28 aprile

 

L'odissea della nave Excelsior, Cie galleggiante

Una storia che continua, dal 12 aprile

La nave Excelsior, partita martedì 12 aprile da Lampedusa, martedì 19 ha finalmente completato il suo viaggio attraccando al porto di Trapani ad otto giorni esatti dalla partenza. La nave ha toccato, nell'ordine, i porti di Catania, Palermo, Civitavecchia, Napoli ed infine, appunto, Trapani, sostando anche in porti minori, presumibilemente in attesa di disposizioni sul destino e sulla destinazione dei migranti presenti sulla nave.

Ma ricostruiamo la vicenda dalle sue premesse. Il 30 marzo Berlusconi pronucia il noto discorso di fronte ai Lampedusani in cui promette lo svuotamento dell'isola nel giro di 48/60 ore.

Solo domenica 3 aprile la nave Excelsior, di proprietà della Grandi Navi Veloci di Grimaldi, è stata in grado d'imbarcare i primi 1.731 tunisini sbarcandone poi 500 a Catania con destinazione Mineo, 700 a Trapani ed i restanti 531 a Napoli dove attracca mercoledì 6.

In seguito all'accordo intercorso con il governo tunisino tutti questi migranti, arrivati prima del 5 aprile, hanno ottenuto o stanno per ottenere il permesso di soggiorno di protezione umanitaria che gli consente di circolare liberamente ed anche di lasciare l'Italia.

Non si hanno notizie dell'attività della nave Excelsior nei giorni successivi allo sbarco dell'ultimo contingente di passeggeri.

Nel frattempo, anche per le migliorate condizioni del mare riprendono gli sbarchi a Lampedusa, dove la situazione rimane critica. Tra il 6 ed il 7 aprile avviene il tragico naufragio in cui perdono la vita 250 presone tra cui numerosi neonati e minori. Domenica 10, al campo di Lampedusa si registrano proteste e disordini al grido di "libertà, libertà" e "viva l'Italia, abbasso la Tunisia".

Probabilmente è a causa di questo contesto che matura la decisione di imbarcare in fretta e furia sulla nave Excelsior di ritorno da Napoli circa 700 tunisini e 240 di altra nazionalità (gli altri immigrati sull'isola sono profughi libici e sub-sahariani) senza aver potuto effettuare un riconoscimento anche sommario né stabilito la destinazione per ciascuno. Inoltre la nave Excelsior non era stata adeguatamente rifornita ed il viaggio comincia senza che fossero stati imbarcati i vettovagliamenti necessari.

È così che la nave Excelsior lascia il porto di Lampedusa martedì 12 alle 13,30. Il giorno successivo, all'arrivo al porto di Catania, è subito evidente che il viaggio non è stato propriamente una crociera primaverile nel mediterraneo.

La situazione sull'Excelsior rimane critica: manca l'acqua corrente per lavarsi ed i migranti sono costretti a rimanere chiusi nel salone durante tutta la giornata senza nulla sapere sulla durata del viaggio e sulla propria destinazione. La nave arriva a Palermo il 14 aprile, scaricando altri migranti. Tutto il giorno seguente, il 15, la nave resta alla fonda in un piccolo porto siciliano che i passeggeri non sanno identificare. Comprensibilmente cominciano a manifestarsi tensioni a bordo: il comprtamento della polizia si fa più violento per soffocare le tensioni sul nascere. Il giorno successivo, sabato 16, l'imbarcazione arriva a Civitavecchia dove resterà fino alla sera della domenica 17. In questo momento sulla nave vi sono ancora circa 450 persone. La sera si parte per Napoli arrivando per le 8 di mattina di lunedì 18. Vi sono però dei problemi d'attracco a causa del mare forte e lo sbarco dei migranti rimasti sulla nave avviene solo intorno alle 13, esattamente dopo sette giorni interi di navigazione. In questo gruppo di circa 300 persone vi sono anche Mohamed e Tareq i due tunisini con cui siamo rimasti in contatto durante tutto il viaggio. Da Napoli, il gruppo più folto di circa 200 viene inviato alla famigerata caserma Andolfato di S. Maria Capua Vetere dove nei giorni precedenti vi erano state forti tensioni ed una dura repressione da parte della polizia. Un gruppo più esiguo di circa 100 viene inviato in Basilicata, al centro di Palazzo San Gervasio, piccolo comune al confine con la Puglia che si trova a 40 km da Potenza. In questo gruppo si trova Mohamed, di Tareq invece abbiamo perso le tracce e probabilmente si trova alla caserma Andolfato. Mohamed dichiara però che lì la polizia è più gentile, forse anche per le ridotte dimensioni del campo che al momento pare ospitare solo un centinaio di persone,i pasti vengono distribuiti regolarmente (sempre i soliti maccaroni, si lamenta), ma mancano le docce e si dorme in tende da sei.

Il lungo viaggio dell'Excelsior però non è ancora terminato. Dopo Napoli sulla nave rimangono infatti 120 persone. Di 90 di queste è stata decisa l'espulsione immediata da parte dell'ufficio stranieri di Napoli, gl'altri 30 verranno invece distribuiti in varie strutture d'accoglienza siciliane. Da scarne cronache locali apprendiamo che la nave ha raggiunto il porto di Trapani la mattina del 19, dopo otto giorni interi di navigazione, sbarcando praticamente al punto di partenza gli sventurati "croceristi" dell'Excelsior.

