Cittadino Usa sospetto
terrorista ucciso con drone. Obama costretto a spiegare
Fonte: Il Fatto Quotidiano - di Roberto Festa
La giustificazione (arrivata grazie
all'imposizione dei giudici) del fatto, accaduto in Yemen, è l’“Authorization to
Use Military Force” (Aumf), legge che autorizza il presidente a prendere
qualsiasi provvedimento, “nel caso sugli Stati Uniti incomba una grave
minaccia”. L'amministrazione democratica afferma di voler abrogare questa norma,
ma ne fa uso.
Ora sappiamo perché l’amministrazione Obama ha
deciso di uccidere Anwar al-Awlaki, il cittadino americano, sospettato di essere
un leader di al-Qaeda, eliminato con un drone nel 2011. La giustificazione
legale è l’“Authorization to Use Military Force” (Aumf), una legge votata
all’indomani dell’11 settembre e che autorizza il presidente a prendere
qualsiasi provvedimento, “nel caso sugli Stati Uniti incomba una grave
minaccia”. E’ stata una corte d’appello di Manhattan a costringere il governo a
rendere pubblici i documenti che portarono all’assassinio di al-Awlaki. La loro
pubblicazione, presumibilmente, rinfocolerà le polemiche, invece di sopirle.
Il caso Al-Awlaki è del resto stato, in questi anni, l’evento più clamoroso e
controverso della “guerra al terrore” lanciata dalle amministrazioni americane.
Prima quella di George W. Bush, poi quella di Barack Obama. Una rapida analisi
degli eventi che portarono all’eliminazione di al-Awlaki spiega le ragioni di
tanto rumore. Decidendo di eliminare al-Awlaki, il governo degli Stati Uniti ha
infatti scelto di eliminare un proprio cittadino senza processo, senza
un’accusa, senza che il sospettato abbia avuto la possibilità di difendersi.
Al-Awlaki è stato ucciso nello Yemen, il 30 settembre; la stessa sorte è toccata
due mesi dopo al figlio sedicenne di al-Awlaki, Abdulrahman, ucciso sempre dal
missile di un drone mentre, nel deserto yemenita, cercava notizie del padre.
Abdulrahman non aveva, a detta delle stesse autorità americane, alcun legame con
organizzazioni terroristiche, e il suo assassinio è stato archiviato come “un
errore”. Il vero obiettivo del missile era Ibrahim al-Banna, un cittadino
egiziano con un ruolo di peso nel reclutamento di al-Qaeda, Anche Abdulrahman,
nato a Denver, era cittadino americano.
L’amministrazione americana ha sempre ammesso di aver assassinato al-Awlaki,
rifiutando però di rivelarne le ragioni. “Motivi di sicurezza”, ha sempre
risposto il Dipartimento di Giustizia a chi chiedeva di svelare il memorandum
legale che sta dietro l’omicidio. C’è voluta una causa congiunta del New York
Times e dell’American Civil Liberties Union, e la decisione del Secondo Circuito
della Corte d’Appello di Manhattan, per costringere l’amministrazione Obama a
fare chiarezza. Il memorandum preparato dal Dipartimento di Giustizia, e reso
pubblico in queste ore, cita proprio l’Aumf come base legale. La cattura di al
Awlaki, secondo il Dipartimento, sarebbe stata “non fattibile”; e il militante
di al Qaeda sarebbe stato “impegnato in attività che ponevano una minaccia
continua e imminente a persone e interessi americani”. Di qui, dunque, il
ricorso all’“Authorization to Use Military Force”, che consente di eliminare
presunte minacce alla sicurezza Usa senza alcun ostacolo legale. Si diceva delle
polemiche attorno al caso che, inevitabilmente, proseguiranno. Il memorandum,
preparato nel 2010 da un avvocato del Dipartimento di Giustizia, David Barron,
non spiega infatti perché la cattura del militante di al Qaeda sarebbe stata
“non fattibile”, e nemmeno quale fosse la natura della “minaccia imminente” agli
Stati Uniti portata dal al-Awlaki. Il documento si limita invece ad affermare
che l’uomo era un leader capace di “pianificare continui attacchi contro gli
Stati Uniti”.
