Europee, vincono indagati e
condannati: in 21 totalizzano 1 milione e 242mila voti
E' Raffaele Fitto, con 284.547 preferenze, 4
anni in primo grado e 3 imputazioni, a guidare il partito degli "impresentabili"
che conquistano un posto a Strasburgo. Non riesce a centrare l'obiettivo
Clemente Mastella, imputato e rinviato a giudizio a Napoli. Quasi 12mila
preferenze per Paolo Romano (Ncd), arrestato la scorsa settimana
di Carlo Tecce
Nonostante
il mancato (e sempre abbondante) apporto di Silvio Berlusconi, un titolare
irrinunciabile, il partito indagati&condannati ha raggiunto il quorum: i 21
candidati – fra eletti e trombati – hanno registrato 1,242 milioni di voti, un 4
per cento quasi in scioltezza, un passo (lungo) avanti al gruppo l’Altra Europa
con Tsipras, sorpassata anche la coppia Ncd-Udc.
Il capofila e capolista, senza piombare in astrusi calcoli algebrici, è il
pugliese Raffaele Fitto: 284.547 preferenze, 4 anni in primo grado, 3
imputazioni (corruzione, abuso d’ufficio e finanziamento illecito). E l’ex
ministro, non un novizio, legittimamente rivendica il testimone da Berlusconi.
L’eterno giovane Fitto ha staccato di molto Aldo Patriciello (111.554), che non
ha sfigurato. Riabilitato dal Tribunale di Campobasso il 14 maggio di un anno
fa, Patriciello fu condannato a 4 mesi per finanziamento illecito, sentenza
definitiva per una mazzetta da 16 milioni di lire (anni ’90) per la campagna
elettorale di Michele Iorio.
Arruolato di recente, e per questo governatore dimissionario in Calabria,
Giuseppe Scopelliti (42.210, Ncd-Udc) ha sfiorato il secondo piazzamento in
lista di Filippo Piccone, già parlamentare: Scopelliti è terzo e pieno di
speranza. Perché se Lorenzo Cesa (56.991), deputato, indagato per finanziamento
illecito, dovesse rinunciare al seggio di Strasburgo, Scopelliti andrebbe al
“ballottaggio” interno con Piccone e l’ampia immunità europea sarebbe più
vicina.
Ieri (mercoledì 28 maggio) è cominciato a Cagliari il dibattimento per
l’imputato Renato Soru (182.687), rinviato a giudizio per evasione fiscale (e
indagato per aggiotaggio), ma apprezzato in Sardegna e anche in Sicilia: non era
agevole strappare un seggio europeo. Il democratico Nicola Caputo (85.846),
avviso di conclusa indagine per truffa, l’ha scampata per qualche migliaia di
voti, e così Giuseppe detto Giosi Ferrandino (82.189), rinviato a giudizio per
falso ideologico e distruzione di bellezze naturali, non potrà entrare in aula a
Strasburgo assieme al collega.
Armando Cusani (55.401) paga una congiuntura sfavorevole, roba da bizzarro
allineamento di pianeti: Forza Italia s’è sgonfiata e la senatrice Alessandra
Mussolini (medaglia di argento dietro Tajani, circoscrizione Centro) vuole
espatriare. Oltre che in politica, Cusani è molto impegnato in Tribunale:
condanna in primo grado a un anno e otto mesi per abuso d’ufficio e, sempre in
primo grado, due anni per abuso edilizio.
Il ritorno nel Mezzogiorno di Gianni Alemanno (44.853), ex sindaco di Roma e
origini baresi, è un fallimento, netto. Senza cariche da oltre un anno, all’ex
missino non resta che l’indagine (romana) per finanziamento illecito. ‘O
miracolo non riesce a Clemente Mastella (60.336), risorto per un mandato a
Strasburgo con Forza Italia, l’ex ministro è inchiodato a Ceppaloni, e poi
rinviato a giudizio a Napoli per associazione a delinquere, imputato ancora a
Napoli per tentata concussione e abuso d’ufficio. Non va sigillato il racconto
meridionale senza citare Paolo Romano (11.882), arrestato una settimana fa, in
teoria ritirato, ma comunque raggiunto da un’empatia elettorale, inutile e un
po’ inquietante. Altra circoscrizione, altri temerari.
Giampiero Samorì (13.160), che ci aveva già provato per il Parlamento, viene
respinto anche in Europa. Stavolta, l’imprenditore s’è accoccolato in un
cantuccio di Forza Italia, basso in lista, senza dover fondare un partito, che
gli è costato oltre mezzo milione di euro. Nulla. Ma ci sarà occasione per
Samorì, ex pupillo di Berlusconi, e dunque indagato a Roma per associazione a
delinquere finalizzata all’ostacolo per le funzioni di vigilanza, appropriazione
indebita, bancarotta fraudolente e riciclaggio. Ha perso senza farsi notare né
sentire il duo – ex Forza Italia ora Ncd-Udc - Gabriele Albertini (11.447,
indagine per calunnia aggravata a Brescia) e Guido Podestà (7.898, imputato a
Milano per falso ideologico).
Da Anna Petrone (71.661, avviso di conclusa indagine per peculato) a Franco
Bonanini (3,689, rinviato a giudizio per associazione a delinquere per truffa ai
danni dello Stato), i 21 del partito inquisiti non hanno deluso. O rovesciando
il concetto, gli elettori non li hanno delusi.
Ps. Non c’entra nulla con le inchieste giudiziarie, ma la denuncia di un
candidato M5S è un caso di scuola. L’imprenditore Massimo Blasoni, numero 2 di
Forza Italia in Friuli, ha sostenuto il veneto Remo Sernagiotto (eletto),
assessore regionale alle Politiche sociali. I Cinque Stelle hanno scoperto, e
accusano, che abbiano influito gli interessi di Blasone, titolare di due
cliniche che hanno ottenuto “l’accreditamento istituzionale” dalla Regione
Veneto.
