Tutta
la gestione della Difesa passa in mano ad
una società per azioni. Così un ministero
smette di essere pubblico.
Roma, 17 dic - (di Gianluca Di feo -
L'Espresso) Le Forze Armate italiane
smettono di essere gestite dallo Stato e
diventano una società per azioni. Uno
scherzo? Un golpe? No è una legge, che
diventerà esecutiva nel giro di poche
settimane. La rivoluzione è nascosta tra i
cavilli della Finnziaria che marcia veloce a
colpi di fiducia soffocando qualunque
dibattito parlamentare. Cosi, in un
assordante silenzio, tutte le spese della
Difesa diventeranno un affare privato, nelle
mani di un consiglio d'amministrazione e di
dirigenti scelti soltanto dal ministro in
carica, senza controllo del Parlarmento,
senza trasparenza. La privatizzazione di un
intero ministero passa inosservata mentre
introduce un principio senza precedenti. Che
pochi parlamentari dell'opposizione leggono
chiaramente come la prova generale di un
disegno molto più ampio. Lo smantellamento
dello Stato. "Ora si comincia dalla Difesa,
poi si potranno applicare le stesse regole
alla Sanità, all'Istruzione, alla Giustizia:
non saranno più amministrazione pubblica, ma
società d'affari" chiosa il senatore pd
Gianpiero Scanu. Stiamo
parlando di Difesa Servizi Spa, una creatura
fortissimamente voluta da Ignazio La Russa e
dal sottosegretario Guido Crosetto: una
società per azioni, con le quote interamente
in mano al ministero e otto consiglieri
d'amministrazione scelti dal ministro, che
avrà anche l'ultima parola sulla nomina dei
dirigenti. Questa holding potrà spendere
ogni anno tra i 3 e i 5 miliardi di euro
senza rispondere al Parlamento o ad
organismi neutrali. In più si metterà nel
portatogli un patrimonio di immobili "da
valorizzare" pari a 4 miliardi. Sono cifre
imponenti, un fatturato da multinazionale
che passa di colpo dalle regole della
pubblica aniministrazione a quelle del mondo
privato. Ma questa Spa avrà altre
prerogative abbastanza singolari. Ed
elettrizzanti. Potra costruire centrali
energetiche d'ogni tipo sfuggendo alle
autorizzazioni degli enti locali: dal
nucleare ai terrnovalorizzatori, nelle basi
e nelle caserme privatizzate sarà possibile
piazzare di tutto. Bruciare spazzatura o
installare reattori atomici. Signorsì!
Segreto militare e interesse economico si
sposeranno, cancellando ogni parere delle
comunità e ogni ruolo degli enti locali.
Comuni, Province e Regioni resteranno fuori
dai reticolati con la scritta "zona
militare", utilizzati in futuro per
difendere ricchi business. Infine, la Spa si
occuperà di "sponsorizzazioni". Altro
termine vago. Si useranno caccia,
incrociatori e carri armati per fare
pubblicità? Qualunque ditta è pronta a
investire per comparire sulle ali delle
Frecce Tricolori, che finora hanno solo
propagandato l'immagine della Nazione. Ma ci
saranno consigli per gli acquisti anche
sulle fiancate della nuova portaerei Cavour
o sugli stendardi dei reparti che sfilano il
2 giugno in diretta tv?
Lo scippo
Quali saranno i reali
poteri della Spa non è chiaro: le regole
verranno stabilite da un decreto di La Russa.
Perché dopo oltre un anno di dibattiti, il parto
è avvenuto con un raid notturno che ha inserito
cinque articoletti nella Finanziaria. "In
diciotto mesi la maggioranza non ha mai voluto
confrontarsi. Noi abbiamo tentato il dialogo
fino all'ultimo, loro hanno fatto un blitz per
imporre la riforma", spiega Rosa Villecco
Calipari, capogruppo Pd in commissione Difesa:
"I tagli alla Difesa sono un data oggettivo,
dovevano essere la premessa per cercare punti di
convergenza. La tutela dello Stato non può avere
differenze politiche, invece la destra ha tenuto
una posizione di scontro fino a questo scippo
inserito nella
Portaerei Cavour
Finanziaria". Non si
capisce nemmeno quanti soldi verranno manovrati
dalla holding. Difesa Servizi gestirà tutte le
forniture tranne gli armamenti, che rimarranno
nelle competenze degli Stati maggiori. Ma cosa
si intende per armamenti? Di sicuro cannoni,
missili, caccia e incrociatori. E gli
elicotteri? E i camion? E i radar e i sistemi
elettronici? Quest'ultima voce ormai rappresenta
la fetta più consistente dei bilanci, perché
anche il singolo paracadutista si porta addosso
uni serie di congegni costosissimi. La
definizione di questo confine permetterà anche
di capire se questa privatizzazione può
configurare un futuro ancora più inquietante:
una sorta di duopolio bellico. Finmeccanica,
holding a controllo statale che ingaggia legioni
di ex generali, oggi vende circa il 60 per cento
dei sistemi delle forze armate. E a comprarli
sarà un'altra Spa: due entità alimentate con
soldi pubblici che fanno affari privati. Con
burattinai politici che ne scelgono gli
amministratori. All'orizzonte sembra incarnarsi
un mostro a due teste che resuscita gli slogan
degli anni Settanta. Ricordate? "Imperialismo
del complesso industriale-militare". Un fantasma
che improvvisamente si materializza nell'opera
del governo Berlusconi.
Gli immobili
Questa Finanziaria in
realtà realizza un altro dei sogni
rivoluzionari: l'assalto alle caserme. E' una
corsa agli immobili della Difesa per fare cassa,
sotto la protezione di una cortina fumogena. La
vera battaglia è quella per espugnare un
patrimonio sterminato: edifici che valgono oro
nel centro di Roma, Milano, Bologna, Firenze,
Torino, Venezia. Un'altra catena di fortezze,
poligoni, torri e isole in località di grande
fascino che va dalle Alpi alla Sicilia. Da dieci
anni si cerca di trovare acquirenti, con scarsi
risultati: dei 345 beni ex militari messi
all'asta dal governo Prodi, il Demanio è
riuscito a piazzarne solo otto. Adesso, dopo un
lungo braccio di ferro tra la Russa e Tremonti,
si sta per scatenare l'attacco finale. Con una
sola certezza: i militari verranno sconfitti,
mentre sono molti a pensare che a vincere sarà
solo la speculazione. All'inizio Difesa Servizi
doveva occuparsi anche della vendita degli
edifici: la nascente Spa a giugno si è
presentata alla Borsa immobiliare di Cannes con
tanto di brochure per magnificare il suo
Portovenere-La Spezia
catalogo. Qualche
perla? L'isola di Palmaria, di fronte a
Portovenere, gioiello del Golfo dei Poeti
affacciato sulle scogliere delle Cinque Terre.