A nessuno poi sfugge che l’avvocato Barron, l’autore del memorandum, sia stato
nominato giudice federale da Barack Obama. E che proprio l’amministrazione Obama,
mentre pubblicamente afferma di voler abrogare l’Aumf, in privato ne fa ampio
uso. Oltre il caso di al-Awlaki, per Obama e i suoi si preparano comunque tempi
ancor più difficili. “Continueremo a far pressione affinché altri documenti,
relativi al programma di omicidi mirati, vengano resi pubblici; in particolare
quelli sulle vittime civili”, ha spiegato il direttore legale dell’American
Civil Liberties Union, Jameel Jaffer. Il riferimento è alle campagne di attacchi
con i droni decise dall’amministrazione Obama e che, presentate come un modo per
liberarsi in modo relativamente sicuro di pericolosi terroristi, hanno invece
portato all’assassinio di decine di civili, soprattutto in Afghanistan. Obama,
nel 2013, aveva promesso una riduzione nel numero di azioni condotte con i droni,
ma la sua amministrazione ha continuato sino a oggi a farne largo uso.
10 giugno
Fiom:
“Aziende chiedono agli operai gli 80 euro di Renzi per ridurre i costi del
lavoro”
Lamberto Pocai, segretario
provinciale di Lucca, ha raccolto le denunce di alcuni lavoratori secondo cui
alcune ditte di Viareggio avrebbero avanzato la proposta per intervenire su
quattordicesime, premi di risultato, straordinari senza consultare i sindacati.
di David Evangelisti
Gli
ottanta euro di bonus introdotti dal governo Renzi? Lasciali alla tua azienda
per aiutarla a rialzarsi dalla crisi. I casi in cui i lavoratori si sentiranno
avanzare questa proposta dal proprio datore di lavoro potrebbero aumentare
sempre di più. Ad accendere i riflettori sulla questione è stato Lamberto Pocai,
segretario provinciale della Fiom Cgil di Lucca, secondo cui alcune ditte
legate agli appalti della nautica avrebbero tentato di ridurre il costo del
lavoro “sfruttando” l’opportunità offerta dagli ormai “mitici”, per dirla in
termini renziani, ottanta euro.
“A Viareggio – dichiara Pocai a ilfattoquotidiano.it - il settore è in grande
difficoltà. In alcuni casi le aziende sono costrette a ridiscutere quanto già stipulato
nei capitolati d’appalto con ribassi anche del 30%: a farne le spese sono spesso
i dipendenti”. Da qui la proposta per arrivare a un ulteriore taglio del costo
del lavoro. L’operaio intasca il bonus ma contemporaneamente viene chiamato ad
accettare un intervento su alcuni aspetti della propria retribuzione: una sorta
di compensazione per cercare di dare ossigeno alla propria azienda dichiaratasi
in difficoltà.
Secondo quanto riferito da alcuni operai a Pocai sarebbe stato proposto di
intervenire su quattordicesime, premi di risultato, straordinari o superminimi.
Tali proposte sarebbero state avanzate direttamente ai dipendenti e non in sede
di confronto sindacale. “E’ inaccettabile – accusa Pocai – invitiamo i
lavoratori a denunciare queste situazioni: non possiamo permettere che a pagare
siano sempre i soliti. Non è questa la strada giusta per rilanciare le aziende
del settore”.
Il caso della “proposta indecente” – così come l’ha ribattezzata Il Tirreno,
quotidiano che ha portato all’attenzione il caso – non sembrerebbe però essere
circoscritto soltanto al territorio lucchese o al comparto nautico. Il
segretario generale della Fiom toscana Massimo Braccini osserva: “Proposte del
genere si iniziano purtroppo già a sentire in diverse altre realtà e settori
colpiti dalla crisi. E’ un fatto inquietante: significa che l’azienda non vede
altre prospettive per poter continuare a vivere: con interventi del genere però
non si risolve nulla”.
Il rischio “emulazione” sembra essere elevato: casi simili potrebbero perciò
diventare ben presto la normalità. A parlare di “proposta fuori dal mondo” è
Salvatore Barone, responsabile nazionale Cgil area contrattazione: “E’ la prima
volta che sento una storia del genere. La Cgil però vigilerà e non abbasserà la
guardia: simili proposte sono da rispedire al mittente. Invito gli operai a
denunciare”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Masimo Covello, leader della
Fiom Calabria. A parlare di “porcheria e provocazione” è Vittorio De Martino,
segretario generale della Fiom piemontese: “Fino a oggi non avevo ancora sentito
niente del genere. Proposte simili arriveranno anche nel nostro territorio? Non
lo escludo: per tagliare il costo del lavoro – sorride ironicamente gli
imprenditori le tentano di tutte”.
