camden e John Hernandez per dare vita al dialogo sulla programmazione. Altri giovani hanno letto i blog e si sono uniti».
Alla fine della giornata, però, l'occupazione de El Centro è stata fatta con i vecchi metodi. Come spiega Susan: «Volevo aggiungere che sono stata commossa dagli enormi sforzi devoluti dai giovani organizzatori della marcia. Nessuno di loro aveva la macchina, e andavano al lavoro o a scuola con i mezzi pubblici. Nell'Imperial Valley gli autobus sono molto rari e ciò significa perdere due o tre ore per andare in un posto dove basterebbero 20 minuti in macchina. Sono anche molto attenti ad aiutare gli amici e le famiglie che hanno problemi, per questo è stato incredibile che abbiano potuto realizzare questo».

 

Viareggio, licenziato dalle Ferrovie, era il consulente Cgil per la strage

Era da anni impegnato nelle battaglie per la sicurezza dei treni. Ferrovie: "Si è compromesso il rapporto di fiducia". E in un comunicato spiega: "Ha rivolto gravi ingiurie e insulti all'amministratore delegato"

Riccardo Antonini, il ferroviere che svolge un ruolo di consulente di parte civile nell'incidente probatorio per l'inchiesta lucchese sulla strage alla stazione di Viareggio (giugno 2009, 32 morti) è stato licenziato dalle Ferrovie. Lo rende noto Antonini, ricordando di aver già ricevuto in passato una lettera di richiamo e un provvedimento di sospensione legate alla sua attività di consulenza. Il licenziamento è senza preavviso per giusta causa perchè si è "definitivamente compromesso il rapporto fiduciario".

Antonini è stato prima consulente di un familiare delle vittime, poi della Cgil. Grazie al suo ruolo ha potuto partecipare agli accertamenti avvenuti nell' ambito dell'incidente probatorio, che si è concluso nei giorni scorsi al tribunale a Lucca, dove c'è stato uno scontro tra esperti. I periti del gip e del gruppo Fs da una parte, i consulenti della procura e delle parti offese dall'altra.

Oggetto della contrapposizione la causa dello squarcio nella cisterna carica di gpl che poi esplose. Fra gli indagati ci sono i vertici del Gruppo Fs.
Antonini ha ricordato di aver ricevuto una lettera di diffida in cui gli si contestava di aver partecipato all'udienza dell'incidente probatorio dell'8 ottobre, quando vennero contestati i consulenti del Gruppo Ferrovie, e alla manifestazione del Pd, il 9 settembre a Genova, quando venne criticato l'ad del Gruppo Fs Mauro Moretti.
"E' un'altra fesseria del dottor Moretti - ha commentato Antonini - E' un atto di intimidazione nei confronti dei lavoratori e un'offesa per le vittime della strage di Viareggio".

Non si fa attendere la precisazione delle Ferrovie: "Al fine di ristabilire la verità dei fatti, si precisa che Riccardo Antonini è stato destinatario del provvedimento di licenziamento in particolare per le gravi ingiurie e i pesanti insulti rivolti direttamente all'amministratore Delegato Mauro Moretti, nel corso di un dibattito pubblico nell'ambito di una manifestazione organizzata dal PD e tenutasi a Genova il giorno 9 settembre". E ancora: "Si ricorda che la manifestazione in oggetto è stata interrotta pochi minuti dopo il suo inizio per le intemperanze di alcuni contestatori, tra i quali proprio Riccardo Antonini. Come documentato e come risulta dalla contestazione disciplinare, Antonini, munito di megafono, ha rivolto all'amministratore delegato di Fsi pesanti ingiurie, quali "sei un vigliacco", "sei un assassino e devi pagare", "sei un buffone", "bastardo", "pezzo di merda" ecc. Tali frasi, gravemente offensive e lesive della persona e dell'immagine dell'ad e dell'Azienda, hanno rotto definitivamente, come ovvio, il rapporto fiduciario con il lavoratore".

Il sindaco di Viareggio Luca Lunardini a nome della città esprime solidarietà a Riccardo Antonini: "Ho un senso di stupore per quanto accaduto pur non entrando nel merito formale della decisione presa dalle Ferrovie: sarà il giudice del lavoro che dovrà pronunciarsi su questa vicenda. Resta, riguardo al risvolto umano di quanto accaduto, un senso di sorpresa. La città, compreso il sottoscritto, si aspetta comunque che venga fatta giustizia e verità su quanto accaduto il 29 giugno 2009 per il rispetto delle 32 vittime innocenti, dei feriti e dei loro familiari".

"Moretti conferma di essere spietato" è il commento del presidente della Provincia di Lucca Stefano Baccelli in merito a questa vicenda. "Sin dall'inizio - dichiara Baccelli - l'ad di Fs, Mauro Moretti, non ha mai messo in discussione né se stesso, né la parte che rappresenta, le Ferrovie dello Stato. Da subito Moretti ha messo in atto una strategia di attacco irrispettosa, innanzitutto, del dolore dei parenti delle vittime. Questo ultimo atto appartiene alla medesima logica aggressiva". Poi la solidarietà: "Esprimo la mia vicinanza ad Antonini. Qual'è la sua colpa? Forse quella di aver voluto dare il suo contributo alla ricerca della verità".

