20 maggio

Il balzello delle Province sulla Rc auto: tassa al massimo in due casi su tre

Sono gli enti considerati inutili e "da tagliare". Ma hanno il potere di mettere mano al prelievo fiscale sui premi pagati dagli automobilisti. Risultato: 77 su 110 hanno alzato al 16% la tassa. Le associazioni dei consumatori: "Nell'ultimo biennio aumenti del 30%". E al Sud gli importi raddoppiano

di Mauro Del Corno

Nell’attesa che quello che viene promesso da più parti trovi alla fine una traduzione nella pratica – cioè che vengano abolite – le Province assestano l’ultimo colpo nel prelievo fiscale sui premi delle Rc auto alzandolo fino al tetto massimo del 16%. Sono quelle stesse Province che in molti vorrebbero abolire giudicandole superflue e che ci costano ogni anno 2,3 miliardi di euro in spese di funzionamento. Dal 2011 è stata loro attribuita la possibilità di agire sull’aliquota base del 12,5% alzandola o abbassandola del 3,5%. Facile indovinare com’è andata a finire.

Le Province che hanno ridotto l’aliquota si contano sulle dita di una mano, quelle che l’hanno portata al massimo consentito sono ormai 77 su 110. Trentasei avevano già provveduto nel 2011 mentre altre quarantuno si apprestano a farlo quest’anno. L’aliquota sull’Rc auto è ormai al top in quasi tutti i grandi centri a cominciare da Milano, Torino, Genova e Bologna e continuando al Sud con Bari, Lecce, Napoli e Palermo. Fanno eccezione Roma dove è rimasta ferma al 12,5% e soprattutto Firenze che ha abbassato il prelievo all’11%. Tra le pochissime altre amministrazioni provinciali virtuose menzione d’onore per Aosta (aliquota abbassata del 3,5% al 9%) Bolzano (-3%) e Trento (-3%).

Tradotto in moneta sonante questo significa che ad esempio su un premio netto da 1000 euro un automobilista di Milano, Bologna o Palermo pagherà 35 euro in più di tasse (da 125 a 160 euro). Se il costo netto della polizza è di 1500 euro l’aggravio sale invece a 52 euro.

Come in molti altri casi, dalle aliquote Irpef a quelle Imu , il giochetto è sempre lo stesso. Da un lato lo Stato taglia i trasferimenti (senza però ridurre la tassazione a livello centrale), dall’altro attribuisce agli enti locali la possibilità di rifarsi manovrando aliquote e balzelli. Nel mezzo, i cittadini. Negli ultimi tre anni le Province hanno dovuto far fronte a tagli da 1,5 miliardi di euro e una sforbiciata analoga è prevista da qui al 2014. Lo stesso è accaduto ai Comuni che nonostante la compartecipazione al gettito Imu sono ben lontani dal compensare i mancati trasferimenti e che nei prossimi tre anni vedranno sparire almeno altri 3 miliardi.

Secondo Gianluigi Bizioli che insegna diritto tributario all’Università di Bergamo, “è inevitabile che gli enti locali, se non vogliono ridurre i servizi, cerchino risorse dove e come possono”. I tagli sono effettivamente pesanti e le razionalizzazioni di spesa, quando possibili, richiedono comunque tempi lunghi che non consentono di far fronte nell’immediato ai minori introiti. “D’altro canto – continua Bizioli – in una fase di crisi è inevitabile che lo Stato centrale dreni quante più risorse possibili per far fronte all’emergenza”. “Inutile sperare nel federalismo – conclude Bizioli – la riforma conteneva una buon principio, quello dei costi standard (ossia la calibrazione delle spese, specie quella sanitaria, sul livello delle regioni più virtuose) ma ormai giace nel dimenticatoio e lì resterà almeno finché la fase più acuta della crisi non sarà superata”.

Rimane il fatto che nel caso specifico dell’Rc auto il fisco provinciale va a colpire una voce di spesa che negli ultimi anni ha già aumentato sensibilmente il suo peso sui bilanci familiari. Le associazioni dei consumatori stimano che negli ultimi dieci anni il costo per assicurare l’ auto sia in pratica raddoppiato e che solo nell’ultimo biennio l’aumento sia stato del 30%. Senza contare che molte Province hanno alzato anche le imposte per le iscrizioni e le annotazioni sul Pra, il Pubblico registro automobilistico.

