24 giugno

 

Cittadino Usa sospetto terrorista ucciso con drone. Obama costretto a spiegare

Fonte: Il Fatto Quotidiano - di Roberto Festa

La giustificazione (arrivata grazie all'imposizione dei giudici) del fatto, accaduto in Yemen, è l’“Authorization to Use Military Force” (Aumf), legge che autorizza il presidente a prendere qualsiasi provvedimento, “nel caso sugli Stati Uniti incomba una grave minaccia”. L'amministrazione democratica afferma di voler abrogare questa norma, ma ne fa uso.

Ora sappiamo perché l’amministrazione Obama ha deciso di uccidere Anwar al-Awlaki, il cittadino americano, sospettato di essere un leader di al-Qaeda, eliminato con un drone nel 2011. La giustificazione legale è l’“Authorization to Use Military Force” (Aumf), una legge votata all’indomani dell’11 settembre e che autorizza il presidente a prendere qualsiasi provvedimento, “nel caso sugli Stati Uniti incomba una grave minaccia”. E’ stata una corte d’appello di Manhattan a costringere il governo a rendere pubblici i documenti che portarono all’assassinio di al-Awlaki. La loro pubblicazione, presumibilmente, rinfocolerà le polemiche, invece di sopirle.

Il caso Al-Awlaki è del resto stato, in questi anni, l’evento più clamoroso e controverso della “guerra al terrore” lanciata dalle amministrazioni americane. Prima quella di George W. Bush, poi quella di Barack Obama. Una rapida analisi degli eventi che portarono all’eliminazione di al-Awlaki spiega le ragioni di tanto rumore. Decidendo di eliminare al-Awlaki, il governo degli Stati Uniti ha infatti scelto di eliminare un proprio cittadino senza processo, senza un’accusa, senza che il sospettato abbia avuto la possibilità di difendersi. Al-Awlaki è stato ucciso nello Yemen, il 30 settembre; la stessa sorte è toccata due mesi dopo al figlio sedicenne di al-Awlaki, Abdulrahman, ucciso sempre dal missile di un drone mentre, nel deserto yemenita, cercava notizie del padre. Abdulrahman non aveva, a detta delle stesse autorità americane, alcun legame con organizzazioni terroristiche, e il suo assassinio è stato archiviato come “un errore”. Il vero obiettivo del missile era Ibrahim al-Banna, un cittadino egiziano con un ruolo di peso nel reclutamento di al-Qaeda, Anche Abdulrahman, nato a Denver, era cittadino americano.

L’amministrazione americana ha sempre ammesso di aver assassinato al-Awlaki, rifiutando però di rivelarne le ragioni. “Motivi di sicurezza”, ha sempre risposto il Dipartimento di Giustizia a chi chiedeva di svelare il memorandum legale che sta dietro l’omicidio. C’è voluta una causa congiunta del New York Times e dell’American Civil Liberties Union, e la decisione del Secondo Circuito della Corte d’Appello di Manhattan, per costringere l’amministrazione Obama a fare chiarezza. Il memorandum preparato dal Dipartimento di Giustizia, e reso pubblico in queste ore, cita proprio l’Aumf come base legale. La cattura di al Awlaki, secondo il Dipartimento, sarebbe stata “non fattibile”; e il militante di al Qaeda sarebbe stato “impegnato in attività che ponevano una minaccia continua e imminente a persone e interessi americani”. Di qui, dunque, il ricorso all’“Authorization to Use Military Force”, che consente di eliminare presunte minacce alla sicurezza Usa senza alcun ostacolo legale. Si diceva delle polemiche attorno al caso che, inevitabilmente, proseguiranno. Il memorandum, preparato nel 2010 da un avvocato del Dipartimento di Giustizia, David Barron, non spiega infatti perché la cattura del militante di al Qaeda sarebbe stata “non fattibile”, e nemmeno quale fosse la natura della “minaccia imminente” agli Stati Uniti portata dal al-Awlaki. Il documento si limita invece ad affermare che l’uomo era un leader capace di “pianificare continui attacchi contro gli Stati Uniti”.

