18 ottobre

Ai cittadini di Albano dobbiamo dire grazie

Alessandro Portelli

Racconta Lorenzo Foschi, antifascista di Albano: «Qui c'è un certo Boccacci, Maurizio Boccacci, che è di Albano, e qualche anno fa ha fatto addirittura una manifestazione nazionale della Fiamma Tricolore: settantotto persone in giro per il corso in una città militarizzata dalla sera prima alla nottata dopo... Io mi ricordo, andai in piazza, cominciò 'sto corteo, li contai: erano settantotto, e c'erano cinquemila persone venute lì per protestare, sulle scalette della sezione, sulle vie laterali che scendono verso il corso - tutta la cittadinanza, saranno state mille persone».
Prosegue il racconto: «Come comincia il passaggio del corteo cominciamo a cantare Bella ciao. Un fragoroso coro di Bella ciao. Un individuo si stacca dal corteo, si mette sotto la sezione e ci fa il segno che ci tagliava la gola. (...) Abbiamo aiutato il servizio d'ordine a tenere ferma la gente, perché se no succedeva un casino (...)».
Bella Ciao ad Albano l'hanno cantata anche davanti alla bara di Priebke e anche adesso sono tornati a scontrarsi con le provocazioni nazifasciste. L'antica cintura rossa dei Castelli Romani ha visto passare molta acqua sotto i ponti dal tempo delle grandi lotte bracciantili, della Resistenza, delle occupazioni delle terre. L'espansione di Roma ha in parte diluito le roccheforti rosse facendone propaggini della metropoli ma non ha cancellato tutto.
Quelli che sono andati in strada erano, certo, i discendenti della lotta partigiana e dei suoi protagonisti indimenticabili - Severino Spaccatrosi, Salvatore Capogrossi, Alberto Cavaglion.... Era, oggi come allora, il senso comune profondo della città che si ribellava. Raccontavano allora altri compagni: «Dalla finestra, un paio di signore hanno cominciato a urlare "fascisti di merda", e molti padri di famiglia con i figli si sono uniti al presidio antifa, urlando slogan contro la Fiamma e contro il sindaco (di destra, ndr)».
È successo di nuovo; ma non erano lì per il passato o per la memoria: erano lì per il presente, per la politica e per la dignità di tutti.
Strano paese il nostro. Risponde con uno schieramento militare alla morte di massa nel Mediterraneo, insulta la ministra Kyenge, butta l'acido sui bambini Rom, erige monumenti al criminale di guerra Rodolfo Graziani, e poi si prodiga in cerimonie e alate parole sulla memoria - che peraltro incidono poco: basta sentire la radio in questi giorni per accorgerci di quanti distolgono lo sguardo dal massacro delle Ardeatine per ripetere i soliti falsi racconti antipartigiani su via Rasella.
Abbiamo orrore dell'antisemitismo, facciamo leggi contro il negazionismo, e poi sentiamo un presunto prete cristiano affermare che Priebke «è l'unico innocente dietro le sbarre» mentendo tre volte, perché Priebke non è innocente, perché dietro le sbarre non c'è stato mai e perché di innocenti in galera l'Italia è piena. La protesta di Albano è stata una ventata improvvisa di verità. Li dobbiamo solo ringraziare.

 

17 ottobre

 

 

L'unica grandiosa sepoltura è quella dei crimini nazisti

Pochi i condannati, quasi tutti rimandati alle loro case. Kappler "evaso" dal carcere militare del Celio, Reder graziato, Priebke per 50 anni libero in Argentina. La Germania li protegge, l'Italia fa finta di niente. Malgrado quella confessione agghiacciante: «Un colpo all'inizio, un altro alla fine»

Franco Giustolisi*

L'Italia è stata sempre di manica larga, a dir poco, con i nazisti (e figurarsi con i fascisti, assolti senza processo). La prima grandiosa sepoltura dei crimini commessi tra il '43 e il '45, avviene nell'immediato dopoguerra: 695 fascicoli di stragi, in 415 dei quali già si conoscevano i nomi degli assassini, risale all'immediato dopoguerra. «L'armadio della vergogna», come lo definii, rimarrà chiuso per 50 anni. Ma qualcosa sfugge anche al più assoluto e oculato silenzio. È il caso degli assassini di Rodi le cui imprese potrebbero ben figurare in un libro degli orrori. Il comandante di quella piazza conquistata dai nazisti, subito dopo l'8 settembre, il generale di fanteria Otto Wagener, verrà condannato a 15 anni di reclusione, a pene minori i suoi otto sottoposti. Ma, incredibilmente, protetti dal silenzio più assoluto, se ne potranno tornare subito dopo il processo, alle loro case. Non si conoscono date, nelle carte dell'armadio non figurano. Il provvedimento di grazia è firmato da Luigi Einaudi, presidente della Repubblica dal '48 al '55, presidente del Consiglio è Alcide De Gasperi, lo stesso cui si deve la sepoltura dei fascicoli dei massacri nazifascisti. Al di là dei nostri confini c'è la Germania guidata da Konrad Adenauer: lui insiste col suo omologo italiano, sono ambedue cristiani più o meno democratici, e alla fine la frittata è fatta.
Ed ecco la seconda: Herbert Kappler, tenente colonnello delle SS, comandante della Gestapo a Roma, ergastolo per la strage delle Ardeatine, fugge dall'ospedale militare del Celio dove è ricoverato. È il 15 agosto 1977. Ed è fuggito, raccontano le cronache, punteggiate da imbarazzanti interrogativi, in una valigia portata a mano dalla moglie. Nessuno ci ha mai creduto.
Passiamo al maggiore Walter Reder, il «monco maledetto», come lo chiamavano. A lui si debbono migliaia di vittime, 980 a Marzabotto, oltre 500 a Fivizzano. Crudele e cinico: ordinava polli e vino in quest'ultima località mentre i suoi scherani ammazzavano la moglie e i figli dell'oste, insieme a tanti altri innocenti. È un totenkopf i cui componenti si erano fatti le ossa a Dachau e altri lager. Condannato all'ergastolo a Bologna, nel 1951. Ma arrivò la grazia anche per lui. Gli fu concessa dal governo Craxi nel 1985, malgrado le proteste degli abitanti delle zone da lui colpite. Tornato nella sua Austria, ebbe la spudoratezza di dire: «La grazia? L'ha chiesta il mio avvocato». Nel 2011 viene estradato dal Canada Michael Seifert, SS, ucraino. Di delitti gliene furono imputati 18 nei lager di Bolzano, più quelli commessi in un altro lager, Fossoli, dove le vittime furono 72. Si divertiva a torturare e finire i prigionieri con pezzi di vetro. Ma è anche carico di anni, dopo pochi mesi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, tirerà le cuoia.
Erich Priebke, uno degli assassini delle Fosse Ardeatine e componente del comando di via Tasso, dove si torturava sino alla morte, ha goduto, invece, degli arresti domiciliari, con frequenti uscite, tuttavia, per godersi la città di Roma che lui contribuì ad insanguinare. Fu catturato dagli alleati a fine guerra e confessò i suoi delitti con la stessa impersonalità di un notaio che registra un passaggio di proprietà. Ecco le sue parole. La data è dell'8 agosto 1946. Il testo integrale dice così: «Sono stato avvisato di non essere obbligato a dire alcunché, a meno che io non voglia farlo, e che ogni cosa che dirò sarà messa per iscritto e tenuta in evidenza. Nel gennaio 1941 fui assegnato allo Stato maggiore del Tenente colonnello Kappler, in via Tasso, a Roma. Il mio lavoro consisteva nel far da collegamento tra i servizi di polizia tedeschi ed italiani. Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 mi trovavo nel mio ufficio di via Tasso quando appresi che un certo numero di soldati tedeschi era stato ucciso in un attentato dinamitardo, in via Rasella, a Roma. Ritengo che il Tenente colonnello Kappler e il capitano Schutz, avendo appreso dell'incidente, avevano lasciato gli uffici per recarsi sul posto. Io rimasi temporaneamente al Comando, in via Tasso. Quella sera il Tenente colonnello Kappler tornò presto in ufficio e chiamò tutti gli ufficiali e i soldati. Ci parlò dell'incidente dicendoci che ci sarebbe stata una rappresaglia contro gli italiani nel rapporto di un tedesco contro dieci italiani. Io ritengo che quest'ordine fosse stato dato dal Generale Kesserling (condannato a morte, poi all'ergastolo, poi a niente, ndr). Ci fu detto di effettuare una ricerca in tutti i registri dell'Ufficio al fine di rintracciare tutte le persone condannate a morte dai tribunali tedeschi per reati contro le truppe tedesche, al fine di ucciderle. Tutta la notte cercammo tra i registri, ma non riuscimmo a trovare un numero sufficiente a raggiungere un numero richiesto per l'esecuzione. Non essendo riusciti nell'intento, facemmo un'ulteriore ricerca nei registri per vedere se ci fossero persone non ancora processate, ma che erano state arrestate per essere o coinvolte in offese contro truppe tedesche, o trovate in possesso di armi da fuoco ed esplosivi, o alla testa di movimenti clandestini. I loro nomi vennero aggiunti all'elenco. Non riuscimmo, tuttavia, a trovare persone sufficienti, per cui, credo, che venne chiesto al Questore Caruso (condannato a morte e fucilato, ndr) di fornire persone sufficienti a costituire il numero di trecentoventi. Il giorno seguente, verso le ore 10,00, Kappler chiamò di nuovo tutti noi ufficiali, dicendoci che il Comandante del reggimento di Polizia, i cui soldati erano stati uccisi, si rifiutava di mettere in pratica l'esecuzione capitale, e che i soldati del Quartier generale in via Tasso dovevano essere gli esecutori. Ci disse che questa era cosa orribile da fare e che tutti gli ufficiali per mostrar ai soldati che avevano il sostegno degli ufficiali, avrebbero dovuto sparare un colpo all'inizio e un altro alla fine. Verso mezzogiorno del 24 marzo 1944, circa ottanta, novanta soldati dei Reparti III e IV andarono alle Cave Ardeatine. All'arrivo vidi i prigionieri nella cava. Tutti avevano le mani legate dietro la schiena, e quando i loro nomi venivano chiamati si incamminavano all'interno della cava in gruppi di cinque. Erano presenti dieci o dodici ufficiali, tra i quali Kappler, i capitani Schutz, Clemens, Wetjen e Koehler, i Maggiori Domizlaff e Hass, i Tenenti Tunath e Kahrau, e altri del reparto III. Io entrai con il secondo o terzo plotone e uccisi un uomo con un mitra italiano. Verso la fine uccisi un uomo con lo stesso mitra. Le esecuzioni terminarono la sera, quando stava calando l'oscurità. Nel corso della serata arrivarono alcuni genieri tedeschi e dopo l'esecuzione le cave furono fatte saltare. Non so se fu Kappler, Maeltzer o Kesserling a ordinare di far esplodere le cave. In quel periodo a Roma c'era uno stato d'emergenza, sebbene non fu pubblicata alcuna dichiarazione sull'effetto, poiché quasi ogni notte c'erano azioni contro le truppe tedesche».
Priebke si è fatto mezzo secolo di libertà, prima di essere estradato dall'Argentina. Non risulta che abbia mai avuto una parola di rimpianto. A questo brevissimo elenco, vanno aggiunti i 31 ergastolani rei delle stragi di Marzabotto, Stazzema, Fivizzano ecc.. Non sono fuggiaschi, non sono evasi, non sono latitanti. Sono tranquilli e liberi: la Germania li protegge, l'Italia fa finta di niente.