L'arsenale di Venezia, con ampi volumi e
architetture suggestive, e un castello
circondato dalla laguna. La roccaforte
nell'angolo più bello di Siracusa, pronta a
diventare albergo e yacht club. La Macao, un
complesso gigantesco con tanto di eliporto nel
cuore di Roma, palazzi a Prati e ai piedi dei
Parioli. Aree senza prezzo in via Monti
incastonate nel centro di Milano. Ma il
dicastero di Tremoni ha puntato i piedi:
proprietà e vendita restano al Tesoro, che le
affiderà a società esterne. Con un doppio
benefit, secondo le valutazioni del Pd, per
renderle ancora più appetibili. Chi compra,
potrà aumentare la cubatura di un terzo. E avrà
bisogno solo del permesso del Comune: Provincia
e Regione vengono tagliate fuori, aprendo la
strada a progetti lampo. Questo banchetto
prevede che metà dell'incasso vada allo Stato;
ai municipi andrà dal 20 al 30 per cento; il
resto ai militari. Difesa Servizi però intanto
può "valorizzare" i beni. Come? Non viene
precisato. In attesa della cessione, potrà forse
affittarli o darli in concessione come alberghi,
uffici o parcheggi. Intanto però gli appetiti si
stanno scatenando. E fette della torta finiscono
in pasto alle amministrazioni amiche. Con giochi
di finanza creativa. A Gianni Alemanno per Roma
Capitale sono state concesse caserme per oltre
mezzo miliardo di euro. O meglio, il loro valore
cash: il Tesoro anticiperà i quattrini, da
recuperare con la vendita degli scrigni di viale
Angelico, Castro Pretoria, via Guido Reni e di
un paio di fortezze ottocentesche ormai
inglobate dalla metropoli. Qualcosa di simile
potrebbe essere regalato a Letizia Moratti, per
lenire il vuoto nelle casse dell'Expo: un bel
pacco dono di camerate e magazzini con vista sul
Duomo. "Cosi le logiche diventano altre: non c'é
più tutela del bene pubblico ma l'esternalizzare
fondi e beni pubblici attraverso norme
privatistiche" dichiara Rosa Calipari Villecco,
sottolineando l'assenza di magistrati della
Corte dei conti o altre figure di garanzia nella
nuova Spa.Un anno fa i militari avevano
manifestato insofferenza per questa disfatta
edizilia. Il capo di Stato maggiore Vincenzo
Camporini aveva fatto presente che era stato
ceduto un tesoro da un miliardo e mezzo di euro
senza "adeguato contraccambio". Oggi, come
spiega l'onorevole Calipari, "non si sa nemmeno
tra quanti anni le forze armate riceveranno i
profitti delle vendite". Eppure i generali
tacciono. Una volta ai soldati veniva insegnato
"Credere, obbedire, combattere"; adesso il motto
della Difesa privatizzata è "economicità,
efficienza, produttività". La regola
dell'obbedienza é rimasta però salda. E con i
tagli al bilancio imposti da Tremonti - in un
trennio oltre 2,5 miliardi in meno- anche gli
spiccioli della nuova holding diventano vitali
per tirare avanti e garantire l'efficienza di
missioni ad alto rischio, Afghanistan in testa.
Business
con logo
Di sicuro, Difesa Servizi Spa sfrutterà le
royalties sui marchi delle forze armate. Un
business ghiotto. Il brand di maggiore successo
è quello dell'Aeronautica. Felpe, t-shirt,
giubbotti e persino caschi con il simbolo delle
Frecce Tricolori spopolano con un mercato che
non conosce distinzioni d'età e di orientamento
politico. Anche l'Esercito si è mosso sulla
scia: sono stati aperti persino negozi
monomarca,
con
zaini e tute che sfoggiano i simboli dei corpi
d'élite. Finora gli Stati maggiori barattavano
l'uso degli stemmi con compensazioni in servizi:
restauri di caserme, costruzione di palestre.
D'ora in poi, invece, i loghi saranno venduti a
vantaggio della Spa. Questo è l'unico punto
chiaro della legge, che introduce sanzioni per
le mimetiche senza licenza commerciale: anche 5
mila euro di multa. "La questione delle
sponsorizzazioni è una foglia di fico per
coprire altre vergogne. Tanto più che alla
difesa vanno solo briciole", taglia corto il
senatore Scanu. E trasformare il prestigio delle
bandiere in denaro, però, non richiedeva la
privatizzazione. La Marina ha appena pubblicato
sui giornali un bando per mettere all'asta lo
sfruttamento della sua insegna: si parte da 150
mila euro l'anno. Con molta trasparenza e senza
foraggiare il cda scelto dal ministro di turno
29 dicembre
Protezione
civile super Spa
di Fabrizio Gatti
La struttura di Bertolaso si
trasforma in società per azioni. Così sui contratti per gli eventi ci saranno
ancora meno controlli. Mentre il dossier choc sul rischio catastrofi viene
ignorato
Aiuto,
qualcuno protegga i nostri soldi da Guido Bertolaso. Ora che la Protezione
civile diventa una società per azioni nessuno potrà più chiedere conto al
governo su appalti ed eventuali spese allegre. Pochi giorni fa, il 17 dicembre,
Gianni Letta ha fatto approvare al Consiglio dei ministri il decreto studiato e
voluto dal Guido più amato dagli italiani, e da Silvio Berlusconi, in cambio del
ritiro delle sue annunciate dimissioni. Un'altra mossa che toglie di mezzo il
Parlamento. Il passaggio chiave è scritto in poche parole: «Il rapporto di
lavoro dei dipendenti della società è disciplinato dalle norme di diritto
privato». Scende così un ulteriore velo di riservatezza su forniture, contratti,
progetti per centinaia e centinaia di milioni di euro all'anno, e su assunzioni e
consulenze, che non dovranno più passare sotto la lente della trasparenza
pubblica. Una scorciatoia che unita alle ordinanze di urgenza e ai poteri di
emergenza di cui gode la Protezione civile, trasformerà Bertolaso, 60 anni il 20
marzo prossimo, in un vicerè dalle mani d'oro a completo servizio del presidente
del Consiglio di turno. Come già succede ora, ma con meno obblighi da
rispettare.
La questione non riguarda soltanto la rapidità di intervento dopo terremoti,
frane o alluvioni. Prendete il tentativo di Berlusconi, per adesso soltanto
rinviato, di scippare il Tfr agli italiani, la liquidazione di milioni di
lavoratori dipendenti. Quei soldi il governo li voleva trasferire al fondo
Grandi eventi di Palazzo Chigi. Cioè la cassaforte affidata in questi anni
proprio a Bertolaso per organizzare summit, party esclusivi, adunate religiose,
gare sportive attraverso procedure d'urgenza e poteri straordinari. Da quando
nel 2001 diventa capo e indossa la famosa maglietta blu, fior di ingegneri e
tecnici vengono dirottati a occuparsi di serate di gala, piscine e trampolini
(Roma, mondiali di nuoto 2009), alberghi, aiuole e parcheggi (La Maddalena e
L'Aquila, vertice G8 2009), asfaltatura di strade e rotonde (Varese, mondiali di
ciclismo 2008). Risorse e professionalità che così non possono essere dedicate a
tempo pieno ai veri pericoli naturali che minacciano l'Italia. Negli armadi
della Protezione civile in via Ulpiano e in via Vitorchiano a Roma vengono
infatti tenute segrete previsioni da paura.