 

Bankitalia: “Il 23% dei giovani non studia né lavora”. Dato in crescita rispetto al 2008

Il dato è legato solo in parte al fenomeno della disoccupazione. Nel 2008 solo il 30,8 per cento dei Neet (Not in education, employment or training) cercava un'occupazione, nel 2010 la percentuale è salita al 33,8 per cento

Cresce il numero dei “ Neet “: la sigla non ha niente a che fare con la rete, ma è l’acronimo inglese (Not in education, employment or training) che indica coloro che non lavorano né studiano. Secondo il rapporto “Economie regionali” elaborato dalla Banca d’Italia su dati Istat del 2010, la percentuale dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non fanno alcuna attività “è pari al 23,4%, equivalente a 2,2 milioni. In altre parole, quasi un ragazzo su quattro”. Nel periodo 2005-2008 i Neet della stessa fascia d’età “erano poco meno di 2 milioni, pari al 20% dei 15-29enni”. Il fenomeno è cresciuto maggiormente nel nord e nel centro Italia: “Nel Mezzogiorno la crescita è stata meno pronunciata perché l’incidenza dei giovani ‘Neet’ era vicina al 30% già prima della crisi. In particolare, dei 2,2 milioni di under 30 che non studiano e non lavorano ben 1,2 milioni, ovvero più della metà, si trova nel Sud e nelle Isole”. In queste zone sono 1.253.731 i Neet, su un totale nazionale di 2.233.672. “Marcate risultano anche le differenze – dice Bankitalia – tra la componente femminile e quella maschile (20,5% tra gli uomini e 26,4% tra le donne)”.

La condizione di Neet è solo in parte collegata al fenomeno della disoccupazione . “Nel 2008 il 30,8 per cento dei Neet cercava un’occupazione (il 25,3 per cento tra le donne); tale quota ha raggiunto il 33,8 per cento nel 2010. Nel Nord Ovest e al Centro quasi il 40 per cento dei giovani che non studiano e non lavorano era alla ricerca di un’occupazione, il 38 per cento nel Nord Est. Nel Mezzogiorno, dove la partecipazione al mercato del lavoro è inferiore per tutte le fasce d’età, la quota non raggiungeva nemmeno il 30 per cento”. Alzando l’asticella fino ai 35 anni, per includere coloro che hanno terminato un corso di laurea o di specializzazione, la quota dei neet tra i laureati resta, pur se inferiore alla media, abbastanza alta (pari al 20,5%). Quindi, il titolo di studio un pò aiuta (chi ha solo la terza media cade più facilmente nel bacino dei neet (24,8), ma non risolve il problema. Inoltre, se prima della crisi la condizione del neet era per una buona parte solo temporanea, oggi non è più così, con la quota di chi passa velocemente tra gli occupati che è sensibilmente calata.

Il rapporto segnala anche come la ripresa economica del paese si sia fermata nell’estate del 2011 ”Nelle regioni centrali e meridionali i livelli di attività hanno ristagnato in tutti i primi nove mesi dell’anno. In tutte le aree le aspettative degli imprenditori sono peggiorate durante l’estate per effetto dell’instabilità sopraggiunta sui mercati finanziari”. Infine nel primo semestre del 2011 “le esportazioni sono cresciute più lentamente del semestre precedente; l’aumento è stato superiore nel Nord e nel Mezzogiorno”.

 

Genova: la protezione civile è una scienza

Catastrofi e protezione civile: il caso di Genova. Non tutto è sempre prevedibile, ma le norme della scienza deputata a proteggere non vengono di fatto applicate dall'amministrazione pubblica, centrale e locale

di Bruno Giorgini
fisico

Il sindaco Marta Vincenzi ha ripetuto più volte che l'evento era imprevedibile riferendosi all'onda di piena che ha spazzato via persone e cose in larga parte della città, e Marta Vincenzi è donna intelligente, nonché certamente amorosa di Genova e dei suoi concittadini. Eppure questa asserita "imprevedibilità" apocalittica non convince.
Intanto prevedibili e previste erano le piogge. Quindi si poteva adottare il principio di precauzione, secondo il quale gli esseri umani innanzi tutto vanno messi in sicurezza, seppure la probabilità di esondazione fosse stata bassa, o anche molto bassa (assumo qui che nei giorni precedenti qualcuno questa probabilità abbia a Genova valutato se non calcolato, o no?) attraverso l' evacuazione , ovviamente delle zone considerate a rischio (assumo qui che nei giorni precedenti qualcuno abbia mappato queste zone, o no?). In secondo luogo andavano eliminate le automobili dalle stesse zone, sia quelle parcheggiate che quelle in movimento (blocco del traffico pubblico e privato). I veicoli costituiscono un intoppo al libero fluire delle acque, moltiplicando l'onda d'urto, oltre a essere pericolosi per chi si trovi nonostante tutto in strada. In terzo luogo andava organizzata una comunicazione capillare dei rischi e delle precauzioni che ciascun cittadino avrebbe dovuto/potuto prendere, comunicazione e informazione dettagliata e tecnica sia agli individui che ai corpi sociali , per esempio se si tengono aperte le scuole bisogna dire agli insegnanti e altri operatori scolastici cosa fare in caso di evento/i catastrofico/i , rassicurando nel contempo i genitori che i loro figli non saranno lasciati a sé stessi, e lo stesso per i lavoratori privati e pubblici, se si decide che i luoghi di lavoro non vengano chiusi preventivamente. Ovviamente sto facendo i conti senza l'oste, perché di protezione civile quasi nessuno sa niente , non la si insegna nelle scuole e all'università (esiste qualche master qua e là), non la si pratica come disciplina di massa e patrimonio dei cittadini tutti , salvo poi tirare fuori i fazzoletti per piangere, ascoltare le omelie dei vescovi sulle bare, dichiarare lo stato di emergenza ex post, maledire il destino cinico e baro, fare gli scongiuri e cercare qualche capro espiatorio, la natura imprevedibile e/o il sindaco incompetente, per di più "piove governo ladro".

