La nave Excelsior, partita martedì 12 aprile da Lampedusa, martedì 19 ha
finalmente completato il suo viaggio attraccando al porto di Trapani ad otto
giorni esatti dalla partenza. La nave ha toccato, nell'ordine, i porti di
Catania, Palermo, Civitavecchia, Napoli ed infine, appunto, Trapani, sostando
anche in porti minori, presumibilemente in attesa di disposizioni sul destino e
sulla destinazione dei migranti presenti sulla nave.
Ma ricostruiamo la vicenda dalle sue premesse. Il 30 marzo Berlusconi pronucia
il noto discorso di fronte ai Lampedusani in cui promette lo svuotamento
dell'isola nel giro di 48/60 ore.
Solo domenica 3 aprile la nave Excelsior, di proprietà della Grandi Navi Veloci
di Grimaldi, è stata in grado d'imbarcare i primi 1.731 tunisini sbarcandone poi
500 a Catania con destinazione Mineo, 700 a Trapani ed i restanti 531 a Napoli
dove attracca mercoledì 6.
In seguito all'accordo intercorso con il governo tunisino tutti questi migranti,
arrivati prima del 5 aprile, hanno ottenuto o stanno per ottenere il permesso di
soggiorno di protezione umanitaria che gli consente di circolare liberamente ed
anche di lasciare l'Italia.
Non si hanno notizie dell'attività della nave Excelsior nei giorni successivi
allo sbarco dell'ultimo contingente di passeggeri.
Nel frattempo, anche per le migliorate condizioni del mare riprendono gli
sbarchi a Lampedusa, dove la situazione rimane critica. Tra il 6 ed il 7 aprile
avviene il tragico naufragio in cui perdono la vita 250 presone tra cui numerosi
neonati e minori. Domenica 10, al campo di Lampedusa si registrano proteste e
disordini al grido di "libertà, libertà" e "viva l'Italia, abbasso la Tunisia".
Probabilmente è a causa di questo contesto che matura la decisione di imbarcare
in fretta e furia sulla nave Excelsior di ritorno da Napoli circa 700 tunisini e
240 di altra nazionalità (gli altri immigrati sull'isola sono profughi libici e
sub-sahariani) senza aver potuto effettuare un riconoscimento anche sommario né
stabilito la destinazione per ciascuno. Inoltre la nave Excelsior non era stata
adeguatamente rifornita ed il viaggio comincia senza che fossero stati imbarcati
i vettovagliamenti necessari.
È così che la nave Excelsior lascia il porto di Lampedusa martedì 12 alle 13,30.
Il giorno successivo, all'arrivo al porto di Catania, è subito evidente che il
viaggio non è stato propriamente una crociera primaverile nel mediterraneo.
La situazione sull'Excelsior rimane critica: manca l'acqua corrente per lavarsi
ed i migranti sono costretti a rimanere chiusi nel salone durante tutta la
giornata senza nulla sapere sulla durata del viaggio e sulla propria
destinazione. La nave arriva a Palermo il 14 aprile, scaricando altri migranti.
Tutto il giorno seguente, il 15, la nave resta alla fonda in un piccolo porto
siciliano che i passeggeri non sanno identificare. Comprensibilmente cominciano
a manifestarsi tensioni a bordo: il comprtamento della polizia si fa più
violento per soffocare le tensioni sul nascere. Il giorno successivo, sabato 16,
l'imbarcazione arriva a Civitavecchia dove resterà fino alla sera della domenica
17. In questo momento sulla nave vi sono ancora circa 450 persone. La sera si
parte per Napoli arrivando per le 8 di mattina di lunedì 18. Vi sono però dei
problemi d'attracco a causa del mare forte e lo sbarco dei migranti rimasti
sulla nave avviene solo intorno alle 13, esattamente dopo sette giorni interi di
navigazione. In questo gruppo di circa 300 persone vi sono anche Mohamed e Tareq
i due tunisini con cui siamo rimasti in contatto durante tutto il viaggio. Da
Napoli, il gruppo più folto di circa 200 viene inviato alla famigerata caserma
Andolfato di S. Maria Capua Vetere dove nei giorni precedenti vi erano state
forti tensioni ed una dura repressione da parte della polizia. Un gruppo più
esiguo di circa 100 viene inviato in Basilicata, al centro di Palazzo San
Gervasio, piccolo comune al confine con la Puglia che si trova a 40 km da
Potenza. In questo gruppo si trova Mohamed, di Tareq invece abbiamo perso le
tracce e probabilmente si trova alla caserma Andolfato. Mohamed dichiara però
che lì la polizia è più gentile, forse anche per le ridotte dimensioni del campo
che al momento pare ospitare solo un centinaio di persone,i pasti vengono
distribuiti regolarmente (sempre i soliti maccaroni, si lamenta), ma mancano le
docce e si dorme in tende da sei.
Il lungo viaggio dell'Excelsior però non è ancora terminato. Dopo Napoli sulla
nave rimangono infatti 120 persone. Di 90 di queste è stata decisa l'espulsione
immediata da parte dell'ufficio stranieri di Napoli, gl'altri 30 verranno invece
distribuiti in varie strutture d'accoglienza siciliane. Da scarne cronache
locali apprendiamo che la nave ha raggiunto il porto di Trapani la mattina del
19, dopo otto giorni interi di navigazione, sbarcando praticamente al punto di
partenza gli sventurati "croceristi" dell'Excelsior.