Sono le «Proiezioni rischio sismico XXI secolo »: in base a quanto è avvenuto
negli ultimi 200 anni, è scritto nel rapporto riservato, nei prossimi 90 anni in
Italia bisogna aspettarsi tra i 50 mila e i 200 mila morti e feriti per
terremoti, con danni tra i 100 e i 200 miliardi di euro.
È fine novembre quando a Palazzo Chigi si studia come inserire nella legge
finanziaria il prelievo del Tfr da destinare ai grandi eventi. Proprio in quei
giorni a Rivoli, vicino a Torino, si ricorda il primo anniversario dalla morte
di Vito Scafidi, 17 anni, lo studente del liceo scientifico Darwin ucciso dal
crollo del soffitto della classe, collassato senza nemmeno la spintarella di una
scossa sismica. I miliardi del trattamento di fine rapporto potrebbero servire a
rendere più sicuri scuole e ospedali. Ma nel governo pensano a tutt'altro. Il
primo dei grandi eventi che potrebbe entrare nel calendario della nuova
Protezione civile spa è l'Expo 2015 a Milano: dove i ritardi, ormai sospetti,
nella progettazione stanno creando le condizioni per la solita ordinanza
d'urgenza. Oppure la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020: con la possibilità
di usare le procedure in deroga sugli appalti come grimaldello per scardinare il
piano regolatore e, sul modello dei Mondiali di nuoto, costruire centri sportivi
e villaggi residenziali nella campagna intorno alla capitale. Altri contratti
potrebbero arrivare con il trasferimento del gran premio di Formula 1 a Roma,
oltre agli interventi collaterali che accompagneranno le grandi opere
considerate strategiche per il futuro, come il ponte sullo Stretto o le centrali
nucleari. Bertolaso ha trasformato la Protezione civile in una macchina per
creare consenso. Anche tra gli imprenditori. Basta leggere i bilanci della
società privata che dal 2001 in poi ha vinto tutti i principali appalti per
l'organizzazione finale dei grandi eventi. È una srl con appena 35 mila euro di
capitale. Si chiama Gruppo Triumph e ha sede a Monte Mario a Roma.
A capo del gruppo c'è una ex interprete dell'ambasciatore Usa in Vaticano, Maria
Criscuolo, 47 anni, ben addentro al potere. Dal centrodestra al centrosinistra.
Da Gianni Letta a Walter Veltroni. E anche nella Santa Sede. Maria Criscuolo
guadagnava bene già nel 1994, con un fatturato in lire equivalente a 632 mila
euro. Spiccioli rispetto a quanto fattura ora: 28 milioni 32 mila 705 euro,
secondo i bilanci 2008 delle sue società a responsabilità limitata. Guido
Bertolaso non bada a spese quando c'è da fare bella figura. Per il vertice
Nato-Russia del 27 maggio 2002 a Pratica di Mare, alle porte di Roma, la Triumph
di Maria Criscuolo incassa dalla Protezione civile 7 milioni 45 mila euro
soltanto per le attività connesse all'organizzazione, gli allestimenti, la
ristorazione, le fotocopiatrici, gli interpreti. Per preparare i due giorni di
incontri, a cui partecipano Vladimir Putin e George Bush, il dipartimento di
Bertolaso firma contratti per 36 milioni 284 mila euro. E nel resoconto non
mancano cifre curiose. Come i 74 mila euro per il «facchinaggio da Pratica a
Castelnuovo e trasporto statue»: 69 chilometri al costo di 1.072 euro a
chilometro. Oppure il milione di euro per il taglio di prato e siepi, i 662 mila
per la «riqualificazione del circolo ufficiali», i 21 mila per la «pedana per
giornalisti», i 457 mila per la «consultazione dei notiziari di agenzia», i 42
mila per gli «annunci viabilità», i 17 mila per la stampa di menù e inviti.
Nel settore Maria Criscuolo ha la stessa fama di Michael Schumacher. Continua a
vincere. Sono consulenze che pagano bene. Firmano contratti con lei ministri ed
ex: Roberto Maroni, Franco Frattini, Antonio Martino, Altero Matteoli, Gianni
Alemanno, Rocco Buttiglione, Giuliano Urbani, oltre al presidente dell'Istituto
per il commercio estero, l'ambasciatore Umberto Vattani con cui allestisce il G8
di Genova. Il 7 dicembre 2007 un alto ufficiale delle forze armate che lavora a
Palazzo Chigi scrive su due fogli e sigilla in due buste i nomi di chi vincerà
l'appalto per l'organizzazione del G8 2009. È una specie di scommessa tra
colleghi. Berlusconi è all'opposizione e in quel periodo il presidente del
Consiglio, Romano Prodi, vuole portare il vertice alla Maddalena.
Bertolaso fa propria l'idea. Anche se la sua nomina viene firmata da Berlusconi
il 7 settembre 2001, la sua formazione professionale cresce nel centrosinistra
come vicecommissario per il Giubileo del 2000, accanto a Francesco Rutelli,
commissario e sindaco di Roma. Ma il suo padrino politico è Giulio Andreotti.
Come ripete più volte ai suoi collaboratori, Bertolaso è diventato Bertolaso
grazie agli insegnamenti dell'anziano leader democristiano che il capo della
Protezione civile chiama pubblicamente «zio Giulio». Un rapporto nato quando
Andreotti era presidente del Consiglio e Guido, laureato in medicina, un giovane
assistente del suo seguito. Tra il 2008 e il 2009 la Protezione civile indice le
gare e assegna gli appalti per il G8 dell'estate scorsa. Le buste sigillate con
le previsioni sui vincitori non hanno nessun valore legale.
Ma l'alto ufficiale e i suoi colleghi, che chiedono l'anonimato, indovinano con
mesi di anticipo. Il contratto ultramilionario e riservato per il vertice della
Maddalena, poi trasferito a L'Aquila, lo vince ancora una volta la Triumph. E
dal 23 settembre scorso, sul sito Internet della società già si guarda avanti:
«La dottoressa Maria Criscuolo, presidente del Gruppo Triumph», è scritto, «è
stata inserita da Eduardo Montefusco, vicepresidente dell'Unione industriali di
Roma, nel comitato tecnico di Expo 2015». Le scommesse a Palazzo Chigi azzeccano
anche chi sarà il coordinatore del G8 per la Protezione civile. È Marcello
Fiori, 50 anni il mese prossimo, promosso dirigente generale della presidenza
del Consiglio con un salto in avanti di diverse posizioni. Fiori ha una laurea
in lettere e nessuna esperienza con alluvioni e terremoti. Un passato di
portavoce dell'Acea, l'Azienda elettrica di Roma, nel 2007 è segretario generale
del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni.
Il suo nome appare il 22 marzo 1999 in una lettera di raccomandazione firmata da
Francesco Rutelli, di cui allora è vice capo di gabinetto. Il
sindaco-commissario per il Giubileo chiede al segretario generale della
presidenza del Consiglio, Paolo De Ioanna, di affidare a Fiori l'incarico «di
coordinare le attività nell'azione di lotta al degrado ambientale, ai fini della
salvaguardia del decoro nella città di Roma». Sospinto da Rutelli e Bertolaso,
farà strada. Fino ai rifiuti di Napoli. Prima però Fiori diventa responsabile
dell'ufficio emergenze della Protezione civile. La notte del 26 dicembre 2004 la
sala operativa di via Vitorchiano lo sveglia per avvertirlo del fortissimo
terremoto registrato dai sismografi di tutto il mondo e del successivo maremoto.