A nessuno poi sfugge che l’avvocato Barron, l’autore del memorandum, sia stato nominato giudice federale da Barack Obama. E che proprio l’amministrazione Obama, mentre pubblicamente afferma di voler abrogare l’Aumf, in privato ne fa ampio uso. Oltre il caso di al-Awlaki, per Obama e i suoi si preparano comunque tempi ancor più difficili. “Continueremo a far pressione affinché altri documenti, relativi al programma di omicidi mirati, vengano resi pubblici; in particolare quelli sulle vittime civili”, ha spiegato il direttore legale dell’American Civil Liberties Union, Jameel Jaffer. Il riferimento è alle campagne di attacchi con i droni decise dall’amministrazione Obama e che, presentate come un modo per liberarsi in modo relativamente sicuro di pericolosi terroristi, hanno invece portato all’assassinio di decine di civili, soprattutto in Afghanistan. Obama, nel 2013, aveva promesso una riduzione nel numero di azioni condotte con i droni, ma la sua amministrazione ha continuato sino a oggi a farne largo uso.

 

10 giugno

 

Fiom: “Aziende chiedono agli operai gli 80 euro di Renzi per ridurre i costi del lavoro”

Lamberto Pocai, segretario provinciale di Lucca, ha raccolto le denunce di alcuni lavoratori secondo cui alcune ditte di Viareggio avrebbero avanzato la proposta per intervenire su quattordicesime, premi di risultato, straordinari senza consultare i sindacati.

di David Evangelisti

Gli ottanta euro di bonus introdotti dal governo Renzi? Lasciali alla tua azienda per aiutarla a rialzarsi dalla crisi. I casi in cui i lavoratori si sentiranno avanzare questa proposta dal proprio datore di lavoro potrebbero aumentare sempre di più. Ad accendere i riflettori sulla questione è stato Lamberto Pocai, segretario provinciale della Fiom ­Cgil di Lucca, secondo cui alcune ditte legate agli appalti della nautica avrebbero tentato di ridurre il costo del lavoro “sfruttando” l’opportunità offerta dagli ormai “mitici”, per dirla in termini renziani, ­ottanta euro.

“A Viareggio – dichiara Pocai a ilfattoquotidiano.it ­- il settore è in grande difficoltà. In alcuni casi le aziende sono costrette a ridiscutere quanto già s
tipulato nei capitolati d’appalto con ribassi anche del 30%: a farne le spese sono spesso i dipendenti”. Da qui la proposta per arrivare a un ulteriore taglio del costo del lavoro. L’operaio intasca il bonus ma contemporaneamente viene chiamato ad accettare un intervento su alcuni aspetti della propria retribuzione: una sorta di compensazione per cercare di dare ossigeno alla propria azienda dichiaratasi in difficoltà.

Secondo quanto riferito da alcuni operai a Pocai sarebbe stato proposto di intervenire su quattordicesime, premi di risultato, straordinari o superminimi. Tali proposte sarebbero state avanzate direttamente ai dipendenti e non in sede di confronto sindacale. “E’ inaccettabile – accusa Pocai – invitiamo i lavoratori a denunciare queste situazioni: non possiamo permettere che a pagare siano sempre i soliti. Non è questa la strada giusta per rilanciare le aziende del settore”.

Il caso della “proposta indecente” – così come l’ha ribattezzata Il Tirreno, quotidiano che ha portato all’attenzione il caso – non sembrerebbe però essere circoscritto soltanto al territorio lucchese o al comparto nautico. Il segretario generale della Fiom toscana Massimo Braccini osserva: “Proposte del genere si iniziano purtroppo già a sentire in diverse altre realtà e settori colpiti dalla crisi. E’ un fatto inquietante: significa che l’azienda non vede altre prospettive per poter continuare a vivere: con interventi del genere però non si risolve nulla”.

Il rischio “emulazione” sembra essere elevato: casi simili potrebbero perciò diventare ben presto la normalità. A parlare di “proposta fuori dal mondo” è Salvatore Barone, responsabile nazionale Cgil area contrattazione: “E’ la prima volta che sento una storia del genere. La Cgil però vigilerà e non abbasserà la guardia: simili proposte sono da rispedire al mittente. Invito gli operai a denunciare”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Masimo Covello, leader della Fiom Calabria. A parlare di “porcheria e provocazione” è Vittorio De Martino, segretario generale della Fiom piemontese: “Fino a oggi non avevo ancora sentito niente del genere. Proposte simili arriveranno anche nel nostro territorio? Non lo escludo: per tagliare il costo del lavoro – sorride ironicamente ­ gli imprenditori le tentano di tutte”.