La recessione è finita, ma
l'Italia rimane nella palude
Dal rapporto Istat 2014 emerge che solo 3
imprese su 10 aumentano occupazione e fatturato, oltre 6 milioni di persone
potenzialmente impiegabili sono fuori dal mercato del lavoro, Mezzogiorno sempre
più povero e "vecchio", disuguaglianza in crescita a dispetto delle politiche di
redistribuzione. Nascite al nuovo minimo storico: 515 mila.
di ROSARIA AMATO
ROMA - La recessione è finita, ma la stagnazione
no. Il Rapporto Istat 2014, che viene presentato stamane alle 11 a Montecitorio
dal presidente Antonio Golini, mostra un Paese che ancora non riesce a ripartire
e appare sempre più frammentato: le regioni del Mezzogiorno aumentano
ulteriormente la loro distanza dal resto del Paese, solo il 30% delle imprese
negli ultimi due anni ha migliorato occupazione e fatturato, intercettando gli
stimoli di crescita, la disuguaglianza rimane "consistente" a dispetto delle
politiche redistributive, la povertà aumenta, l'occupazione femminile migliora,
ma solo perché servono più baby sitter e badanti per supplire alla cronica
inadeguatezza dei servizi sociali. Tra disoccupati e persone che sarebbero
comunque disposte a lavorare nel 2013 si contano 6,3 milioni di "potenzialmente
impiegabili", uno spreco di risorse colossale che riguarda soprattutto i
giovani.
Il Paese non cresce, e questo limita o, peggio, annulla gli effetti delle
manovre di contenimento del debito pubblico. L'Italia si distingue in Ue per
"aver attuato un grande sforzo di consolidamento fiscale nonostante una
recessione economica tra le più profonde", sottolinea Antonio Golini.
Tuttavia, prosegue il numero uno dell'istituto, "tra le cause della mancata
crescita dell'economia italiana, ricopre una posizione di rilievo una prolungata
stagnazione della produttività, che si protrae ormai dagli anni duemila, e sulla
quale si sono innestate le conseguenze delle
due fasi di crisi 2008-2009 e 2011-2013". La mancata produttività, e la mancata
crescita, hanno controbilanciato negativamente gli effetti delle manovre fiscali
da 182 miliardi attuate dai vari governi negli ultimi tre anni, e su cui si sono
concentrate le poche risorse disponibili: "Il nostro è stato l'unico Paese della
Uem a non aver attuato nel complesso politiche espansive, presentando effetti
cumulati restrittivi per oltre 5 punti di Pil", scrive l'Istat.
Il Pil: crescerà, ma poco. L'Istat prevede un aumento del prodotto
interno lordo pari allo 0,6% quest'anno in termini reali, dell'1% nel 2015 e
dell'1,4% nel 2016. Se negli anni di crisi a sostenere la produzione sono state
soprattutto le esportazioni, invece da quest'anno dovrebbero migliorare i
consumi interni: la domanda al netto delle scorte è prevista in crescita dello
0,4%. Un miglioramento delle condizioni di accesso al credito dovrebbe
ulteriormente spingere la spesa delle famiglie, "sostenuta da un incremento del
reddito disponibile nominale superiore all'inflazione al consumo".
I consumi: spendono solo i pensionati. La ripresa dei consumi interni è
molto attesa dal momento che dal 2008 le famiglie italiane hanno sperimentato
sei anni consecutivi di caduta del potere d'acquisto, che hanno affrontato
riducendo fortemente il risparmio. Tra il 2007 e il 2013 il potere d'acquisto è
sceso del 10,4%, nel 2013 però la caduta è "solo" dell'1,1%, grazie a un modesto
aumento dello 0,3% del reddito disponibile. Tuttavia osserva l'Istat che il 2013
potrebbe essere un anno di svolta, in cui la riduzione dei consumi risulta
superiore a quella del reddito. La propensione al risparmio infatti è risalita
al 9,8% dopo il minimo storico dell'8,4% toccato nel 2012: le famiglie si sono
adeguate ai nuovi livelli di reddito cosi come i consumi e anche il credito al
consumo si è contratto. Tra il 2007 e il 2012, rileva l'Istat, "solo le famiglie
di ritirati dal lavoro hanno conservato livelli medi di consumo mensile
positivi", "grazie alla sicurezza fornita dai redditi da pensione".
Il lavoro: 6,3 milioni tra disoccupati e inattivi. I disoccupati sono
poco più di tre milioni, ma in realtà "il totale delle forze di lavoro
potenziali" in Italia raggiunge i 6,3 milioni di individui, visto che l'Istat
calcola anche 3.205.000 inattivi, 417.000 solo nel 2013. Cresce la
disoccupazione di lunga durata: se nel 2008 era al 45,1%, nel 2013 raggiunge il
56,4% dei senza lavoro. E' sempre più difficile tornare al lavoro dalle file dei
disoccupati: se nel periodo precrisi, tra il 2007 e il 2008, lo hanno fatto 33
disoccupati su 100 nell'arco di un anno, tra il 2012 e il 2013 si scende a 24 su
100. Ma è altrettanto difficile passare da un lavoro "atipico" a uno con
contratto a tempo indeterminato: 527.000 atipici svolgono lo stesso lavoro da
almeno cinque anni, erano il 18,3% nel 2008, sono diventati il 20,2% nel 2013. E
tra i precari c'è anche un nutrito gruppo di dipendenti Istat, che ieri
pomeriggio ha fatto irruzione in sala stampa, durante la presentazione
anticipata del Rapporto per i giornalisti, per chiedere la stabilizzazione di
376 giovani che lavorano per l'istituto da 4 anni, in attesa dell'immissione in
ruolo.
Mezzogiorno sempre più alla deriva. La crisi ha accresciuto i divari
territoriali. Il Mezzogiorno è diventato sempre più povero, soprattutto a causa
della cronica mancanza di lavoro. Infatti il tasso di occupazione maschile è
sceso al 53,7%, oltre 10 punti più basso della media nazionale, quanto alle
donne, lavora una su tre. In particolare Campania, Calabria, Puglia e Sicilia
presentano valori del tasso di occupazione femminile pari a meno della metà di
quello della Provincia Autonoma di Bolzano. Le famiglie in cui non è presente
alcun occupato al Sud sono passate dal 14,5% del 2008 al 19,1% del 2013. E
quindi il rischio di povertà nel Mezzogiorno è molto più alto che nel resto
dell'Italia. La mancanza di prospettive per i giovani ne favorisce l'esodo, per
cui il Mezzogiorno sta invecchiando più rapidamente che il resto dell'Italia:
l'Istat prevede che dal 2011 al 2041 la proporzione di ultrasessantacinquenni
per 100 giovani con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata passando da
123 a 278.