La dinamica degli avvenimenti mostra un quadro nel quale i migranti sono stati
caricati sull'Excelsior senza che fosse chiara la destinazione di una parte
consistente di quanti vi erano stati imbarcati.
Emblematico della ridicola burocraticità di questa storia è il percorso dei
novanta destinati all'espulsione immediata poiché già in passato migranti
irregolari o con precedenti penali. Costoro hanno dovuto subire una settimana di
vagabondaggio per tre diversi mari, prima che l'ufficio stranieri di Napoli ne
decidesse l'espulsione immediata previo trasferimento a Trapani via nave per
l'esecuzione effettiva.
Lo tsunami umano forse sta altrove. L'emergenza umanitaria consisterebbe infatti
nell'arrivo di 25 mila persone e non negli 800 morti che l'UNHCR denuncia il 12
aprile: "da due settimane, da quando cioé è ripreso il flusso dalle coste
libiche - dice Laura Boldrini - 800 migranti mancano all'appello: oltre ai 250
morti nel naufragio del 6 aprile, non si hanno notizie di 560 persone partite su
tre barconi e mai arrivati a destinazione. Uno su cinque di quelli che sono
partiti, non ce l'ha fatta ad arrivare".
Luigi Recupero
Gerta Human Reports
Consulta a misura di Silvio
Il presidente uscente della Consulta Ugo De
Siervo Silvio
è il re. Le istituzioni si modellino sui suoi problemi. Non deroghino. Si
adeguino. I pm? Sì, anche i pm. I giudici? Sì, anche i giudici. Il Csm? Sì,
anche il Csm. La Consulta? Sì, anche quella. Festa del 25 aprile. Ecco il
Guardasigilli Alfano pronto a dire: “La Corte si è segnalata per un
interventismo di potatura robusto. Noi avevamo offerto una tregua e loro l’hanno
respinta”. Parla del lodo Alfano e del legittimo impedimento il ministro della
Giustizia. Entrambi cancellati o azzoppati dalla Corte. Rea, a questo punto, di
lesa maestà.
Singolare concezione delle istituzioni e degli equilibri costituzionali quella
dei berlusconiani. Basata su quali sono i bisogni, le emergenze, i problemi, le
disgrazie del premier. Se, per avventura, “Egli” commette un reato i pm devono
far finta di non vedere, i giudici devono assolverlo, la Consulta non deve
modificare le leggi che “Egli” ha varato per cancellare i suoi reati. Questa sì
che è un’armonia costituzionale. Tutto il resto è colpa, deroga, golpe, voglia
di brigatismo, sovversione, insurrezione, guerra.
Bisogna partire da qui per capire le ragioni del prossimo attacco alla Consulta.
Lì, il 29 aprile, scade il presidente Ugo De Siervo. Uno che non ha perso
occasione per difendere il suo palazzo. Presidenza breve la sua, ma di
prestigio. Il Parlamento deve eleggere il suo sostituto. E già sono cominciati i
giochi. Spetterebbe al centrosinistra quel posto, ma il Pdl lo vuole per sé, e
porterà l’elezione per le lunghe, in attesa che si abbassi il quorum.
Una Consulta con un posto in meno – 14 anziché 15 alti giudici – fa pure comodo
quando ci sono da decidere due questioni scottanti, due conflitti di
attribuzioni, tutti e due per il premier, sul Rubygate e su Mediaset. La Corte
dovrà valutarne l’ammissibilità, e poi, se essi saranno ammissibili, dovrà
giudicare nel merito. Una Consulta con un rappresentante del centrosinistra di
meno non può che fare comodo.
Astrit Dakli
Quando
la primavera esplose a Cernobyl
Quando il quarto reattore della centrale di Cernobyl esplose, all'una e ventitré
della notte fra il 25 e il 26 aprile 1986, non furono pochi gli abitanti della
vicina città di Prypjat che se ne accorsero. Udirono il boato - la centrale era
giusto a tre chilometri dall'abitato, in fondo a un lungo viale - e poi videro
le fiamme dell'incendio: ma nessuno capì la reale portata di quel che stava
accadendo. Qualcuno pensò a dei fuochi artificiali. Altri, i più, pensarono
preoccupati ai propri cari che erano di turno al lavoro nella centrale o che
facevano parte delle squadre di vigili del fuoco subito chiamate a cercar di
spegnere un incendio («provocato da un corto circuito», venne detto) che non si
spegneva: passavano le ore e il bagliore era sempre lì, diventando meno visibile
solo col sorgere del sole, quando visibile diventò invece il fumo che saliva
dall'impianto disastrato. Nessun allarme era stato ancora dato alla popolazione.
Per i quasi cinquantamila abitanti di Prypjat quel 26 mattina - era un sabato -
si svolse quasi normalmente. Chi era di turno andò al lavoro regolarmente in
centrale, così come nei negozi e negli uffici della città, e le mamme portarono
a spasso i bambini che erano molti a Prypjat, una città giovane, fondata solo
sedici anni prima per alloggiare i lavoratori della centrale nucleare in
costruzione. Non fosse stato per quel fumo che continuava e per l'insolito
rumore di elicotteri e di veicoli che veniva da laggiù, in fondo al vialone,
sarebbe stato un piacevole, tiepido sabato primaverile, preludio a una domenica
in cui tentare le prime scampagnate dell'anno.