La
matematica non è Galan-te
Per il nucleo tributario della
Guardia di Finanza, Galan in dieci anni ha guadagnato 1,4 milioni e ne ha spesi
2,7: per “coprire” questo buco, i pm sono convinto che abbia preso tangenti in
denaro per il Mose (4,8 mln) - E ora i finanzieri spulciano tutti i conti,
italiani ed esteri, dell’ex governatore del Veneto…
Corrado Zunino per “la Repubblica”
Il Galan che ha sempre pianto
miseria per comprare il villone di Cinto Euganeo ha chiesto un mutuo con una
rata pari al doppio di quella che poteva restituire. Come faceva, e faccia, a
onorarlo, è tutto da spiegare. Innanzitutto, alla Procura di Venezia. L’ex
governatore “tre mandati” sui soldi non finisce di stupire. Il nucleo tributario
della Finanza ha acceso un faro e le intercettazioni sull’uomo quando si è
accorto che in dieci anni (dal 2001 al 2011) aveva guadagnato un milione e 413
mila euro e ne aveva spesi 2 milioni e 695 mila. Quel milione e tre non
giustificato era, come hanno scritto i tre sostituti procuratori pronti a
chiedere l’arresto, una «sproporzione evidente».
Sicuramente, Galan per riempire il gap tra l’avere e il dare ha evaso il fisco
e, secondo l’accusa, ha poi preso tangenti in denaro dal Consorzio Venezia Nuova
per 4 milioni e 831 mila euro. I finanzieri, su mandato della procura, stanno
ricostruendo tutti i conti — italiani ed esteri — dell’ex presidente della
Regione Veneto.
In questo mare di contraddizioni reddituali, colpisce il contratto ipotecario
che Giancarlo Galan e la moglie Sandra Persegato hanno stipulato con Veneto
Banca, la stessa che ha concesso un finanziamento di 7,6 milioni a Denis
Verdini, coordinatore Pdl. Come da dichiarazione presentata alla Camera nel
2013, il forzista Galan ha certificato un reddito nell’anno precedente di 41.340
euro lordi (29.700 netti), tra i più bassi in Parlamento.
La moglie Sandra guadagnava il doppio: 88.553 euro lordi, che netti sono 58.516
euro. Insieme i coniugi — sposati dal 2009 — avevano quindi una disponibilità
annuale di 88.216 euro. Bene, il mutuo per la casa è stato stipulato per un
milione e 850 mila euro, cifra elevata e da restituire in tempi brevi: otto anni
e due mesi, al tasso del 4,21 per cento. Galan ha scelto rate semestrali per
sette anni pari a 75 mila euro. Ogni stagione intera la famiglia deve versare
150 mila euro, contro una disponibilità di 88 mila. Da dove li prendono i 62
mila euro mancanti? E sul mutuo imponente c’è anche una rata finale unica da 725
mila euro, roba da dover stipulare un altro contratto solo per pagarla.
Nel gennaio 2012, ex governatore, Galan dichiarava: «Sono senza stipendio da tre
mesi, per fortuna qualcosina avevo da parte e mia moglie guadagna. Ho due mutui,
li paga lei. Sto pensando di vendere la barca. Spero che si facciano le elezioni
in questo paese, voglio tornare a fare il politico».
In verità, come si legge nella dichiarazione alla Camera fatta per la XVII
legislatura, l’ultima («sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde
al vero», si deve controfirmare), il mutuo Galan era co-intestato a moglie e
marito, le barche possedute erano due non una, aveva comproprietà e nuda
proprietà in quattro case, possedeva un bosco, tre auto, un quad, un trattore.
Ancora l’altro giorno la moglie inveiva, nel parco della villa di Cinto Euganeo:
«Vengano a vedere i conti invece di tirare fango addosso a mio marito». I
finanzieri li stanno guardando, uno per uno.
3 giugno
Amianto, la strage
dimenticata
Quindici operai morti, almeno 150 malati e un
intero quartiere a rischio avvelenamento. È il tragico bilancio portato alla
luce dall'inchiesta sull'Isochimica, l'azienda di Avellino dove negli anni '80 i
lavoratori erano assunti per rimuovere a mani nude la fibra killer dai treni.