Per gli abitanti del Mezzogiorno poi la beffa è in molti casi doppia. Quasi ovunque subiscono il prelievo massimo da parte della Provincia e per di più l’aliquota si calcola su premi sensibilmente più alti rispetto al Centro-Nord. Secondo il portale Supermoney che consente di confrontare le offerte di diversi operatori, il costo medio di una polizza per chi non ha fatto incidenti negli ultimi 5 anni è di 1.456 euro al Sud contro i 920 euro del Nord. Questo sebbene il tasso di incidentalità del Mezzogiorno sia ormai più basso rispetto a quello delle altre aree del paese.

Italia, dalla politica alle università la classe dirigente più vecchia d'Europa

Un report della Coldiretti sull'età media dei "potenti" nei Paesi dell'Ue conferma il primato della gerontocrazia italiana: l'età media è di 59 anni. In Parlamento come ai vertici delle aziende statali spicca la percentuale bassissima di giovani

Gli ultimi due premier italiani: Silvio Berlusconi, 76 anni e Mario Monti, 69

ROMA - L'Italia è il Paese con la classe dirigente più vecchia d'Europa. E' quanto emerge dal primo report sull'anagrafe dei potenti italiani al tempo della crisi, presentato oggi nel corso dell'assemblea dei giovani della Coldiretti. La media italiana si aggira intorno ai 59 anni di età.

Il record spetta ai manager delle banche, a pari merito con i vescovi in carica ed ai rappresentanti del governo, rispettivamente con 67 e 64 anni, seguiti dai professori universitari con 63 anni; i più giovani sono i dirigenti delle aziende quotate in Borsa con 53 anni.

Ma è sul fronte politico che emergono i dati più interessanti. Se il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha 69 anni e i ministri più giovani, Renato Balduzzi e Filippo Patroni Griffi, 57 anni, in Gran Bretagna David Cameron è diventato primo ministro a 43 anni, Tony Blair a 44, John Major a 47 e Gordon Brown a poco più di 50.

Nelle ultime tre legislature, poi, sono stati eletti soltanto due under 30 su 2.500 deputati, anche se il peso dei 25-29 enni è pari al 28% della popolazione eleggibile. Oggi solo un deputato su 630 ha meno di 30 anni e appena 47 sono gli under 40, mentre gli over 60 anni sono 157.

Un'anzianità che, per quanto riguarda la burocrazia, va ad incidere secondo cittadini e imprese, sulla scarsa attenzione per le nuove tecnologie. Ecco che l'età media dei direttori generali della Pubblica amministrazione è di 57 anni, che sale a 61 per le aziende partecipate statali.

Secondo lo studio di Coldiretti, le cose non vanno meglio sul fronte universitario. Un quarto dei professori ha più di 60 anni, contro il 10% di Francia e Spagna e l'8% della Gran Bretagna: tre su 16 mila gli ordinari con meno di 35 anni e 78 gli under 40.

I segretari regionali dei sindacati dei lavoratori, infine, secondo il report, hanno in media 57 anni e 59 quelli delle organizzazioni di rappresentanza di industria e commercio, mentre nell'agricoltura, in Coldiretti, l'età è di 47 anni.

"Ad essere vecchie e poche sono soprattutto le idee con le quali si vuole affrontare la crisi" ha detto il presidente Sergio Marini, a margine dell'incontro. "Si cerca di riproporre modelli di sviluppo fondati su finanza ed economie di scala che hanno già fallito altrove e che non hanno nulla a che fare con le peculiarità del Paese".

Sulla stessa lunghezza d'onda il delegato nazionale dei giovani della Coldiretti, Vittorio Sangiorgio: "La maggioranza della classe dirigente attuale - ha ironizzato - andrà probabilmente in pensione prima che la crisi sia superata e questo anche tenendo conto della riforma del ministro del Lavoro, Elsa Fornero. La disoccupazione giovanile record - ha concluso - non è solo un problema familiare e sociale, ma provoca anche un invecchiamento della classe dirigente che deve affrontare la crisi con un'Italia che sta rinunciando a risorse fondamentali per la crescita".