*Autore del libro L'armadio della Vergogna

 

16 ottobre

 

1. ASPENIO LETTA HA FATTO IL SUO BRAVO COMPITINO COL FIDO SACCOMANNI, E ADESSO SPERA DI GALLEGGIARE FINO AL 2015. LA LEGGE DI STABILITÀ IMPOSTA DALL’EUROPA PROMETTE (TENETEVI FORTE) UN CALO DELLA PRESSIONE FISCALE DI 1% NEL TRIENNIO

2. SE NE SIETE CAPACI, TROVATE SUI GIORNALONI QUALI SONO LE PREVISIONI DI CRESCITA DEL PIL FORMULATE DAL GOVERNINO DI LARGHE ATTESE. TROVERETE SOLO MANCE DI FACCIATA A IMPRESE E DIPENDENTI E SOLITE MARCHETTE A BANCHE E ASSICURAZIONI

3. LA GRANDE PARACULATA DEMOCRISTIANA È STATA LA “FUGA DI NOTIZIE” DELLA VIGILIA SU PRESUNTI TAGLI MILIARDARI ALLA SANITÀ, CHE POI INVECE SONO EROICAMENTE RIENTRATI

4. MENTRE KAKY ELKANN “RIUNISCE I BIG DEI MEDIA IN RCS" LA QUOTA DI MERCATO FIAT IN EUROPA CALA AL 5,5% DAL 6% DELL’ANNO SCORSO. A FARE LE AUTO NON SEMBRA ESSERE TROPPO CAPACE, MA SUI GIORNALI MAGARI CI STUPIRÀ CON GLI EFFETTI SPECIALI

 

15 ottobre

 

 

Tra ozono e polveri sottili, viviamo in città irrespirabili

Allarma il rapporto dell'agenzia europea per l'ambiente sulla qualità dell'aria nelle città del vecchio continente: una persona su 4 costretta a respirare inquinanti oltre i limtiti fissati dall'Ue, 9 su 10 oltre i valori suggeriti dall'OMS. E si continua a morire

ANTONIO CIANCIULLO

ROMA - Nelle città europee 1 persona su 4 è costretta a respirare un'aria con una quantità di inquinanti che supera i limiti fissati dalla Ue. E 9 persone su 10 sono costrette a respirare un'aria che supera i valori suggeriti dall'Organizzazione mondiale di sanità. Sono numeri che rendono inutili gli aggettivi. E' una condanna senza appello alla gestione della mobilità urbana - principale responsabile dell'inquinamento in molte delle città - quella che viene all'Agenzia europea per l'ambiente con il rapporto Air quality in Europe 2013 reso noto questa mattina.

A voler essere ottimisti si può sottolineare che il trend di alcuni inquinanti (ad esempio l'anidride solforosa collegata soprattutto alla cattiva qualità dei riscaldamenti) è in miglioramento, ma la situazione generale è di una gravità che non giustifica le scelte che in molti paesi (Italia inclusa) continuano a premiare la macchina e a rendere difficile la vita a chi opta per soluzione alternative (trasporto pubblico, bici, piedi, car sharing). Le PM 2,5 cioè le polveri ultrasottili considerate l'inquinante più insidioso, sono sopra i limiti suggeriti dall'Oms in una percentuale che varia dal 91 al 96% dei casi. Le concentrazioni di ozono di bassa quota, quello pericoloso, superano le indicazioni Oms nel 97-98% dei casi.

E' una situazione che, oltre a produrre effetti negativi sulla stabilità del clima, provoca un danno diretto alla salute. Il particolato penetra, attraverso gli alveoli polmonari, nel sangue modificandone, tra gli altri effetti, la viscosità. E mentre la frazione relativamente più grande delle polveri sottili provoca bronchiti, mal di gola e crisi asmatiche, le più piccole (le PM 2,5) producono un incremento della mortalità da malattie cardiovascolari e da tumori.

Proprio nel luglio scorso è arrivata la prima importante conferma della stretta relazione fra inquinamento atmosferico e tumori del polmone. Sulla rivista Lancet Oncology sono stati pubblicati i risultati di una ricerca condotta su oltre 300 mila persone residenti in 9 paesi europei. E' stato misurato in particolare l'inquinamento da polveri sottili tossiche nell'aria dovute in gran parte alle emissioni di motori a scoppio, impianti di riscaldamento, attività industriali. Per ogni incremento di 10 microgrammi di Pm 10 per metro cubo, il rischio di tumore al polmone aumenta di circa il 22%. E si sale al 51% per una particolare tipologia di tumore, l'adenocarcinoma, l'unico che si sviluppa in un significativo numero di non fumatori.

Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte nei Paesi industrializzati. Solo in Italia nel 2010 si sono registrati 31.051 nuovi casi. La ricerca mostra che più alta è la concentrazione di inquinanti nell'aria maggiore è il rischio di sviluppare un tumore al polmone. Inoltre dalla misurazione delle polveri sottili, l'Italia è risultata essere tra i paesi europei più inquinati.