L'inferno all'interno
Ma laggiù in fondo a quel vialone, di normale e piacevole non c'era proprio
niente. C'era l'inferno. Anche se al di fuori nessuno sapeva qualcosa di
preciso, dentro il perimetro della centrale già oltre mille uomini stavano
freneticamente lavorando in condizioni disperate per tamponare il disastro: gli
stessi operai di turno, i pompieri, squadre di militari fatte affluire
immediatamente (la centrale di Cernobyl era zona militare). I dirigenti del
Partito comunista regionali avevano immediatamente compreso che si trattava di
una catastrofe gravissima, almeno dal punto di vista dei danni materiali, anche
se probabilmente non afferrarono subito le implicazioni devastanti sull'ambiente
umano, e avevano ordinato una sorta di mobilitazione generale. A nessuno dei
mobilitati, però, venne spiegato a cosa stava andando incontro.
Gli elicotteri da trasporto facevano la spola per gettare sul reattore ormai
scoperto e ardente, tonnellate di materiale inerte - sabbia silicea, boro,
pietrisco - nel tentativo di soffocare l'incendio e smorzare le radiazioni. Il
fotografo Igor Kostin riuscì a imbarcarsi su uno di quegli elicotteri e a
fotografare dall'alto il nocciolo ardente del reattore numero quattro ma solo un
fotogramma, dei numerosi rullini scattati da Kostin, risultò non bruciato dalle
radiazioni al momento dello sviluppo. L'unica foto al mondo di un reattore
nucleare in fase di fusione.
Uno degli elicotteri durante le operazioni urtò una struttura metallica e
precipitò al suolo, tutti i membri dell'equipaggio morirono. Alcune squadre di
pompieri, con protezioni approssimative o addirittura senza alcuna protezione,
erano stati mandati su quel che restava del tetto dell'edificio per spegnere le
fiamme causate dai frammenti delle barre di grafite che servivano a controllare
la reazione a catena arrivati fin lì con l'esplosione del reattore. Gli
strumenti indicavano livelli di radioattività migliaia, no, milioni, fino a un
miliardo di volte più alti della norma, ma in maggioranza andarono semplicemente
fuori scala: si pensò che fossero rotti e si continuò a lavorare su quel tetto e
nello spazio intorno al reattore, avvolti da vapori e gas radioattivi per tutto
il giorno, a mani nude e con semplici mascherine di tela, per ributtare nella
fornace il materiale radioattivo sparso in giro dall'esplosione. Quando la
tecnologia crolla, si arriva sempre alle pale e ai secchielli, all'acqua e alla
sabbia, come abbiamo visto purtroppo a Fukushima, nel cuore della tecnologia più
evoluta del pianeta.
Molti di coloro che vennero impiegati in questo spaventoso lavoro - una
cinquantina - dovettero essere ricoverati con gravissime ustioni prima di sera.
Sarebbero morti nelle ore e nei giorni immediatamente successivi.
La sera di sabato 26 a Prypjat arrivò una commissione speciale, che trovò i due
piccoli ospedali cittadini già pieni di operai, militari e pompieri (oltre
duecento) ricoverati con sintomi gravissimi. Nella notte fu decisa e organizzata
l'evacuazione di tutti gli abitanti. La mattina del 27, domenica, in città
arrivarono centinaia di autobus: gli abitanti furono imbarcati senza che venisse
spiegato loro cosa stava succedendo veramente, li esortavano ad andare via
dicendo solo che per il momento era pericoloso restare lì, che prendessero con
sé il minimo indispensabile, tanto sarebbero tornati nel giro di due o tre
giorni. Trentasei ore dopo la catastrofe, si procedette all'evacuazione,
compiuta in poche ore. Tutti furono portati a Kiev, che dista solo un centinaio
di chilometri da Prypjat, e poi smistati in varie località dell'Ucraina e dell'Urss.
Gli autobus furono riportati vicino alla centrale, ammucchiati in un deposito e
abbandonati, perché troppo radioattivi. Sono lì ancora oggi: il deposito è uno
dei punti, in tutta l'area di Cernobyl, dove la radioattività è più alta.
Nel paese e nel resto del mondo
Nel paese e nel resto del mondo, intanto, non si sapeva ancora praticamente
nulla di quanto era accaduto. Solo il 28 sera il governo svedese, notando un
allarmante aumento della radioattività nell'aria che i venti portavano da
sud-est, chiese informazioni a Mosca e rese pubblico il fatto che era avvenuto
un disastro nucleare. La prima notizia, un piccolo trafiletto in cronaca,
apparve sui giornali sovietici soltanto il 29, martedì, quando ormai da due
giorni la regione intorno alla centrale era stata evacuata.