Dove? In Indonesia, rispondono dalla sala operativa. Va bene, buona notte.
Qualche ora dopo Gianni Letta, chiamato dal ministero degli Esteri, butta giù
dal letto Bertolaso che ancora non sa nulla. La regola prevede che sia il
capodipartimento ad informare il governo. Questa volta succede il contrario. Ci
sono migliaia di turisti italiani ed europei di cui non si hanno più notizie.
Bertolaso vuole fare tutto da solo. Gestisce i soccorsi e i 16 milioni e 156
mila euro raccolti dagli italiani con l'idea degli sms. Snobba perfino il
ministro degli Esteri. Il capo della Protezione civile fa decollare due Canadair
del servizio antincendio, Can 23 e Can 24. Sono aerei inadatti alle operazioni
di lungo raggio. Non superano i 365 chilometri orari di velocità e le 6 ore di
autonomia. Quanto tempo impiegano per arrivare in Sri Lanka lo racconta una
scheda sul sito della presidenza del Consiglio: «Partiti dall'Italia il 31
dicembre e arrivati a destinazione dopo quattro giorni di volo».
L'aereo è progettato per scaricare acqua. Non ha spazio per trasportare
materiali. Così a ogni missione vengono recapitate soltanto 6 tende. Alla fine i
piloti accumulano 452 ore di volo di cui 59 ore per distribuire soltanto 250
tende. Al costo di esercizio di un Canadair: 14 mila euro l'ora. Guido Bertolaso
non parla mai più del dovuto. Quando davanti al consiglio comunale della
Maddalena un rappresentante del Pdl critica i metodi di affidamento degli
appalti, lui lo interrompe: «Lei è pregato di misurare le parole... Io posso
anche fare direttamente degli esposti alle autorità competenti, per le
affermazioni ingiuriose nei confronti di un rappresentante del governo. Sia ben
chiaro».
Così nemmeno in quell'occasione il capo spiega perché la Protezione civile abbia
invitato alle gare per il G8 e per i mondiali di nuoto proprio la famiglia di un
imprenditore, Diego Anemone, 38 anni, in società con Filippo Balducci, 30 anni,
figlio di Angelo: cioè il soggetto attuatore degli appalti che dal 2003,
dall'emergenza Gran Sasso, al 2008 fa coppia fissa con Bertolaso
nell'applicazione delle ordinanze di urgenza. La sua Protezione civile si occupa
nel frattempo della canonizzazione di padre Pio (2002), di quella del fondatore
dell'Opus Dei, Josemarìa Escrivà de Balaguer (2002), dell'incontro nazionale di
Azione cattolica a Loreto con il papa (2004), dei funerali del papa (2005),
della regata Vuitton Cup a Trapani (2007), dell'incontro a Loreto con il nuovo
papa (2007), dei mondiali di ciclismo a Varese (2008), dei Giochi del
Mediterraneo a Pescara (2009) e del 150° anniversario dell'Unità d'Italia (da
celebrare fino al 2011). Tra feste e raduni, nonostante l'Abruzzo sia tra i
territori più aggiornati nel censimento degli edifici pubblici a rischio
sismico, il protocollo di prevenzione tra Regione e Protezione civile viene
lasciato scadere (2008).
E il 6 aprile a L'Aquila abbiamo visto come è andata a finire. Meglio affidare
la prevenzione delle catastrofi ai collaboratori esterni? Sembra di sì: infatti
sono passati dai 113 del 2008 ai 199 di quest'anno. Quasi il doppio. Un po' per
la ricostruzione a L'Aquila, un po' per le voci che prevedono un'infornata di
trecento assunzioni nella nuova Protezione civile servizi spa. Ma anche loro
devono dividersi.
Come Flaminia Lais, messa per metà del tempo a lavorare sulle frane del 2007 in
provincia di Messina e l'altra metà sui grandi eventi. Nel 2008 l'emergenza
messinese può contare anche su Gilda Miele, Fabrizia Spirito e Maria Anna
Tortora. Quattro donne, 24 mila euro a testa Quest'anno i collaboratori per
Messina e provincia salgono a quota sette. Cinque però hanno il compito di «far
fronte ai problemi del traffico». Gli altri due possono dedicarsi agli
«eccezionali eventi atmosferici» del 2007: nessuno però verifica che l'allerta
meteo dell'ottobre 2009 nella stessa zona sia tradotta in uno sgombero
preventivo di Giampilieri, Scaletta Zanclea e Altolia. Sei mesi dopo l'allarme
mancato in Abruzzo, altri trentasei morti. E questo è nulla rispetto agli
scenari custoditi negli armadi del dipartimento.
Esistono modelli in grado di stabilire il numero delle vittime di un terremoto,
in base al materiale e all'anno di costruzione di case, uffici, scuole e
ospedali. Se oggi si ripetesse il sisma di Avezzano del 1915, i morti e i feriti
sarebbero 22.448. Gli sfollati 385.784. E i danni supererebbero i 20 miliardi.
Nel caso di un terremoto e un maremoto a Messina come nel 1908, ci sarebbero
112.312 morti e feriti, 399.675 senzatetto, 25 miliardi di danni. Con onde che
distruggerebbero il porto ed entrerebbero nella città per 350 metri. Sulle
pagine di questi rapporti riservati, una piccola nota spiega che il danno
economico è stato calcolato in base a un costo di ricostruzione di 820 euro al
metro quadro. Per gli alberghi del G8 mancato alla Maddalena, gli uomini di
Guido Bertolaso hanno invece autorizzato costi di costruzione di 4.345 euro al
metro quadro. Ecco la differenza tra una e l'altra Protezione civile.
Cuba, il bloqueo dei
rapporti
Chi si aspettava da Barack Obama una ventata di
aria nuova si sbagliava. Gli Usa prolungano di un anno il blocco economico
contro l'Isola di Castro
Ancora un altro anno. Il presidente degli Stati
Uniti ha firmato la proroga di un anno dell'embargo commerciale contro l'isola
di Cuba. Non una grande novità se si tiene conto che si va avanti così fin dagli
anni Sessanta. Insomma, chi sperava in cambiamenti consistenti nei rapporti fra
le parti si deve ricredere, nonostante le belle parole ascoltate nell'immediato
post elezioni Usa.
Non solo. L'ambiguo comportamento di Washington verso i golpisti hondureñi ha
fatto storcere il naso a diversi leader dell'area sudamericana.
Dunque, non sono bastati i buoni propositi del presidente cubano Raul Castro che
aveva aperto le porte al possibile dialogo con Washington su tutti gli aspetti
sociali che riguardano la vita sull'isola, dal rispetto dei diritti umani alla
libertà di stampa.