 

18 maggio

Trieste, muore a 32 anni in questura. Indagato dirigente della polizia

Inchiesta sul capo dell'ufficio immigrazione del capoluogo giuliano, accusato di omicidio colposo e sequestro di persona. La giovane, infatti, non doveva essere trattenuta in cella di sicurezza, ma accompagnata al Cie. Nell'ufficio del funzionario trovato anche il cartello "Ufficio epurazione" e una foto di Mussolini


Il capo dell’ufficio immigrazione di Trieste Carlo Biffi è indagato per omicidio colposo e sequestro di persona per la morte di una donna di 32 anni avvenuta in una camera di sicurezza della polizia. Alina Bonar Diachuk era ucraina e aveva 32 anni: un mese fa era stata trovata con un cappio al collo al termosifone di una cella del commissariato di Villa Opicina , una frazione del capoluogo giuliano, dove era custodita da due giorni. Un episodio sul quale è stata aperta un’inchiesta della Procura che non solo si potrebbe estendere anche ad altri agenti della questura, ma anche ad altri aspetti: tra questi anche il cartello “Ufficio epurazione” attaccato all’interno dell’ufficio immigrazione e una foto di Benito Mussolini affissa nelle stesse stanze. Una storia raccontata dal Piccolo di Trieste e ripresa anche dal Manifesto .

La morte. Secondo i primi rilievi dei magistrati la Diachuk in realtà non doveva essere trattenuta in custodia dalla polizia. Era stata infatti accusata di favoreggiamento all’immigrazione e aveva patteggiato, così era tornata in libertà il 14 aprile: avrebbe dovuto essere trasferita nel Centro di identificazione ed espulsione di Bologna. Al contrario dopo la lettura della sentenza era stata sì prelevata da una pattuglia della polizia, ma trovata morta dopo due giorni nella camera di sicurezza. Sulla cella vigilava una telecamera di sicurezza ma per i 40 minuti di agonia della donna nessuno ha notato cosa stava accadendo (inoltre la ragazza aveva già tentato di togliersi la vita in carcere). Una serie di anomalie che ha spinto la magistratura ad aprire un’indagine.

Per capire qualcosa di più la Procura ha disposto la perquisizione degli uffici del commissariato e gli agenti si sono imbattuti nel cartello “Ufficio epurazione” e nella foto di Benito Mussolini . Ma non solo: nell’abitazione di Biffi sono stati trovati alcuni libri dal contenuto antisemita: “Come riconoscere e spiegare l’ebreo”, “La difesa della razza” di Julius Evola , “Mein Kampf” di Adolf Hitler , “La questione ebraica”. In Procura, al momento non intendono dare grande rilievo all’altro aspetto emerso durante le indagini, e cioè all’acquisizione di materiale di natura antisemita e di cartucce trovate in casa di Baffi durante una perquisizione. Materiale, quello documentale, giustificato da un sindacato di Polizia dal fatto che Baffi abbia lavorato anche alla Digos. “I rapporti con la Questura di Trieste – afferma Dalla Costa – sono sempre ottimi e collaborativi, tanto che il questore mi ha assegnato suo personale proprio per sviluppare questa indagine. Non c’è alcun ostruzionismo da parte della Questura”, ribadisce il capo della Procura.

Le indagini condotte dal pm Massimo De Bortoli devono verificare se in effetti la Diachuk fosse trattenuta in commissariato senza alcun titolo, se fosse chiusa a chiave dentro una stanza e se si sia trattato di un caso isolato, o, come ha confermato il procuratore capo Michele Dalla Costa, ci siano stati altri casi di stranieri trattenuti a Opicina senza alcun titolo. “Stiamo valutando decine di posizioni, a partire dal secondo semestre del 2011, per verificare se quello dell’ucraina sia stato un caso isolato o meno” conferma
Dalla Costa.

I libri per bambini ammazzano le foreste. Altro che favole

La denuncia di Greenpeace al Salone del libro di Torino: analizzati 11 libri di Giunti e Rcs stampati in Cina. Quattro contengono fibre delle foreste indonesiane, a rischio scomparsa

Greenpeace ha oggi portato un po' di scompiglio al Salone del libro di Torino. Quella dell'associazione ambientalista è stata una conferenza stampa per presentare il libro sulla deforestazione curato dalla stessa associazione, ma anche una denuncia dei "colleghi" presenti al Salone Rcs libri e Giunti. Rei di non aver adottato - come hanno già fatto altre case editrici - politiche per l'acquisto di carta "deforestazione zero". Dunque sono stati "presi di punta", anche perché si tratta di due grosse case editrici che potrebbero e dovrebero dare l'esempio, e undici dei loro libri per bambini sono stati fatti analizzare presso l’Istituto Tedesco della Scienza e Tecnologia della Carta.

Brutte sorprese: le analisi dimostrano che ben quattro degli undici libri analizzati contengono fibre di legno duro tropicale (MTH) provenienti dalla distruzione delle ultime foreste indonesiane.