Invece la protezione civile non è un'opera benefica più o meno dilettantesca ma una scienza, che esige rigore, precisione, capacità di predizione, nei limiti del possibile, e di prevenzione. Una scienza altamente interdisciplinare , che corre dalla matematica, alla fisica, dalla dinamica dei fluidi alla dinamica degli esseri umani, dalla psicologia all'ingegneria, dall'ecologia all'economia, dalla computer science alla teoria della comunicazione, e altro ancora. Una scienza sempre più necessaria, perché gli eventi potenzialmente catastrofici, dalle grandi piogge sempre più frequenti e violente, ai terremoti, tsunami e quant'altro, aumentano di numero e intensità anno dopo anno, per molteplici ragioni che qui sarebbe troppo lungo analizzare (mutamenti climatici, effetto serra, eccessivo sfruttamento del suolo, cementificazione del territorio e dei corsi d'acqua, eccetera).

Certamente di tutto questo non può essere competente/responsabile il solo sindaco, ma egli/ella dovrebbe tenere in conto questa dimensione tecnico scientifica della protezione civile, predisponendo gli studi e le ricerche del caso, nonché essere cosciente che per un altro verso la protezione civile, i suoi principi basilari e le sue regole elementari di autodifesa, per essere efficace deve essere anche di massa e partecipata , deve entrare a fare parte del corredo genetico di ogni cittadino/a, più o meno come il codice della strada, o un tempo l'educazione civica. Tra l'altro la coscienza razionale del pericolo e la conoscenza diffusa di alcuni modi e comportamenti che possono ridurre l'impatto dell'onda di catastrofe , riducono anche il panico, diminuendo gli effetti caotici. Quindi, riassumendo, per affrontare le catastrofi, naturali e/o provocate dall'uomo (spesso i due aspetti si mescolano) con una efficace protezione civile bisogna in primo luogo aumentare l'intelligenza del sistema, e dei singolo componenti, sia nel senso di scienza, conoscenza, informazione, che in quello della predisposizione di strumenti e tecnologie adatte, per esempio alla simulazione degli eventi catastrofici, onde potere sperimentare in silico e vedere sullo schermo di un calcolatore cosa potrebbe accadere,e quali azioni preventive possono essere messe in atto. Nonché operando, e qui siamo alla politica , per sviluppare la coscienza civica che la protezione civile è responsabilità e diritto/dovere di ciascuno con la preparazione di base necessaria , in un meccanismo che vada dalla scuola a un sistema che potrebbe essere simile alla leva obbligatoria d'antan, ovviamente senza elementi coercitivi. Infine, tornando al punto iniziale dell'imprevedibilità, non so quali ricerche e studi siano stati fatti sul sistema dei rii e torrenti genovesi, e convengo che la predizione dei fenomeni fluidodinamici in particolare turbolenti non sia una cosa semplice, so però che esistono oggi modelli in grado di calcolare almeno in senso statistico, e simulare fenomeni come l'esondazione e l'onda di piena che ha agito a Genova. Certo ci vuole un sistema di misura e monitoraggio delle acque , possibilmente on line, cioè in tempo reale e un sistema di computazione adeguato, ma si tratta di una impresa per cui oggi esistono le teorie e le tecniche adeguate. Mi pare che dedicarsi a questa nuova protezione civile sarebbe, per Marta Vincenzi ben più utile che cercare di difendersi dalle critiche o accuse. Inoltre forse potrebbe essere un modo di elaborare il lutto della città ritrovando un ottimismo della ragione comune, del comune stare insieme, non solo ai funerali e nel cordoglio, non solo nella comune ricostruzione, ma anche nella comune protezione civile . Oggi per la catastrofe appena passata, e domani a fronte delle catastrofi future.

 

7 novembre

 

Anche il Financial Times scarica Berlusconi: “In nome di Dio e dell’Italia, vattene”

Il quotidiano inglese dedica alle vicende nostrane tutta la prima pagina per affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: "Solo un cambio di leadership potrà ridare credibilità all'Italia"

Il Financial Times ha rivolto al presidente del Consiglio italiano un invito inequivocabile: “In nome di Dio , dell’ Italia e dell’ Europa , vai”. Il quotidiano inglese dedica alle vicende italiane tutta la prima pagina per affermare quello che nel Belpaese è noto a sempre più persone: “solo un cambio di leadership potrà ridare credibilità all’Italia”. Se il cambio della guardia a Palazzo Chigi è un “imperativo”, il Ft mette però in guardia anche quelli che pensano che la cacciata di possa essere la panacea di tutti i mali per uscire dalle secche della crisi economica e del debito. “Sarebbe ingenuo credere che quando Berlusconi se ne andrà, l’Italia possa reclamare subito piena fiducia dei mercati”, scrive il foglio britannico.

Negli articoli di cronaca si sottolinea poi che al G20 di Cannes, l’Italia ha accettato un monitoraggio del Fondo monetario internazionale “altamente intrusivo”. E, secondo i cronisti inglesi, è una “concessione senza precedenti” perché l’Italia, per il momento, è un paese che non è ancora fallito.