Nei giorni successivi l'opera di spegnimento, tamponatura e infine chiusura
dentro un sarcofago di cemento del reattore esploso assunse proporzioni
faraoniche. Non ci sono cifre ufficiali sul numero degli uomini mobilitati
(quasi tutti militari di leva, in gran parte volontari) per liquidare le
conseguenze della catastrofe: secondo le ricostruzioni più serie si trattò di
almeno seicentomila uomini che senza protezioni adeguate, nella maggior parte
dei casi avevano solo guanti e mascherina, e senza essere informati dei rischi
che avrebbero corso non solo lì sul campo ma nei mesi e negli anni a venire,
vennero lanciati a rimuovere macerie e a costruire muri facendo turni di pochi
minuti - in certe situazioni, come sul tetto, addirittura di meno di un minuto -
per limitare l'esposizione alle radiazioni. Di loro, dei «liquidatori», non
venne tenuto un registro e non si tentò neppure di monitorarne in seguito le
condizioni di salute. Solo più tardi una parte di essi, di cui era rimasta
traccia, venne decorata e premiata con alcuni benefit che ora il governo ucraino
sta piano piano abolendo. Oggi non abbiamo un'idea precisa di quanti si siano
ammalati e quanti siano morti una volta rientrati alle proprie case, sparse per
tutta l'immensa Urss, senza neppur sapere chi ringraziare per la propria
disgrazia.
Le reali dimensioni del disastro
Tra la fine di aprile e i primi di maggio, mentre il reattore numero quattro
continuava a bruciare sotto la montagna di materiale inerte che gli veniva
gettata sopra, si procedette all'evacuazione di una più vasta area intorno alla
centrale: furono portate via dalle proprie case, nei villaggi e nelle cittadine,
oltre trecentomila persone complessivamente, ma ciononostante si calcola che
almeno un milione abbia comunque ricevuto un'alta dose di radiazioni. Molti dei
profughi evacuati, così come molti degli «irradiati» rimasti nelle proprie case
senza neanche rendersi conto di quel che stava capitando, si sono in seguito
dispersi per tutta l'Urss: la mobilità, spontanea o in vario modo forzata, è
sempre stata altissima in Unione Sovietica, e negli anni drammatici del
disfacimento politico che seguì di poco la catastrofe di Cernobyl (fra il 1989 e
il 1995) avrebbe raggiunto punte straordinarie. Ciò ha reso ancor più difficile
conoscere, con il passar degli anni, le reali conseguenze subite dalla
popolazione per colpa del disastro. Conseguenze che, pur con numeri non molto
grandi, si fanno sentire anche a distanza di molto tempo e addirittura di
generazioni. Ma col tempo, anche la consapevolezza delle persone si attenua e
così, quando all'ospedale oncologico pediatrico di Kiev si presenta oggi una
giovane coppia il cui bambino nato da poco presenta malformazioni o tumori, i
genitori si stupiscono sentendosi chiedere dov'erano - o, se non erano ancora
nati, dov'erano i loro genitori - in quella remota primavera del 1986.
13 aprile
Saras, ancora morte alla raffineria.
Operaio ucciso dal gas, è sciopero
Investito da un getto di idrogeno solforato,
Paolo Pulvirenti, 25enne, spira dopo una notte di agonia. Migliora Gabriele
Serrano, 23 anni, anch'egli intossicato, frattura a una gamba per Luigi Catania,
42 anni. Dipendenti siciliani di una ditta esterna, stavano effettuando una
manutenzione straordinaria. Il pm Secci dispone il sequestro dell'impianto
CAGLIARI - Alla raffineria Saras di Sarroch la
tragedia si ripete. Nel 2009 tre operai vi morirono intossicati 1, anche questa
volta le persone coinvolte sono tre, dipendenti della società siciliana
Starservice che ieri sera stavano effettuando la manutenzione di un serbatoio.
Per Pierpaolo Pulvirenti, 25 anni, non c'è stato nulla da fare: è morto poco
prima dell'alba all'ospedale cagliaritano Santissima Trinità dopo essere stato
investito da un getto di idrogeno solforato. Le sue condizioni erano apparse
subito disperate. La famiglia Moratti, proprietaria della Saras, ha messo
l'aereo privato a disposizione dei parenti di Pulvirenti, che da Catania
raggiungeranno Cagliari nel pomeriggio.
Migliorano invece le condizioni di Gabriele Serrano, 23 anni, siciliano di
Augusta, ricoverato all'ospedale Brotzu di Cagliari in prognosi riservata, come
Pulvirenti intossicato dal gas ma vigile e non intubato. Non desta
preoccupazioni Luigi Catania, 42enne di Siracusa, che si è fratturato una gamba
cadendo da una scala nella concitazione successiva alla fuoriuscita
dell'idrogeno solforato, ricoverato nell'ospedale Marino del capoluogo sardo.
Secondo una prima ricostruzione, i tre operai dell'impresa d'appalto esterna
stavano eseguendo la manutenzione straordinaria in un impianto in fermata,
chiamato Dea3, per il lavaggio dell'ossido di zolfo. Quando hanno aperto il
cunicolo che consente di raggiungere la torre, in due sono stati colpiti dal
gas. Il terzo, accortosi di quanto era accaduto, ha cercato di raggiungerli ma è
precipitato dalla scala. Tutti e tre sono stati dapprima soccorsi dal personale
della raffineria e poi trasportati nei diversi ospedali.
Il sostituto procuratore di Cagliari Alessandro Pili ha aperto un fascicolo
contro ignoti per omicidio colposo, poi assegnato a Emanuele Secci, il pm che
condusse anche le indagini sull'incidente del 26 maggio 2009 alla Saras, costato
la vita a Bruno Muntoni, Daniele Melis e Pierluigi Solinas, i tre operai di
Villa San Pietro addetti alla pulizia di una cisterna uccisi dalle esalazioni.