I libri sono stati tutti stampati in Cina, dove ormai è quasi del tutto delocalizzata la produzione dei libri per i più piccoli, secondo molti analisti vera e unica tipologia di libro che resisterà all'invasione degli "e book" proprio in virtù della loro specializzazione e molto spesso dell'attenzione alla fattura e ai particolari. Tutte cose, però, che in Italia costerebbero molti soldi e dunque la produzione viene delocalizzata in Cina. Ma proprio in Cina due grandi multinazionali indonesiane - APP e APRIL - hanno il loro maggior mercato per la vendita della carta." Il problema è che queste aziende, APP in particolare - dice Greenpeace - per produrre la carta distruggono le foreste e condannano all’estinzione le ultime tigri di Sumatra e specie arboree protette dal CITES come il ramino".

I libri contenenti fibre delle preziose foreste sono Per RCS Libri: “Alice nel paese delle meraviglie” e “Le Mamme” (Rizzoli). Per Giunti Editore: “I tre porcellini” e “Le Macchine” (Dami). È inaccettabile che due giganti dell’editoria italiana come RCS Libri e Giunti permettano che i propri libri siano contaminati dalla deforestazione e dall’estinzione di specie protette - denuncia Chiara Campione, responsabile campagna Foreste di Greenpeace Italia - I risultati delle nostre analisi parlano chiaro: queste favole sono il frutto di gravissimi crimini forestali».

In realtà il ad essere presa davvero di punta è la APP. Anzi, proprio al Salone del Libro è stata presentata una campagna che mette insieme Greenpeace, Legambiente, WWF e Terra! che rende pubblica una lista di venti clienti italiani di APP tra stampatori, distributori e tipografi.

«Nonostante APP continui a distruggere le foreste indonesiane, il numero dei suoi clienti in Italia aumenta. Queste aziende devono sapere che acquistare da APP significa rendersi complici della distruzione di preziosi ecosistemi e dell’estinzione di specie già fortemente minacciate come la tigre e l’orango di Sumatra o piante come il ramino, tipiche di quell’angolo del nostro pianeta» - sostengono WWF, Terra!, Legambiente e Greenpeace.

Se chi entra al tempo pieno viene deciso con una riffa

Anna Maria Bruni

Scuola Cesare Battisti, nel popoloso quartiere di Garbatella. 70 famiglie hanno chiesto il tempo pieno, ma le classi sono solo due. Il dirigente decide di estrarre i numeri dei "fortunati" a caso.

Avete mai sentito parlare del tempo pieno? Quel tempo scuola istituto per trasformare la didattica frontale in un laboratorio di conoscenza costruita in modo artigiano da due insegnanti in compresenza, insieme ai bambini attivi e partecipi, portati anche attraverso il divertimento a voler sapere sempre di più? Non è la quarta dimensione, o meglio secondo Einstein è esattamente la quarta dimensione, perché si tratta di un fatto reale, semplicemente legato al tempo. Quello passato, però.

Perché ora il tempo pieno viene falcidiato attraverso i tagli agli organici, le classi si infoltiscono, e torna la lezione frontale, affidata ad un solo insegnante. Ma il guaio è che le richieste invece continuano ad essere tantissime. Al 45° circolo didattico Cesare Battisti per esempio, giusto nel popoloso quartiere Garbatella di Roma, scuola elementare A. Alonzi, sono state 72 le richieste di tempo pieno per le classi prime, il che significa che per non fare torto a nessuno si sarebbero potute istituire 3 classi con 24 alunni. Una soluzione che ancora non tiene conto dei bambini disabili, la cui presenza prevede un massimo di 20 alunni per classe, ma in ogni caso risolve la richiesta che da sempre mette insieme la qualità della scuola con le necessità delle famiglie. Invece no. Sono state istituite solamente due classi, sebbene sempre con 24 alunni, e per non fare torto a nessuno, la soluzione dell’assegnazione dei posti è stata affidata ad una estrazione a caso. Messi i nomi nel bussolotto, la scuola - raccontano genitori basiti - “si è trasformata in uno stadio”, dove le famiglie che hanno scelto di partecipare, si sono ritrovate a fare il tifo e a lanciare gli hurrà ogni volta che è stato estratto il proprio nome.

Ma procediamo con ordine. Le 72 famiglie che avevano fatto richiesta del tempo pieno già a febbraio erano state rassicurate sul fatto che entro marzo avrebbero avuto la conferma, certificata dall’eventuale silenzio-assenso da parte della scuola. Già qui si può rilevare un primo gap, dovuto al fatto che la circolare che conferma gli organici non arriva mai prima di aprile, e ci si domanda se una simile comunicazione è stata data approfittando dell’ignoranza di famiglie alle prese con la scuola elementare per la prima volta. In ogni caso, queste famiglie solamente il 4 maggio scorso hanno avuto la comunicazione che sarebbero state istituite solo due classi, e che quattro giorni dopo, esattamente l’8 maggio scorso, avrebbe avuto luogo la “riffa”.