La dinamica degli avvenimenti mostra un quadro nel quale i migranti sono stati caricati sull'Excelsior senza che fosse chiara la destinazione di una parte consistente di quanti vi erano stati imbarcati.

Emblematico della ridicola burocraticità di questa storia è il percorso dei novanta destinati all'espulsione immediata poiché già in passato migranti irregolari o con precedenti penali. Costoro hanno dovuto subire una settimana di vagabondaggio per tre diversi mari, prima che l'ufficio stranieri di Napoli ne decidesse l'espulsione immediata previo trasferimento a Trapani via nave per l'esecuzione effettiva.

Lo tsunami umano forse sta altrove. L'emergenza umanitaria consisterebbe infatti nell'arrivo di 25 mila persone e non negli 800 morti che l'UNHCR denuncia il 12 aprile: "da due settimane, da quando cioé è ripreso il flusso dalle coste libiche - dice Laura Boldrini - 800 migranti mancano all'appello: oltre ai 250 morti nel naufragio del 6 aprile, non si hanno notizie di 560 persone partite su tre barconi e mai arrivati a destinazione. Uno su cinque di quelli che sono partiti, non ce l'ha fatta ad arrivare".

Luigi Recupero
Gerta Human Reports

 

Consulta a misura di Silvio

Il presidente uscente della Consulta Ugo De Siervo
Silvio è il re. Le istituzioni si modellino sui suoi problemi. Non deroghino. Si adeguino. I pm? Sì, anche i pm. I giudici? Sì, anche i giudici. Il Csm? Sì, anche il Csm. La Consulta? Sì, anche quella. Festa del 25 aprile. Ecco il Guardasigilli Alfano pronto a dire: “La Corte si è segnalata per un interventismo di potatura robusto. Noi avevamo offerto una tregua e loro l’hanno respinta”. Parla del lodo Alfano e del legittimo impedimento il ministro della Giustizia. Entrambi cancellati o azzoppati dalla Corte. Rea, a questo punto, di lesa maestà.

Singolare concezione delle istituzioni e degli equilibri costituzionali quella dei berlusconiani. Basata su quali sono i bisogni, le emergenze, i problemi, le disgrazie del premier. Se, per avventura, “Egli” commette un reato i pm devono far finta di non vedere, i giudici devono assolverlo, la Consulta non deve modificare le leggi che “Egli” ha varato per cancellare i suoi reati. Questa sì che è un’armonia costituzionale. Tutto il resto è colpa, deroga, golpe, voglia di brigatismo, sovversione, insurrezione, guerra.

Bisogna partire da qui per capire le ragioni del prossimo attacco alla Consulta. Lì, il 29 aprile, scade il presidente Ugo De Siervo. Uno che non ha perso occasione per difendere il suo palazzo. Presidenza breve la sua, ma di prestigio. Il Parlamento deve eleggere il suo sostituto. E già sono cominciati i giochi. Spetterebbe al centrosinistra quel posto, ma il Pdl lo vuole per sé, e porterà l’elezione per le lunghe, in attesa che si abbassi il quorum.

Una Consulta con un posto in meno – 14 anziché 15 alti giudici – fa pure comodo quando ci sono da decidere due questioni scottanti, due conflitti di attribuzioni, tutti e due per il premier, sul Rubygate e su Mediaset. La Corte dovrà valutarne l’ammissibilità, e poi, se essi saranno ammissibili, dovrà giudicare nel merito. Una Consulta con un rappresentante del centrosinistra di meno non può che fare comodo.

 

Astrit Dakli

Quando la primavera esplose a Cernobyl

Quando il quarto reattore della centrale di Cernobyl esplose, all'una e ventitré della notte fra il 25 e il 26 aprile 1986, non furono pochi gli abitanti della vicina città di Prypjat che se ne accorsero. Udirono il boato - la centrale era giusto a tre chilometri dall'abitato, in fondo a un lungo viale - e poi videro le fiamme dell'incendio: ma nessuno capì la reale portata di quel che stava accadendo. Qualcuno pensò a dei fuochi artificiali. Altri, i più, pensarono preoccupati ai propri cari che erano di turno al lavoro nella centrale o che facevano parte delle squadre di vigili del fuoco subito chiamate a cercar di spegnere un incendio («provocato da un corto circuito», venne detto) che non si spegneva: passavano le ore e il bagliore era sempre lì, diventando meno visibile solo col sorgere del sole, quando visibile diventò invece il fumo che saliva dall'impianto disastrato. Nessun allarme era stato ancora dato alla popolazione.

Per i quasi cinquantamila abitanti di Prypjat quel 26 mattina - era un sabato - si svolse quasi normalmente. Chi era di turno andò al lavoro regolarmente in centrale, così come nei negozi e negli uffici della città, e le mamme portarono a spasso i bambini che erano molti a Prypjat, una città giovane, fondata solo sedici anni prima per alloggiare i lavoratori della centrale nucleare in costruzione. Non fosse stato per quel fumo che continuava e per l'insolito rumore di elicotteri e di veicoli che veniva da laggiù, in fondo al vialone, sarebbe stato un piacevole, tiepido sabato primaverile, preludio a una domenica in cui tentare le prime scampagnate dell'anno.