 

La matematica non è Galan-te

Per il nucleo tributario della Guardia di Finanza, Galan in dieci anni ha guadagnato 1,4 milioni e ne ha spesi 2,7: per “coprire” questo buco, i pm sono convinto che abbia preso tangenti in denaro per il Mose (4,8 mln) - E ora i finanzieri spulciano tutti i conti, italiani ed esteri, dell’ex governatore del Veneto…

Corrado Zunino per “la Repubblica”

Il Galan che ha sempre pianto miseria per comprare il villone di Cinto Euganeo ha chiesto un mutuo con una rata pari al doppio di quella che poteva restituire. Come faceva, e faccia, a onorarlo, è tutto da spiegare. Innanzitutto, alla Procura di Venezia. L’ex governatore “tre mandati” sui soldi non finisce di stupire. Il nucleo tributario della Finanza ha acceso un faro e le intercettazioni sull’uomo quando si è accorto che in dieci anni (dal 2001 al 2011) aveva guadagnato un milione e 413 mila euro e ne aveva spesi 2 milioni e 695 mila. Quel milione e tre non giustificato era, come hanno scritto i tre sostituti procuratori pronti a chiedere l’arresto, una «sproporzione evidente».

Sicuramente, Galan per riempire il gap tra l’avere e il dare ha evaso il fisco e, secondo l’accusa, ha poi preso tangenti in denaro dal Consorzio Venezia Nuova per 4 milioni e 831 mila euro. I finanzieri, su mandato della procura, stanno ricostruendo tutti i conti — italiani ed esteri — dell’ex presidente della Regione Veneto.

In questo mare di contraddizioni reddituali, colpisce il contratto ipotecario che Giancarlo Galan e la moglie Sandra Persegato hanno stipulato con Veneto Banca, la stessa che ha concesso un finanziamento di 7,6 milioni a Denis Verdini, coordinatore Pdl. Come da dichiarazione presentata alla Camera nel 2013, il forzista Galan ha certificato un reddito nell’anno precedente di 41.340 euro lordi (29.700 netti), tra i più bassi in Parlamento.

La moglie Sandra guadagnava il doppio: 88.553 euro lordi, che netti sono 58.516 euro. Insieme i coniugi — sposati dal 2009 — avevano quindi una disponibilità annuale di 88.216 euro. Bene, il mutuo per la casa è stato stipulato per un milione e 850 mila euro, cifra elevata e da restituire in tempi brevi: otto anni e due mesi, al tasso del 4,21 per cento. Galan ha scelto rate semestrali per sette anni pari a 75 mila euro. Ogni stagione intera la famiglia deve versare 150 mila euro, contro una disponibilità di 88 mila. Da dove li prendono i 62 mila euro mancanti? E sul mutuo imponente c’è anche una rata finale unica da 725 mila euro, roba da dover stipulare un altro contratto solo per pagarla.

Nel gennaio 2012, ex governatore, Galan dichiarava: «Sono senza stipendio da tre mesi, per fortuna qualcosina avevo da parte e mia moglie guadagna. Ho due mutui, li paga lei. Sto pensando di vendere la barca. Spero che si facciano le elezioni in questo paese, voglio tornare a fare il politico».

In verità, come si legge nella dichiarazione alla Camera fatta per la XVII legislatura, l’ultima («sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero», si deve controfirmare), il mutuo Galan era co-intestato a moglie e marito, le barche possedute erano due non una, aveva comproprietà e nuda proprietà in quattro case, possedeva un bosco, tre auto, un quad, un trattore. Ancora l’altro giorno la moglie inveiva, nel parco della villa di Cinto Euganeo: «Vengano a vedere i conti invece di tirare fango addosso a mio marito». I finanzieri li stanno guardando, uno per uno.