 

La falsa coscienza dell’Italia sull’immigrazione e la Bossi-Fini

di Massimo Nicolazzi

Tutta l'ipocrisia del nostro dibattito sull'immigrazione, fra respingimenti (verso dove?), sanzioni (meglio le carceri d'Italia o le pallottole di Siria?), accoglienza (come?), sensi di colpa postumi. Tanto qui non vuole rimanere nessuno.

Lampedusa. Fu la legge Bossi-Fini . Facciamo finta che il reato di immigrazione clandestina ci sia tutto dentro (in realtà, la Bossi-Fini elevava a reato solo il rientro del già espulso; e la formulazione attuale risale invece alla 94/2009, presidente Berlusconi, guardasigilli Alfano; ma transeat ). La tesi della “colpa” della Bossi-Fini equivale a dire che più reprimi e più li attiri e ne arrivano. Come dire che è bastato elevare l'immigrazione clandestina da illecito amministrativo a reato penale perchè Lampedusa si riempisse. Vi pare il caso?

Una piccola concessione alla ragione . Arrivano, e su carrette a incipiente disastro, non “grazie a”, ma “nonostante” la Bossi-Fini. L’esperienza di quella legge e dei suoi inasprimenti successivi impartisce un solo e semplice insegnamento: l’indifferenza dell’immigrazione clandestina alla sanzione e alla sua escalation.

Qualunque sanzione prometta qui la civiltà occidentale (nel nostro caso non è neanche galera, ma giusto ammenda da 5 mila a 10 mila euro; e se anche fosse galera sarebbe lo stesso) è comunque - e di molto - più sopportabile di quel che il migrante si lascia alle spalle. Meglio il rischio della galera in Italia che la certezza della bomba e della fame in Siria. Fuor di moralità e moralismo, la repressione è inutile semplicemente perchè è inefficace.

Oggi più di ieri . Perchè la qualità della disperazione è cambiata e si è approfondita: ieri demografia e fame e lavoro; oggi dal Kurdistan alla Siria alla Libia ad altrove anche bombe e pallottole e persino chimica e guerra civile. E tu pensi di fermare la transumanza della disperazione col reato di emigrazione clandestina? In realtà neanche ti riesce di dar pensiero allo scafista; che per lui forse la sanzione qualcosa potrebbe deterrere, ma per questo dovresti attrezzarti a prenderlo, chiuderlo e buttare via la chiave.

La disperazione. Insieme ai barconi ha affondato anche i miti della falsa coscienza. Il respingimento, anzitutto. Ma dove lo respingi se non ha più un posto dove andare? E come pretendi che non ci riprovi, insomma che non trasformi un respingimento in un rimbalzo? E poi “aiutarli a casa loro”. Bellissimo, se avessero ancora una casa loro. Tradotto in siriano, oggi significa scegliere tra potenziare l’accoglienza nei campi profughi in Giordania o potenziarla a Lampedusa. E scusali se preferiscono Lampedusa.

Già, Lampedusa. Non ci arrivano perchè attirati dalla Bossi-Fini; o perchè innamorati del Bel Paese; o perchè qui c'è lavoro e futuro. Niente di politico. Cartografia allo stato puro. Lampedusa è un lembo di Ue raggiungibile in barcone; Amburgo meno. La Libia è costa dove puoi persino costruire i barconi sulla spiaggia; l’Algeria un po’ meno. Puoi legiferare, blaterare, strafare: o togli Lampedusa dalla carta geografica o continueranno a fare rotta lì.

Qui la coscienza, magari distratta dalla Bossi-Fini , si fa giusto falsa; e coscientemente tale. La prassi è quasi in forma di eugenetica mediterranea. Lei se non sta nelle quote e non ha un lavoro non può entrare. E quindi non La posso fare legittimamente viaggiare. Però se arriva con mezzi suoi, nuoto o carretta o pedalò, insomma veda Lei, io che sono umanitario non posso che aiutarla. La sovraffollo in un centro di accoglienza; magari se mi chiede asilo politico ci do un occhio, che di sicuro nell’ambasciata di da dove viene non ci è riuscito ad entrare; e magari sul respingimento Le faccio trovare un’autorità più flessibile di quella istituzionalmente preposta alle signore kazache. Fino a quando navigava (?) Lei era un alieno senza diritti. Ma adesso è sbarcato. Vivo. Anzi, sopravvissuto. L’adattamento darwiniano alla traversata del Mediterraneo Le dà titolo di partecipazione all’umanità sofferente. Magari Le sarà negata la cittadinanza. Non certo la pietas .

Qualità della disperazione e inefficacia della sanzione . E la falsa coscienza umanitaria a farvi da ponte. Il “respingimento” come mimesi dell’incapacità di una politica (e forse, in termini di consenso, anche della sua impossibilità). Dell’incapacità di riconoscere che se la sanzione occidentale è inefficace allora l’alternativa è secca: o li affondi prima che sbarchino o li accogli.

Se li affondi ti tocca militarizzare la frontiera , American style . Se li accogli devi però anche garantirgli un viaggio ragionevolmente sicuro, e non giusto la selezione della specie per annegamento.

Non so cosa voglia dire “chiedere scusa” per il naufragio di Lampedusa. A meno che non voglia dire che da domani li facciamo viaggiare sicuri. Perchè il binomio respingimento-barcone è indissolubile; e se è di questo che stiamo chiedendo scusa dobbiamo tirarne le conseguenze. Tutto il resto è tartufismo.

Poi per carità ci vuole gradualità e regole e procedure . Però davanti alla nuova disperazione non c’è via di mezzo tra la politica dell’accogliere e la politica del respingere. E fuor di scuse sarebbe bene capire meglio la direzione di marcia. Anche la direzione europea, che se i nostri ultrà ascoltassero le voci dei profughi gli verrebbe forse e per paradosso da rasserenarsi.

Raro trovarne uno che voglia star qui . Lampedusa te la confermano essere un accidente cartografico. Vogliono Germania, e Svezia, e Francia, e altro. Hanno rischiato la vita sperando di ascoltare una proposta di lavoro, e non un dibattito sull’imu. Chiedono di potersi spargere e riallocare da Lampedusa a dentro l’Europa. “Soluzione europea” è anche eufemismo per dire che non è il nostro mercato del lavoro di oggi che li può accogliere o almeno attirare.

Finirà che manterremo abbastanza falsa coscienza da non spiegargli che l’Europa in questo è giusto stato d’animo; e da continuare a respingerli.

 

Consiglieri regionali, fondi e 'spese pazze': pecore, penne e le (proprie) tasse sui rifiuti

In 16 Regioni inchieste per peculato, truffa e concussione sui rimborsi dei gruppi nei 'parlamentini'. Ma indulto e amnistia potrebbero rappresentare un colpo di spugna normativo, caso Fiorito in primis. A deputati e senatori il compito di decidere quali reati condonare. Nel 2013, intanto, sforbiciate sui fondi: da 47 milioni di euro a 9 milioni.

La mappa delle indagini di MICHELA SCACCHIOLI

Sono finiti sotto inchiesta per peculato, truffa e concussione. Un'indagine che - da nord a sud - si è allargata a macchia d'olio su un 'esercito' di consiglieri regionali. Un pentolone di 'spese folli' che la magistratura ha iniziato a scoperchiare più di un anno fa ma che ora rischia di esplodere in un nulla di fatto in virtù dell'indulto e dell'amnistia. Caso Fiorito in primis (l'ex capogruppo del Pdl in Lazio è già stato condannato in primo grado). Nei giorni scorsi il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha invocato provvedimenti di clemenza per scongiurare il sovraffollamento nelle carceri: ma sarà compito di deputati e senatori (serve l'accordo dei due terzi del parlamento) 'perimetrare' tali misure e decidere quali reati infilare sotto l'ombrello del condono (della pena) e dell'oblìo (dei reati).

Il dibattito imperversa sulle sorti di Silvio Berlusconi, condannato in Cassazione per evasione fiscale, e sulle ripercussioni reali di tali misure. I dubbi, però, ora investono anche lo scandalo sui rimborsi spese dei gruppi consiliari regionali, e serpeggia il timore che la gestione 'allegra' di tali fondi possa chiudersi con colpo di spugna normativo. Ci si aspetta il braccio di ferro in aula visto che sarà compito di deputati e senatori fare sì che reati considerati di particolare 'allarme sociale' rimangano fuori dalla cornice. Di sicuro c'è che, accanto alle inchieste penali, a spulciare scontrini, fatture e ricevute di dubbia provenienza ci si è messa ovunque la Corte dei conti: ai giudici contabili rimarrà comunque la facoltà di sanzionare coloro che saranno ritenuti colpevoli, e di obbligarli alla restituzione del maltolto laddove ci sarà chi deciderà di costituirsi parte civile.