Ma le parole più brucianti sono nell’editoriale in cui il Cavaliere viene paragonato a George Papandreou , primo ministro greco. “Tutti e due si reggono su una sottile e risicata maggioranza parlamentare, e tutti e due stanno litigando con il loro ministro delle Finanze . Ma, la cosa più importante di tutte, hanno entrambe la tendenza a rinnegare le loro promesse in un periodo nel quale i mercati sono preoccupati sulle finanze pubbliche dei loro paesi”. E poi la stoccata finale: “Il rischio che potrebbe minare il Paese riguarda il leader attuale: avendo fallito l’obiettivo di realizzare riforme nelle due decadi passate in politica, Berlusconi manca della credibilità per portare avanti questi significativi cambiamenti”.

Così, anche se non sarebbe una soluzione a tutti i problemi, “il cambio di leadership è imperativo” e “un nuovo primo ministro impegnato nell’agenda della riforma potrebbe rassicurare il mercato, che è alla ricerca disperato di un piano credibile per bloccare la corsa del quarto debito più grande del mondo”.

Tuttavia il fatto che il Cavaliere sia arroccato alla sua poltrona, è cosa nota anche in riva al Tamigi. Tant’è che il pezzo dedicato alla politica di casa nostra viene titolato così: “il sopravvissuto dell’Italia determinato a durare”.

 

Pdl, iscrizioni record in Campania

I signori delle tessere del partito del premier si sono scatenati: quasi 200mila iscritti e una raccolta fondi che ha toccato quasi quota 2 milioni di euro

 E meno male che il segretario del Pdl Angelino Alfano si era tanto raccomandato di non esagerare, per non trasferire nel tesseramento lo scontro tra i leader e gli aspiranti coordinatori cittadini e provinciali. A Napoli e dintorni il suo appello è caduto nel vuoto. Nella Campania di Nicola Cosentino , che festeggia il sesto anno da coordinatore regionale a dispetto di inchieste e rinvii a giudizio per camorra e trame varie, il Pdl ha staccato ben 185.000 tessere e ha raccolto quasi due milioni di euro . Una fetta molto consistente del milione e mezzo di persone che in tutt’Italia avrebbe versato almeno dieci euro per iscriversi al partito di Berlusconi. Sulla genuinità e spontaneità della campagna di adesioni campana, si pronunceranno le varie commissioni di garanzia. Le cui maglie di solito, per usare un eufemismo, non sono strettissime.

Ma di fronte a certi numeri i sospetti sono inevitabili. Come sono stati raggiunti? Col consueto lavorìo dietro le quinte di parlamentari e capobastone locali. I soliti noti che da anni fanno il bello e il cattivo tempo nei territori. Luigi Cesaro . Nicola Cosentino, Edmondo Cirielli . Vincenzo Nespoli . Si racconta che a Sant’Antimo , feudo del presidente della Provincia “Giggino ‘a Purpetta’” Cesaro, le tessere azzurre erano così tante da riempire ben due pulmini, diretti a Roma col pieno di benzina poche ore prima della chiusura della campagna. “Ma quali pulmini” ha replicato stizzito Cesaro in un’intervista a Dario del Porto sulle pagine napoletane di Repubblica “un gruppo di giovani ha utilizzato un Doblò per trasportare le scatole. E solo perché serviva una vettura più capiente, altrimenti avremmo dovuto impiegare tre o quattro auto”. Cesaro è il signore delle tessere di Napoli. Col suo triplo ruolo di deputato, Presidente della provincia e coordinatore provinciale del partito dai tempi di Forza Italia , nonché fedelissimo del Cavaliere fino al punto di inserire in giunta una delle sue ‘pupille’, la ex billionarina Giovanna Del Giudice , Cesaro controllerebbe un pacchetto di circa 40.000 iscritti attraverso le adesioni raccolte dal suo gruppo sul territorio. Angelo Agrippa , giornalista del Corriere del Mezzogiorno molto informato sulle vicende in casa Pdl, disegna così la mappa del tesseramento dell’area Cesaro: 3000 iscritti riconducibili al consigliere regionale originario dell’isola d’Ischia, Domenico De Siano ; 4000 a un altro consigliere regionale, Massimo Iannicello; 3500 alla parlamentare Giulia Cosenza; 4000 al capogruppo regionale Pdl Fulvio Martusciello, fratello di Antonio Martusciello, ex vice ministro di un vecchio governo B. e attualmente commissario all’Agcom; 1000 tessere sono riferibili al Responsabile sottosegretario all’Economia Bruno Cesario; 10.000 tessere, infine, farebbero capo a un ex finiano, il deputato Amedeo Laboccetta. Il variegato e variopinto gruppo ha un cavallo su cui puntare per il ruolo di coordinatore provinciale: il giovane sindaco di Pollena Trocchia, Francesco Pinto. Più complicata la corsa per il coordinatore della città di Napoli, dove Laboccetta dovrà vedersela con l’ex parlamentare e assessore regionale all’Urbanistica Marcello Taglialatela, detentore di un pacchetto di circa 7000 tessere e collocabile nello scacchiere nazionale vicino al sindaco di Roma Gianni Alemanno. Saranno decisive probabilmente le mosse di alcuni politici non collocabili in questo o quello schieramento cittadino, come il senatore Raffaele Calabrò, detentore di 5000 adesioni, dell’area di Gaetano Quagliariello , e il senatore Giuseppe Scalera, fedelissimo di Lamberto Dini, che vale 1000 tessere.