L'inferno all'interno

Ma laggiù in fondo a quel vialone, di normale e piacevole non c'era proprio niente. C'era l'inferno. Anche se al di fuori nessuno sapeva qualcosa di preciso, dentro il perimetro della centrale già oltre mille uomini stavano freneticamente lavorando in condizioni disperate per tamponare il disastro: gli stessi operai di turno, i pompieri, squadre di militari fatte affluire immediatamente (la centrale di Cernobyl era zona militare). I dirigenti del Partito comunista regionali avevano immediatamente compreso che si trattava di una catastrofe gravissima, almeno dal punto di vista dei danni materiali, anche se probabilmente non afferrarono subito le implicazioni devastanti sull'ambiente umano, e avevano ordinato una sorta di mobilitazione generale. A nessuno dei mobilitati, però, venne spiegato a cosa stava andando incontro.

Gli elicotteri da trasporto facevano la spola per gettare sul reattore ormai scoperto e ardente, tonnellate di materiale inerte - sabbia silicea, boro, pietrisco - nel tentativo di soffocare l'incendio e smorzare le radiazioni. Il fotografo Igor Kostin riuscì a imbarcarsi su uno di quegli elicotteri e a fotografare dall'alto il nocciolo ardente del reattore numero quattro ma solo un fotogramma, dei numerosi rullini scattati da Kostin, risultò non bruciato dalle radiazioni al momento dello sviluppo. L'unica foto al mondo di un reattore nucleare in fase di fusione.

Uno degli elicotteri durante le operazioni urtò una struttura metallica e precipitò al suolo, tutti i membri dell'equipaggio morirono. Alcune squadre di pompieri, con protezioni approssimative o addirittura senza alcuna protezione, erano stati mandati su quel che restava del tetto dell'edificio per spegnere le fiamme causate dai frammenti delle barre di grafite che servivano a controllare la reazione a catena arrivati fin lì con l'esplosione del reattore. Gli strumenti indicavano livelli di radioattività migliaia, no, milioni, fino a un miliardo di volte più alti della norma, ma in maggioranza andarono semplicemente fuori scala: si pensò che fossero rotti e si continuò a lavorare su quel tetto e nello spazio intorno al reattore, avvolti da vapori e gas radioattivi per tutto il giorno, a mani nude e con semplici mascherine di tela, per ributtare nella fornace il materiale radioattivo sparso in giro dall'esplosione. Quando la tecnologia crolla, si arriva sempre alle pale e ai secchielli, all'acqua e alla sabbia, come abbiamo visto purtroppo a Fukushima, nel cuore della tecnologia più evoluta del pianeta.

Molti di coloro che vennero impiegati in questo spaventoso lavoro - una cinquantina - dovettero essere ricoverati con gravissime ustioni prima di sera. Sarebbero morti nelle ore e nei giorni immediatamente successivi.

La sera di sabato 26 a Prypjat arrivò una commissione speciale, che trovò i due piccoli ospedali cittadini già pieni di operai, militari e pompieri (oltre duecento) ricoverati con sintomi gravissimi. Nella notte fu decisa e organizzata l'evacuazione di tutti gli abitanti. La mattina del 27, domenica, in città arrivarono centinaia di autobus: gli abitanti furono imbarcati senza che venisse spiegato loro cosa stava succedendo veramente, li esortavano ad andare via dicendo solo che per il momento era pericoloso restare lì, che prendessero con sé il minimo indispensabile, tanto sarebbero tornati nel giro di due o tre giorni. Trentasei ore dopo la catastrofe, si procedette all'evacuazione, compiuta in poche ore. Tutti furono portati a Kiev, che dista solo un centinaio di chilometri da Prypjat, e poi smistati in varie località dell'Ucraina e dell'Urss. Gli autobus furono riportati vicino alla centrale, ammucchiati in un deposito e abbandonati, perché troppo radioattivi. Sono lì ancora oggi: il deposito è uno dei punti, in tutta l'area di Cernobyl, dove la radioattività è più alta.

Nel paese e nel resto del mondo

Nel paese e nel resto del mondo, intanto, non si sapeva ancora praticamente nulla di quanto era accaduto. Solo il 28 sera il governo svedese, notando un allarmante aumento della radioattività nell'aria che i venti portavano da sud-est, chiese informazioni a Mosca e rese pubblico il fatto che era avvenuto un disastro nucleare. La prima notizia, un piccolo trafiletto in cronaca, apparve sui giornali sovietici soltanto il 29, martedì, quando ormai da due giorni la regione intorno alla centrale era stata evacuata.