Su quella vicenda è appena iniziato il processo al Tribunale di Cagliari,
sentenza attesa per il 16 maggio prossimo.
Secci ha disposto il sequestro del settore dell'impianto della Saras sul quale
Pulvirenti stava lavorando. Il pm in mattinata ha anche convocato il medico
legale, Roberto Demontis, a cui nelle prossime ore sarà affidata l'autopsia sul
corpo dell'operaio siciliano. Il magistrato è in contatto con i carabinieri
della Compagnia di Cagliari, che durante la notte hanno sentito due colleghi di
Pulvirenti, rimasti per tutto il tempo davanti alla sala di rianimazione a
vegliare il loro amico e compagno di lavoro. Uno dei due ha pregato
incessantemente sino all'alba. Nella struttura sono in corso i rilievi tecnici e
le ispezioni da parte degli esperti dei Vigili del Fuoco e delle forze
dell'ordine. Anche la Saras ha avviato accertamenti per capire la dinamica e le
cause dell'incidente.
Dopo la nuova sciagura, i sindacati di categoria hanno proclamato otto ore di
sciopero alla raffineria della Saras a Sarroch, contro i criteri di sicurezza e
l'inquinamento ambientale. Questa mattina, quando la notizia della morte di
Pulvirenti si è diffusa, gli operai del primo turno hanno dato il via alla
protesta alle 7,30, astenendosi dal lavoro. Dopo le 17 sarà garantita solo la
manutenzione straordinaria. Gli ingressi all'impianto petrolchimico sono rimasti
sbarrati anche per maestranze e dirigenti.
Per iI segretario regionale della Cisl Sardegna Mario Medde, "è evidente che,
nonostante gli investimenti fatti dalla Saras sulla sicurezza, è necessario un
sempre maggiore e costante impegno organizzativo e finanziario per evitare nuovi
morti e nuovi feriti".
Il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, rileva come, rispetto
all'incidente del 2009, la dinamica sembra ripetersi, mettendo "in evidenza i
gravi ritardi sul versante delle azioni da compiere per la prevenzione e il
controllo degli appalti nei siti confinati". Per questo Scudiere chiede al
ministro Sacconi "l'emanazione immediata del decreto legge sui siti confinati,
le cui linee sono già state condivise e concordate nella Commissione consultiva
su salute e sicurezza". Decreto sollecitato anche da Fulvio Giacomassi,
segretario confederale della Cisl.
Chiamato in causa dai sindacati sulla sicurezza negli 'ambienti confinati',
Sacconi conferma "l'assoluta utilità delle disposizioni che il Governo ha
proposto alla Commissione consultiva delle parti sociali e che ora ha trasmesso
alla Conferenza Stato-Regioni" afferma in una nota il ministro del Lavoro e
delle Politiche Sociali. "Utilizzando una norma del Testo unico in materia di
salute e sicurezza sulle qualificazioni di alcune attività - spiega Sacconi -,
il Governo ha prediposto un testo specificamente dedicato agli 'ambienti
confinati' per garantire, oltre a una specifica qualificazione degli
appaltatori, una più adeguata informazione ai loro lavoratori e la vigilanza
continua dell'appaltante in modo da prevenire ogni infortunio grazie alla
compiuta conoscenza del contesto nel quale si effettuano le opere di pulizia e
di manutenzione. Gli ispettori del Ministero sono stati comunque attivati per
offrire la loro collaborazione, ferma restando la responsabilità della vigilanza
in capo al Servizio sanitario regionale".
Il cordoglio del presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci: "Il
sacrificio di chi perde la vita sul posto di lavoro è una tragedia che suscita
profonda commozione e scuote la coscienza di ciascuno di noi. In queste ore
vorrei esprimere la mia solidale partecipazione al dolore della famiglia di
Pierpaolo Pulvirenti. Vorrei manifestare anche la mia sentita vicinanza agli
altri operai rimasti feriti nel tragico incidente e ai loro cari".
4 aprile
Alessandro Robecchi
La
sfida dei migranti all'ispettore Clouseau
Chiedo
scusa ai critici cinematografici de Il manifesto, ma sono costretto a rubargli
il lavoro.
Recensione: I tunisini sfidano l'ispettore Clouseau (Italia, 2011, con Roberto
Maroni, Silvio Berlusconi e qualche migliaio di comparse).
L'ispettore Clouseau (Roberto Maroni) strilla da mesi che il paese sarà invaso
da pericolosissimi immigrati clandestini, ma quando gli immigrati previsti
arrivano, l'ispettore Clouseau viene colto di sorpresa: «Siete già qui? Tropo
velosci!». Con una mossa di rara astuzia li lascia senza cibo, seduti su un molo
a Lampedusa. Poi arriva il suo principale (Silvio Berlusconi) e dice che lì deve
fare un campo da golf e un casinò, quindi bisogna spostare i clandestini.