Le imprese: 30 su 100 ce la fanno. Analizzando il fitto reticolato del
sistema italiano delle imprese l'Istat individua una consistente percentuale di
"top performers". "Sono imprese - spiega Roberto Monducci, direttore del
dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche - che negli
ultimi due anni, nonostante la crisi, hanno aumentato occupazione e fatturato,
che operano su scala internazionale, hanno relazioni produttive con altre
imprese, tendono a fare innovazioni organizzative e di processo".
Cresce la disuguaglianza. L'Istat analizza attentamente sia le politiche
di redistribuzione del reddito che quelle di riduzione della spesa pubblica,
valutandole entrambe positivamente. Eppure, in entrambi i casi si tratta di
politiche quasi inefficaci, o comunque scarsamente influenti. Per la riduzione
della spesa pubblica a frenare l'efficacia di una più che consistente spending
review operata dai vari governi negli ultimi anni è la debolissima crescita del
Pil, e l'aumento dei tassi di interesse. Mentre per le politiche di
redistribuzione del reddito, che l'Istat promuove valutandole come "di
apprezzabile entità, non inferiore a quella dei Paesi scandinavi", a frenare
l'efficacia sono i fortissimi squilibri del Paese, a cominciare dallo svantaggio
retributivo a sfavore delle donne e dei giovani. Per cui "in Italia il livello
di disuguaglianza rimane significativo anche dopo l'intervento pubblico".
Inoltre c'è una grossa falla nelle politiche italiane di redistribuzione: "Le
detrazioni per lavoro e per familiari a carico perdono parte della loro
efficacia redistributiva per effetto dell'incapienza, che si verifica quando il
reddito è così basso da non consentire di avvalersi pienamente dei benefici
delle detrazioni".
La trappola della povertà. La carenza di politiche a favore dei più
poveri incide negativamente sul "rischio di persistenza in povertà", ovvero la
condizione di povertà nell'anno corrente e in almeno due degli anni precedenti,
che nel 2012 in Italia presenta uno degli indici più alti d'Europa, 13,1 contro
9,7%. Le famiglie maggiormente esposte sono quelle residenti nel Mezzogiorno,
quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il
principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di
istruzione. Nel rapporto si legge che l'indicatore di povertà assoluta, stabile
fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all'8%
della popolazione.
Minimo storico per le nascite. La prolungata recessione ha scoraggiato
anche le nascite: l'Istat conferma che nel 2013 si è toccato un nuovo minimo
storico per le nascite da quasi vent'anni. Si stima che siano stati iscritti
all'anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno "rispetto al minimo
storico registrato nel 1995".
Voilà, il voltabaffino
Breve rassegna del Dalemismo su Renzi: “Matteo
Renzi vuole sfasciare e cancellare tutto” (19 ottobre 2012) - “Le sue posizioni
rappresentano l'irrompere del qualunquismo populista nel nostro campo” (18
ottobre 2012) - “Se vince Renzi? Temo che a quel punto non c'è più il
centrosinistra" (24 settembre 2012)…
1
- EUROPEE: D'ALEMA, RISULTATO PD STRAORDINARIO, MERITO RENZI
(ANSA) - "Nel quadro di un voto europeo molto difficile e problematico, il dato
italiano si distingue sia per la partecipazione, che rimane tra le più alte
dell'Unione, sia per il risultato straordinario ottenuto dal centrosinistra e
dal Partito Democratico. Credo che questo successo sia legato soprattutto alla
capacità di Matteo Renzi e del PD di presentarsi come forza innovativa rispetto
alla politica tradizionale e con un programma critico verso le scelte compiute
dall'Unione negli anni della crisi". E' questa l'analisi di Massimo D'Alema sul
voto europeo.
2 - MASSIMO D'ALEMA, UNO CHE NE CAPISCE
"Matteo Renzi vuole sfasciare e cancellare tutto" (19 ottobre 2012)
"Renzi? Il suo non penso sia un rinnovamento convincente, al di là del dato
generazionale non vedo elementi di novità sul piano politico e culturale
rispetto alla stagione che abbiamo vissuto" (19 ottobre 2012)
"Renzi? Le sue posizioni rappresentano l'irrompere del qualunquismo populista
nel nostro campo e il rischio di una vera e propria mutazione. (18 ottobre 2012)
"Renzi non è il rimedio, ma è peggio del male perché è un elemento di divisione
e il difetto del centrosinistra è stato proprio questo (18 ottobre 2012)
"Matteo Renzi sembra aver lanciato una campagna rivolta non alla costruzione di
una prospettiva di governo ma esclusivamente contro il gruppo dirigente del Pd e
tutti i potenziali alleati di governo del centrosinistra" (6 settembre 2012)
"Se vince Renzi? Temo che a quel punto non c'è più il centrosinistra" (24
settembre 2012)
"Renzi? Non ha proprio idea di cosa significhi fare il segretario di un partito"
(18 ottobre 2013)
26 maggio
Ambasciatore, ma di chi?
In alcune foto della festa della Repubblica del 2 giugno 2011 a Montecarlo,
ecco schierata la famiglia Matacena. Amedeo e la moglie Chiara, insieme
all’inseparabile Scajola, sono ospiti dell’ambasciatore Morabito. Lo stesso che
per il gip di Reggio Calabria si sarebbe interessato per aiutare come poteva
Chiara Rizzo durante la latitanza del mari…
Forse è il caso di sostituire l'ambasciatore italiano nel Principato di Monaco,
che doveva avere una gran passionaccia per i Matacena. Tanto da invitarli in
ogni occasione pubblica, nonostante Amedeo avesse già da anni un processo per
mafia sulle spalle. In un'interrogazione parlamentare alla collega di partito
Mogherini, ministro degli Esteri per mancanza di prove, Laura Garavini chiede di
appurare se l'ambasciatore Morabito si sia comportato con la giusta diplomazia
nei confronti dei Matacena.