Nei giorni successivi l'opera di spegnimento, tamponatura e infine chiusura dentro un sarcofago di cemento del reattore esploso assunse proporzioni faraoniche. Non ci sono cifre ufficiali sul numero degli uomini mobilitati (quasi tutti militari di leva, in gran parte volontari) per liquidare le conseguenze della catastrofe: secondo le ricostruzioni più serie si trattò di almeno seicentomila uomini che senza protezioni adeguate, nella maggior parte dei casi avevano solo guanti e mascherina, e senza essere informati dei rischi che avrebbero corso non solo lì sul campo ma nei mesi e negli anni a venire, vennero lanciati a rimuovere macerie e a costruire muri facendo turni di pochi minuti - in certe situazioni, come sul tetto, addirittura di meno di un minuto - per limitare l'esposizione alle radiazioni. Di loro, dei «liquidatori», non venne tenuto un registro e non si tentò neppure di monitorarne in seguito le condizioni di salute. Solo più tardi una parte di essi, di cui era rimasta traccia, venne decorata e premiata con alcuni benefit che ora il governo ucraino sta piano piano abolendo. Oggi non abbiamo un'idea precisa di quanti si siano ammalati e quanti siano morti una volta rientrati alle proprie case, sparse per tutta l'immensa Urss, senza neppur sapere chi ringraziare per la propria disgrazia.

Le reali dimensioni del disastro

Tra la fine di aprile e i primi di maggio, mentre il reattore numero quattro continuava a bruciare sotto la montagna di materiale inerte che gli veniva gettata sopra, si procedette all'evacuazione di una più vasta area intorno alla centrale: furono portate via dalle proprie case, nei villaggi e nelle cittadine, oltre trecentomila persone complessivamente, ma ciononostante si calcola che almeno un milione abbia comunque ricevuto un'alta dose di radiazioni. Molti dei profughi evacuati, così come molti degli «irradiati» rimasti nelle proprie case senza neanche rendersi conto di quel che stava capitando, si sono in seguito dispersi per tutta l'Urss: la mobilità, spontanea o in vario modo forzata, è sempre stata altissima in Unione Sovietica, e negli anni drammatici del disfacimento politico che seguì di poco la catastrofe di Cernobyl (fra il 1989 e il 1995) avrebbe raggiunto punte straordinarie. Ciò ha reso ancor più difficile conoscere, con il passar degli anni, le reali conseguenze subite dalla popolazione per colpa del disastro. Conseguenze che, pur con numeri non molto grandi, si fanno sentire anche a distanza di molto tempo e addirittura di generazioni. Ma col tempo, anche la consapevolezza delle persone si attenua e così, quando all'ospedale oncologico pediatrico di Kiev si presenta oggi una giovane coppia il cui bambino nato da poco presenta malformazioni o tumori, i genitori si stupiscono sentendosi chiedere dov'erano - o, se non erano ancora nati, dov'erano i loro genitori - in quella remota primavera del 1986.

 

 13 aprile

Saras, ancora morte alla raffineria. Operaio ucciso dal gas, è sciopero

Investito da un getto di idrogeno solforato, Paolo Pulvirenti, 25enne, spira dopo una notte di agonia. Migliora Gabriele Serrano, 23 anni, anch'egli intossicato, frattura a una gamba per Luigi Catania, 42 anni. Dipendenti siciliani di una ditta esterna, stavano effettuando una manutenzione straordinaria. Il pm Secci dispone il sequestro dell'impianto

CAGLIARI - Alla raffineria Saras di Sarroch la tragedia si ripete. Nel 2009 tre operai vi morirono intossicati 1, anche questa volta le persone coinvolte sono tre, dipendenti della società siciliana Starservice che ieri sera stavano effettuando la manutenzione di un serbatoio. Per Pierpaolo Pulvirenti, 25 anni, non c'è stato nulla da fare: è morto poco prima dell'alba all'ospedale cagliaritano Santissima Trinità dopo essere stato investito da un getto di idrogeno solforato. Le sue condizioni erano apparse subito disperate. La famiglia Moratti, proprietaria della Saras, ha messo l'aereo privato a disposizione dei parenti di Pulvirenti, che da Catania raggiungeranno Cagliari nel pomeriggio.

Migliorano invece le condizioni di Gabriele Serrano, 23 anni, siciliano di Augusta, ricoverato all'ospedale Brotzu di Cagliari in prognosi riservata, come Pulvirenti intossicato dal gas ma vigile e non intubato. Non desta preoccupazioni Luigi Catania, 42enne di Siracusa, che si è fratturato una gamba cadendo da una scala nella concitazione successiva alla fuoriuscita dell'idrogeno solforato, ricoverato nell'ospedale Marino del capoluogo sardo.

Secondo una prima ricostruzione, i tre operai dell'impresa d'appalto esterna stavano eseguendo la manutenzione straordinaria in un impianto in fermata, chiamato Dea3, per il lavaggio dell'ossido di zolfo. Quando hanno aperto il cunicolo che consente di raggiungere la torre, in due sono stati colpiti dal gas. Il terzo, accortosi di quanto era accaduto, ha cercato di raggiungerli ma è precipitato dalla scala. Tutti e tre sono stati dapprima soccorsi dal personale della raffineria e poi trasportati nei diversi ospedali.

Il sostituto procuratore di Cagliari Alessandro Pili ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo, poi assegnato a Emanuele Secci, il pm che condusse anche le indagini sull'incidente del 26 maggio 2009 alla Saras, costato la vita a Bruno Muntoni, Daniele Melis e Pierluigi Solinas, i tre operai di Villa San Pietro addetti alla pulizia di una cisterna uccisi dalle esalazioni. Su quella vicenda è appena iniziato il processo al Tribunale di Cagliari, sentenza attesa per il 16 maggio prossimo.