Alcune famiglie si sono immediatamente attivate diffidando con lettera scritta, per conoscenza al Ministero e all’Ufficio scolastico regionale, il dirigente scolastico dal mettere in atto un simile metodo arbitrario, e chiedendo invece di considerare la graduatoria per l’assegnazione. Non hanno però ricevuto alcuna risposta, se non quella plateale dell’estrazione, attraverso la quale si è realizzato un dividi et impera “che non fa ben sperare - dice al manifesto una mamma - sulla possibilità di mobilitarci tutti per ottenere la soddisfazione di tutte le richieste di tempo pieno”. In ogni caso le famiglie rimaste escluse non hanno alcuna intenzione di mollare. In prima fila sotto viale Trastevere il prossimo 24 maggio insieme al Coordinamento delle elementari, valuteranno anche la possibilità di una denuncia legale. Ma di sicuro, ciò che bisogna cominciare a chiedere a gran voce è l’istituzione del reato di disumanità.
 

17 maggio
 

Fine di un'egemonia

Ida Dominijanni

Non archiviano solo il Pdl, le prime elezioni del dopo-Berlusconi, ma l'intero polo dell'allora "nuova" destra che Berlusconi mise al mondo nel '94 e che ha tenuto il campo della politica italiana per quasi un ventennio. Già lesionato dalla separazione di Fini di due anni fa, quel polo è oggi palesemente in frantumi, colpito al cuore dell'asse Berlusconi-Bossi che ne è stato il nerbo. Non aiuta la comprensione di quello che sta accadendo riportare questo crollo solo alle cause scatenanti più recenti: come sempre, nel momento della fine conviene piuttosto allungare lo sguardo sull'inizio.

Sul crollo della destra incidono infatti di sicuro la fine della leadership di Berlusconi - certificata ormai da un lungo declino, iniziato alle Europee del 2009 e mai più arrestatosi - e la devastante sequenza dei cosiddetti "scandali" - dal sexgate al Belsito-gate -, potenti rivelatori del funzionamento di un sistema di potere ancor più che eloquenti spie di una "questione morale" delegittimante. Giova però ricordare, per spiegarne la tenuta prima e adesso il disfarsi, di quali ingredienti fosse fatta la creatura berlusconiana del '94, una creatura tricipite che teneva insieme tre destre diverse fra loro: quella neoliberista di Forza Italia, quella comunitarista-xenofoba della Lega e quella statalista-sociale di An. Il "miracolo" del Cavaliere consistette precisamente nella capacità di unificare e cementificare sotto il proprio "carisma" queste tre anime diverse, talvolta perfino incompatibili, dando vita a un campo neolib-neocon più simile al suo omologo americano marcato Bush che alle destre europee. E consistette altresì nella capacità di incardinare su questa destra tricipite il bipolarismo della cosiddetta seconda repubblica, ridefinendo al contempo un'agenda di lotta e di governo tagliata sul blocco sociale e sugli interessi del Nord postfordista e "autoimprenditoriale", con il Sud "assistenzialista" in posizione periferica e ancillare.

Quel miracolo non è più ripetibile, e non solo perché è finita, o comunque sfinita, la leadership di Berlusconi senza la quale esso non si dà, ma perché la ricetta neolib-neocon che esso predicava non funziona (ammesso che abbia mai funzionato) e non seduce più. Il crollo, prima che politico, è di blocco sociale, nonché ideologico (al di là delle sue sopravvivenze residuali, paradossalmente più tenaci, a giudicare dal voto di domenica, al Sud che al Nord). Si tratta, in altri termini, della fine di una egemonia. Se e come una destra, e quale destra, riemergerà dalle macerie di questo blocco egemonico, ha probabilmente a che fare con la forma che prenderanno le sue tre componenti originarie. Ed è facile ipotizzare fin d'ora, dalle divisioni che le separano, che non si profila una loro ricomposizione bensì una loro scomposizione, dominata, più che dallo scenario nazionale, dall'evoluzione di quello europeo.