In provincia, si segnalano le 6000 tessere raccolte dal sindaco-deputato di Afragola Vincenzo Nespoli, in ambasce per la recente sentenza della Consulta che lo costringerà a lasciare uno dei due incarichi. Se dovesse rinunciare a quello di parlamentare, però, scatterebbe per lui l’esecuzione degli arresti domiciliari disposti nell’ambito di un’inchiesta per bancarotta fraudolenta sul fallimento di alcuni istituti di vigilanza, misura cautelare congelata per il diniego della Camera dei deputati . Chiudono l’elenco le duemila tessere del deputato nolano Paolo Russo, le tremila riconducibili al sindaco di Castellammare di Stabia Luigi Bobbio (ben 10.000 adesioni in tutto nella città delle Terme), le 5000 iscrizioni raccolte a Giugliano

A Salerno e provincia hanno aderito al Pdl 25.000 persone. E circa 22.000 lo avrebbero fatto grazie agli input del presidente della Provincia e deputato Edmondo Cirielli, padrone incontrastato del partito salernitano, un potere che nemmeno la ministra conterranea Mara Carfagna è riuscita a scalfire. In Irpinia circa 5000 tessere sono state raccolte intorno al presidente della Provincia e deputato Cosimo Sibilia e al consigliere regionale Antonia Ruggiero. Infine, Caserta e hinterland. Dove il Pdl è una cosa sola con Nicola Cosentino. Quindicimila iscritti e due uomini forti sul territorio, il presidente del consiglio regionale della Campania Paolo Romano (quasi 4000 tessere) e il consigliere regionale Angelo Polverino (3500 tessere).

Il governatore Pdl della Campania, Stefano Caldoro , era contrario all’apertura della campagna di tesseramento. In alcune interviste ha predicato la necessità di costruire un partito aperto, sul modello americano. Dichiarando: “L’organizzazione del consenso in un partito non si costruisce solo con le tessere, che possono essere un elemento di valutazione, ma occorre puntare a un modello moderno di partito nel quale il tesseramento sia un aspetto marginale”. Alla fine, però, si è iscritto anche lui.

 

Portorico, a Vieques continua la contaminazione ambientale della Marina Usa

La Marina Usa continua a far esplodere bombe e a bruciare vegetazione. La popolazione protesta "Inquinamento provoca tumori"

La Marina Militare Usa se ne è andata il 1 maggio 2003 ma la situazione a Vieques , splendida isola caraibica a poco più di 8 miglia dalle coste dell'isola di Portorico, non è mai migliorata.

Due terzi dell'isola sono stati utilizzati per decenni dai militari Usa per effettuare manovre militari , provare armi, preparare invasioni , come vi abbiamo raccontatto nel numero di giugno di E-Il Mensile. Oggi a otto anni di distanza la popolazione soffre ancora per i danni causati dagli agenti chimici contenuti nelle bombe esplose per 'prova' ed ha conquistato il triste primato di area con un'altissima incidenza di tumori e leucemie. La conferma arriva da Ismael Guadalupe , uno dei leader delle proteste isolane che culminarono con la cacciata dell'esercito.

"La contaminazione continua a esistere e le malattie come il cancro dilagano.La Marina "continua a riversare agenti tossici, avvelenando acqua mare e terra. La contaminazione uccide la nostra gente mentre altri stanno in silenzio, come il governo"

Secondo quanto raccontato da Guadalupe le attività della Marina nelle ultime settimane si sarebbero intensificate . Certo, non ci sono più le manovre, ma le attività nell'area proseguono. Come il disboscamento delle aree ex Marina per scoprire bombe inesplose e farle detonare. E sono recenti le foto mostrate da Guadalupe che ritraggono un fungo, figlio dell'esplosione di alcuni ordigni. "Da molti anni l'organizzazione in difesa del territorio rifiuta con energia qualsiasi tipo di esplosione aperta" ma a poco sembra servito.

Nel frattempo, la situazione sta degenerando . E poco sembra importare se le autorità Usa hanno già stabilito che e riconosciuto che le attività della Marina, che ha utilizzato anche uranio impoverito , hanno causato seri danni alla salute della popolazione.

 