Secci ha disposto il sequestro del settore dell'impianto della Saras sul quale Pulvirenti stava lavorando. Il pm in mattinata ha anche convocato il medico legale, Roberto Demontis, a cui nelle prossime ore sarà affidata l'autopsia sul corpo dell'operaio siciliano. Il magistrato è in contatto con i carabinieri della Compagnia di Cagliari, che durante la notte hanno sentito due colleghi di Pulvirenti, rimasti per tutto il tempo davanti alla sala di rianimazione a vegliare il loro amico e compagno di lavoro. Uno dei due ha pregato incessantemente sino all'alba. Nella struttura sono in corso i rilievi tecnici e le ispezioni da parte degli esperti dei Vigili del Fuoco e delle forze dell'ordine. Anche la Saras ha avviato accertamenti per capire la dinamica e le cause dell'incidente.

Dopo la nuova sciagura, i sindacati di categoria hanno proclamato otto ore di sciopero alla raffineria della Saras a Sarroch, contro i criteri di sicurezza e l'inquinamento ambientale. Questa mattina, quando la notizia della morte di Pulvirenti si è diffusa, gli operai del primo turno hanno dato il via alla protesta alle 7,30, astenendosi dal lavoro. Dopo le 17 sarà garantita solo la manutenzione straordinaria. Gli ingressi all'impianto petrolchimico sono rimasti sbarrati anche per maestranze e dirigenti.

Per iI segretario regionale della Cisl Sardegna Mario Medde, "è evidente che, nonostante gli investimenti fatti dalla Saras sulla sicurezza, è necessario un sempre maggiore e costante impegno organizzativo e finanziario per evitare nuovi morti e nuovi feriti".

Il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, rileva come, rispetto all'incidente del 2009, la dinamica sembra ripetersi, mettendo "in evidenza i gravi ritardi sul versante delle azioni da compiere per la prevenzione e il controllo degli appalti nei siti confinati". Per questo Scudiere chiede al ministro Sacconi "l'emanazione immediata del decreto legge sui siti confinati, le cui linee sono già state condivise e concordate nella Commissione consultiva su salute e sicurezza". Decreto sollecitato anche da Fulvio Giacomassi, segretario confederale della Cisl.

Chiamato in causa dai sindacati sulla sicurezza negli 'ambienti confinati', Sacconi conferma "l'assoluta utilità delle disposizioni che il Governo ha proposto alla Commissione consultiva delle parti sociali e che ora ha trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni" afferma in una nota il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. "Utilizzando una norma del Testo unico in materia di salute e sicurezza sulle qualificazioni di alcune attività - spiega Sacconi -, il Governo ha prediposto un testo specificamente dedicato agli 'ambienti confinati' per garantire, oltre a una specifica qualificazione degli appaltatori, una più adeguata informazione ai loro lavoratori e la vigilanza continua dell'appaltante in modo da prevenire ogni infortunio grazie alla compiuta conoscenza del contesto nel quale si effettuano le opere di pulizia e di manutenzione. Gli ispettori del Ministero sono stati comunque attivati per offrire la loro collaborazione, ferma restando la responsabilità della vigilanza in capo al Servizio sanitario regionale".

Il cordoglio del presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci: "Il sacrificio di chi perde la vita sul posto di lavoro è una tragedia che suscita profonda commozione e scuote la coscienza di ciascuno di noi. In queste ore vorrei esprimere la mia solidale partecipazione al dolore della famiglia di Pierpaolo Pulvirenti. Vorrei manifestare anche la mia sentita vicinanza agli altri operai rimasti feriti nel tragico incidente e ai loro cari".

 

4 aprile

Alessandro Robecchi

La sfida dei migranti all'ispettore Clouseau

Chiedo scusa ai critici cinematografici de Il manifesto, ma sono costretto a rubargli il lavoro.
Recensione: I tunisini sfidano l'ispettore Clouseau (Italia, 2011, con Roberto Maroni, Silvio Berlusconi e qualche migliaio di comparse).
L'ispettore Clouseau (Roberto Maroni) strilla da mesi che il paese sarà invaso da pericolosissimi immigrati clandestini, ma quando gli immigrati previsti arrivano, l'ispettore Clouseau viene colto di sorpresa: «Siete già qui? Tropo velosci!». Con una mossa di rara astuzia li lascia senza cibo, seduti su un molo a Lampedusa. Poi arriva il suo principale (Silvio Berlusconi) e dice che lì deve fare un campo da golf e un casinò, quindi bisogna spostare i clandestini. L'ispettore Clouseau appronta in fretta e furia una tendopoli dove deporta migliaia di clandestini. Quelli, con mossa astuta, scavalcano la rete metallica e se ne vanno. «Maledisione! Non sci avevo pensato!». Allora l'ispettore Clouseau appronta altre tendopoli in tutta Italia, manda i pompieri su è giù come pendolari, ma sindaci e governatori gli fanno chi marameo, chi il gesto dell'ombrello, altri ridono. Infuriato, l'ispettore Clouseau parla di respingimenti. Stavolta ridono i giovani tunisini. Allora, mossa a sorpresa, Clouseau va in Tunisia con Berlusconi e un po' di soldi per chiedere alla Tunisia di riprendersi i tunisini. Interessa un campo da golf? Interessa un casinò? E se mi compro una villa a Tunisi? Ridono anche in Tunisia. Si chiude in un tramonto mediterraneo, con Clouseau e il suo capo che chiedono un passaggio a un barcone per tornare in Italia.
Il film appare sconclusionato, senza regia e piuttosto improvvisato. Unica nota positiva, lo straordinario talento comico del protagonista (azzeccati gli occhialini rossi), mentre la sua spalla, Silvio Berlusconi, sembra imbolsita e stanca. Ottime, invece, le comparse tunisine: molte di loro non hanno avuto nemmeno il cestino per il pranzo, hanno capito che il cinema italiano è in crisi e vogliono andare in Francia.