Qui entra in campo il secondo fattore decisivo del terremoto elettorale. Che non serve a nulla interpretare esclusivamente, o prevalentemente, nei termini triti dell'opposizione politica-antipolitica, rimuovendo il dato eclatante della contestazione antirigorista che dal voto (e dal non voto) emerge nettamente, in perfetta consonanza con i segnali che vengono dalla Francia e dalla Grecia. E qui si vedono anche gli enormi limiti di una transizione al dopo-Berlusconi tutta affidata alla sostituzione del neoliberismo più americano che europeo del Cavaliere con il neoliberismo più tedesco che americano di Monti. Alla prima verifica elettorale, il risultato di questa transizione dall'alto è che alla sepoltura del ventennio del Cavaliere si somma la contestazione del governo dei tecnici e dell'Europa ostile e vessatoria che esso rappresenta. E questo mentre, crollato con la destra di Berlusconi il bipolarismo sperimentato fin qui, l'intero sistema politico deve ridefinirsi, e si sta già ridefinendo, in relazione al quadro europeo, alla crisi europea e alle politiche sociali europee. Non ne dipende infatti solo la configurazione che prenderà la destra, o le destre, orfana del Cavaliere, e allo stato prive di possibilità di riparo in un "terzo polo" che il voto di domenica ha dichiarato inesistente. Ne dipende altrettanto la configurazione che prenderà la sinistra, o le sinistre, nonché la curvatura che assumeranno i movimenti antisistema fin qui troppo genericamente etichettati come "antipolitici", e fin qui nella loro stessa autorappresentazione né di destra né di sinistra. A proposito di questi ultimi, lo spettro europeo è assai vasto, va dalla sperimentazione delle pratiche di democrazia telematica dei "Pirati" tedeschi alla inquietante riesumazione del binomio socialnazista dell'"Alba dorata" greca, e oscilla dalla critica dell'Unione europea fin qui conosciuta al rifiuto tout court della costruzione europea. Sono movimenti che non garantiscono di per sé niente di buono, ma niente può piegarli al peggio quanto una pregiuziale sordità al disagio sociale di cui sono portatori.

Quanto ai destini della sinistra italiana, il voto francese, peraltro insistemente invocato dai suoi leader come condizione necessaria di un cambio di stagione su scala continentale, le indica limpidamente la strada. Non è affatto detto però che su quella strada essa possa portarsi l'appoggio al governo tecnico, né che basti mettere Monti nella posizione del mediatore fra Merkel e Hollande per far quadrare i conti dell'Euro e delle prossime elezioni politiche. Il Pd non è stato punito per le sue oscillazioni dal voto amministrativo, ma non è stato nemmeno granché premiato; e queste non sono circostanze in cui la rendita dell' "unico partito che tiene" possa durare a lungo. Ci sono situazioni in cui i tempi stringono, e le oscillazioni non pagano. La nettezza, manda a dire il caso Hollande, paga di più. La fine dell'egemonia neoliberista berlusconiana e il cambiamento del vento europeo domandano e comandano una manovra controegemonica in grande stile, di segno opposto all'introiezione temperata del rigore montiano. E la stessa contabilità del voto obbliga a distogliere finalmente lo sguardo da un centro desaparecido e a volgerlo con più convinzione verso sinistra. Diversamente, ci saranno nell'immediato una sinistra senza popolo e un populismo senza sinistra, e all'orizzonte più la disgregazione greca che l'alternativa francese.

 

Roma, nel 2013 nuovi tagli agli organici delle elementari

Le riduzioni a dispetto del crescente numero di iscrizioni. Tagli pesanti per il sostegno e la lingua straniera, il tempo pieno ormai finito. Una denuncia del Coordinamento, si moltiplicano le assemblee di quartiere.

Anna Maria Bruni

Come volevasi dimostrare. Nonostante le rassicurazioni avute dal Ministero nel corso dell’ultimo presidio il 22 marzo scorso, il Coordinamento delle elementari di Roma denuncia l’ennesimo taglio di organici per il prossimo anno scolastico. E torna quindi sul piede di guerra, deciso ad organizzare “iniziative a raffica” da qui alla chiusura delle scuole. L’assemblea organizzata ieri alla scuola elementare Maffi di Primavalle, ha visto la presenza di diverse scuole fra cui il 49° circolo Principe di Piemonte di San Paolo Garbatella, il 103° Pizzetti della Pisana, l’Igg Tagliacozzo del Laurentino, l’elementari Parini del quartiere Valli, l’Iqbal Masih del Casilino, decise a far rispettare il numero di docenti necessario alle compresenze come al sostegno, oltreché per l’inglese.