Garavini fa notare che in una foto pubblicata da Oggi, scattata durante il
ricevimento per la Festa della Repubblica del 2 giugno 2011 dentro la nostra
ambasciata a Monaco, si vedono Amedeo Matacena (oggi latitante), la moglie
Chiara Rizzo (arrestata per favoreggiamento) e l'immancabile Claudio Scajola
(anche lui oggi recluso).
Nell'interrogazione
urgente, si sottolinea che Amedeo non rivestiva più ruoli istituzionali da oltre
13 anni, ovvero da quando non era più deputato di Forza Italia. Del resto lo
avevano "tagliato" dalle liste perché alle prese con quell'inchiesta per
‘ndrangheta che poi è diventata una condanna definitiva. E Scajola si era
battuto come un leone perché Forza Italia fosse "garantista" anche con l'amico
armatore.
Quando l'ambasciatore Morabito lo invita per il 2 giugno 2011, Matacena era
sotto processo per concorso esterno ed era stato arrestato nel 2004 per altre
storie.
Nell'ordinanza d'arresto della scorsa settimana,
che ha portato agli arresti di Scajola, Chiara Rizzo e di sua suocera Raffaella
De Carolis, si legge poi che con Matacena ormai condannato definitivamente,
l'ambasciatore "sollecitato dalla moglie di Matacena, interessava altri uffici
appartenenti alla struttura del Ministero degli Esteri affinché si attivassero
su questioni riguardanti il Matacena, malgrado gli fosse ben noto che lo stesso
era ormai, a tutti gli effetti, un latitante".
La Garavini chiede quindi al ministro degli Esteri
di sapere:
- a che titolo il Matacena è stato invitato, o comunque ammesso, a celebrare la
Festa della Repubblica all'interno della nostra ambasciata del Principato di
Monaco
- se siano state aperte una o più procedure ispettive interne alla struttura
ministeriale per verificare quanto successo e il reale stato dei rapporti tra
l'ambasciatore Morabito e la famiglia Matacena.
- se, nel caso quanto sopra esposto corrisponda a verità, non sia necessario
provvedere con urgenza alla sua sostituzione.
Almeno l'anno scorso, va detto che secondo quando risulta a Dagospia, i Matacena
non sarebbero stati invitati. O meglio, dipende. Nelle foto scattate in uno dei
luoghi più opulenti del pianeta si vede gente che non sfigurerebbe a un
matrimonio in Aspromonte sia per la partecipazione (con tanto di didascalia nel
sito ufficiale dell'Ambasciata) di nobili decaduti e con i titoli cancellati
(dal nostro Stato che lì si festeggiava), ma anche per la presenza della ex
compagna di Matacena, e madre del primo figlio, Alessandra Canale.
L'ambasciatore Morabito doveva avere una passione per tutta la tribù Matacena.
22
maggio
Romano Marabelli nominato
segretario generale del ministero. Ma è sotto inchiesta per gli affari illeciti
dei virus. Con l'ipotesi di mazzette e appalti pilotati
di Lirio Abbate
Il ministro Beatrice Lorenzin promuove l'indagatoDa
anni è considerato un personaggio di grande influenza nelle stanze del ministero
della Salute. E Beatrice Lorenzin ha appena promosso Romano Marabelli, 60 anni,
nominandolo segretario generale del dicastero. Lo ha fatto senza dare attenzione
alle rivelazioni de “l'Espresso”, che un mese fa ha pubblicato il nome del
dirigente pubblico tra gli indagati nella maxi-inchiesta della procura di Roma
sul business dei virus. Negli atti degli inquirenti al ruolo di Marabelli è
dedicata molta attenzione: è stato per decenni il numero uno delle questioni
veterinarie, dirigendo il dipartimento del ministero. A lui si rivolgeva il
vertice dell'Istituto zooprofilattico delle Venezie, cuore dell'istruttoria, per
concludere affari di una certa importanza economica. Secondo i carabinieri del
Nas, che hanno condotto l'indagine, nel 2006 a Marabelli sarebbero state pagate
somme di denaro per chiudere un contratto per la vendita al governo olandese di
un brevetto sui test contro l'epidemia di aviaria.
Quella in cui è coinvolto Marabelli è un'istruttoria che ha messo in luce gravi
distorsioni nella gestione delle emergenze sanitarie, a partire dall'allarme per
l'epidemia di aviaria. Intercettazioni e sequestri hanno ricostruito un
contrabbando internazionale di virus, con il rischio di diffondere epidemie: il
tutto per conquistare il ricco mercato dei vaccini. Un intreccio di affari che
riguarda soprattutto la tutela degli allevamenti ma che, secondo gli inquirenti,
ha esposto anche la popolazione al pericolo di epidemie. La procura di Roma ha
iscritto nel registro degli indagati altre trenta persone, fra medici,
ricercatori, funzionari del ministero della Salute, dirigenti dell'Istituto
profilattico delle Venezie e manager di case farmaceutiche, accusate a vario
titolo di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, turbativa
d'asta, abuso d'ufficio e traffico illecito di virus.
Fra gli indagati c'è pure la virologa Ilaria Capua, attuale parlamentare di
Scelta Civica, che ha respinto con decisione tutti gli addebiti: «Mai commesso
illeciti». Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo sta completando gli atti
d'indagine ed è attesa la sua decisione sulla sorte del procedimento: alcuni dei
reati contestati risalgono al 2006 e potrebbero essere prossimi alla
prescrizione.
Le ipotesi contro Marabelli nascono soprattutto dalle telefonate intercettate.
Secondo l'indagine dei carabinieri il contatto con Marabelli lo teneva il
direttore generale dell'Izs veneto, Igino Andrighetto, che lo andava a trovare a
Roma: secondo gli investigatori a volte questi viaggi erano organizzati per una
«dazione di denaro». L'accusa sostiene che «la conferma sull'ipotesi di una
eventuale dazione di denaro in favore di Marabelli emerge molto chiaramente in
una conversazione registrata quando Andrighetto sostiene di essere stato molto
abile e di aver lasciato un collega in auto in modo da parlare da solo con
Marabelli dei soldi che arriveranno dal governo olandese. Da questa somma ne
deriverà un utile anche per le persone del Ministero che hanno dato una mano».