Il denaro a disposizione dei 'parlamentini'. Spalmati lungo tutta Italia, nel 2011 i soldi pubblici a disposizione dei consiglieri regionali eletti sono stati ben 47 milioni di euro. Rimborsi extra destinati ai gruppi, s'intende, che sono andati ad affiancarsi al lauto compenso percepito mensilmente. Ma complici le inchieste giudiziarie che hanno aperto uno squarcio inquietante sulla gestione 'allegra' del denaro versato dai contribuenti e destinato - sulla carta - al funzionamento dei singoli parlamentini, la mannaia normativa ha tentato di ridimensionare la portata dello scandalo sulle 'spese pazze' e di calmierare l'ammontare dei rimborsi elargiti a uso e consumo dei singoli gruppi consiliari. Nell'elenco degli acquisti effettuati negli anni passati col denaro di rappresentanza, infatti, è finito davvero di tutto: dai profumi alle penne d'oro, dalla lap dance alle pecore, passando per il buffet a base di cornetti, paste secche e latte di mandorla offerto, dopo un funerale, ai parenti del caro estinto. Ma c'è stato perfino chi ha usato quei soldi per saldare la propria tassa sui rifiuti. A pagare, in realtà, i cittadini.

E così, dalla Calabria al Piemonte, la sforbiciata imposta dalla nuova legge varata alla fine dello scorso anno dal governo Monti ha sottratto 37,3 milioni di euro dalle tasche delle singole assemblee legislative. Di fatto, una riforma del finanziamento pubblico ai gruppi politici, dettata da Roma ai territori. Peccato che si sia deciso di 'chiudere la stalla' quando ormai i buoi erano scappati. Tuttavia, a partire dal 1° gennaio 2013 i fondi a disposizione sono, complessivamente, poco più di 9 milioni. Il calcolo è presto fatto: 5mila euro per ciascun consigliere più 0,05 euro per abitante di ogni regione

Da sinistra a destra, dentro allo scandalo ci sono finiti tutti. Ma se dal punto di vista mediatico la stretta sui costi è stata anche un modo per provare a contenere l'indignazione popolare generata negli anni dai diffusi sentimenti anti casta e riesplosa furiosa dinanzi a vicende come il 'caso Fiorito', sul fronte giudiziario le singole procure sono ampiamente al lavoro.

Dopo le segnalazioni legate a presunte irregolarità riscontrate negli anni passati e inviate dalla Corte dei conti ai tribunali, 16 Regioni su 20 sono finite, una dietro l'altra, nel mirino della magistratura. Che in queste ore continua ad analizzare le note spese dei gruppi consiliari accusati, a seconda dei casi, di peculato, di truffa e/o di concussione. Il quadro a oggi è complesso e variegato, a partire dalle teste già saltate. In Sardegna, Umbria e Basilicata alcuni politici sono finiti a processo, mentre in Friuli Venezia Giulia talune posizioni sono appena state archiviate. Altrove sarebbe in dirittura d'arrivo l'avviso di conclusione delle indagini. Accade anche che gli indagati fossero già stati rieletti nell'attuale legislatura: sulla base della legge Severino, i consigli voteranno la sospensione (ma non la decadenza) dalla carica qualora arrivassero condanne di primo grado.

SFOGLIA LA MAPPA DELLE INCHIESTE REGIONE PER REGIONE
http://www.repubblica.it/politica/2013/10/14/foto/parlamentini_e_spese_pazze_la_mappa_delle_inchieste-68401376/1/?ref=HREC1-4#1

 

14 ottobre

E’ Ior quel che luccica. Dietro il crac del gigante sanitario “Casa Divina Provvidenza” c'è uno strano conto alla "Banca di Dio”

I giudici fallimentari hanno scoperto maxi parcelle ad alcuni professionisti e uscite mal documentate - Seguendo il denaro, si arriva così a un conto allo Ior sul quale moltissimi soldi hanno fatto “scalo” per poi rientrare, in parte con lo scudo fiscale, di nuovo in Italia - La suora con 27 mln di euro sul conto…

Giuliano Foschini per "La Repubblica"

Tra la Puglia e la Basilicata ci sono 1.500 persone che rischiano un posto di lavoro. Mentre sul conto corrente di una suora ultrasettantenne, dopo un passaggio da un deposito dello Ior, ci sono 27 milioni di euro che, sospetta ora la magistratura, probabilmente non dovevano essere lì. Ma sarebbero dovuti servire per salvare i lavoratori e le loro famiglie.

La storia è quella della Casa divina provvidenza, un gigante della sanità convenzionata da queste parti con strutture a Foggia, Bisceglie e Potenza. Dopo anni di casse integrazioni e ammortizzatori sociali vari finanziati dallo Stato, nonostante i milioni di euro che ogni anno arrivavano da Puglia e Basilicata per l'attività assistenziale svolta, la Cdp dopo anni di crisi non ha potuto fare altro che certificare un buco di bilancio da mezzo miliardo di euro e portare i libri in tribunale.

L'amministrazione ha chiesto di accedere a un concordato preventivo per salvare continuità aziendale e posti di lavoro Ma la questione, dalla giustizia fallimentare, ora si è spostata anche a quella penale.

Analizzando la richiesta del nuovo management dell'ente (il nuovo dg si chiama Giuseppe De Bari, indagato nell'inchiesta del porto di Molfetta), i giudici fallimentari hanno scoperto conti strani, con un'azienda che intascava tanto e spendeva tantissimo. Da qui la decisione di inviare la documentazione alla procura di Trani.

Il procuratore Carlo Maria Capristo, l'aggiunto Francesco Giannella e il pm Silvia Curione cominciano gli accertamenti e si imbattono in una serie di strane transazioni: maxi parcelle ad alcuni professionisti (450mila euro, i due legali sono ora indagati insieme con la madre generale, suor Marcella Cesa) e soprattutto uscite mal documentate. Seguendo il denaro, si arriva così a un conto corrente dello Ior sul quale questi soldi transitano per poi rientrare, in parte con lo scudo fiscale, di nuovo in Italia.

Non però sui conti correnti della Casa divina Provvidenza ma su quelli di un altro ente, Casa di Procura, amministrato da una suora settantenne, Assunta Puzzello. I magistrati chiedono e ottengono il sequestro di quei 27 milioni, nonostante i legali della suora sostengano che la Casa di Procura non sia un ente fittizio e quei soldi non siano il frutto di una struttura finanziaria parallela che serviva a nascondere i soldi dai creditori come invece sospetta la procura. "Quel denaro - insiste la religiosa - arriva dagli accantonamenti dell'attività sanitaria assistenziale svolta dalle suore". Sono vecchie pensioni e contributi mai pagati, dice.

I magistrati però non ne sono affatto convinti. Tanto che si apprestano a chiedere una rogatoria alla Città del vaticano per capire qualcosa in più su quel conto Ior. Forti anche di una vecchia lettera, appena acquisita agli atti dell'inchiesta, nella quale l'allora vice presidente dell'ente, il commendatore Lorenzo Leone (deceduto negli anni scorsi), scrive al Vaticano parlando di una situazione di benessere della struttura e di una dote di 60 miliardi delle vecchie lire nella disponibilità delle Ancelle della Divina Provvidenza (l'equivalente dei 27 milioni di euro sequestrati ora). Siamo negli anni ‘90, poco prima delle richieste di aiuto alle casse pubbliche da parte della Casa che intascava comunque milioni di euro dalla sanità pubblica pugliese e lucana per il lavoro svolto.

Leone non è uno qualsiasi in Vaticano: vicinissimo a padre Donato De Bonis, braccio destro di Marcinkus, ha disponibilità su una serie di conti correnti nelle banche del Vaticano. Compreso uno dalla denominazione "Suore Ancelle della Divina Provvidenza-Bisceglie".

In attesa di sciogliere alcuni di questi nodi, la Procura si è opposta al concordato preventivo dell'ente, chiedendone il fallimento. L'udienza decisiva si terrà il 5 novembre.