L'ispettore Clouseau appronta in fretta e furia una tendopoli dove deporta
migliaia di clandestini. Quelli, con mossa astuta, scavalcano la rete metallica
e se ne vanno. «Maledisione! Non sci avevo pensato!». Allora l'ispettore
Clouseau appronta altre tendopoli in tutta Italia, manda i pompieri su è giù
come pendolari, ma sindaci e governatori gli fanno chi marameo, chi il gesto
dell'ombrello, altri ridono. Infuriato, l'ispettore Clouseau parla di
respingimenti. Stavolta ridono i giovani tunisini. Allora, mossa a sorpresa,
Clouseau va in Tunisia con Berlusconi e un po' di soldi per chiedere alla
Tunisia di riprendersi i tunisini. Interessa un campo da golf? Interessa un
casinò? E se mi compro una villa a Tunisi? Ridono anche in Tunisia. Si chiude in
un tramonto mediterraneo, con Clouseau e il suo capo che chiedono un passaggio a
un barcone per tornare in Italia.
Il film appare sconclusionato, senza regia e piuttosto improvvisato. Unica nota
positiva, lo straordinario talento comico del protagonista (azzeccati gli
occhialini rossi), mentre la sua spalla, Silvio Berlusconi, sembra imbolsita e
stanca. Ottime, invece, le comparse tunisine: molte di loro non hanno avuto
nemmeno il cestino per il pranzo, hanno capito che il cinema italiano è in crisi
e vogliono andare in Francia.
1 aprile
Prelievi, bonifici, sms in Italia le banche più care
Per la commissione Ue il costo annuale è di 292 euro ma l'Abi controbatte: in
realtà non superiamo i 150. Più cari l'uso delle carte e le operazioni allo
sportello, autentiche stangate su scoperti e servizi finanziari. Fino a 6 euro
per un bonifico e 3 per saldare una bolletta. Si pagano anche estratti conto,
assegni, fidi e persino gli sms. Rispetto all'Europa 4,2 miliardi di spese extra
di ANDREA GRECO
Il
primato che nessuno ci insidia è di avere le banche più costose d'Europa.
L'Antitrust ha avviato l'ennesima indagine conoscitiva sui costi dei conti
correnti, ma è anche il segnale della capacità del mondo bancario di evitare
ogni tentativo di ridurre le commissioni. Il Garante è piuttosto esplicito
nell'indicare le caratteristiche del problema.
"Nonostante un assetto del sistema bancario profondamente modificato che avrebbe
dovuto innescare una forte spinta concorrenziale - spiega il Garante - il
livello dei prezzi dei servizi e le criticità in termini di trasparenza
continuano a segnalare un confronto competitivo ancora debole". Ne fanno le
spese (davvero) gli italiani, che nella fatica di districarsi tra migliaia di
prodotti - ogni banca ne offre una decina per ognuno dei sei profili standard
stilati dalla vigilanza - spesso rinunciano al ruolo di consumatori attenti e
contribuiscono a meritarsi i conti correnti tra i più cari d'Europa, con un
"sovrapprezzo italiano" stimato in 4,2 miliardi di euro annui. Come stanno le
cose? È vero che gli istituti italiani si fanno pagare troppo il loro più
diffuso servizio? Su quali si vanno diffondendo balzelli odiosi che scatenano la
furia dei risparmiatori e le critiche di Antitrust e Mr. Prezzi? Perché agli
italiani continuano a piacere le file allo sportello, simbolo di quell'approccio
"fisico" alla transazione che ha costi ormai esorbitanti? Quali sono le malizie
e le voci più insidiose da cui il correntista si dovrebbe guardare?
I più cari in Europa. Intanto bisogna dire dove si sta. E non è facile. Il conto
corrente non è un formaggio, peso netto, costo al chilo. È tante altre cose: la
porta d'accesso al mondo dei servizi bancari, uno strumento di transazione
indispensabile ma anche il totem della relazione uomo-banca. I suoi costi
variano moltissimo secondo la quantità delle operazioni e lo strumento -
agenzia, telefono, internet - utilizzato. Bankitalia, per rendere più
trasparente l'offerta, ha introdotto un anno fa l'Isc (indicatore sintetico di
costo) che obbliga a fornire il costo annuo per un uso standard, e profila i
clienti in sei "griglie di adeguatezza": giovani, famiglie con operatività
bassa/media/alta, pensionati con operatività bassa/media. Le banche non possono
più vendere prodotti inadatti al singolo profilo, come accadde talvolta in
passato, quando la rendita di posizione garantita dal potere sovrano sui
contratti permise sfracelli a danno dei correntisti. Per far capire il trend,
l'Associazione bancaria italiana segnala dal 2004 a oggi un calo del 30% per il
costo della singola operazione media: da 1,02 euro a 0,7 euro. Merito anche
dell'introduzione dell'online banking che minimizza i costi, ma riguarda in modo
sistematico appena 5,5 milioni di utenti (dato Nielsen). A fine 2010 il costo
medio per la media dei profili, conteggiato dall'Abi, è di 114 euro l'anno, cui
però vanno aggiunti i 34,2 euro di bolli. Il costo medio sale a 129 euro (163,2
con i bolli) per chi si appoggia di più alle filiali, mentre chi preferisce il
web spende 97 euro (131,5). La Banca d'Italia, con rilevazioni proprie, giunge
agli stessi 114 euro dell'Abi. Di altro tenore la reportistica della Commissione
europea, che sei mesi fa ha commissionato uno studio, pubblicato da Der Spiegel,
in cui l'Italia ha il primato dei costi: 295,66 euro medi annui, contro 114 euro
della media dell'Europa a 27. Quei dati sono stati contestati dall'Abi: "La
Commissione - spiega Gianfranco Torriero, capo del centro studi - richiama
un'indagine non corretta, perché usa solo i prezzi massimi di listino, include
le tasse, non contempla i conti "a pacchetto". E include i costi associati allo
scoperto di conto come forma di finanziamento alle famiglie, poco usata
all'estero dove invece c'è ampio ricorso al credito al consumo". Dal canto suo,
il commissario europeo ai servizi finanziari Michel Barnier critica la prassi
Abi di comprendere, nella formazione del costo medio, solo alcune operazioni dei
sei profili standard di vigilanza, e non tutte le operazioni possibili come
fanno a Bruxelles.