Perché oltre allo scandalo Eternit in Italia ci sono ancora centinaia di siti da
bonificare e migliaia di persone che rischiano di essere contaminate.
di ANTONIO CIANCIULLO e PIERLUIGI MELILLO
AVELLINO - La fabbrica della morte è chiusa da
quasi trent'anni, ma continua ad uccidere. Il killer fantasma è nell'aria, ogni
giorno gli abitanti di borgo Ferrovia, quartiere popolare di Avellino, respirano
i veleni che arrivano da quel mostro chiamato "Isochimica", l'opificio dove
negli anni '80 venivano scoibentate le carrozze ferroviarie, quasi tremila in
sei anni. Si lavorava a mani nude, senza mascherine, inconsapevoli dei pericoli.
Almeno 20mila tonnellate di amianto sarebbero state sotterrate nel piazzale
della fabbrica, altre scorie sono state chiuse in cubi di cemento oppure
sistemate in sacchi neri e sversate nelle acque del fiume Sabato o addirittura
nel mare della costiera amalfitana. L'hanno rivelato gli ex operai ai
magistrati. "Ma mentre tutto ciò accadeva dov'erano i cittadini?", si chiede il
procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, che paragona
l'Isochimica all'Eternit di Casale Monferrato, all'Ilva di Taranto a alla
Thyssen Krupp.
"Dovremo andare via da qui", dice Gabriella Testa, alla guida del comitato di
mamme di borgo Ferrovia che si battono per la bonifica del sito. L'Arpac,
l'agenzia regionale per l'ambiente della Campania, ha accertato che ci sono 27
fibre di amianto per litro d'aria nella zona, stando alle raccomandazioni
dell'Oms non ce ne dovrebbe essere nemmeno una. Il biologo Carlo Caramelli,
garante del Tribunale per i diritti del malato, ha chiesto al prefetto di far
evacuare il rione. "Perché Renzi non viene a visitare la scuola elementare che è
a cento metri dalla fabbrica?", ha chiesto polemicamente Carlo Sibilia,
l'avellinese arrivato in Parlamento con il Movimento 5 Stelle. C'è già stato lo
screening sui bambini della scuola, il pediatra dell'Asl di Avellino, Felice
Nunziata, che ha guidato l'equipe per le analisi, ha ammesso: "Qui non farei
vivere mio figlio, la bonifica è urgente".
Ma è ancora tutto fermo: il Comune non ha i soldi, la Regione prende tempo.
Eppure il procuratore Cantelmo, dopo aver messo sotto inchiesta il titolare
dell'Isochimica, Elio Graziano, imprenditore protagonista negli anni '80 dello
scandalo "lenzuola d'oro", l'ex giunta comunale e perfino il curatore
fallimentare, ha cercato di imprimere un'accelerazione nominando custodi
giudiziari dell'impianto il sindaco, Paolo Foti, e il governatore regionale,
Stefano Caldoro.
Dopo anni di omissioni e indifferenza almeno qualcosa si muove. Ma la svolta non
c'è stata. Resta il conto dei morti, una lunga scia di lutti e dolore: l'amianto
ha già ucciso 15 ex operai ed un lavoratore che con l'Isochimica non c'entrava
nulla. Si chiamava Vittorio Esposito, lucidava i pavimenti della stazione
ferroviaria dove si scoibentavano le carrozze ferroviarie direttamente sui
binari evitando di portarle in fabbrica. Anche sua moglie, la vedova Rosetta
Capobianco che lavava le tute del marito impregnate di amianto, si è ammalata ai
polmoni, ma continua a battersi per il risanamento del quartiere. E ora da
qualche mese la Procura indaga su altri 23 decessi, nuovi casi sospetti tra ex
operai, familiari e cittadini di cui sono state sequestrate cartelle cliniche e
certificati di morte.