 

8 ottobre

Premio Nobel dell'ipocrisia

Alessandro Dal Lago

Per quello che è successo a Lampedusa non ci sono aggettivi. Ma le cose che si sentono in queste ore fanno venire la nausea. Non parlo della Lega, che come sempre merita solo silenzio. Parlo di quell'onda di untuosità, ipocrisia e smemoratezza che ci sta sommergendo. Come se l'Italia, l'Europa e l'Occidente volessero passare una mano di calce su una realtà di cui sono responsabili, ma che non ammetterebbero mai, perché in tal caso non potrebbero che auto-accusarsi.
Che significa proporre Lampedusa per il Premio Nobel per la pace, come Alfano sulla scia di Berlusconi? Con tutta l'ammirazione che possiamo provare per i singoli cittadini che si tuffano in mare per salvare i migranti, come è avvenuto tante volte in questi anni, in Sicilia o in Puglia, è evidente che la proposta di Alfano mira a una bella auto-assoluzione dell'Italia e, indirettamente, dei suoi brillanti governi.
Si dice che alcuni pescherecci abbiano ignorato l'incendio che ha preceduto l'affondamento del battello. E perché? Perché una norma del Testo unico sull'immigrazione prevede il sequestro delle barche che soccorrono i migranti, in quanto si renderebbero responsabili del «favoreggiamento» dell'immigrazione clandestina. Una norma ignobile, disumana, che espone i pescatori al rischio di perdere imbarcazione e lavoro (e che va a eterna vergogna di chi l'ha concepita).
Ora, chi sono i responsabili? I pescatori o chi ha inventato le norme sui respingimenti, cioè Bossi, Fini e i loro consiglieri? Per fortuna, Fini è scomparso nel nulla e Bossi giù di lì. Ma con che faccia quelli del Pdl blaterano di premi Nobel e vergogna, dopo che hanno varato loro, anni fa, la Bossi-Fini?
Ma non sono i soli a dar priva di amnesia. Quello di Lampedusa è il terzo caso di naufragio con strage di massa nel Mediterraneo. Il primo avvenne a fine dicembre 1996, quando una carretta maltese si scontrò con la nave Yohan, da cui stava trasbordando dei migranti, e colò a picco portando con sé quasi trecento esseri umani. Ci vollero anni perché la verità, raccontata all'inizio solo da questo giornale, emergesse. L'anno dopo, la Kater i Rades affondò con un'ottantina di persone, perché entrata in collisione con la corvetta italiana Sibilla, che stava procedendo a una manovra di dissuasione, cioè stava impedendo alla nave albanese di proseguire verso l'Italia con il suo carico di profughi. I due capitani, quello albanese e il comandante italiano, furono condannati a pochi anni di prigione. Ma nessuno si è mai sognato di chiamare in causa chi aveva organizzato l'operazione «Bandiere bianche», che aveva lo scopo di tener lontano gli albanesi dai nostri "sacri confini", per usare una nota espressione di Beppe Grillo. E chi c'era al governo allora, se non Romano Prodi e un buon numero di esponenti dell'attuale Pd?
Ed eccoci all'ecatombe dell'altro ieri. Qualcuno ci spiegherà prima o poi come è possibile che un barcone con centinaia di persone a bordo traversi il Canale di Sicilia, e arrivi fino a poche centinaia di metri da Lampedusa, in una zona di mare sorvegliata da radar, satelliti e battelli militari di ogni tipo, senza che nessuno, tranne uno o due barche da diporto, se ne accorga. Con tutta la paranoia pubblica e ufficiale che circonda la sorveglianza dei nostri confini, il fatto è inspiegabile. E temiamo che resterà tale.
Ma la questione essenziale è che, finché migranti e profughi saranno costretti alle ventura in mare, questi naufragi si ripeteranno. Ma non perché non funziona Frontex, ma esattamente perché c'è Frontex. Questa bella trovata della burocrazia europea non ha il compito di proteggere i migranti, ma, esattamente, di tenerli lontani - e cioè di rafforzare la clandestinità a cui i migranti sono costretti e che ne ha portato 20.000 ad annegare nel Canale di Sicilia e nel resto del Mediterraneo. È un circuito infernale. Leggi come la Turco-Napolitano e la Bossi-Fini hanno sempre avuto lo scopo di impedire l'accesso legale dei migranti in Europa, con i respingimenti, le norme draconiane sul favoreggiamento e i Cpt o Cie. Chi ha di fronte a sé la prospettiva della morte in guerra o per fame non può che tentare la via del mare. È vero che scafisti e canaglie d'ogni genere li traghettano a pagamento verso l'Europa. Ma smettiamo di considerare responsabili solo loro. Il gangsterismo americano degli anni Venti fu un effetto del proibizionismo e non viceversa.
Se vogliamo che queste stragi finiscano permettiamo ai profughi e migrati di trovare una possibilità da noi. Facciamoli entrare legalmente. Non sono milioni, come blaterano i paranoici e i leghisti. Sono centinaia di migliaia di esseri che ci chiamano. E noi, i civili europei, siamo cinquecento milioni di sordi.

 

Sul palco del lavoro, la battaglia degli stagisti

La battaglia contro la pratica degli stage gratuiti fa breccia anche negli Stati uniti. E il sito ProPublica lancia una campagna per documentare le storie di questa "economia emergente"

“ Chiara ha ventiquattro anni. Ogni mattina si sveglia alle sei meno un quarto, esce e fa un'ora di strada per arrivare in ufficio. Alle sei di sera si rimette in viaggio e riattraversa la città; cena, si fa la doccia e si mette a letto, perché il giorno dopo la sveglia suonerà di nuovo prima dell’alba”.

Una quotidianità come tante quella di Chiara. Originaria di Chieti, una laurea in comunicazione pubblicitaria conseguita con il massimo dei voti a Perugia, la ricerca di un lavoro e finalmente, dopo un “colloquio” andato a buon fine, il trasferimento a Roma in qualità di junior account per un'azienda attiva nel settore food & beverage. Il suo compito è quello di fare da interfaccia tra l'azienda e chi compra le campagne pubblicitarie, trovare e seguire i potenziali investitori, preparare preventivi e proposte. Ufficialmente però Chiara non sta lavorando. È solo in stage. Teoricamente in formazione dunque anche se nessuno, racconta, le fa da guida.

Una storia simile a quella di Matteo (nome di fantasia) che come Chiara racconta la sua esperienza a Eleonora Voltolina, direttrice responsabile e animatrice de Repubblica degli stagisti , blog nato nel 2007 e dal 2009 testata giornalistica che dà voce a coloro che, seguendo l'etimologia della parola inglese, dovrebbero essere gli esordienti del mondo del lavoro.

“ Ho cominciato uno stage, in un ente territoriale di cui preferisco non specificare il nome, dopo essermi laureato, accettando perchè ritenevo l'offerta formativa interessante. Adesso sono tre mesi che svolgo lo stage e nessuna delle attività formative di cui parlai col tutor al colloquio mi è stata assegnata. In pratica mi ritrovo qui spesso senza fare niente e in alternativa svolgo mansioni abbastanza frustranti che non richiedono particolari abilità o che siano formative. In più, ciliegina sulla torta, il mio tutor l'ho visto solo due volte! Ma io secondo voi come mi devo comportare? Lo stage dura altri tre mesi ma a me sembra di stare qui a perdere tempo. In più mi pagano zero. All'inizio avevo accettato di non percepire niente perchè ritenevo comunque l'offerta formativa importante. Adesso, appurato che questo stage si sta rivelando una vera delusione e visto anche l'assenteismo del tutor, posso fare valere qualche specie di mio diritto per ottenere almeno un minimo di rimborso spese anche se nel contratto di tirocinio che ho firmato non era previsto?”

Difficile dire persino quanti sono gli stagisti in Italia. L'unica indagine statisticamente rappresentativa è quella realizzata ogni anno dalle Camere di Commercio (il rapporto Unioncamere – Excelsior) che quantifica, ma i dati sono riferiti al 2011, in circa 300 mila il numero degli stagisti nelle imprese private. A questi, la Repubblica degli stagisti , aggiunge circa 150-200 mila stagisti negli enti pubblici e altri 70 mila nelle associazioni non profit. In totale, mezzo milione di più o meno giovani che affidano all'esperienza del tirocinio formativo la possibilità di ingresso nel mondo del lavoro. In più della metà dei casi senza neppure un rimborso spese. Troppo spesso, come denunciano in tanti sui vari blog in rete, senza nemmeno un percorso formativo adeguato. E comunque con risultati non proprio brillanti visto che, sempre secondo la rilevazione di Unioncamere del 2012, appena il 10 percento di loro viene assunto al termine dello stage.