 

1 aprile

Prelievi, bonifici, sms in Italia le banche più care

Per la commissione Ue il costo annuale è di 292 euro ma l'Abi controbatte: in realtà non superiamo i 150. Più cari l'uso delle carte e le operazioni allo sportello, autentiche stangate su scoperti e servizi finanziari. Fino a 6 euro per un bonifico e 3 per saldare una bolletta. Si pagano anche estratti conto, assegni, fidi e persino gli sms. Rispetto all'Europa 4,2 miliardi di spese extra

di ANDREA GRECO

Il primato che nessuno ci insidia è di avere le banche più costose d'Europa. L'Antitrust ha avviato l'ennesima indagine conoscitiva sui costi dei conti correnti, ma è anche il segnale della capacità del mondo bancario di evitare ogni tentativo di ridurre le commissioni. Il Garante è piuttosto esplicito nell'indicare le caratteristiche del problema.

"Nonostante un assetto del sistema bancario profondamente modificato che avrebbe dovuto innescare una forte spinta concorrenziale - spiega il Garante - il livello dei prezzi dei servizi e le criticità in termini di trasparenza continuano a segnalare un confronto competitivo ancora debole". Ne fanno le spese (davvero) gli italiani, che nella fatica di districarsi tra migliaia di prodotti - ogni banca ne offre una decina per ognuno dei sei profili standard stilati dalla vigilanza - spesso rinunciano al ruolo di consumatori attenti e contribuiscono a meritarsi i conti correnti tra i più cari d'Europa, con un "sovrapprezzo italiano" stimato in 4,2 miliardi di euro annui. Come stanno le cose? È vero che gli istituti italiani si fanno pagare troppo il loro più diffuso servizio? Su quali si vanno diffondendo balzelli odiosi che scatenano la furia dei risparmiatori e le critiche di Antitrust e Mr. Prezzi? Perché agli italiani continuano a piacere le file allo sportello, simbolo di quell'approccio "fisico" alla transazione che ha costi ormai esorbitanti? Quali sono le malizie e le voci più insidiose da cui il correntista si dovrebbe guardare?

I più cari in Europa. Intanto bisogna dire dove si sta. E non è facile. Il conto corrente non è un formaggio, peso netto, costo al chilo. È tante altre cose: la porta d'accesso al mondo dei servizi bancari, uno strumento di transazione indispensabile ma anche il totem della relazione uomo-banca. I suoi costi variano moltissimo secondo la quantità delle operazioni e lo strumento - agenzia, telefono, internet - utilizzato. Bankitalia, per rendere più trasparente l'offerta, ha introdotto un anno fa l'Isc (indicatore sintetico di costo) che obbliga a fornire il costo annuo per un uso standard, e profila i clienti in sei "griglie di adeguatezza": giovani, famiglie con operatività bassa/media/alta, pensionati con operatività bassa/media. Le banche non possono più vendere prodotti inadatti al singolo profilo, come accadde talvolta in passato, quando la rendita di posizione garantita dal potere sovrano sui contratti permise sfracelli a danno dei correntisti. Per far capire il trend, l'Associazione bancaria italiana segnala dal 2004 a oggi un calo del 30% per il costo della singola operazione media: da 1,02 euro a 0,7 euro. Merito anche dell'introduzione dell'online banking che minimizza i costi, ma riguarda in modo sistematico appena 5,5 milioni di utenti (dato Nielsen). A fine 2010 il costo medio per la media dei profili, conteggiato dall'Abi, è di 114 euro l'anno, cui però vanno aggiunti i 34,2 euro di bolli. Il costo medio sale a 129 euro (163,2 con i bolli) per chi si appoggia di più alle filiali, mentre chi preferisce il web spende 97 euro (131,5). La Banca d'Italia, con rilevazioni proprie, giunge agli stessi 114 euro dell'Abi. Di altro tenore la reportistica della Commissione europea, che sei mesi fa ha commissionato uno studio, pubblicato da Der Spiegel, in cui l'Italia ha il primato dei costi: 295,66 euro medi annui, contro 114 euro della media dell'Europa a 27. Quei dati sono stati contestati dall'Abi: "La Commissione - spiega Gianfranco Torriero, capo del centro studi - richiama un'indagine non corretta, perché usa solo i prezzi massimi di listino, include le tasse, non contempla i conti "a pacchetto". E include i costi associati allo scoperto di conto come forma di finanziamento alle famiglie, poco usata all'estero dove invece c'è ampio ricorso al credito al consumo". Dal canto suo, il commissario europeo ai servizi finanziari Michel Barnier critica la prassi Abi di comprendere, nella formazione del costo medio, solo alcune operazioni dei sei profili standard di vigilanza, e non tutte le operazioni possibili come fanno a Bruxelles.