“A fronte di un maggior numero di iscrizioni – ha fatto sapere Domenico Montuori, direttore amministrativo della scuola ospite - che arriva a 3600 alunni, è stato confermato l'organico di diritto dell'anno precedente, quindi circa 150 posti docente in meno rispetto all'organico di fatto 2011/12. Non solo, ma all'appello mancano i docenti necessari per le nuove classi che si sono formate per l'aumento delle iscrizioni. Inoltre, i docenti di inglese sono stati ridotti a 8, dai 270 che erano fino anni fa. Il che vuol dire l’impossibilità di far partire i corsi”. “Ultima nota dolente - sottolinea -. per il sostegno si conferma il rapporto di 1 docente ogni 4 alunni diversamente abili”.

Questo il quadro generale, che si traduce nella riduzione sostanziale delle compresenze e quindi nell’eliminazione di fatto del tempo pieno, trasformando sostanzialmente l’organizzazione della didattica e realizzando classi-spezzatino. Una politica che va di pari passo con la logica del sapere in pillole di fatto promossa dai test invalsi. Tutti gli interventi hanno tradotto in numeri specifici questa “foto di gruppo”. 5 docenti in meno alla Principe di Piemonte, 2 alla Maffi e nessun insegnante d’inglese, 3 in meno alla Tagliacozzo e così via. Riprendersi i docenti è un punto fermo per tutti, perché significa classi a tempo pieno, qualità della didattica, difesa del sostegno. A questo proposito giovedì 3 si è svolta l’udienza del secondo ricorso organizzato dal Coordinamento - 41 le famiglie ricorrenti questa volta - e l’avvocato Tavernese che li assiste ha fatto sapere che ci sono buone possibilità che il ricorso, la cui sentenza dovrebbe arrivare in una decina di giorni, si risolva positivamente come il precedente.

Ma i ricorsi non bastano, sebbene Bruna Sferra, docente della Principe di Piemonte abbia comunque lanciato la proposta di intentarlo direttamente contro l’USR, reo di stabilire l’organico sulla base delle ore dei docenti, piuttosto che sul numero degli alunni e quindi delle classi. Un passo più politico, in quanto mette sotto accusa direttamente i risposabili di questa gestione degradante. Ma ora si tratta di attivarsi per riappropriarsi del maltolto, oltreché prendere posizione contro gli invalsi che dovrebbero svolgersi già la prossima settimana, nelle date del 9 e dell’11 maggio. Maffi e Principe di Piemonte hanno già messo sul tavolo le delibere dei collegi dei docenti che si oppongono ai test, ma si tratta di fare informazione perché questa è l’unica strada perché i genitori prendano posizione, anche contro l’idea di far restare a casa i bambini che non svolgeranno i test. E’ Alessandra Carnicella, mamma della Maffi a ribadirlo. “Abbiamo lottato, fatto informazione, abbiamo la delibera dalla nostra parte, perciò io mi rifiuto di far rimanere a casa mia figlia come se fosse un mio problema personale”. Lo ribadisce anche Pino, un genitore della Tagliacozzo. “Anche noi stiamo ragionando per mettere in piedi iniziative alternative da tenere a scuola in quei giorni”.

Volantino già pronto per coinvolgere i genitori, discutere con loro e creare consapevolezza. A ribadirlo è Cesare, un altro genitore della Pizzetti. “E non è neanche così scontato, perché siamo in una situazione talmente tragica che anche i problemi più semplici e concreti che ci toccano di vicino, rimbalzano sulla totale indifferenza delle persone”. Perché ormai straziate dai problemi quotidiani, o perché lontane dalla politica quanto chi la mastica tutti i giorni spesso non riesce a comprendere. Questo il punto dolente, quanto sostanziale, che anche il Coordinamento dei precari della scuola, venuto per invitare all’assemblea che si terrà domenica 6 maggio al Volturno occupato, ha dimostrato di faticare a comprendere, imputando un atteggiamento di chiusura al Coordinamento.

Ma nonostante l’unità della lotta sia più che mai urgente e necessaria, è altrettanto vero che una fuga in avanti significherebbe oggi più che mai perdere le tante persone che invece stanno crescendo nel lavoro comune sui problemi concreti, per la radicale, istintiva diffidenza maturata verso le modalità strumentali della politica. Troppe se ne sono viste negli ultimi anni, dettate dall’urgenza. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, per i quali replicare significherebbe stavolta la vera devastazione sociale. Altro è invece “far maturare i tempi", ha sottolineato Bruna Sferra, per risvegliare il senso critico costruendo una visione comune, capace di identificare i problemi specifici con quelli più generali. La forza del Coordinamento elementari di Roma sta proprio in questa consapevolezza. Perciò al momento invito rifiutato, e ovvia apertura invece al prossimo appuntamento sotto al Ministero dell’istruzione, il 24 maggio.