Inoltre, per il diciottesimo anno consecutivo l'Assemblea Generale delle Nazioni
Unite ha votato a favore di Cuba e contro il bloqueo.
Ma il 2009 è stato anche l'anno dei rimpasti di governo e dell'allantanamento di
due delle più importanti fiugure politiche cubane degli ultimi anni, Feliper
Perez Roque e Carlos Lage, accusati di cospirare contro il presidente Raul
Castro.
La morte silenziosa del
diritto
La democrazia della Federazione russa nella sua
discesa verso il baratro
Luca Rasponi
Le
notizie non arrivano eclatanti o rumorose, ma sussurrate. E spesso vengono
dimenticate il giorno dopo. Ma una ricognizione sull'intero 2009 restituisce la
reale dimensione del fenomeno: la democrazia in Russia sta lentamente scivolando
nell'oblio. Tutto è cominciato con l'omicidio di Anna Politkovskaja, il 7
ottobre 2006. Un delitto che ha attirato gli occhi del mondo. Ma non appena
l'opinione pubblica ha distolto lo sguardo, i carnefici hanno proseguito nella
loro opera di repressione, resi ancora più forti dall'impunità ottenuta dopo un
omicidio così grave.
Il potere politico resta a guardare interessato. Alla condanna formale
corrisponde l'approvazione sostanziale per quei gruppi di estrema destra che,
lasciati proliferare al di là dei limiti di legge, garantiscono la punizione per
chi osa far sentire la sua voce contro gli abusi perpetrati da quello stesso
potere. La matrice neonazista fa sì che agli omicidi politici di giornalisti e
attivisti per i diritti umani si affianchino quelli xenofobi e razzisti di
migranti e minoranze interne alla Federazione russa. Si produce così una deriva
d'insieme, che procedendo di questo passo ha una sola conclusione possibile: la
fine dello Stato di diritto.
La guerra di David
Un anno fa, l'operazione Piombo Fuso devastava
la Striscia di Gaza. 1.400 morti e l'economia palestinese azzerata
Il 27 dicembre 2008, l'esercito israeliano ha
lanciato l'operazione 'Piombo Fuso' nella Striscia di Gaza. Si e' trattato del
piu' pesante intervento militare nei Territori Occupati, dopo le guerre del '48
e del '67. Durante i 22 giorni di assedio sono stati uccisi 1.400 palestinesi.
Tra questi, 300 bambini e 115 donne. Nell'incursione sono morti 13 soldati
israeliani. Quattromila case sono state distrutte o danneggiate. Cinquantamila
palestinesi sono rimasti senza un tetto e tra il 35 e il 60 percento delle
attività economiche di Gaza ha subito danni irreversibili. I due principali
settori dell'economia, pesca e agricoltura, sono stati colpiti duramente dagli
effetti multipli dei confini chiusi, del conflitto e dell'impossibilita' di
accesso a mare e terra. Pesanti restrizioni al movimento continuano a impedire
ai palestinesi di lanciare le loro reti in acque pescose e terre arabili.
Contadini e pescatori sono sottoposti a continui attacchi da parte dei militari
israeliani.
Per questo, a un anno di distanza, la guerra dei palestinesi a Gaza non finisce
mai. Soprattutto per contadini e pescatori. Durante Piombo Fuso migliaia di
limoni, ulivi e palme sono stati sradicati. Sistemi di irrigazione, pozzi e
serre sono stati distrutti. Israele, inoltre, non consente l'ingresso nella
Striscia di fertilizzanti e sementi. Una zona di interposizione si estende per
centinaia di metri dal confine con Israele verso l'interno della Striscia,
limitando l'accesso alle terre coltivabili. Nel 2000 a Gaza c'erano diecimila
pescatori. Oggi, i 3.500 rimasti devono pescare entro le tre miglia dalla costa.
La guerra ha infatti imposto questo limite, dopo che, dagli accordi di Oslo
(1995) l'area di pesca si era progressivamente ridotta dalle 20 miglia
originarie. I pescherecci devono sfidare tale limite per poter portare a casa il
necessario per la sopravvivenza. Le motovedette israeliane li ricacciano
costantemente indietro, con idranti o, piu' spesso, cannonate. A decine
rimangono uccisi.
Luca Galassi
17 dicembre
Un piccolo
aiuto è rompere il silenzio
Pubblichiamo un appello
giuntoci via e-mail.
Cari Amici
scusate se vi chiedo un piccolo aiuto; io e altri 1191 colleghi della ditta
Agile ex Eutelia una sede è anche a Pregnana Milanese (tutti derivanti da
aziende come Olivetti e Bull): a fine anno saremo tutti licenziati probabilmente
senza poter usufruire degli ammortizzatori sociali.
Ben presto a noi si uniranno altri 6600 colleghi di Phonomedia uno dei più
grandi call-center in Italia.
Tutto ciò grazie a degli imprenditori che qualcuno, con un eufemismo, ha
definito "diversamente onesti".
Questo sta accadendo nel silenzio più totale, nonostante varie manifestazione
anche eclatanti (incatenamenti davanti a Ministeri competenti, salite sui tetti
delle sedi, occupazioni delle sedi), sembra che nessuno si accorga di noi.
Il Governo ci ignora, sembra che il destino di quasi 9000 famiglie non lo
interessi nemmeno!
Non stiamo percependo alcun stipendio nè rimborsi spese ormai da 3 (tre) mesi
(conosco colleghi cinquantenni, con mutui e/o affitti, che per mantenere la
famiglia chiedono soldi a genitori e suoceri)!!!!!!!!
Vista la situazione qualcuno ha pensato di usare il tam-tam delle mail come la
vecchia "catena di S. Antonio" per fare conoscere la nostra situazione al più
alto numero di persone possibile, sperando che arrivi alle orecchie di
qualcuno...."in alto".
Tutto quello che vi chiedo è:
Inviare al più presto una mail con l'allegato al maggior numero di amici
possibile, con la preghiera che loro lo inviino al maggior numero di amici
possibile.
In questo modo in pochi giorni migliaia, forse,milioni di persone saranno al
corrente di quanto ci sta succedendo e chissà che la voce non arrivi a chi è in
grado di farsi sentire.
Per cortesia, fate capire ai vostri amici che NON è la solita catena di
S.Antonio, NON è uno scherzo, si tratta di 9000 famiglie che non sapranno come
arrivare a fine mese!
Vi ringrazio di cuore fin d'ora
Gianfranco
P.s.: Se qualcuno vuole dei chiarimenti divulgate pure il mio ind.mail e i miei
numeri di telefono, mi fido di voi.
Gianfranco Fusaz
Montereale Valcellina
tel 0427-79306
cell 347-4688960
mail gfusaz@alice.it
9 dicembre
Minareti e
crocefissi, una pericolosa mistificazione
Di Agostino Spataro*
Due minoranze prevaricano due
stragrandi maggioranze- Sicurezza: chi specula e chi la difende- L’illustre
precedente della moschea di Roma- Dal dialogo nasce la prosperità condivisa,
dalla guerra solo morte e nuove povertà- Quando l’Italia aveva una politica
estera- Il Nobel per la pace che prosegue la guerra- L’import italiano
d’idrocarburi: una dipendenza eccessiva da Russia e Libia - Conflitto fra
religioni: un’indegna mistificazione- Cristo non ha bisogno di nuovi crociati-
Se un non-credente s’impegna per far costruire un luogo di culto.