4 novembre

Di lavoro si continua a morire

da Michele Michelino*

Altri due operai morti all'interno di un pozzo artesiano a Somma Vesuviana. Il pozzo doveva essere ampliato per la raccolta delle acque nel tentativo di evitare gli allagamenti, in caso di piogge e temporali.
Antonio Annunziata e Alfonso Peluso, i due operai morti a Somma Vesuviana, non risultano dichiarati alla Cassa Edile, erano costretti a lavorare in nero per portare a casa il pane per le loro famiglie.
Ogni giorno si allunga la lista dei morti sul lavoro e di lavoro. Solo in Campania sono 117 gli assassinii di lavoratori, chiamati omicidi bianchi, dall'inizio dell'anno, tra la provincia di Napoli e la regione Campania.
Nonostante il “progresso” e le campagne sulla sicurezza del governo e Confindustria, sui posti di lavoro si continua a morire come nel passato. La mancanza di rispetto delle norme di sicurezza, la precarietà, il ricatto del posto di lavoro attuato dai datori di lavoro (cioè i padroni), lo stress di non arrivare a fine mese e i turni bestiali, costringono gli operai e i lavoratori a lavorare a ritmi bestiali e in condizioni incivili.
Secondo i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti e sugli infortuni sul lavoro dall’inizio dell’anno “ci sono stati 555 morti per infortuni sul lavoro, oltre il 15% di queste sono vittime che lavoravano in nero o erano già in pensione”.
Se a questi dati aggiungiamo le decine di miglia di morti per malattie professionali che avvengono in silenzio ogni anno, otteniamo la sanguinosa rappresentazione di una strage dimenticata, un crimine contro l’umanità i cui responsabili, i padroni, rimangono impuniti.
Non possiamo accettare che i lavoratori siano considerati carne da macello
Non conosciamo, al momento, la causa della morte dei due operai , se è dovuta al cedimento delle pareti del pozzo o alle esalazioni venefiche del terreno, anche se una cosa è certa: i due operai non avevano misure di protezione.
Quando non si hanno proprietà da difendere o profitti da realizzare sullo sfruttamento degli esseri umani, la solidarietà fra lavoratori viene prima di tutto e può succedere che, nel disperato tentativo di salvare il compagno, un operaio dia la vita.
Ancora una volta per la solidarietà di classe che si instaura fra compagni di lavoro uno di loro non ha esitato a infilarsi nel pozzo a nove metri di profondità per soccorrere il compagno colpito da malore, perdendo anch’egli la vita.
Eppure i padroni, il governo, la Comunità Europea, la Banca Europea e il Fondo Monetario Internazionale continuano a colpire la classe operaia con attacchi al salario e alle condizioni di vita, vanificando i diritti al lavoro, alla sanità, alla scuola, imponendo nuovi sacrifici e - in nome dell’aumento dell’aspettativa di vita (di chi?, non certo degli operai) - aumentando l’età pensionabile e tagliando le pensioni e i salari.
E’ arrivato il momento di dire basta.
Siamo stufi di pagare e morire per una minoranza di sfruttatori e speculatori, per mantenere il debito del sistema capitalista, per salvare un sistema che ci affama e che si arricchisce e prospera sulla nostra miseria.
Se questo è il futuro, allora è auspicabile il crac di questo stato, che difende solo gli interessi dei capitalisti.
Sesto S.Giovanni, 3 novembre 2011

*Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

Regionali Molise, 300 denunciati per falso. Dopo 18 giorni manca vincitore

Le operazioni di controllo e verifica nelle commissioni elettorali provinciali di Campobasso e Isernia sono terminate ieri sera e ora tutta la documentazione è negli uffici della Corte d’Appello. La verifica di una quarantina di seggi aveva portato al “recupero” di circa 500 voti da parte del candidato di centrosinistra Frattura

Trecento cittadini molisani saranno denunciati per falso dalla procura della repubblica di Campobasso. E’ la conseguenza di un atto dovuto, stando a quanto si apprende in ambienti giudiziari, da parte delle commissioni elettorali che hanno avuto il compito di controllare la documentazione che i partiti hanno dovuto allegare per la presentazione delle candidature alle recenti elezioni regionali.

Si tratta in sostanza di cittadini che hanno sottoscritto liste di diversi partiti contravvenendo così alla legge elettorale che prevede che l’elettore può firmare per la presentazione di una sola lista.

Alcuni lo avrebbero fatto ignari del reato che stavano commettendo, altri invece avrebbero agito pur sapendo di correre questo rischio. Con il lavoro delle commissioni però le doppie firme sono venute a galla, i funzionari delegati infatti si sono trovati di fronte a nomi di cittadini che comparivano a corredo di più di una lista.

E così diciotto giorni dopo le elezioni regionali in Molise non è ancora stato proclamato ufficialmente il vincitore delle regionali tra il candidato del centrodestra e presidente uscente, Michele Iorio , e quello del centrosinistra, Paolo Di Laura Frattura , battuto per 1.505 voti.

Le operazioni di controllo e verifica nelle commissioni elettorali provinciali di Campobasso e Isernia sono terminate ieri sera e ora tutta la documentazione è negli uffici della Corte d’Appello. Quest’ultima, però, potrebbe anche disporre ulteriori accertamenti prima di proclamare ufficialmente eletto il nuovo presidente.

La verifica di una quarantina di seggi aveva portato al “recupero” di circa 500 voti da parte di Frattura. Resta per ora il fatto che neanche stamane la proclamazione ha avuto luogo e non è chiaro quanto bisognerà aspettare ancora.

 