Si fanno i conti. All'Isochimica lavoravano 333 operai, almeno 150 sono già
risultati ammalati. "Ormai ci sentiamo dei morti che camminano", confessa Carlo
Sessa, uno degli ex operai che ha visto morire i compagni di lavoro: da tempo
chiede inutilmente aiuto a tutti i partiti per la battaglia del prepensionamento
degli ex dipendenti della fabbrica dei veleni. Ma la politica è rimasta ancora
indifferente. E il futuro fa paura. Mario Polverino, direttore del polo
pneumologico dell'ospedale "Scarlato" di Scafati, ha scoperto che gli 80 operai
dell'Isochimica provenienti dal Salernitano sono stati tutti contaminati dalle
fibre killer. "Il picco delle malattie derivanti dall'amianto si avrà intorno al
2020, quindi tutti gli ex operai e i cittadini sono a rischio", conferma
Polverino che ha paragonato l'Isochimica alla miniera di crocidolite, l'amianto
blu, di Wittenoom Gorge nel Western Australia dove a distanza di 45 anni
dall'esposizione, le persone che abitavano nei dintorni della cava continuavano
ad ammalarsi e a morire fino a far diventare il villaggio una città fantasma. Ma
Borgo Ferrovia ora vuole vivere. Anche se la lotta contro i veleni non è ancora
finita.
La Spoon River dell'Irpinia
C'è un'altra morte sospetta legata alla fabbrica
dei veleni su cui indaga la Procura di Avellino. Lui si chiamava Vito Cotrufo:
fu ucciso nel 1987 da un tumore ai polmoni, l'Isochimica era ancora in piena
attività. Sarebbe stata chiusa solo due anni dopo dal pretore di Firenze,
Beniamino Deidda che indagava sui morti delle grandi officine toscane dove le
carrozze ferroviarie tornavano dalla fabbrica irpina, ripulite male
dall'amianto.
Nelle carte della Procura di Avellino ci sono poi i nomi dei decessi più
recenti: Umberto De Fabrizio, Vittorio Matarazzo, Luigi Maiello, Alberto
Olivieri e altri dodici ex lavoratori Isochimica, stroncati da malattie
all'apparato respiratorio causate dall'amianto.
Parallela a queste si è consumata poi la tragedia di Pasquale Soricelli, che nel
2011 dopo aver scoperto di essere affetto da una grave malattia per le fibre
killer si tolse la vita. Una targa da qualche anno ricorda il sacrificio di
questi lavoratori davanti alla fabbrica.
Graziano: una storia di tangenti, calcio e
veleni
Chissà se oggi il titolare dell'Isochimica,
l'ormai 82enne Elio Graziano, che sconta da condannato ai domiciliari le sue
pene nell'abitazione di contrada Scrofeta alla periferia di Avellino, pensa mai
al disastro che ha lasciato alle sue spalle. "Ho sempre solo fatto del bene",
ripete ancora oggi al suo avvocato, il penalista Alberico Villani. Tornerà un
uomo libero solo il 19 ottobre del 2017, quando finirà il conto delle sentenze
che l'hanno colpito per corruzione e omicidio colposo. Ma con lui la giustizia
non ha ancora chiuso i conti.
Lo chiamavano "Papà Elio" perché lui, da presidente dell'Avellino ai tempi della
serie A, elargiva con grande generosità, come un buon padre di famiglia,
banconote da centomila lire a tifosi e operai che lo acclamavano. Era un
imprenditore rampante Graziano, che dopo l'Isochimica aprì un altro stabilimento
industriale a Fisciano (Salerno) per la produzione del detersivo "Dyal", marchio
che sponsorizzava le magliette dell'Avellino. Anche nel piazzale di quella
fabbrica sarebbe stato smaltito l'amianto.
Il patron arrivava allo stadio "Partenio" in elicottero prima delle partite e
prometteva premi favolosi ai calciatori. Da presidente portò l'Avellino guidato
in panchina da Luis Vinicio a sfiorare la qualificazione all'allora Coppa Uefa,
lanciando campioni che avrebbero fatto le fortune della Juventus come Tacconi,
Favero e Vignola. L'anno dopo, nel campionato '87-'88, ci fu però la
retrocessione in B e l'esplosione dello scandalo delle "lenzuola d'oro", storia
di mazzette pagate da Graziano ai vertici delle Ferrovie per le forniture di
biancheria sui treni notturni. Vicenda che costò la poltrona all'allora
presidente delle Fs Ludovico Ligato.
Per l'industriale iniziò così la parabola discendente che non è ancora finita.
Perché c'è anche lui tra i 24 iscritti nel registro degli indagati
nell'inchiesta della Procura sulla morte di quanti sono stati uccisi
dall'amianto dell'Isochimica.