Sono anni che su simili numeri Bruxelles e Roma litigano. Chi dei due ha ragione? Molto dipende da come e quanto si usa il conto. Secondo l'Adusbef perfino le stime di Barnier sono per difetto. "Sfido chiunque a entrare in uno dei 34mila sportelli italiani e vedere quante operazioni può compiere con 114 euro - dice Elio Lannutti, leader di Adusbef e senatore dell'Idv - . Le banche danno per scontato che i consumatori abbiano conti a pacchetto, mentre da listino prezzi bastano 11 operazioni al mese per spendere 500 euro l'anno". Del pari, tra convenzioni, sconti e offerte civetta si può spendere anche poco. O nulla, come attesta l'Isc del Conto corrente arancio Ing, che a chi accredita uno stipendio rimborsa i bolli e passa le carte Visa e Bancomat. Ponderando dati ufficiali, ricerche private, consumatori, non pare irrealistico un costo annuo medio sui 200 euro. Con l'aggiunta di 34,2 euro di bolli si arriva 234 euro, quindi 120 euro più dei 114 euro di costo medio Ue. Moltiplicato per 35milioni di c/c italiani fa 4,2 miliardi di euro, corrispondenti al sovrapprezzo italiano, di cui 1,2 miliardi all'erario, il resto (3 miliardi) è costo paese bancario.

Bancomat, scoperto e altri pericoli. Ma quali sono i principali costi di un rapporto di corrispondenza? Quali le malizie e i caveat cui prestare attenzione? Due mesi fa 20 milioni di famiglie hanno ricevuto gli estratti conto 2010. L'Isc permette di verificare se si spende il giusto: basta comparare il "Riepilogo annuale spese" dell'estratto con la scheda sintetica dei 40 costi tipo che gli istituti inviano periodicamente. Se c'è troppo divario, è meglio reclamare. Oltre ai bolli e alle spese di tenuta (è sempre più diffuso il canone fisso, ma è molto variabile), le grandi spese riguardano Bancomat (10-15 euro l'anno in media), carte di credito (una trentina di euro), poi l'eventuale dossier titoli (fino a un centinaio di euro). Poi le spese per operazioni: pagamenti, domiciliazioni, prelievi, rate di mutui o altri fidi. E qui il costo sale verso le stelle se si fa ricorso allo sportello, molto più costoso dei canali remoti, per la banca e per il cliente. L'Abi stima in 6,23 euro il costo di un bonifico per cassa verso una banca diversa dalla propria, mentre la cifra si dimezza se l'addebito è in conto corrente, e cala a 0,87 euro sui bonifici via internet. Stessa dinamica per pagare le utenze domestiche: 3,16 euro al cassiere, 2,17 euro con addebito, 0,77 euro via internet e 0,09 euro con domiciliazione. Il contante incide anche se prelevato a sportelli della concorrenza, con una commissione media di 1,62 euro. In realtà, escludendo le banche online - che per questo rendono gratuiti i prelievi su tutto il circuito - ci si avvicina a 2 euro, a fronte di un costo all'ingrosso di 0,56 euro che le banche si pagano a vicenda (da poco ridotto su richiesta Antitrust, ma finora senza benefici per i clienti). Infine, occhio alla "fu" commissione di massimo scoperto, tra le più invise, e soppressa ope legis dal Tesoro a metà 2009. Salvo che le banche l'hanno riesumata con spoglie e nomi diversi, tanto da meritarsi un'indagine Antitrust e la reprimenda di Bankitalia. Tre mesi fa la vigilanza ha chiesto al Senato di migliorare la normativa, perché "consente di mantenere commissioni opache, complesse e molto diversificate". Poco prima il garante della concorrenza aveva segnalato al governo che le nuove commissioni erano peggiorative per i clienti senza fido in cinque casi su sette analizzati, e sempre per quelli affidati. L'Abi rispose ricordando che, in pochi mesi, la nuova legge aveva decurtato del 41% le commissioni sui fidi, di un terzo sugli scoperti.