Il direttore generale dell'Izs parlando con i suoi interlocutori coinvolti
nell'inchiesta, riferendosi a Marabelli dice: «Bisognerà vedere come fargli
avere i soldi perché col ministero si fa fatica a ragionare. E comunque un
sistema si troverà». Millanterie? L'istruttoria romana insiste molto sulla
posizione che Marabelli occupava nel 2006: da lui dipendevano tutte le
autorizzazioni del settore veterinario, fondamentali per le attività degli
allevamenti.
Le valutazioni degli investigatori dei Nas nei suoi confronti sono molto dure.
«Altri aspetti illeciti da non ritenersi sicuramente disgiunti da quelli già
affrontati del contrabbando dei virus dell’influenza aviaria e del reale rischio
di epidemia derivante dall’impiego di vaccini ad uso veterinario per l’influenza
aviaria realizzati in maniera clandestina, sono poi quelli riferiti ad una serie
di condotte illecite riconducibili all'abuso d’ufficio, che dimostrano in
maniera esplicita la volontà dei funzionari ministeriali, Romano Marabelli,
Gaetana Ferri e Ugo Vincenzo Santucci, nonché di quelli dell’Izs, Stefano
Marangon e Ilaria Capua, di “favorire” intenzionalmente l’interesse commerciale
della ditta farmaceutica Merial Italia spa, attraverso la cessione dei ceppi
virali ed il conseguente interessamento al rilascio delle prescritte
autorizzazioni alla produzione dei vaccini, in danno delle altre industrie
farmaceutiche del settore».
Sempre secondo gli investigatori «in questa ottica va interpretato il rilascio,
ritenuto illecito, alla Merial Italia, dal 2000 al 2006, delle autorizzazioni
per la produzione di vaccini da impiegarsi nei relativi piani di vaccinazione di
emergenza, in netto contrasto con quanto sancito da una normativa e senza,
peraltro, ricorrere ad alcuna procedura di affidamento a trattativa privata e/o
gara d’appalto, in evidente danno delle altre ditte concorrenti ed in
particolare della ditta Intervet».
Per gli inquirenti è «palese la configurabilità della rivelazione del segreto
d’ufficio, di cui Ugo Vincenzo Santucci risulta essersi reso responsabile, in
funzione della commissione di un delitto ancor più grave, quale quello della
turbata libertà degli incanti in cui sarebbero correi anche gli altri funzionari
ministeriali e dell’Izs di Padova, quali Romano Marabelli, Igino Andrighetto,
Francesco Favretti, i componenti della Commissione tecnico-economica, e poi
Stefano Marangon, Ilaria Capua, oltre che, naturalmente, Paolo Candoli (manager
della Merial Italia spa) e Elena Prandini». E scrivono: «il ricorso alla
trattativa privata che ha evitato lo svolgimento della gara d’appalto, come
concordato nel corso dei dialoghi telefonici intercettati (nel gennaio 2006
ndr), veniva giustificato facendolo apparire come un provvedimento contingibile
ed urgente che consentiva, fra l’altro, la disponibilità immediata di tre
milioni di dosi di vaccino H5N9 della Merial Italia spa, dosi che di fatto erano
già state impiegate nell’ambito del piano annuale di vaccinazione di emergenza
del 2006».
Che Marabelli fosse sotto inchiesta lo ha rivelato “l'Espresso”, senza ricevere
smentita. Ma la notizia non ha pesato sulla scelta del ministro Lorenzin,
ratificata dal consiglio dei ministri. Ora come segretario generale sarà una
sorta di regista del funzionamento del dicastero, alle dirette dipendenze del
ministro: avrà il compito di coordinare le attività delle direzioni generali e
gli interventi in caso di emergenze sanitarie internazionali. E farà poi da
raccordo con le direzioni generali per le attività delle Conferenze delle
Regioni, quelle in cui si stabiliscono le linee della politica sanitaria del
Paese.
Toh, è rispuntato Giulio
Tremonti
L'ex superministro dell'Economia riunisce ex
volti noti del centrodestra dei tempi d'oro. Ci sono Frattini, Urbani, Letta
(zio), La Russa, Sacconi, Bonaiuti. Per parlare di Europa. E guardare al dopo
elezioni
di Susanna Turco
Comunque
vada, nelle retrovie ci sarà da gestire un mare di cocci. Sarà per questo che,
proprio mentre l’Ncd è con le mani nei capelli per l’arresto improvviso di Paolo
Romano, candidato in Europa e cassaforte di voti, e mentre a Palazzo Grazioli il
gran consiglio berlusconiano nomina Maria Rosaria Rossi amministratore
straordinario di Forza Italia al posto di Sandro Bondi, ecco proprio in
contemporanea – ma al Senato - rispunta Giulio Tremonti.
L’ex superministro dell’economia, oggi senatore di Gal, fresco dell’ennesima
fatica letteraria e dell’ennesima polemica con Brunetta, non è solo. Con lui,
stretti stretti a convegno, tanti (ex) volti noti del Pdl e del centrodestra che
fu, e che vuol continuare ad essere: Gianni Letta, Giuliano Urbani, Franco
Frattini, il nuovo Ncd Paolo Bonaiuti, il capogruppo di Forza Italia Paolo
Romani, l’Ncd Luigi Casero, ma anche il leghista schivo Giancarlo Giorgetti, i
Gal Luigi Compagna e Mario Ferrara, il fratello d’Italia Ignazio La Russa.
Chiamati da Tremonti in un incontro a porte chiuse, stile Aspen, nella sala Koch
di Palazzo Madama. Ufficialmente per discutere di Europa , politiche economiche
e monetarie, nel primo di una serie di incontri organizzati da “Officina 2014”,
nome evocativo di anni più dorati (si ricorda, fra l’altro, “Officina 94”,
“Officina 2001”, “Officina 2006”, e quella volta in cui Tremonti arrivò a dire
che la “Fabbrica” di Prodi era una scopiazzatura). Di fatto, un modo per capire
se si potrà ricominciare (anche) da qui, a ricucire un qualche centrodestra
plausibile, dopo il voto. Almeno, parlarne.