3 novembre

Il comma 22 dei licenziamenti

Alessandro Robecchi

L'idea che per diminuire la disoccupazione si debba licenziare liberamente è incredibilmente molto gettonata in questo povero paese di squilibrati. È come se per curare la bronchite si prescrivessero al paziente due pacchetti di sigarette al dì, un sigaro dopo i pasti e una dose di curaro inalata per aerosol. In questo modo - spiega il ministro del lavoro Sacconi - faremmo posto a nuovi ammalati di bronchite da trattare, eventualmente, nello stesso modo. È un paradosso in stile Comma 22: le aziende non assumono perché non possono licenziare. Ma se hanno bisogno di assumere, perché diamine scalpitano per licenziare? Mi rendo conto che è un ragionamento complesso, si vede bene che mentre lo spiega Sacconi rischia esplodere per lo sforzo. Ma in generale, si respira aria di festa: il fatto che due governi di destra (francese e tedesco) incoraggino il più impresentabile dei leader mondiali a licenziare a piacere i lavoratori, mette d'accordo tutti. Sacconi lo dice come può, coi suoi strumenti, che sono poca cosa. Più astuto, il telegenico Matteo Renzi, preferisce citare con eleganza la flexsecurity nordeuropea, facendo finta di non sapere come vanno le cose da queste parti sudeuropee, cioè che prima diventi flex a bastonate, e la security, invece forse, vedremo, le faremo sapere... Tutti e due, tra l'altro, citano deliziati le teorie economiche di Pietro Ichino che Repubblica, forse in preda a delirio narcotico, definisce «economista scomodo». Pensa quelli comodi! Che venga da un ente inutile (il ministero del lavoro di un paese dove lavoro non ce n'è) o dalla nuova gauche-iPhone ancora affascinata da Tony Blair (perversi, eh!), la solfa è quella solita: vent'anni di flessibilità non sono bastati, siete ancora troppo rigidi, dunque mollate i vostri diritti, gente, è per il vostro bene. La fine è nota: il povero Pd, l'unica vera forza europeista italiana, se lo prende in quel posto come da tradizione, costretto a gridare «viva l'Europa» anche quando l'Europa impone la libertà di licenziare senza regole i suoi elettori.

 

Balzo della disoccupazione a settembre. 29,3% tra i giovani, ai massimi dal 2004

La percentuale complessiva di chi non ha un impiego arriva all'8,3, ai livelli di novembre 2010. Tra gli under 24 uno su tre è senza occupazione, il dato peggiore da gennaio di sette anni fa. "Inattiva" quasi un'italiana su due: non ha lavoro né lo cerca

ROMA - Nubi nere su giovani e donne. Per loro il lavoro è sempre più un miraggio. Il tasso di disoccupazione a settembre è balzato all'8,3%, dall'8,0% di agosto. Lo rileva l'Istat in base a stime provvisorie, sottolineando che così il tasso si riporta ai livelli del novembre 2010. Tra i giovani (15-24 anni) quelli senza lavoro sono il 29,3%, dal 28,0% di agosto. Si tratta del dato più alto dal gennaio 2004, ovvero dall'inizio delle serie storiche.

Il tasso di disoccupazione a settembre risulta così in aumento di 0,3 punti percentuali sia rispetto ad agosto sia rispetto all'anno precedente. In particolare, quello maschile aumenta di 0,3 punti percentuali nell'ultimo mese, portandosi al 7,4%, mentre quello femminile, con un aumento della stessa entità, si attesta al 9,7%. Rispetto all'anno precedente il tasso di disoccupazione maschile sale di 0,2 punti percentuali, quello femminile di 0,3 punti percentuali.

Stando alle cifre Istat, inoltre, quasi una donna su due in Italia né lavora né è in cerca di un posto, ovvero non rientra né nella fascia degli occupati né in quella dei disoccupati. L'Istat, nelle stime provvisorie, rileva che a settembre il tasso di inattività femminile è pari al 48,9%, mentre quello maschile si attesta a 26,9%. In generale, spiega l'Istituto, il tasso di inattività si attesta al 37,9%, registrando un aumento congiunturale di 0,1 punti percentuali. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni crescono dello 0,1% (21 mila unità) rispetto al mese precedente. Su base annua gli uomini diminuiscono dello 0,2%, mentre le donne inattive aumentano dello 0,5%.

Sull'altro fronte, gli occupati scendono a 22,911 milioni, in calo dello 0,4% (-86 mila unità) rispetto ad agosto. Anche in questo caso la diminuzione interessa sia uomini che donne. Il tasso di occupazione maschile, pari al 67,7%, diminuisce di 0,2 punti percentuali rispetto ad agosto, restando invariato su base annua. Quello femminile, pari al 46,1%, registra una diminuzione di 0,2 punti percentuali sia in termini congiunturali sia tendenziali.

 

Glaming, la Mondadori di Berlusconi entra nel business del gioco d’azzardo

Una nuova concessionaria per il gioco d’azzardo online. Ma non una concessionaria qualunque, nella torta del ricco mercato del gioco in Internet ora c’è anche la Mondadori di Marina Berlusconi con la sua Glaming . Questo il tema della puntata di Report, in onda questa sera su Rai Tre. Nell’inchiesta di Sigfrido Ranucci la ricostruzione dell’ennesimo caso di conflitto di interessi nella vicenda politica e imprenditoriale del premier. Già perché per operare nel mercato dei giochi, che in Italia a fine 2011 varrà circa 70 miliardi di euro, serve una concessione. E a dare le concessioni sono i Monopoli dello Stato , che a loro volta dipendono dal governo.

Insomma, l’esecutivo del presidente del Consiglio, attraverso l’amministrazione dei Monopoli, concede l’autorizzazione ad operare ad una società che di fatto appartiene al 70% al premier stesso. L’altro 30% , racconta Report, è controllato dalla Fun Gaming . Quest’ultima, a sua volta è per 49% inserita in una fiduciaria, mentre il restante 51% appartiene a Marco Bassetti , marito di Stefania Craxi , che al governo siede come sottosegretario agli Esteri.