Dimenticati dalle statistiche ufficiali, ignorati dalla politica, sfruttati il più delle volte dalle imprese. Qualcosa si è mosso il 24 gennaio scorso, quando la Conferenza Stato Regioni, recependo le indicazioni della riforma del lavoro targata Fornero, ha emanato le “Linee guida in materia di tirocini”. Un elenco di requisiti minimi - che introduce per la prima volta un compenso obbligatorio minimo di 300 euro al mese – privo però di valore normativo. Spettava poi alle singole Regioni, che hanno la competenza in materia di formazione, tradurle in dettato di legge. Termine massimo, sei mesi. Sono scaduti il 26 luglio scorso, e ad oggi mancano ancora all'appello le leggi di diverse Regioni: la Sardegna, il Friuli e soprattutto la Lombardia, regione quest'ultima che da sola vanta la presenza di 90 mila stagisti italiani. “Le cose stanno cambiando è vero, ma ci sono ancora molti limiti”, sostiene Eleonora Voltolina. Sopra a tutto il fatto che le nuove norme valgono solo per i cosiddetti stage extracurricolari, quelli svolti cioè al di fuori del percorso formativo accademico, che sono però solo la metà del numero totale. Con il rischio quindi che chi vuole continuare ad abusare dei tirocini si dirotti su quelli curricolari, la cui regolamentazione spetta non alle Regioni ma direttamente al ministero dell'Istruzione.

Non si può dire d'altro canto che sia il pubblico a dare il buon esempio. Una settimana fa, l'impennata di visite non previste – oltre 67 mila - sul sito ministeriale Clicklavoro ha letteralmente messo ko il server. In palio c'erano 3 mila tirocini, a 500 euro lordi al mese, all'interno di un progetto formativo, curato da Italia Lavoro e finanziato con 10 milioni di euro a carico del Fondo di rotazione del ministero del Lavoro, destinato a giovani laureati delle regioni del Sud (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia), dove più alta è la percentuale di Neet, di giovani cioè non inseriti cioè all'interno di percorsi formativi né lavorativi. Tremila posti disponibili, scadenza al 31 dicembre, 67 mila tentativi di accesso in un giorno, 300 utenti al secondo nel momento di massimo affollamento. Una grande opportunità, scrive l'agenzia ministeriale Italia Lavoro sul suo sito, ma per chi? “Per i giovani certo, ma anche, senza ipocrisie, per le imprese visto che, come spiega Italia Lavoro sul suo sito, non è previsto nessun tipo di vincolo per la successiva stabilizzazione e la copertura delle spese viene assicurata integralmente dallo Stato, deresponsabilizzando in questo modo le aziende ospitanti”, sostiene Eleonora Voltolina. Tanto è vero che, a pochi giorni dall'apertura del bando, già fioccano le denunce. La Cgil siciliana solleva persino il dubbio che “dietro ai problemi tecnici si nasconda una realtà non trasparente con aziende che hanno scelto i propri stagisti senza passare dalla selezione”. Mentre nei blog in rete impazzano le denunce sulle offerte di tirocinio: in molti casi si tratterebbe di annunci per la ricerca di commessi di supermercato, ma allora, è la domanda, che senso ha avere messo tra i requisiti obbligatori una laurea in lettere, geologia, biologia o giurisprudenza?

L'anno scorso uno studio comparativo europeo, condotto dal centro di ricerca britannico Ies insieme al nostro Irs e al tedesco Bibb ha fornito un primo quadro dello status quo su scala comunitaria. Dall'inizio della crisi economica, il numero di stage è cresciuto vistosamente in tutti i paesi europei e in diretto rapporto a disoccupazione e precarietà, inizialmente per fornire una via di accesso meno rigida al mondo del lavoro, poi come escamotage per pagare meno - o non pagare affatto - il lavoro dei giovani. Secondo una ricerca dello European Youth Forum Survey, realizzata nel 2011 su un campione di 4 mila questionari , circa la metà degli stage in Europa non vengono retribuiti e nel 45 percento dei casi la somma corrisposta non è sufficiente a garantire neppure le spese di sostentamento per la vita di tutti i giorni. Inutile dire che, nel quadro normativo europeo, l'Italia si colloca agli ultimi posti della classifica. Anche se, puntualizza l'indagine, la presenza di un quadro normativo di per sè non garantisce la qualità del tirocinio: servono un'applicazione rigorosa, e quindi sanzioni per chi viola le norme, e un monitoraggio costante.

Negli ultimi due anni in tutta Europa sono nate campagne e associazioni, come Intern Aware nel Regno unito, Génération Précaire in Francia, che si battono contro la pratica degli stage gratuiti. Nei giorni scorsi, in Inghilterra - dove già nel 2010 aveva fatto scalpore la presa di posizione dei legali del governo che avevano dichiarato potenzialmente illegali 10 mila stage nella pubblica amministrazione perchè in violazione della legge sul salario minimo, e dove poco meno di due mesi fa ha suscitato indignazione la morte del 21enne tedesco Moritz Erhardt tirocinante nella City di Londra presso Bank of America, deceduto dopo ben 72 ore di lavoro - è stato lo stesso primo ministro David Cameron a invitare pubblicamente i giovani stagisti a segnalare i casi di sfruttamento, annunciando l'istituzione di un numero verde del governo a cui tutti si potranno rivolgere per denunciare o avere informazioni sui loro diritti garantiti dalla legge.

Ma la battaglia contro gli stage non retribuiti ha fatto breccia anche Oltreoceano, dove da giugno scorso fioccano cause e class action contro imprese e multinazionali. Tutto è iniziato l'11 giugno quando un giudice della Corte federale di New York ha dichiarato la nota compagnia di distribuzione Fox Searchlight Pictures colpevole di avere violato la legge sul salario minimo, non pagando nel 2010 due stagisti sul set del film “Black Swan”. “La società ha beneficiato del lavoro gratuito – ha scritto il giudice nella sentenza – laddove, diversamente, avrebbe dovuto assumere dipendenti regolarmente stipendiati”. Due giorni dopo la sentenza, il 13 giugno, uno stagista del magazine W e uno del New Yorker hanno denunciato la multinazionale Condé Nast per essere stati pagati, durante il periodo di tirocinio, meno di 1 dollaro l'ora. Il 17 giugno è arrivata una causa contro la Warner Music Group.

Un sondaggio della National Association of Colleges and employers ha dimostrato che, statisticamente, sono gli stage retribuiti a garantire più possibilità di un impiego al termine del tirocinio, e anche che gli stagisti pagati, quando entrano nel mercato del lavoro, beneficiano di stipendi decisamente più alti. A luglio scorso il sito di giornalismo investigativo ProPublica ha lanciato una campagna di raccolta fondi per ingaggiare una giovane studentessa di giornalismo e mandarla in giro per gli Stati uniti a documentare “l'economia emergente degli stage”. La campagna è stata un successo e ora tutti possono seguire sui social network l'itinerario di questo speciale viaggio investigativo (#ProjectIntern). Non solo, sempre da luglio, una pagina del sito (http://projects.propublica.org/graphics/intern-suits) è specificamente dedicata alla raccolta di tutte le cause e class action istruite contro la pratica degli stage gratuiti. “Interns resist working free”, titolava qualche giorno fa un servizio speciale del New York Times.

Una strada, quella di cause e class action che, come auspica il New York Times , potrebbe prendere piede anche nel nostro paese? “Per ora non si tratta che di casi sporadici”, spiegano dalla Repubblica degli stagisti . È vero che nelle linee guida varate a gennaio si parla per la prima volta anche di sanzioni, ma è altrettanto vero che ogni Regione sarà libera di scegliere se e in quale misura introdurle. Nella bozza della legge Lombarda, per dire, non sono previste sanzioni. “Ci sarà un diritto a macchia di leopardo”, stigmatizza Eleonora Voltolina. Con il paradosso che gli ispettori del lavoro, che dipendono dal ministero, si troveranno a operare diversamente a seconda del luogo di lavoro. Un'assurdità.