 

3 giugno

 

Amianto, la strage dimenticata

Quindici operai morti, almeno 150 malati e un intero quartiere a rischio avvelenamento. È il tragico bilancio portato alla luce dall'inchiesta sull'Isochimica, l'azienda di Avellino dove negli anni '80 i lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude la fibra killer dai treni. Perché oltre allo scandalo Eternit in Italia ci sono ancora centinaia di siti da bonificare e migliaia di persone che rischiano di essere contaminate.

di ANTONIO CIANCIULLO e PIERLUIGI MELILLO

AVELLINO - La fabbrica della morte è chiusa da quasi trent'anni, ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell'aria, ogni giorno gli abitanti di borgo Ferrovia, quartiere popolare di Avellino, respirano i veleni che arrivano da quel mostro chiamato "Isochimica", l'opificio dove negli anni '80 venivano scoibentate le carrozze ferroviarie, quasi tremila in sei anni. Si lavorava a mani nude, senza mascherine, inconsapevoli dei pericoli. Almeno 20mila tonnellate di amianto sarebbero state sotterrate nel piazzale della fabbrica, altre scorie sono state chiuse in cubi di cemento oppure sistemate in sacchi neri e sversate nelle acque del fiume Sabato o addirittura nel mare della costiera amalfitana. L'hanno rivelato gli ex operai ai magistrati. "Ma mentre tutto ciò accadeva dov'erano i cittadini?", si chiede il procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, che paragona l'Isochimica all'Eternit di Casale Monferrato, all'Ilva di Taranto a alla Thyssen Krupp.

"Dovremo andare via da qui", dice Gabriella Testa, alla guida del comitato di mamme di borgo Ferrovia che si battono per la bonifica del sito. L'Arpac, l'agenzia regionale per l'ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27 fibre di amianto per litro d'aria nella zona, stando alle raccomandazioni dell'Oms non ce ne dovrebbe essere nemmeno una. Il biologo Carlo Caramelli, garante del Tribunale per i diritti del malato, ha chiesto al prefetto di far evacuare il rione. "Perché Renzi non viene a visitare la scuola elementare che è a cento metri dalla fabbrica?", ha chiesto polemicamente Carlo Sibilia, l'avellinese arrivato in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. C'è già stato lo screening sui bambini della scuola, il pediatra dell'Asl di Avellino, Felice Nunziata, che ha guidato l'equipe per le analisi, ha ammesso: "Qui non farei vivere mio figlio, la bonifica è urgente".

Ma è ancora tutto fermo: il Comune non ha i soldi, la Regione prende tempo. Eppure il procuratore Cantelmo, dopo aver messo sotto inchiesta il titolare dell'Isochimica, Elio Graziano, imprenditore protagonista negli anni '80 dello scandalo "lenzuola d'oro", l'ex giunta comunale e perfino il curatore fallimentare, ha cercato di imprimere un'accelerazione nominando custodi giudiziari dell'impianto il sindaco, Paolo Foti, e il governatore regionale, Stefano Caldoro.

Dopo anni di omissioni e indifferenza almeno qualcosa si muove. Ma la svolta non c'è stata. Resta il conto dei morti, una lunga scia di lutti e dolore: l'amianto ha già ucciso 15 ex operai ed un lavoratore che con l'Isochimica non c'entrava nulla. Si chiamava Vittorio Esposito, lucidava i pavimenti della stazione ferroviaria dove si scoibentavano le carrozze ferroviarie direttamente sui binari evitando di portarle in fabbrica. Anche sua moglie, la vedova Rosetta Capobianco che lavava le tute del marito impregnate di amianto, si è ammalata ai polmoni, ma continua a battersi per il risanamento del quartiere. E ora da qualche mese la Procura indaga su altri 23 decessi, nuovi casi sospetti tra ex operai, familiari e cittadini di cui sono state sequestrate cartelle cliniche e certificati di morte.