Due minoranze di fanatici
prevaricano due stragrandi maggioranze
Ci risiamo. Di nuovo minareti
e crocefissi branditi come spade in questa guerra di simboli che può degenerare
in guerra vera. E’ accaduto in passato, anche in Europa, accade, oggi, in tante
parti del mondo.
Ancora una volta,
Occidente, sempre meno cristiano, e Oriente, sempre più islamico, si guardano in
cagnesco a causa di due rumorose minoranze, fanatiche quanto ipocrite, che usano
i simboli religiosi per imporre un nuovo “scontro di civiltà” a due sterminate
maggioranze già ingravidate dei semi malefici dell’odio e dell’intolleranza.
E, alla fine, il mostro
nascerà e porterà distruzione e morte fra i nostri popoli impauriti e confusi.
Ma, davvero, non c’è nulla da
fare per fermare il fanatismo?
Più il tempo passa più il
pericolo si accresce, anche perché dietro questo agitar di simboli spirituali
si celano interessi molto materiali, economici e politici.
Tuttavia, le due
maggioranze, recuperate alla ragione, sono ancora in grado di sconfiggere i
fomentatori di odio e ricacciarli negli anfratti da cui provengono.
Occorrono una generale presa
di coscienza e una volontà determinata per ripristinare, in uno spirito di pace
e di cooperazione, un dialogo fra popoli e Stati che era stato avviato con
successo, non molto tempo fa.
Sicurezza: chi specula e
chi la difende
Dopo questo necessario
preambolo, andiamo all’attualità, alle ultime polemiche provocate dai leghisti
che vorrebbero usare la vittoria del referendum svizzero anti-minareti per
scatenare in Italia la caccia all’islamico, dopo quella all’immigrato e a tutti
i circolanti “diversi” rispetto al prototipo umano che pretendono di
rappresentare.
Nessuno disconosce che la
presenza islamica può comportare qualche problema alle comunità d’accoglienza.
Si tratta, in gran parte, di problemi risolvibili con la conoscenza e la
tolleranza reciproche. Secondo le leggi dell’ospitalità.
Nei casi più ostici, quali
possono essere i comportamenti delittuosi, è ovvio che il “buonismo” non basta e
sono necessarie misure adeguate di prevenzione e di repressione. Secondo la
legge penale.
Soprattutto, quando si tratta
di casi accertati di terrorismo, comunque colorato e/o mimetizzato, bisogna
reagire con fermezza e unità.
Come avviene, del resto, con
tutti i delinquenti italiani o di altre nazionalità.
Insomma, i capi leghisti
devono convincersi che la sicurezza, la serenità dei cittadini è una
preoccupazione di tutte le forze democratiche italiane e non loro esclusivo
appannaggio.
Perciò, la divisione non
corre fra chi le difende e chi no, ma tra chi agisce in buona fede e chi sopra
ci specula, per un pugno di voti.
L’illustre precedente
della grande moschea di Roma
Il divieto d’erigere minareti
in Svizzera che si vorrebbe importare in Italia, mi ha riportato alla mente un
precedente illustre: la costruzione, negli anni ’80 e 90, della moschea di
Roma ovvero la più grande d’Europa sorta nella Città eterna, a poca distanza dal
Vaticano cuore pulsante della cristianità.
Qualcosa di più vistoso,
impegnativo dei tanti magazzini adattati a luoghi di culto. Eppure, non si
registrarono posizioni d’intolleranza, di rigetto sia negli ambienti religiosi
sia tra le forze politiche e culturali. Certo, ci furono discussioni e polemiche
insorte, soprattutto, intorno al problema- anche allora- del minareto. Nel senso
che il progetto dell’architetto Paolo Portoghesi prevedeva la costruzione di un
minareto più alto della cupola di S. Pietro.
Alla fine prevalse il buon
senso e il progetto fu modificato nel senso richiesto e il cupolone continuò a
primeggiare sopra i cieli di Roma.
Da notare, che il terreno
(30.000 mq ai piedi di Monte Parioli) fu donato dal Comune di Roma al Centro
islamico d’Italia ossia l’ente morale incaricato di curare i lavori di
costruzione.
Ci vollero tempo ed enormi
finanziamenti (sauditi) e un incessante lavorio politico e diplomatico, sovente
dietro le quinte, prima di giungere all’inaugurazione, nel 1995.
Oggi, la moschea di Roma
convive in pace col quartiere e con la città come luogo di culto per i tanti
mussulmani presenti nella capitale e come simbolo di dialogo e di reciproca
comprensione fra religioni ed anche fra popoli e Stati.
Dal dialogo nasce la
prosperità condivisa, dalla guerra solo morte e povertà
Un fatto, oggi, impensabile
in Italia. Altri tempi, si dirà. In realtà, sono trascorsi soltanto una ventina
d’anni durante i quali sono cambiati (in peggio) l’approccio, la concezione e la
sostanza delle relazioni internazionali dell’Italia, dell’Europa e anche del
mondo arabo,
Si è passati, infatti, dal
dialogo alla sfiducia, alla provocazione, al conflitto.
Altri tempi. Certo. Allora,
era possibile realizzare moschee al centro di Roma, di Parigi, di Oslo, di
Berlino, senza scandalo anzi nella più generale concordia.
Erano quelli i tempi di
un’Italia solidale e popolare che aveva una politica estera, ampiamente
condivisa in Parlamento, aperta al dialogo e alla cooperazione economica, in
primo luogo con i Paesi dello scacchiere arabo e mediterraneo.
Una politica di pace che
generava nuove occasioni d’incontro, nuovi mercati e commesse importanti per le
imprese italiane.
Le buone relazioni politiche
e culturali italo - arabe erano la chiave di volta per accrescere il volume
degli scambi economici e commerciali.
Insomma, lo sforzo per una
convivenza pacifica assicurava all’Italia un ruolo primario nell’area
arabo-mediterranea, anche in campo economico.
Oggi, invece, la nostra
politica estera verso questo scacchiere si è, di fatto, militarizzata e i
risultati sono doppiamente in perdita. Alle ingenti spese per finanziare
missioni militari in zone di guerra bisogna, infatti, aggiungere la crescita del
deficit commerciale. Oltre, naturalmente, i nuovi rischi, in termini di
sicurezza, cui si espone il Paese.
Quando l’Italia aveva una
politica estera
Basterebbe fare qualche conto
e alcuni confronti fra le bilance commerciali di allora e di oggi per capire le
cause dell’attuale svantaggio italiano e scoprire la differenza che corre fra il
dialogo e la chiusura razzistica. O se si preferisce fra la cooperazione
pacifica e lo scontro di civiltà.
La tanto biasimata “prima
Repubblica” era riuscita, in quegli anni, a produrre una politica estera
equilibrata, lungimirante e unitaria di cui va dato merito ai tre grandi partiti
popolari (Dc, Pci e Psi) e ai loro più prestigiosi dirigenti: Aldo Moro, Giulio
Andreotti, Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Bettino Craxi, Riccardo
Lombardi, ecc.