Fonte : www.sbilanciamoci.info

 

4 ottobre

Mare monstrum – le vittime della strage annegano una seconda volta nell’ipocrisia dell’europa che tratta lampedusa come se fosse provincia romana e non l’avamposto di un continente - arrivederci alla prossima strage

Tutti sanno che l’unica soluzione consiste nel pattugliare le coste africane e mettere in salvo quei poveri cristi prima che le bagnarole affondino – L’Onu: “Colpa dei governi che hanno puntato sulle politiche di repressione: se non cambieranno atteggiamento, le stragi continueranno…

Massimo Gramellini per "La Stampa"

Quanta ipocrisia sulle facce dei potenti listate a lutto, mentre le vittime della strage annegano una seconda volta nella retorica. Quanto cinismo tra i leghisti che considerano una soluzione respingere i disgraziati, affinché si rassegnino a morire a casa propria: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

Intanto in tv va in scena il rito della commozione a reti unificate, la ricerca del caso umano, l'intervista all'eroe da esibire nei talk show per far dimenticare le radici di questo dramma, più ampio nelle dimensioni ma identico ai tanti altri che ci sono scivolati addosso senza lasciare traccia, a parte uno spruzzo di lacrime.

Finché i disperati in fuga dalla violenza e dalla miseria marcivano a spese nostre nei lager di Gheddafi, nessuno si interessava alla loro sorte. Adesso che le gabbie si sono aperte e le bagnarole dei banditi hanno ripreso il largo, si piangono i morti e si continuano a ignorare i vivi.

L'Europa, che fa la morale all'Italia per lo sfondamento di un parametro economico o la dimensione non regolamentare di una zucchina, tratta Lampedusa come se fosse una provincia romana anziché l'avamposto di un continente. Tutti sanno che l'unica soluzione consiste nel pattugliare le coste africane e mettere in salvo quei poveri cristi prima che le bagnarole affondino, invece di fingersi ogni volta sorpresi per il loro arrivo. Ma iniziative simili richiedono un cuore e una testa, non solo un apparato lacrimatorio da sepolcri imbiancati. Richiedono una visione politica, che nell'Europa dei paurosi sembra avere fatto naufragio.

 

3 ottobre

F35, a giugno votato lo stop al programma. Ma l’Italia li compra ancora

Venerdì scorso, 27 settembre, è stato completato l'ordine definitivo dei primi sei cacciabombardieri del sesto e settimo lotto, per i quali erano già stati presi impegni e versato gli anticipi. E lo stesso accadrà nei prossimi mesi e nel 2014 per altri sette aerei dell'ottavo e nono lotto, per i quali erano già stati pagati anticipi per 60 milioni di euro

di Enrico Piovesana

La mozione di maggioranza sugli F35 approvata a fine giugno dopo un duro scontro in aula, doveva sospendere il programma fino alla conclusione, a fine anno, dell’indagine conoscitiva parlamentare sui sistemi d’arma, tutt’ora in corso. Invece, come confermano al fattoquotidiano.it due esperti in materia sentiti dalla commissione Difesa proprio nell’ambito di questa indagine, non c’è stata proprio nessuna sospensione.

Lo dimostra il fatto che venerdì scorso, 27 settembre, l’Italia ha completato l’ ordine definitivo dei primi sei cacciabombardieri F35 del sesto e settimo lotto, per i quali aveva già preso impegni e versato gli anticipi previsti dalla complessa rateizzazione contrattualistica del programma Joint Strike Fighter . E lo stesso accadrà nei prossimi mesi e nel 2014 per altri sette F35 dell’ottavo e nono lotto, per i quali erano già stati pagati anticipi per 60 milioni di euro.

“Quest’ultimo contatto è la dimostrazione di come, al di là della buona fede dei parlamentari, la sospensione prevista dalla mozione non ha fermato le acquisizioni italiane nell’ambito del programma JSF, che semplicemente proseguono secondo la tempistica stabilita”, spiega Gianandrea Gaiani , direttore di Analisidifesa.it, sentito dalla commissione d’indagine all’inizio di agosto. “La Difesa è andata avanti con il programma infischiandosene dell’indagine conoscitiva, ben sapendo che non avrebbero sospeso un bel niente perché non potevano bloccare le quattordici acquisizioni già avviate per i lotti 6,7, 8 e 9. Al massimo potranno essere impedite le acquisizioni per i lotti successivi sui ancora non è stato preso alcun impegno contrattuale, ma i tredici aerei che abbiamo comprato e che stiamo comprando ce li terremo, salvo rivenderli ‘a chilometro zero’ a paesi terzi appena usciranno dalla fabbrica di Cameri “.

“Oggi spiegherò proprio questo ai parlamentari della commissione Difesa, ovvero che la moratoria del programma JSF è di fatto inesistente”, dice Francesco Vignarca, direttore della Rete Disarmo, prima di entrare a Montecitorio per la sua audizione. “I complessi meccanismi contrattuali del programma F-35 rendono velleitaria ogni pretesa di sospensione, come dimostra il contratto di venerdì scorso. Un contratto che tra l’altro prevede per questi sei velivoli, che sono nostri, una partecipazione industriale italiana solo al 5 per cento, ben al di sotto del 20 per cento propagandato dalla Difesa, che continua a favoleggiare su ritorni industriali ed economici inesistenti”.

D’altronde lo stesso amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa , durante la sua audizione in commissione di pochi giorni fa aveva diplomaticamente espresso il suo scarsissimo entusiasmo per il programma: con gli F35, ha detto Pansa, “siamo esecutori intelligenti di scelte altrui. Non è con la fornitura di parti d’aerei di grandi dimensioni che Finmeccanica costruisce il suo futuro di operatore tecnologico d’avanguardia “.

Ma al ministero della Difesa non sento ragioni e proseguono dritti sulla strada dell’F35, incuranti delle mozioni e delle indagini parlamentari e sordi agli autorevoli pareri negativi di dirigenti industriali e perfino del Pentagono , che ancora ieri è tornato a denunciare in un rapporto le gravissime pecche tecniche e quindi economiche di questo aereo.

 

L'operetta Telecom

Improvvisamente ci si ricorda della golden share, la possibilità per lo stato di tenere l'azienda di telecomunicazioni in mani italiane. Ma i giochi ormai sono fatti e migliaia di posti di lavoro sono a rischio

Solo qualche giorno fa (finalmente) il caso di Telecom Italia era balzato in cima all'agenda delle priorità. Rimasta in sonno per anni, la storia dell'ex più importante azienda italiana del settore era tornata all'improvviso di attualità. Arrivata l'ora X della conclusione del patto di Telco, la finanziaria di comando, Telefonica ha dato il via alla conquista. «Non passi lo straniero!», il coro levatosi da palazzo Chigi e dintorni, da ministeri competenti per materia ma fino ad allora distratti. Non parliamo, per non inflazionare nelle critiche, dell'Agcom. Ed ecco rispolverata dalle cantine, cui il liberismo imperante l'aveva relegata, la scimitarra della «golden share», l'«azione d'oro» di cui lo stato potrebbe avvalersi per tutelare la sovranità nazionale. Gentili e smemorati commentatori all'unisono: la rete non si tocca... Eppoi, infine, l'urlo disperato di qualche esponente del comitato per i servizi rimasto curiosamente silente nelle settimane passate, quando veniva fuori che lo spionaggio sulle vite private è globale e generalizzato: la rete di Telecom è una struttura «sensibile» e perderne il controllo mette a rischio la sicurezza. Già. Sono anni che si dibatte attorno alla contraddizione «libertà-privacy» e anche Telecom è stata attraversata da simili tensioni, tutt'altro che commendevoli.
Passati alcuni (pochi) giorni il silenzio è di nuovo calato. Forse perché Telefonica è tornata ai suoi fasti iberici? O perché il governo -prima della crisi in corso- ha realmente approvato il regolamento attuativo della «golden share»? O perché la rete sta (ri)diventando una prerogativa pubblica? Niente di tutto questo. Si è letto di qualche conversazione telefonica tra Enrico Letta e lo spagnolo Alierta, ma è un po' poco.
La verità sembra essere più cruda e più cinica. Il governo e il sistema politico possono ormai fare ben poco. In sostanza chi doveva decidere ha già deciso. Il ritorno di Massimo Sarmi a capo della società suona come garanzia. Non sarà un caso che per la seconda volta, alla vigilia di un terremoto societario discutibile, deve fare le valigie Franco Bernabé, reo di essere (hitchcockianamente) «l'uomo che sapeva troppo», forse troppo indipendente per i gusti dell'epoca. Del resto, il presidente prossimo alle dimissioni ha inviato una lettera alle commissioni industria e lavori pubblici del senato piuttosto netta in merito all' assenza di una strategia politica. Vero, perché nella società dell'informazione una cosa come Telecom è politica-politica, di importanza probabilmente maggiore dei sospiri dei berluscones in rotta. Intendiamoci, se la crisi è a questo punto nessuno è senza colpa. Tuttavia, a conclusione del dramma, comincia l'operetta. Tutto questo caos per sostituire -difetti a parte- Bernabé?
È bene cominciare un tormentone: Telecom non deve difendere il tricolore per la Patria, bensì perché la questione ci porta per mano nel cuore della post-modernità e nei nuovi meccanismi del potere, che si fanno un baffo dei pastoncini politichesi.
La conclamata «italianità» non si misura nelle percentuali proprietarie ma nella consapevolezza che stiamo parlando del tessuto nervoso dell'epoca digitale. E allora, si ritorni a discutere del futuro della rete che, se tornasse davvero in mano pubblica, diverrebbe il centro dell'universo cross-mediale. Sarebbe forse l'occasione per mettere un po' d'ordine democratico nell'inquinata storia delle frequenze, altro effetto collaterale dell'irrisolto conflitto di interessi. Altrimenti, Telecom si trasformerà in una media azienda commerciale e la rete si ridurrà alla parte prelibata di uno spezzatino. E quante migliaia di posti di lavoro ci sono in ballo, cari signori della guerra?