Sul sito www. pattichiari. it, curato dai banchieri, si possono confrontare singoli pregi e difetti. Basta inserire un indirizzo, un profilo di c/c predefinito (in questo caso, "famiglie con operatività media") e scegliere i canali preferiti ("sportello e virtuali"). Si paragonano fino a 5 prodotti per volta, e si possono scovare alcune "perle" che il buon correntista dovrebbe evitare, o almeno rinegoziare. Il "Conto molto" di Antonveneta (gruppo Mps), per esempio, la carta intestata se la fa pagare: 4 euro per l'estratto conto, e 12 euro per l'invio della posizione titoli. Al conto "Armonia Light" del Credito Artigiano invece il web non piace: 3,5 euro per un bonifico online su altra banca, un livello simile a quello degli istituti per i bonifici in addebito (che all'Artigiano costa 6,5 euro), o addirittura cash. La "Formula friend" della Popolare di Novara (gruppo Banco popolare) trattiene 3 euro per pagare utenze via telefono, e 2,75 euro per pagare la rata del mutuo, sia per cassa sia con addebito. La "Formula amico", poi, prevede una carta revolving con tasso a debito globale (Taeg) sugli utilizzi a rate del 22,07% l'anno. Occhio poi all'avviso via sms sul cellulare, comodo ma che a Novara non è gratis: 2 euro al mese. Il correntista di Banca Carige, "Stile evoluto", è meglio non perda la tessera Bancomat, o bloccarla gli costerà 12,91 euro (almeno c'è il numero verde). Il conto "Un due tre" della Bpm strapazza chi paga le utenze per cassa (5,80 euro), e chiede un euro perfino a chi le paga al Bancomat. Costa un euro anche chiedere al cassiere la lista movimenti, mentre ricevere a casa le comunicazioni di trasparenza (obbligatorie) fa 1,35 euro. Dove i solipsismi bancari diventano un coro è sugli scoperti dei conti, siano affidati o no. Intesa Sanpaolo - conto "Facile" - tassa un 18,11% annuo il rosso senza fido, più una commissione di 2 euro al giorno, gli stessi che chiede Unicredit "Genius one" a chi sconfina il fido. Carige commina, oltre alla commissione di 5 euro per i senza fido, una "penalità" - concetto oscuro ma ricorrente - fino a 3,5 euro al dì per somme oltre 500 euro. E la straniera Deutsche Bank (conto "All inclusive") applica un forfait di 35 euro sopra i 500 di scoperto. Ma commissioni e penali, per chi va in rosso, restano la prassi.

Il rischio di nuovi aumenti. Dopo due anni di costo del denaro ai minimi storici la redditività bancaria è ridotta al lume. La caduta all'1% del tasso dell'euro ha ridotto gli interessi dovuti al cliente a uno zero virgola zero, e tagliato ancor più quelli a favore delle banche. Dal '98 la cosiddetta forbice dei tassi è scesa dal 5,8% al 3,1%, quasi azzerando l'utile che gli istituti traggono dai clienti minuti. E ora molte banche italiane sono costrette a ristrutturare le attività commerciali. C'è rischio che ne derivino aumenti dei costi di conto corrente? Qualche rincaro qua e là si vede. Soprattutto è in corso un riprezzamento dell'offerta: per Patti Chiari (Abi), nel secondo semestre 2010 sono aumentati i conti online per giovani (+11%) e famiglie ad alta operatività (+3%), mentre è sceso del 5% il costo per pensionati poco operativi. Ambienti sindacali segnalano, poi, nuove strategie commerciali intonate ai tempi grami. Da inizio anno Unicredit fa pagare un costo fisso di 10 euro per cambiare il pacchetto di conto, e ha introdotto nuove voci per i più economici, tipo 1 euro di costo al mese per ogni cointestatario, od assegno. La rivale Intesa Sanpaolo ha invece soppresso a fine 2010 conto Zerotondo (perché non guadagnava più nulla, si dice), e ne sta lanciando uno modulare con canone che cala se si sottoscrivono altri prodotti. Un modo per rafforzare i ricavi incrociati e fidelizzare i clienti. Un altro andazzo indicativo è la commissione sul prelievo dei propri contanti allo sportello, che si diffonde malgrado suoni grottesca e susciti polemiche e interventi del Garante.

A livello ufficiale, con l'inflazione all'1,9%, l'Istat ha registrato nel 2010 un calo annuo dello 0,5% dei "servizi finanziari". E l'Abi ha stimato, tra giugno e dicembre, un calo dell'1,7% dei costi medi annui del conto. Ma i consumatori del Codacons ritengono che l'anno scorso il costo dei conti sia salito di 28 euro, oltre il 10%. E nel 2011? "Non prevediamo aumenti dei prezzi - dice Giuseppe Mussari, presidente dell'Abi - piuttosto il rilancio delle attività retail passa per lo sviluppo dei canali remoti e della qualità del servizio". Il leader del Monte dei Paschi e dei banchieri si difende: "Al costo annuo di due cene in pizzeria con la famiglia, o due pieni di benzina, si può ogni giorno disporre dei propri denari custoditi al sicuro, fare pagamenti, essere garantiti sotto i 100mila euro se la banca fallisce. Non mi pare esorbitante. Piuttosto, vanno ricordati i costi industriali che comporta questo strumento. Altrimenti finisce che le banche devono guadagnare con la finanza spinta". L'Abi ricorda con toni caustici "alcuni modelli stranieri" come Olanda, Belgio e Gran Bretagna, senza rivali per costi dei conti ma che rivelatisi deboli nella crisi, perché "la raccolta veniva premiata con costi bassi e poi dirottata a gonfiare attivi finanziari rischiosi - aggiunge Mussari-. L'Italia invece raccoglie sui depositi o all'ingrosso e impiega su famiglie e imprese. È un modello che ha retto e va rivendicato".
 

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