 

Lega, la Procura di Tirana invia informativa a Milano per la laurea albanese del Trota

Possibile convocazione dei magistrati albanesi del figlio del Senatur che ha conseguito il diploma in business management senza mai entrare nel paese. L'ex consigliere regionale ha più volte, tramite un legale, cercato di far riconoscere legalmente l'attestato. Marcia indietro dopo le prime perquisizioni

di Redazione Il Fatto Quotidiano

La Procura generale di Tirana ha inviato una nota informativa relativa alla laurea “sospetta” che Renzo Bossi, figlio di Umberto Bossi, avrebbe conseguito all’università Kristal di Tirana il 29 settembre 2010 senza mai entrare nel paese delle aquile. I documenti, relativi al diploma in business management dell’ex consigliere regionale leghista dopo le dimissioni seguite allo scandalo sull’utilizzo dei soldi del partito, sono arrivati ieri ai magistrati milanesi che indagano sui soldi della Lega . Denaro per lo più denaro pubblico incassato con i rimborsi elettorali .

La copia del diploma di laurea era stata trovata nella cartella “The family” custodita da Francesco Belsito, l’ex tesoriere indagato da tre procure ovvero Napoli, Reggio Calabria, Milano, in una cassaforte che si trovava in uffici di pertinenza della Camera dei deputati a Roma. In quella cartella l’ex amministratore aveva raccolto i documenti che comprovavano l’utilizzo di soldi del partito per le spese della famiglia Bossi, comprese le multe del Trota o gli studi dei Rosi Mauro, senatrice espulsa dal Carroccio, e anche un intervento di chirurgia plastica per il figlio minore del Senatur. Gli inquirenti milanesi stanno già accertando se il titolo di studio possa essere stato comprato con i soldi del partito. Intanto la magistratura albanese ha aperto un fascicolo per fare chiarezza sull’episodio e, stando a quanto si apprende, avrebbe intenzione di convocare Renzo Bossi.

La notizia della laurea di Renzo Bossi, conseguita senza mai avere messo piede in Albania con il record davvero impressionante di 29 esami in un solo anno e soprattutto poco dopo aver conseguito il diploma di maturità in Italia (il Trota ha dovuto presentarsi agli esami di maturità ben quattro volte, ndr), è diventata un caso al di là dell’Adriatico. Il capo dell’ateneo di “doktor Trofta” ha spiegato l’anomalia al ilfattoquotidianotv dicendo che all’improvviso il rampollo di casa Bossi è diventato intelligente.

Secondo gli accertamenti Renzo Bossi ha provato più volte a far riconoscere legalmente in Italia la laurea facendo retromarcia e rinunciando alla pratica quando è esploso lo scandalo. Dal carteggio tra l’ambasciata di Tirana in Italia e la Procura di Milano emerge che alla fine del luglio 2011 un cittadino albanese si è presentato all’ ambasciata chiedendo copia della laurea in Economia rilasciata al Trota con relativa dichiarazione di valore in Italia, suscitando un certo stupore negli uffici perché da una ricerca in Internet, risultava che il giovane si era diplomato, al quarto tentativo, nel settembre 2010, ed appariva quindi difficile che avesse già conseguito una laurea triennale il 29 settembre 2010. Sempre dal carteggio si viene a sapere che nell’ottobre 2011 l’ avvocato albanese Dragoi, reitera la richiesta, producendo presso l’Ambasciata alcuni documenti, tra cui un certificato di ammissione alla maturità del ‘Trota datato 18 maggio 2007. Dopo oltre 5 mesi, il 19 marzo scorso lo stesso avvocato fa una nuova richiesta, producendo il passaporto di Renzo Bossi per farsi rilasciare copia della laurea. La retromarcia arriva il 4 aprile, all’indomani delle perquisizioni nella sede della Lega, in via Bellerio: quel giorno l’avvocato Dragoi spiega all’Ambasciata che ci hanno ripensato e ritira la documentazione. Il 10 aprile il decano della Facoltà, Chercocu, afferma che il signor Renzo Bossi ha conseguito la laurea all’Universita’ Kristal. Quanto alla laurea conseguita da Pier Moscagiuro, il capo scorta di Rosi Mauro, nel carteggio si precisa che nessuna pratica per ottenere il riconoscimento legale del titolo di studio è stata avviata perché la facoltà di Scienze Politiche non è accreditata presso le competenti autorità albanesi.

 

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