 

2 ottobre

 

1. LARGO AI GIOVANI (E AI GIOVANARDI)! UN GRUPPO DI EX RAGAZZI CRESCIUTI NELLA DC, GUIDATO DA LETTA E ALFANO, SFANCULA IL CAINANO CON UN TRADIMENTO SPETTACOLARE

2. CON MEZZO PARTITO CHE GLI VOLTA LE SPALLE, IL CAVALIERE CONDANNATO RISCHIA DI TROVARSI TOTALMENTE ISOLATO, AVVIATO AGLI ARRESTI DOMICILIARI, CONDANNATO ALLA PERDITA DELLA COPERTURA GIUDIZIARIA RAPPRESENTATA DAL SEGGIO SENATORIALE E NON PIÙ RICANDIDABILE SE NON SOTTO LE MENTITE SPOGLIE DELLA FIGLIA MARINA

3. OGGI CI SARÀ LA CONTA DEL SUO DISASTRO, E PROBABILMENTE PASSERÀ IL RESTO DEI SUOI ANNI A DIFENDERE IL PROPRIO PATRIMONIO (POLITICO E FINANZIARIO) DA UNA PLETORA DI ASPIRANTI EREDITIERI. MENTRE I FIGLI QUARANTENNI DELLA VECCHIA DC FANNO FELICEMENTE ROTTA VERSO IL PPE DI FRAU MERKEL, LA PRIMA CHE LO HA PRESO A SCHIAFFI

 

Crisi, crolla fatturato pmi romane. Cna: da gennaio - 40,8 per cento

I dati dell'indagine condotta dalla Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Gli imprenditori della capitale sono pessimisti sulle prospettive per il futuro: per il 40 per cento nel 2013 chiuderanno 3 aziende su dieci - Crisi, crolla fatturato pmi romane Cna: da gennaio - 40,8 per cento

La crisi morde le Piccole e medie imprese romane. Secondo un'indagine condotta dalla Cna e presentata nella sede di via del Commercio, l'indicatore della produzione nel I semestre dell'anno per le imprese della provincia di Roma registra un saldo pari al -31,7%, del -32,3% per gli ordini, del -40,8% per il fatturato e del -42,6% per l'utile lordo. Unico fattore con il segno positivo per la provincia di Roma è quello relativo all'export, che segna un +22,3%. Dato condizionato però dal settore farmaceutico. Sul fronte investimenti, nel I semestre dell'anno appena il 19% delle imprese della provincia ha dichiarato di aver investito e appena il 15,7% prevede di farlo entro la fine dell'anno. "Mi auguro nel 2014 di tornare alla regolarità dei pagamenti, altrimenti parlare di politiche di sviluppo non ha senso", ha detto il governatore del lazio, Nicola Zingaretti, intervenuto all'assemblea elettiva della Cna di Roma e del Lazio.

Per il 16,3% delle imprese romane il soddisfacimento degli adempimenti burocratici assorbe in media una quota compresa tra il 10% ed il 15% e per il 15%, tra il 20% ed il 25% del lavoro totale. Il 17,5% si dice costretto a dedicare tre mesi l'anno al soddisfacimento degli adempimenti burocratici. Senza contare i costi: per il 14,5% gli adempimenti burocratici assorbono una quota del fatturato inferiore al 5%mentre per il 16,2% la burocrazia necessita di oltre il 25% del fatturato totale dell'azienda, sempre secondo l'indagine della Cna. In particolare, per un'impresa su due è la tassazione sul reddito (Irpef,

Ires ed Irap) il fardello che incide di più sulla crescita dell'impresa stessa, mentre per un terzo circa delle imprese a pesare di più sono i contributi sul lavoro. La tassazione locale e quella sugli immobili strumentali d'impresa, l'Imu, è meno rilevante per la maggior parte delle imprese intervistate. Molti, secondo quanto emerge dall'indagine della Cna, concordano sulla necessità di diminuire l'Iva e fissare un tetto massimo di prelievo fiscale che non superi un livello posto tra il 30% ed il 40% del reddito prodotto con la consapevolezza che tutti debbano pagare le tasse e che lo Stato debba agire per raggiungere tal fine.

Gli imprenditori romani sono generalmente pessimisti sulle prospettive per il futuro. Per il 21,4% delle imprese del Lazio, tre su dieci chiuderanno nel corso del 2013, mentre per il 18,6% la fine corsa segnerà il destino di cinque imprese su dieci. Il 4,1% del campione è catastrofista, prevedendo una chiusura generalizzata: dieci imprese su dieci. In linea di massima, a livello di fiducia, le imprese della provincia di Roma sono leggermente più pessimiste sul futuro (47,7%) rispetto alla media del totale delle imprese del Lazio (43,6%). A pesare sulla crisi è ancora il problema della stretta sul credito. Secondo l'indagine della Cna, circa quindici imprese su cento che un anno e mezzo fa avevano un prestito, oggi non ce l'hanno più: nella prima parte dell'anno, il 29,3% delle Pmi ha dovuto far fronte a una riduzione, richiesta di rientro e a una revoca. Il credito è sceso costantemente: a fine 2011 aveva credito il 56,8% delle Pmi del territorio, nel 2012 il 49,6%, a inizio 2013 si sfiorava quota 47% (47,3%). E le Pmi che il credito ce l'hanno, fanno sempre più fatica a rimborsarlo: il rapporto tra sofferenze e impieghi è stato a giugno del 13,6%, più o meno in linea con la media nazionale.

Le pratiche di Cassa integrazione guadagni trattate a Roma e provincia dall'Area relazioni sindacali contrattualistica e contenziosi della Cna sono aumentate dal 2009 ad oggi dell'86%. L'assemblea elettiva della Cna di Roma ha confermato Erino Colombi alla carica di presidente per i prossimi quattro anni. Colombi è al secondo mandato consecutivo alla guida della Confederazione nazionale dell'artigianato, piccola e media impresa di Roma.

Il presidente della Regione Lazio ha, invece, ricordato agli artigiani il lavoro fatto dalla Regione per restituire entro gennaio alle imprese oltre 8,3 milioni di debiti pregressi da parte della Pa e ha spiegato che "abbiamo un bilancio regionale che gestisce l'esistente e che ci impedisce di iscrivere le spese dovute. Quindi quelli dei pagamenti alle imprese non sono ritardi ma sono soldi che proprio non possiamo iscrivere al bilancio". Quanto ai fondi richiesti dal Comune di Roma per il trasporto pubblico, il governatore ha spiegato che "non è che non diamo i soldi perché siamo cattivi, ma perché non ci stanno. Una parte importante delle spese dovute deve restare fuori dal bilancio, come i fondi per l'accademia di Santa Cecilia che ieri abbiamo scoperto mancare". Nella nostra Regione, ha concluso Zingaretti, "l'unica forma di investimento vero che avremo a disposizione sono i fondi europei".

 

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