Si fanno i conti. All'Isochimica lavoravano 333 operai, almeno 150 sono già risultati ammalati. "Ormai ci sentiamo dei morti che camminano", confessa Carlo Sessa, uno degli ex operai che ha visto morire i compagni di lavoro: da tempo chiede inutilmente aiuto a tutti i partiti per la battaglia del prepensionamento degli ex dipendenti della fabbrica dei veleni. Ma la politica è rimasta ancora indifferente. E il futuro fa paura. Mario Polverino, direttore del polo pneumologico dell'ospedale "Scarlato" di Scafati, ha scoperto che gli 80 operai dell'Isochimica provenienti dal Salernitano sono stati tutti contaminati dalle fibre killer. "Il picco delle malattie derivanti dall'amianto si avrà intorno al 2020, quindi tutti gli ex operai e i cittadini sono a rischio", conferma Polverino che ha paragonato l'Isochimica alla miniera di crocidolite, l'amianto blu, di Wittenoom Gorge nel Western Australia dove a distanza di 45 anni dall'esposizione, le persone che abitavano nei dintorni della cava continuavano ad ammalarsi e a morire fino a far diventare il villaggio una città fantasma. Ma Borgo Ferrovia ora vuole vivere. Anche se la lotta contro i veleni non è ancora finita.

La Spoon River dell'Irpinia

C'è un'altra morte sospetta legata alla fabbrica dei veleni su cui indaga la Procura di Avellino. Lui si chiamava Vito Cotrufo: fu ucciso nel 1987 da un tumore ai polmoni, l'Isochimica era ancora in piena attività. Sarebbe stata chiusa solo due anni dopo dal pretore di Firenze, Beniamino Deidda che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le carrozze ferroviarie tornavano dalla fabbrica irpina, ripulite male dall'amianto.

Nelle carte della Procura di Avellino ci sono poi i nomi dei decessi più recenti: Umberto De Fabrizio, Vittorio Matarazzo, Luigi Maiello, Alberto Olivieri e altri dodici ex lavoratori Isochimica, stroncati da malattie all'apparato respiratorio causate dall'amianto.

Parallela a queste si è consumata poi la tragedia di Pasquale Soricelli, che nel 2011 dopo aver scoperto di essere affetto da una grave malattia per le fibre killer si tolse la vita. Una targa da qualche anno ricorda il sacrificio di questi lavoratori davanti alla fabbrica.

Graziano: una storia di tangenti, calcio e veleni

Chissà se oggi il titolare dell'Isochimica, l'ormai 82enne Elio Graziano, che sconta da condannato ai domiciliari le sue pene nell'abitazione di contrada Scrofeta alla periferia di Avellino, pensa mai al disastro che ha lasciato alle sue spalle. "Ho sempre solo fatto del bene", ripete ancora oggi al suo avvocato, il penalista Alberico Villani. Tornerà un uomo libero solo il 19 ottobre del 2017, quando finirà il conto delle sentenze che l'hanno colpito per corruzione e omicidio colposo. Ma con lui la giustizia non ha ancora chiuso i conti.

Lo chiamavano "Papà Elio" perché lui, da presidente dell'Avellino ai tempi della serie A, elargiva con grande generosità, come un buon padre di famiglia, banconote da centomila lire a tifosi e operai che lo acclamavano. Era un imprenditore rampante Graziano, che dopo l'Isochimica aprì un altro stabilimento industriale a Fisciano (Salerno) per la produzione del detersivo "Dyal", marchio che sponsorizzava le magliette dell'Avellino. Anche nel piazzale di quella fabbrica sarebbe stato smaltito l'amianto.

Il patron arrivava allo stadio "Partenio" in elicottero prima delle partite e prometteva premi favolosi ai calciatori. Da presidente portò l'Avellino guidato in panchina da Luis Vinicio a sfiorare la qualificazione all'allora Coppa Uefa, lanciando campioni che avrebbero fatto le fortune della Juventus come Tacconi, Favero e Vignola. L'anno dopo, nel campionato '87-'88, ci fu però la retrocessione in B e l'esplosione dello scandalo delle "lenzuola d'oro", storia di mazzette pagate da Graziano ai vertici delle Ferrovie per le forniture di biancheria sui treni notturni. Vicenda che costò la poltrona all'allora presidente delle Fs Ludovico Ligato.

Per l'industriale iniziò così la parabola discendente che non è ancora finita. Perché c'è anche lui tra i 24 iscritti nel registro degli indagati nell'inchiesta della Procura sulla morte di quanti sono stati uccisi dall'amianto dell'Isochimica.

 

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