Ma i profili del conflitto di interessi non finiscono qui. Quando il cda di Mondadori discute la nascita di Gamling, nel novembre del 2010, tra i consiglieri presenti – in videoconferenza – c’è anche Mario Resca , ex numero uno di McDonald’s e attuale direttore generale del ministero dei beni culturali. Per non dire di Aldo Ricci , che di Glaming è presidente. Ricci è già stato, per due volte, amministratore delegato della Sogei , società pubblica che gestisce l’anagrafe tributaria. Voluto da Tremonti è stato rimosso da Visco e poi richiamato dallo stesso Tremonti.

 

Germania, le verità non dette sulla strage di Kunduz

La commissione d'inchiesta del parlamento tedesco ha concluso i lavori sulla strage di Kunduz, la prima dolorosa operazione di guerra dai tempi del secondo conflitto mondiale

Perché il colonnello Klein ordinò di bombardare quelle due cisterne a Kunduz? Perché politici e vertici militari tedeschi cercarono di coprire o minimizzare quell'operazione?

A queste domande, la commissione d'inchiesta del Bundestag doveva dare delle risposte.
I fatti: il 4 settembre del 2009 due F-15 americani sganciano due bombe da 500 libbre su due autocisterne cariche di carburante arenatesi sul letto di un fiume in secca. Decine di persone dei villaggi vicini si erano radunate nei pressi sperando di raccogliere qualche litro di combustibile. L'esplosione delle bombe, amplificata dal carburante, uccise 91 afgani, secondo le cifre ufficiali Isaf, 142 secondo fonti afgane. La maggior parte di essi erano civili.

A ordinare il bombardamento, fu il colonnello Georg Klein . Le immagini sgranate, senza audio, provocarono sdegno in Germania, i cui cittadini credono che le missioni militari debbano avere solo una funzione di peacekeeping . L'affaire "Kunduz" è finora costata la testa del comandante generale Wolfgang Schneiderhahn e di due ministri della Difesa: Franz Josef Jung prima e il suo successore Karl Theodor zu Guttenberg , poi, che si è dimesso lo scorso marzo.

La commissione d'inchiesta ha iniziato i lavori nel gennaio del 2010: dopo 79 sedute in cui sono stati ascoltati 41 testimoni ee esaminati 339 documenti ufficiali, si è giunti a una conclusione più politica, sulla missione in Afghanistan in generale, che non una conclusione di merito sull'operazione. Secondo i membri della maggioranza di governo (Cdu+Fdp) nessuna colpa è imputabile al colonnello Klein che agì secondo le informazioni a sua disposizione (che i talebani volessero usare le cisterne per attaccare la vicina base tedesca) e per proteggere i suoi uomini. Le opposizioni, Spd in testa, pur non ritenendo Klein responsabile della strage, ritengono che abbia preso una decisione sbagliata, che avrebbe dovuto attendere per avere maggiori informazioni sulla presenza di civili. La questione dell'opportunità della missione in Afghanistan ha per lo più preso il sopravvento.

Nessuna risposta si è avuta invece sulle mezze verità e i goffi tentativi di insabbiamento da parte del ministro della difesa Guttenberg il quale, appena insediatosi al posto del dimissionario Jung aveva detto - siamo al 6 novembre del 2009 - che le operazioni si erano svolte secondo le regole d'ingaggio Isaf. Salvo ribaltare il suo giudizio meno di un mese dopo, il 4 dicembre, quando ammise che erano stati compiuti degli errori , che erano state prese delle misure inappropriate.

Poiché il rapporto - allora segreto - della Nato che individuava una serie di gravi errori procedurali doveva essere già noto al ministro Guttenberg, in molti si sono chiesti perché abbia ingannato il parlamento e il popolo tedesco . I più maliziosi ritengono che Guttenberg credesse che il rapporto sarebbe rimasto secretato per lungo tempo, se non per sempre. Le 74 pagine della relazione Nato sono state rese pubbliche nel gennaio del 2010: come detto, Klein, secondo gli inquirenti dell'Alleanza Atlantica, " ha commesso tutti gli errori possibili e immaginabili ". Il colonnello si basò sulle informazioni di intelligence fornite da un solo soggetto, dimostratesi inadeguate a dare un quadro completo . "Inettitudine e disinformazione". Il rapporto Nato sottolineava "l'inesperienza e la mancanza di professionalità" dei militari tedeschi che non sono stati in grado di gestire una situazione così delicata. Per più di 45 minuti, i messaggi radio rimbalzavano tra il suolo, dove c'erano i soldati tedeschi, e i cieli dove incrociavano i jet americani. Klein ordinò di armare sei bombe da 500 libbre e lo fece per sette volte: i piloti americani ritenevano che fosse sufficiente volare a bassa quota per spaventare le persone e farle allontanare. Klein insistette, affermando che le truppe tedesco stavano per "entrare in contatto" con gruppi nemici. Era falso, come lo stesso Klein ha poi ammesso alla commissione d'inchiesta Isaf, ma pensò che fosse l'unico modo per ottenere il fuoco dall'alto e proteggere la base. Come poi è stato stabilito dalla stessa Isaf, non c'era nessun pericolo imminente che giustificasse l'attacco Alle 1:08 del mattino, i caccia sganciarono le due bombe.

I tedeschi conoscono la verità dei fatti e sanno degli errori compiuti che hanno causato una strage di civili. Manca, per adesso, il riconoscimento della responsabilità politica : le dimissioni di Guttenberg, considerato per lungo tempo il delfino di Angela Merkel, non bastano a un popolo che ha, per ragioni storiche, un'avversione alla guerra e alle armi.

Nicola Sessa

 

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