Seguendo la linea della
giustizia e del diritto internazionale dei popoli, abbiamo contribuito a
rafforzare la pace nello scacchiere, tutelato il nostro Paese da rischi
micidiali e, al contempo, creato importanti occasioni di scambio, reciprocamente
vantaggiosi. In questo nuovo contesto, si era delineata, perfino, una
prospettiva seria per il nostro Mezzogiorno oggi ricacciato ai margini dello
sviluppo, assillato dalla criminalità e ridotto a mero deposito di risorse
energetiche al servizio del centro-nord ipersviluppato.
Insomma, ieri l’Italia, col
concorso di tutte le forze di progresso, dei lavoratori e degli imprenditori,
riuscì a raggiungere primati davvero eccezionali, fino al punto di figurare fra
le prime otto potenze industriali del pianeta.
Oggi, il populismo e il
“patriottismo” di bottega, per altro molto costoso, stanno vanificando gran
parte di quei risultati e avviato il Paese su una china molto preoccupante sia
sul terreno politico e democratico sia su quello della coesione sociale e
della prospettiva economica.
Il Nobel per la pace che
prosegue la guerra
I fatti parlano da soli e
chiaramente. Mentre in Italia si chiudono scuole, ospedali, centri di ricerca
si continua a finanziare costose missioni militari all’estero, soprattutto in
Medio oriente.
E segnatamente in
Afghanistan dove, storicamente, nessun esercito d’occupazione ha mai vinto
una guerra. Ci addolora la decisione del presidente Usa, Barak Obama, la
cui elezione avevamo salutato con speranza e simpatia, d’inviare altri 34.000
soldati, più altre 6-7 mila dei paesi alleati, fra cui mille nuovi
effettivi italiani che Berlusconi si è affrettato a promettere d’inviare.
Da notare che col nuovo
incremento il contingente italiano in Afghanistan salirà dal sesto al quarto
posto per consistenza numerica.
Dopo otto anni di
combattimenti inconcludenti, Obama giustifica l’invio “per finire il lavoro”
e presto rientrare. Ma quando? In realtà, l’invio è certo, mentre il rientro è
solo una promessa aleatoria che nessuno può dire se, e quando, si potrà
realizzare. Intanto la guerra avrà altre nuove micidiali impennate.
In questa vicenda anche il
linguaggio meraviglia anche se usato da Obama per esigenze di propaganda.
Comunque sia, mi sembra aberrante chiamare “lavoro” una guerra così terribile
e spietata che miete decine di migliaia di vittime militari e, soprattutto,
civili.
Così come strana e
sconcertante appare la sua decisione di proseguire la guerra assunta alla
vigilia del suo viaggio a Oslo dove andrà (10 dicembre p.v.) a ritirare il
premio Nobel per la pace. Boh!
L’import italiano
d’idrocarburi: un’eccessiva dipendenza da Russia e Libia.
Ma non divaghiamo, torniamo
all’Italia, alla sua politica estera militarista e mercantilista che-
come già detto- produce una doppia fregatura: gli alti costi delle missioni e
un saldo sfavorevole dell’interscambio globale con i paesi del Medio oriente e
dell’area mediterranea.
Particolare preoccupazione
dovrebbero destare i dati concernenti l’import d’idrocarburi sempre più elevato
(in valore) e concentrato in pochi paesi esportatori con alla testa la Russia
di Putin (col 21,8%) seguita dalla Libia di Gheddafi (col 21,2%).
Insieme i due Paesi
coprono il 43% dell’import italiano (dati 1° semestre 2009) e, forse, meglio
spiegano il senso dell’attuale politica estera italiana.
Insomma, mentre prima la
costante di ogni politica estera economica era la diversificazione degli
approvvigionamenti, negli ultimi anni la lista dei fornitori si sta restringendo
e modificando a favore di alcuni Paesi non propriamente affidabili sotto diversi
profili.
Di questo passo, l’Italia
rischia una dipendenza eccessiva da governi che, in caso di crisi, potrebbero
esercitare pesanti condizionamenti sull’economia del nostro paese.
Quando si dice la sovranità!
Se, invece che di leggi ad
personam, di prostitute, di trans e ruffiani, partiti e parlamento, e anche i
media, si occupassero di questi problemi e d’altri consimili certamente avremo
una rappresentazione più veritiera e pulsante della realtà drammatica che
l’Italia sta vivendo.
Conflitto fra religioni:
un’indegna mistificazione
La moschea, i minareti, i
crocefissi, le nuove crociate leghiste…tutto è buono per spostare l’attenzione
dell’opinione pubblica, sempre più frastornata e impaurita, dai suoi problemi di
vita e di lavoro a quelli presunti o comunque ingigantiti provocati, qua e là,
dagli immigrati la cui colpa, forse, è quella di assicurare un importante
contributo alla barcollante tenuta della nostra economia. In primo luogo di
quella dei “territori leghisti”.
Il vero rischio che oggi
corre l’Italia, specie in alcune aree, non è certo dovuto alla presenza degli
immigrati, che certo va regolamentata, controllata e anche aiutata, ma, di più,
a queste indecorose risse mediatiche, alle odiose campagne xenofobe scatenate,
periodicamente, da certi politici che, per risultare credibili e utili, devono
mostrare in tv la bava delle loro rabbiose provocazioni.
Alieni, gente estranea alla
tradizione politica e culturale repubblicana che vorrebbero far passare
un’immagine falsata, irriconoscibile dell’Italia: lacerata e impotente, e
soprattutto egoista e timorosa del progresso. Anche se il momento è opaco,
ciascuno di noi, nell’intimo, sa che l’Italia repubblicana non è stata, non è,
come la si vuole, artatamente, rappresentare o costruire.
La gente è stanca di questa
manfrina e desidera un cambiamento capace di recuperare e valorizzare tutte le
risorse e le grandi potenzialità esistenti. Per riallinearsi all’Europa e per
ridare speranze agli italiani e, in primo luogo, ai giovani i quali,
però, dovrebbero darsi una mossa per non restare soggetti passivi di certa
politica e conquistare un ruolo da protagonisti nell’opera immane di costruzione
di un nuovo futuro. Del loro futuro.
Cristo non ha bisogno di
nuovi crociati
Infine, qualche
considerazione sull’ipocrita campagna sanfedista a difesa del “crocefisso”
cavalcata da taluni politici e sindaci e presidenti provincia che vorrebbero
imporlo nelle scuole e in tutti gli uffici pubblici, anche mediante la minaccia
di multe salate e provvedimenti coercitivi.
Credo che la gente avrà
capito il vero intento di cotanta, interessata premura. Tuttavia, è sempre utile
richiamarne l’attenzione per non cadere nella manovra portata avanti da partiti
e individui che hanno ben poco da spartire con quel Cristo che si pretende di
difendere da chissà quali attacchi. Ancheil clero cattolico, pur
difendendo legittimamente i suoi valori e simboli, ritengo abbia ben compreso il
fine di questa rumorosa “improvvisata” e non farà trascinare la Chiesa
nell’anacronistica diatriba.