Sono anni che su simili numeri Bruxelles e Roma litigano. Chi dei due ha
ragione? Molto dipende da come e quanto si usa il conto. Secondo l'Adusbef
perfino le stime di Barnier sono per difetto. "Sfido chiunque a entrare in uno
dei 34mila sportelli italiani e vedere quante operazioni può compiere con 114
euro - dice Elio Lannutti, leader di Adusbef e senatore dell'Idv - . Le banche
danno per scontato che i consumatori abbiano conti a pacchetto, mentre da
listino prezzi bastano 11 operazioni al mese per spendere 500 euro l'anno". Del
pari, tra convenzioni, sconti e offerte civetta si può spendere anche poco. O
nulla, come attesta l'Isc del Conto corrente arancio Ing, che a chi accredita
uno stipendio rimborsa i bolli e passa le carte Visa e Bancomat. Ponderando dati
ufficiali, ricerche private, consumatori, non pare irrealistico un costo annuo
medio sui 200 euro. Con l'aggiunta di 34,2 euro di bolli si arriva 234 euro,
quindi 120 euro più dei 114 euro di costo medio Ue. Moltiplicato per 35milioni
di c/c italiani fa 4,2 miliardi di euro, corrispondenti al sovrapprezzo
italiano, di cui 1,2 miliardi all'erario, il resto (3 miliardi) è costo paese
bancario.
Bancomat, scoperto e altri pericoli. Ma quali sono i principali costi di un
rapporto di corrispondenza? Quali le malizie e i caveat cui prestare attenzione?
Due mesi fa 20 milioni di famiglie hanno ricevuto gli estratti conto 2010. L'Isc
permette di verificare se si spende il giusto: basta comparare il "Riepilogo
annuale spese" dell'estratto con la scheda sintetica dei 40 costi tipo che gli
istituti inviano periodicamente. Se c'è troppo divario, è meglio reclamare.
Oltre ai bolli e alle spese di tenuta (è sempre più diffuso il canone fisso, ma
è molto variabile), le grandi spese riguardano Bancomat (10-15 euro l'anno in
media), carte di credito (una trentina di euro), poi l'eventuale dossier titoli
(fino a un centinaio di euro). Poi le spese per operazioni: pagamenti,
domiciliazioni, prelievi, rate di mutui o altri fidi. E qui il costo sale verso
le stelle se si fa ricorso allo sportello, molto più costoso dei canali remoti,
per la banca e per il cliente. L'Abi stima in 6,23 euro il costo di un bonifico
per cassa verso una banca diversa dalla propria, mentre la cifra si dimezza se
l'addebito è in conto corrente, e cala a 0,87 euro sui bonifici via internet.
Stessa dinamica per pagare le utenze domestiche: 3,16 euro al cassiere, 2,17
euro con addebito, 0,77 euro via internet e 0,09 euro con domiciliazione. Il
contante incide anche se prelevato a sportelli della concorrenza, con una
commissione media di 1,62 euro. In realtà, escludendo le banche online - che per
questo rendono gratuiti i prelievi su tutto il circuito - ci si avvicina a 2
euro, a fronte di un costo all'ingrosso di 0,56 euro che le banche si pagano a
vicenda (da poco ridotto su richiesta Antitrust, ma finora senza benefici per i
clienti). Infine, occhio alla "fu" commissione di massimo scoperto, tra le più
invise, e soppressa ope legis dal Tesoro a metà 2009. Salvo che le banche
l'hanno riesumata con spoglie e nomi diversi, tanto da meritarsi un'indagine
Antitrust e la reprimenda di Bankitalia. Tre mesi fa la vigilanza ha chiesto al
Senato di migliorare la normativa, perché "consente di mantenere commissioni
opache, complesse e molto diversificate". Poco prima il garante della
concorrenza aveva segnalato al governo che le nuove commissioni erano
peggiorative per i clienti senza fido in cinque casi su sette analizzati, e
sempre per quelli affidati. L'Abi rispose ricordando che, in pochi mesi, la
nuova legge aveva decurtato del 41% le commissioni sui fidi, di un terzo sugli
scoperti.