13 maggio
Frontale per Marchionne
1. IL MIRACOLO DI MARPIONNE: IL SUO PIANO
INDUSTRIALE, SILURATO IERI IN BORSA, È RIUSCITO A METTERE D'ACCORDO OGGI I DUE
PIÙ GRANDI QUOTIDIANI ECONOMICI DEL MONDO
2. IL ‘’WALL STREET JOURNAL’’ INCHIODA AL MURO IL CAPATAZ DI FCA CON UN DURO
COMMENTO: "I GRANDI SOGNI DI MARCHIONNE COSTANO SOLDI, E FIAT AL MOMENTO NON NE
HA"
3. IL ‘’FINANCIAL TIMES’’ AFFOSSA IL MANAGER CON UN'AFFERMAZIONE TOMBALE: "LE
AZIONI FIAT NEL BREVE PERIODO NON DOVREBBE VINCERE PIÙ ALCUNA COMPETIZIONE"
4. A NOI RIMANE LO SFOGO ARROGANTE DI MARPIONNE OSPITATO SUL ‘SOLE 24 ORE’, E
INTITOLATO: "NON PERCEPITA L'ENTITÀ DEL CAMBIAMENTO". MA CHI NON HA PERCEPITO
COSA?
Meno forte, più diffuso: il
terrorismo tre anni dopo bin Laden
di Giorgio Cuscito
Dalla morte del suo leader, al Qaida ha
continuato a decentralizzarsi. I gruppi appartenenti o vicini al suo network si
concentrano su obiettivi locali, sfruttando i vuoti di potere generati dalle
primavere arabe in Africa e in Medio Oriente. La war on terror non è più
prioritaria per gli Usa, ma la sua fine è lontana.
Articolo originariamente pubblicato su TvSvizzera.it
La leadership di al Qaida è più debole, ma gli
attentati terroristici sono aumentati. Questo è il messaggio chiave del rapporto
annuale sul terrorismo pubblicato dal dipartimento di Stato Usa lo scorso 30
aprile, a tre anni dalla morte di Osama bin Laden. Il 2 maggio 2011, lo sceicco
è stato ucciso da truppe speciali statunitensi in Pakistan.
Secondo i dati contenuti nel report ed elaborati dal National consortium for the
study of terrorism and response to terrorism (Start), nel 2013 si sono
verificati in totale 9.707 attacchi terroristici (il 43% in più rispetto al
2012). Quasi 18 mila persone sono morte e 32 mila sono rimaste ferite. I primi
paesi per attentati subiti sono Iraq (2.495, il doppio rispetto al 2012),
Pakistan e Afghanistan. Le organizzazioni responsabili appartengono ad al Qaida
o sono a essa affiliate. I talebani sono i primi per attacchi perpetrati (641),
seguiti dallo Stato Islamico di Iraq e Levante (Isil, che opera in Iraq e Siria)
e da Boko Haram, operante in Nigeria e (di recente) in Camerun. I maoisti
indiani sono quarti, mentre al Shabaab, che è attivo in Somalia e Kenya, è
quinto.
Cittadini e proprietà private sono i principali bersagli degli attentati (3.035
target), seguiti da forze di polizia e obiettivi governativi.
Made in al Qaida
Il report sottolinea l’aumento di gruppi terroristici nel mondo, sia affiliati
ad al Qaida sia indipendenti. Le violenze sono alimentate soprattutto da ragioni
confessionali, in particolare in Siria, Libano, Pakistan e Iraq.
Secondo il dipartimento di Stato, gli sforzi realizzati a livello mondiale per
contrastare al Qaida hanno determinato l’indebolimento della sua leadership sul
piano operativo. “Al-Zawahiri, riconosciuto come il leader ideologico del
movimento jihadista” dopo la morte di bin Laden, non è riuscito a risolvere i
contrasti tra al-Nusrah e al Qaida in Iraq (Aqi) durante la guerra in Siria. Ciò
ha portato al disconoscimento ufficiale del secondo gruppo, oggi conosciuto come
Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) e guidato da Abu Bakr al-Baghdadi,
la stella nascente del movimento jihadista.
Per finanziare le attività terroristiche, le organizzazioni compiono una vasta
gamma di crimini: rapimenti, frodi, traffici illegali. Per esempio a quello di
droga o di sigarette, che è valso al noto terrorista operante nell’Africa
settentrionale Mokhtar Belmokhtar il soprannome di “Mister Marlboro”; oppure, al
traffico di avorio, che riempie le casse degli estremisti islamici di al-Shabaab,
delle milizie di Janjaweed del Sudan e dei guerriglieri ugandesi del Lord's
resistance army(Lra). Il 70% dell’”oro bianco” è diretto in Cina. Tuttavia,
secondo il documento “le donazioni private dal Golfo restano una delle fonti
principali di finanziamento dei gruppi terroristi sunniti, in particolare, di
quelli operanti in Siria”.
Durante il 2013, questi gruppi avrebbero fatto un uso crescente dei social
media, fondamentale per propaganda, indottrinamento, reclutamento e
addestramento. Tuttavia, “confusioni e contraddizioni tra le varie voci del
movimento sono sempre più comuni”.
Inoltre, il report afferma che gli "estremisti solitari" rappresentano ancora
una seria minaccia, come dimostra l'attentato avvenuto ad aprile dell’anno
scorso durante la maratona di Boston (Usa).
La calamita siriana
La guerra di Siria fra il regime di Bashar al Asad e il variegato fronte dei
ribelli non è solo il teatro in cui si fronteggiano potenze planetarie e
regionali. Secondo il report, Damasco è il nuovo polo gravitazionale del
terrorismo islamico. Militanti da tutto il mondo – circa 7 mila da 50 paesi -
sono diretti qui per schierarsi con i ribelli, mentre i libanesi di Hezbollah e
altre milizie sciite appoggiano il regime. Nonostante il 50% della armi chimiche
siriane sia stato rimosso o distrutto in base all’accordo tra Usa e Russia, la
guerra nel paese prosegue - i morti sono più di 150 mila - e ha ormai superato i
confini con l’Iraq occidentale e il Libano.
La Siria è una palestra per i jihadisti “stranieri” che, una volta tornati nei
paesi di appartenenza, potrebbero mettere in pratica quanto appreso per condurre
altri attentati.