Anzi, prima o poi,
potrebbe richiamare i troppo zelanti politici e amministratori a curarsi degli
affaridi loro pertinenza. Magari con più efficienza e onestà.
Sarebbe, infatti, molto imbarazzante che il crocefisso fosse difeso da gente che
lo calpesta ogni giorno, trasgredendo gli insegnamenti del Cristo dei vangeli
per ubbidire agli istinti del potere. La figura del Cristo è
universalmente accettata e comunque rispettata, anche da noi non credenti.
Non c’è, davvero, bisogno d’imporla d’autorità, a colpi di multe.
Specie in un Paese dove vige una Costituzione laica e tollerante.
Se un non-credente
s’impegna per far costruire un luogo di culto
Chiudo con un aneddoto, con
fatto capitatomi a margine della vicenda della moschea di Roma alla cui
realizzazione contribuì, soprattutto sul piano dell’iniziativa politica e
parlamentare, la nostra Associazione italo - araba, composta dai rappresentanti
dei tre principali partiti (Dc, Pci, Psi) e più volta presieduta dall’ex
ministro dc Virginio Rognoni.
In questa come in altre
importanti vicende, l’associazione svolse una funzione politico/diplomatica
parallela a quella del governo e dei partiti che rappresentava.
Un giorno fui invitato per
un colloquio dal principe Abdelghassem Amini, un aristocratico afghano,
persona di fiducia dei sauditi e, in quanto tale, presidente del Centro
culturale islamico d’Italia curatore del progetto della moschea.
Solitamente lo incontravo in
delegazione o in qualche convegno. Quella volta m’invitò da solo.
Lo andai a trovare al Centro
e dopo il caffè e un po’ di convenevoli, mi rivolse alcune domande a bruciapelo.
“Lei è un deputato del Pci? ”- “Certamente”, risposi. “Perciò
è un marxista?” – “Sicuro” “Voglio dire ateo?” “Si, sono
ateo”.
Domande pleonastiche le sue
(sapevo chi ero) che gli servivano a porre quella più impegnativa: “Allora
–mi spieghi- perché un ateo, com’è lei si dichiara, si è tanto adoperato per
consentire la realizzazione della moschea? “
Il principe non si capacitava
di tanta (mia) incoerenza o forse immaginava i comunisti come orde di barbari
dediti alla distruzione dei luoghi di culto.
Gli risposi che, in quanto
comunista e cittadino di questa Repubblica, mi ero semplicemente adoperato per
garantire ai lavoratori di religione islamica, come di altre, il diritto ad
avere un luogo di raccoglimento e d’incontro. Esattamente come postula la nostra
Costituzione per tutte le religioni, purché non s’ingeriscano nella politica e
negli affari di Stato.
Il principe mi volle
insignire di una medaglia e mi regalò un bellissimo esemplare del Corano che
vergò con una dedica riconoscente: “All’on. Agostino Spataro…per tutto
l’aiuto che ha datoall’Islam”. Insomma, c’eravamo capiti.
5 dicembre 2009
* Agostino Spataro è stato
membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati. E’ direttore
di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it)
1 dicembre
A ottobre
boom di disoccupati in Italia: quasi 2 milioni
Scajola: "Stiamo meglio degli
altri Paesi"
La
disoccupazione schizza a livelli record, con il numero dei senza lavoro che a
ottobre, per la prima volta dal marzo del 2004, sfonda la soglia dei 2 milioni.
A ottobre - comunica l'Istat - il tasso di disoccupazione è salito all'8% dal
7,8% di settembre (un punto percentuale in più rispetto allo stesso mese
dell'anno scorso), raggiungendo il valore massimo dal novembre del 2004.Aumenta
la disoccupazione giovanile - Il numero delle persone in cerca di lavoro è
quindi 2.004.000, in aumento del 2% (+39mila persone) rispetto a settembre e del
13,4% (+236mila) su base annua. Il tasso di disoccupazione giovanile - aggiunge
l'istituto di statistica - a ottobre è aumentato al 26,9% dal 26,2% di
settembre, con una crescita del 4,5% rispetto a ottobre dell'anno scorso.La
Cassa integrazione frena il calo - L'occupazione regge l'impatto della crisi
economica grazie agli ammortizzatori sociali. A ottobre - secondo le stime
provvisorie dell'Istat - il numero di occupati è stato pari a 23.099.000 (dati
destagionalizzati), invariato rispetto a settembre ma inferiore dell'1,2% (pari
a -284mila persone) su base annua. Un andamento che si mantiene stabile da
luglio, dopo mesi di progressiva discesa, con la cassa integrazione che ha
frenato quindi il calo degli occupati. Il tasso di occupazione - aggiunge
l'istituto di statistica - a ottobre è pari al 57,6%, con un -0,1 punti
percentuali rispetto a settembre e -0,9 nel confronto con ottobre dell'anno
scorso.Scajola: dati migliori della media europea - Il ministro dello Sviluppo
economico, Claudio Scajola, osserva i dati ma commenta "sono comunque molto
meglio della media europea e degli altri Paesi". Ad affermarlo è , a margine di
un convegno di Confindustria. "La crisi economica - ha detto il ministro - si
trasferisce sulla disoccupazione. E' un dato però che non è peggiore della media
europea: teniamo meglio noi". "Ora speriamo - ha aggiunto - che la ripresa ci
faccia dire che si possa recuperare".Disoccupazione stabile nell'Eurozona - In
ottobre il tasso di disoccupazione nella zona dell'euro, dopo mesi di costante
crescita, è rimasto stabile al 9,8% rispetto al mese precedente (in settembre il
dato è stato rivisto rispetto alla prima indicazione del 9,7%). Lo rileva
Eurostat che per l'Unione europea indica invece ancora un aumento dal 9,2% di
settembre al 9,3% di ottobre. Un anno fa la disoccupazione nei sedici Paesi
dell'euro era al 7,9% mentre nell'Ue-27 al 7,3%. Secondo le stime di Eurostat, i
disoccupati nell'Ue in ottobre erano 22,510 milioni di cui 15,567 milioni nella
zona dell'euro.
LA LETTERA.
Il direttore generale della Luiss
avremmo voluto che l'Italia fosse diversa e abbiamo fallito
"Figlio mio, lascia questo
Paese"
di PIER
LUIGI CELLI
Figlio mio, stai per finire
la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo
e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che
ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il
tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.
Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la
preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini
del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non
posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco
abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di
arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno
buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per
renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno
valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a
svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un
riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere
feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione,
politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un
portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco
più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e
fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi
augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo
ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare
di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in
attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte,
come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una
compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul
mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i
suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di
essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per
rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il
taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di
Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie,
accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la
fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni,
in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini
industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a
pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che
non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a
qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.
Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti
i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un
valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati.
Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti
prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu
cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.
Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse
diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente,
senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno
di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari
subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.
Adesso che ti ho detto quanto
avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che
vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che
è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma
che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so,
credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per
aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.
Preparati comunque a soffrire.
Con affetto,
tuo padre
L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore
generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido
Carli.