Sul sito www. pattichiari. it, curato dai banchieri, si possono confrontare
singoli pregi e difetti. Basta inserire un indirizzo, un profilo di c/c
predefinito (in questo caso, "famiglie con operatività media") e scegliere i
canali preferiti ("sportello e virtuali"). Si paragonano fino a 5 prodotti per
volta, e si possono scovare alcune "perle" che il buon correntista dovrebbe
evitare, o almeno rinegoziare. Il "Conto molto" di Antonveneta (gruppo Mps), per
esempio, la carta intestata se la fa pagare: 4 euro per l'estratto conto, e 12
euro per l'invio della posizione titoli. Al conto "Armonia Light" del Credito
Artigiano invece il web non piace: 3,5 euro per un bonifico online su altra
banca, un livello simile a quello degli istituti per i bonifici in addebito (che
all'Artigiano costa 6,5 euro), o addirittura cash. La "Formula friend" della
Popolare di Novara (gruppo Banco popolare) trattiene 3 euro per pagare utenze
via telefono, e 2,75 euro per pagare la rata del mutuo, sia per cassa sia con
addebito. La "Formula amico", poi, prevede una carta revolving con tasso a
debito globale (Taeg) sugli utilizzi a rate del 22,07% l'anno. Occhio poi
all'avviso via sms sul cellulare, comodo ma che a Novara non è gratis: 2 euro al
mese. Il correntista di Banca Carige, "Stile evoluto", è meglio non perda la
tessera Bancomat, o bloccarla gli costerà 12,91 euro (almeno c'è il numero
verde). Il conto "Un due tre" della Bpm strapazza chi paga le utenze per cassa
(5,80 euro), e chiede un euro perfino a chi le paga al Bancomat. Costa un euro
anche chiedere al cassiere la lista movimenti, mentre ricevere a casa le
comunicazioni di trasparenza (obbligatorie) fa 1,35 euro. Dove i solipsismi
bancari diventano un coro è sugli scoperti dei conti, siano affidati o no.
Intesa Sanpaolo - conto "Facile" - tassa un 18,11% annuo il rosso senza fido,
più una commissione di 2 euro al giorno, gli stessi che chiede Unicredit "Genius
one" a chi sconfina il fido. Carige commina, oltre alla commissione di 5 euro
per i senza fido, una "penalità" - concetto oscuro ma ricorrente - fino a 3,5
euro al dì per somme oltre 500 euro. E la straniera Deutsche Bank (conto "All
inclusive") applica un forfait di 35 euro sopra i 500 di scoperto. Ma
commissioni e penali, per chi va in rosso, restano la prassi.
Il rischio di nuovi aumenti. Dopo due anni di costo del denaro ai minimi storici
la redditività bancaria è ridotta al lume. La caduta all'1% del tasso dell'euro
ha ridotto gli interessi dovuti al cliente a uno zero virgola zero, e tagliato
ancor più quelli a favore delle banche. Dal '98 la cosiddetta forbice dei tassi
è scesa dal 5,8% al 3,1%, quasi azzerando l'utile che gli istituti traggono dai
clienti minuti. E ora molte banche italiane sono costrette a ristrutturare le
attività commerciali. C'è rischio che ne derivino aumenti dei costi di conto
corrente? Qualche rincaro qua e là si vede. Soprattutto è in corso un
riprezzamento dell'offerta: per Patti Chiari (Abi), nel secondo semestre 2010
sono aumentati i conti online per giovani (+11%) e famiglie ad alta operatività
(+3%), mentre è sceso del 5% il costo per pensionati poco operativi. Ambienti
sindacali segnalano, poi, nuove strategie commerciali intonate ai tempi grami.
Da inizio anno Unicredit fa pagare un costo fisso di 10 euro per cambiare il
pacchetto di conto, e ha introdotto nuove voci per i più economici, tipo 1 euro
di costo al mese per ogni cointestatario, od assegno. La rivale Intesa Sanpaolo
ha invece soppresso a fine 2010 conto Zerotondo (perché non guadagnava più
nulla, si dice), e ne sta lanciando uno modulare con canone che cala se si
sottoscrivono altri prodotti. Un modo per rafforzare i ricavi incrociati e
fidelizzare i clienti. Un altro andazzo indicativo è la commissione sul prelievo
dei propri contanti allo sportello, che si diffonde malgrado suoni grottesca e
susciti polemiche e interventi del Garante.
A livello ufficiale, con l'inflazione all'1,9%, l'Istat ha registrato nel 2010
un calo annuo dello 0,5% dei "servizi finanziari". E l'Abi ha stimato, tra
giugno e dicembre, un calo dell'1,7% dei costi medi annui del conto. Ma i
consumatori del Codacons ritengono che l'anno scorso il costo dei conti sia
salito di 28 euro, oltre il 10%. E nel 2011? "Non prevediamo aumenti dei prezzi
- dice Giuseppe Mussari, presidente dell'Abi - piuttosto il rilancio delle
attività retail passa per lo sviluppo dei canali remoti e della qualità del
servizio". Il leader del Monte dei Paschi e dei banchieri si difende: "Al costo
annuo di due cene in pizzeria con la famiglia, o due pieni di benzina, si può
ogni giorno disporre dei propri denari custoditi al sicuro, fare pagamenti,
essere garantiti sotto i 100mila euro se la banca fallisce. Non mi pare
esorbitante. Piuttosto, vanno ricordati i costi industriali che comporta questo
strumento. Altrimenti finisce che le banche devono guadagnare con la finanza
spinta". L'Abi ricorda con toni caustici "alcuni modelli stranieri" come Olanda,
Belgio e Gran Bretagna, senza rivali per costi dei conti ma che rivelatisi
deboli nella crisi, perché "la raccolta veniva premiata con costi bassi e poi
dirottata a gonfiare attivi finanziari rischiosi - aggiunge Mussari-. L'Italia
invece raccoglie sui depositi o all'ingrosso e impiega su famiglie e imprese. È
un modello che ha retto e va rivendicato".