Le critiche di Iran, Cuba e Cina
Alcuni paesi hanno criticato il report lamentando un doppio standard di
valutazione da parte dell’amministrazione Usa.
In primo luogo l’Iran, classificato come “Stato sponsor del terrorismo” insieme
a Cuba, Sudan e Siria. Il documento definisce in questo modo le entità statuali
i cui governi “hanno ripetutamente fornito supporto ad atti di terrorismo
internazionale”. Lo status comporta l’applicazione di sanzioni economiche e
finanziarie. L’Iran, in questa lista dal 1984, continuerebbe a inviare armi a
Damasco violando il divieto impostogli dal consiglio di sicurezza Onu di vendere
o trasferire armi. Inoltre, servendosi delle forze Qods del Corpo delle guardie
della rivoluzione islamica dell’Iran (Irgc-qf, unità speciale responsabile delle
operazioni fuori dal paese) e del ministero della Sicurezza e dell’Intelligence
(Mois), Teheran sosterrebbe Hezbollah in Libano e gruppi terroristici
palestinesi nella striscia di Gaza. Lo scorso giugno, il “partito di Dio” è
stato definito un’organizzazione terroristica dal Consiglio per la cooperazione
nel Golfo (Ccg). L’Ue ha limitato quest’accezione alla sua ala militare.
Secondo il documento, l’Iran ha anche incrementato la propria presenza in Africa
e tentato di fornire armi all’opposizione sciita in Bahrain e ai separatisti
houti in Yemen. Nel 2013 in questo paese si sono verificati un centinaio di
attentati e il terrorismo s’intreccia con le insurrezioni secessioniste a Nord e
a Sud. Per colpire al Qaida sul territorio yemenita, Washington ha fatto un uso
massiccio di droni, in particolare nel 2012.
La portavoce del ministro degli Esteri iraniano Marzieh Afkham ha affermato che
“l’Iran è stato una delle principali vittime del terrorismo negli ultimi
trent’anni, accusarlo di esserne un sponsor significa distorcere la verità”.
Teheran “condanna fortemente questo approccio, che minaccia la sicurezza e la
pace globale”, ha concluso la portavoce.
Nel 2013, grazie all’apertura del presidente iraniano Hassan Rohani, eletto il
giugno scorso, le relazioni tra Washington e Teheran hanno subito un parziale
disgelo. Iran e i paesi del 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna,
Francia e Germania) stanno tenendo i negoziati per definire i dettagli
dell’accordo quadro raggiunto il novembre scorso con cui Teheran rinuncerebbe
alla realizzazione del programma nucleare militare in cambio di una riduzione
delle sanzioni internazionali.
Anche Cuba, considerata sponsor del terrorismo dal 1982, ha respinto
energicamente il report. Per lungo tempo l’isola è stata un rifugio per membri
dell’organizzazione terroristica basca Euskadi Ta Askatasuna (Eta) e per le
Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Oggi i legami con queste
organizzazioni si sono allentati e Cuba sta ospitando i negoziati tra Farc e
governo colombiano. Nonostante ciò, secondo Washington, l’Avana continua a
accogliere fuggitivi ricercati negli Usa. Il ministro degli Esteri cubano Bruno
Rodríguez Parrilla ha affermato che il report “manipola una questione sensibile
come il terrorismo internazionale e lo trasforma in uno strumento politico
contro Cuba”.
Infine la Cina. Washington critica il ruolo marginale di Pechino nella war on
terror e la scarsa quantità d’informazioni diffuse riguardo gli attacchi
terroristici subiti. Secondo il governo cinese, i responsabili sarebbero
estremisti islamici di etnia uigura, minoranza turcofona di religione musulmana
che abita nello Xinjiang, nell’Ovest del paese. L'ultimo attentato si è
verificato il 6 maggio alla stazione ferroviaria di Guangzhou, capoluogo del
Guangdong. In un primo momento, l'agenzia di stampa cinese Xinhua ha affermato
che 3 uomini avevano accoltellato e ferito 6 persone. Successivamente, l'agenzia
ha corretto il proprio report adducendo la responsabilità a un solo attentatore,
che è stato preso dalla polizia. Non è stato ancora accertato se l'uomo sia di
etnia uigura. Sei giorni prima, alla stazione ferroviaria di Urumqi, capoluogo
dello Xinjiang, una bomba è esplosa uccidendo 3 persone e ferendone 79.
L’attacco è avvenuto subito dopo la visita del presidente cinese Xi Jinping,
durata quattro giorni. Come in occasione dell’attentato di piazza Tiananmen, a
Pechino, e di quello della stazione dei treni di Kunming, il governo cinese ha
diffuso informazioni con il contagocce, lasciando dubbi sulla responsabilità
uigura. Pechino, che si ritiene una vittima del terrorismo, ha definito
“irresponsabile” la relazione statunitense.
L’eredità di bin Laden
Al di là degli obiettivi politici di questo report, un dato è certo. Con la
morte dello sceicco del terrore, il processo di decentralizzazione di al Qaida
(che era già in atto) si è accentuato. Al punto che la maggior parte delle
organizzazioni che beneficiano del suo marchio predilige gli obiettivi locali al
jihad globale. Ciò dovrebbe renderne più prevedibili le loro mosse, eppure
nell’ultimo anno gli attentati sono aumentati esponenzialmente. Per due ragioni.
La prima è il vuoto di potere generato dalle cosiddette primavere arabe, che non
hanno destabilizzato solo i paesi da cui hanno avuto origine (Egitto, Tunisia,
Libia, Yemen, Siria, Mali eccetera), ma tutta l’Africa del Nord, dell’Est e il
Medio Oriente. Nella maggior parte dei casi, la mancanza di attori statuali
forti ha fornito il retroterra strategico ideale per le organizzazioni
terroristiche, che in questi paesi stanno consolidando le proprie fondamenta.
La seconda ragione è la scelta degli Stati Uniti di non porre più la war on
terror in cima all’agenda di politica estera, sostituendola con il contenimento
della Cina, il dossier iraniano e quello russo. Non è un caso se lo scorso anno
il maggior numero di attacchi si sia verificato in Iraq - dove dal 2011 non ci
sono più truppe Usa - e in Afghanistan, dove queste si avviano al ritiro.
Insomma, la guerra al terrore non è più prioritaria per Washington, ma è
certamente lontana dalla sua conclusione.
3 maggio
La Banca d'Italia regala 30
milioni ai soliti noti
Spuntano anche “valutatori” immobiliari come Reag, Prelios, Protos, Crif e
Yard Valtech. A volte con partecipazioni incrociate e conflitti d’interesse
vari. Nonostante i 250 dipendenti già messi a lavorare, Palazzo Koch regala
soldi per farsi aiutare coi bilanci bancari in vista degli esami della Banca
centrale europea…
Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale.it)
Una cuccagna per decine di consulenti. La formula magica è "Asset Quality Review",
in pratica l'attività di verifica sullo stato di salute dei bilanci delle banche
in vista del debutto del meccanismo di vigilanza unico presso la Banca centrale
europea. Ebbene, chi è chiamato a effettuare questa delicatissima mole di
controlli su tutti gli attivi custoditi nella pancia degli istituti? Semplice,
le varie banche centrali, tra cui anche la Banca d'Italia guidata da Ignazio
Visco. E qui spunta in tutta la sua consistenza la cuccagna che sta rendendo
felici nutriti drappelli di consulenti, con rischi piuttosto evidenti di
conflitto d'interessi. Si dà infatti il caso che palazzo Koch non sia in grado
con i suoi soli dipendenti di far fronte a questo lavoro. Per tale ragione, nei
giorni scorsi, via Nazionale ha provveduto ad aggiudicare alcune procedure
ristrette.
I vincitori
Come ha confermato la stessa Banca centrale a La Notizia, in tutto sono state
chiamate in causa 10 società di consulenza. Cinque di queste si dovranno
occupare di valutare posizioni di rischio, esposizioni e adeguatezza degli
accantonamenti fatti dalle banche. Nella lista ci sono Pwc (PricewaterhouseCoopers),
Ernst & Young, Kpmg, Deloitte e Mazars. Le altre cinque, invece, dovranno
occuparsi della valutazione dei cespiti immobiliari. In questo caso nell'elenco
sono rientrate Reag (società che fa parte del gruppo Usa American Appraisal),
Prelios (la ex Pirelli Re), Protos, Crif Services e Yard Valtech. Tutte
prenderanno un sacco di soldi.
Cifre da capogiro
Diciamo subito che il costo totale dell'operazione, per Bankitalia, potrebbe
arrivare fino a 30 milioni di euro. La stima è stata fornita qualche giorno fa
in un'audizione parlamentare da Carmelo Barbagallo,
il capo della Vigilanza di palazzo Koch. Un conto, a dir la verità, che risulta
nettamente più alto rispetto alla cifra a cui si arriverebbe sommando i valori
massimi stimati nelle due procedure appena aggiudicate.
Quella per la verifica delle esposizioni aveva un valore stimato di 7 milioni di
euro, eventualmente aumentabili di un 50%, per un totale di 10,5 milioni.
L'altra, relativa alla valutazione degli asset immobiliari, riportava un valore
di 6,8 milioni, anche qui aumentabili di un 50% fino a un massimo di 10,2
milioni. In tutto fanno 20,7 milioni. Perché allora Barbagallo si è spinto a
stimare costi fino a 30 milioni? Sul punto Bankitalia precisa che il riferimento
a quest'ultima cifra "tiene conto del costo della Oliver Wyman srl, operatore
selezionato dalla Bce per la conduzione dell'esercizio a livello accentrato e di
cui si avvale anche la Banca d'Italia".
Insomma, è come se la Oliver Wyman fosse una scelta della Bce che le banche
centrali devono in un certo senso "subire", naturalmente sostenendone i costi di
competenza. Certo, palazzo Koch deve ancora ufficializzare i vincitori delle due
procedure e le cifre finali di aggiudicazione (che potrebbero anche essere
minori). Ma è sicuro che il conto finale sarà altissimo. Anche perché, come ha
spiegato in commissione lo stesso Barbagallo, il ricorso ai consulenti esterni
si ritiene necessario nonostante via Nazionale impiegherà oltre 250 dipendenti
nel complessivo progetto.
Le clausole
Per evitare rischi di conflitto d'interesse, peraltro, i documenti stabiliscono
che nessun consulente potrà fare verifiche su banche per le quali già lavora.
Facile a dirsi, perché nella pratica è un autentico ginepraio. Pwc, per esempio,
è la società di revisione di Mediobanca e Bper. Ernst & Young svolge lo stesso
servizio per Mps, Bpm, Carige e Banco Popolare. Kpmg ha in cura Intesa Sanpaolo,
proprio come Deloitte è il revisore di Unicredit. Per non dire del fatto che Pwc
è anche la società di revisione di Bankitalia.
Nella precedente versione del primo dei due bandi di gara c'era espressamente
scritto: "non saranno invitati alla successiva fase della procedura di gara gli
operatori economici che abbiano in essere con la Banca d'Italia incarichi di
revisione contabile". Successivamente questa clausola, ha spiegato ieri palazzo
Koch, è stata cassata perché si è preferito valutare il rischio conflitto
d'interessi in riferimento al rapporto tra singola banca e consulente.
Stessa accortezza vale per i consulenti immobiliari. Prelios, tanto per dirne
una, ha nel suo capitale Intesa (6,56%), Unicredit (14,02%), Mps (3,39%) e Bpm
(5,62%). Ne consegue che l'ex Pirelli Re non potrà effettuare stime degli asset
immobiliari di queste banche. Idem per il gruppo Crif, nel cui capitale c'è con
una piccola percentuale il Banco Popolare. E lo stesso discorso dovrebbe valere
per Yard Valtech, che come si apprende dal sito internet ha tra i suoi clienti
Unicredit, Intesa, Mps, Banco Popolare, Bper e Ubi. Ci sono poi alcuni
consulenti della prima lista che rientrano nell'azionariato degli altri. Si
pensi a Protos, nel cui capitale spunta ancora Kpmg (in compagnia di Generali e
Unipol). Insomma, un intreccio incredibile con costi stratosferici.