Appalti, consulenze,
malasanità: ecco l'Italia dei soldi buttati
La
Corte dei Conti: è un'emergenza, come l'evasione. Il presidente Giampaolino
invoca un impegno analogo a quello contro evasori e corrotti. Dalle relazioni
dei magistrati contabili emerge un Paese che non sa come spende le sue risorse.
Una "gestione improvvisata" che va anche "oltre la malafede": così si perdono i
soldi dei contribuenti
di ALBERTO D'ARGENIO e EMANUELE LAURIA
DALLA MALASANITÀ calabrese ai finanziamenti a
pioggia friulani, dai falsi invalidi di Napoli ai prof assenteisti di Genova. Il
Paese degli sprechi, e dei furbetti, raccontato in centinaia di pagine: quelle
delle relazioni dei procuratori regionali della Corte dei Conti.
Le inaugurazioni dell'anno giudiziario, in questi giorni, stanno sollevando le
bende dalle ferite inferte in ogni angolo d'Italia dalla cattiva
amministrazione. E non c'è solo la corruzione, fenomeno recrudescente denunciato
dai magistrati contabili, a imperversare lungo lo Stivale e gonfiare le cifre
del danno erariale sino a portarlo a oltre 60 miliardi.
C'è una "gestione improvvisata" che, come dice il procuratore campano Tommaso
Cottone, può "andare oltre la malafede" e che vale una somma non quantificabile
con facilità, ma comunque enorme. Depredando bilanci sempre più asfittici e
facendo gridare allo scandalo in tempo di crisi.
Dietro ogni emergenza nazionale uno sperpero di danaro: i cinque miliardi
chiesti all'ex subcommissario dei rifiuti in Campania per le "inutili
stabilizzazioni degli Lsu", il "pregiudizio erariale" ancora da stimare per i
ritardi nella realizzazione dei moduli abitativi nell'Abruzzo colpito dal
terremoto.
Ci sono le vecchie e le nuove vie dello spreco: in Sicilia alle consulenze da
record - e lo staff di un presidente di Provincia può costare un milione di euro
- si abbinano spregiudicate operazioni finanziarie come quella che ha fatto
finire nel nulla 30 milioni. E poi i casi che fanno sorridere, se non ci fossero
di mezzo i soldi (e le tasse pagate) di tutti noi: i finanziamenti alla società
ligure di charter nautico utilizzati per l'acquisto delle imbarcazioni private
degli amministratori, o quella sommetta - 245 mila euro - chiesti dalla Corte
dei conti al Comune di Santa Maria Capua Vetere, in Campania, per
"l'inefficiente gestione delle lampade votive".
Ma ci sono anche i casi nazionali, come la Sogei che non vigila su slot machines
e videopoker procurando un danno erariale da 800 milioni e la Farnesina che ne
paga 20 per un ospedale in Albania che non verrà mai costruito.
Una fiera dell'illegittimo, dell'assurdo, nel Paese dei mille campanili e degli
altrettanti rivoli di spesa che ha portato il presidente della Corte dei Conti,
Luigi Giampaolino, a dire: "La lotta all'evasione deve essere accompagnata da
quella allo spreco. Se si aumenta la pressione fiscale bisogna stare molto
attenti a come si spendono questi soldi che così abbondantemente sono stati
prelevati dai cittadini".
Sogei
Controllo videopoker, bruciati 800 milioni
La relazione del procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Angelo Raffaele De
Dominicis, contiene anche numerosi esempi di maxi-sprechi di denaro pubblico
commessi su scala nazionale che sommano alla miriade di quelli locali. Spicca il
caso Sogei, costato allo Stato più di 800 milioni di euro. Alla società di
telematica pubblica era stato assegnato il compito di connettere in rete tutte
le slot machines, videopoker e i vari giochi elettronici presenti nei bar e
nelle sale da gioco per controllarne l'attività.
Ma la Sogei non lo ha fatto, e dal 2004 al 2007 gli apparecchi collegati in rete
erano pochi e la metà di questi non ha mai trasmesso i dati. Scrive dunque la
Corte dei Conti: "Il servizio non svolto come prescritto ha permesso una
rilevante evasione fiscale". Inoltre lo Stato non ha potuto vigilare
sull'attività della criminalità organizzata nel business delle slot, così come
facendo operare gli apparecchi scollegati dalla rete non ha potuto evitare
eventuali operazione anti-riciclaggio.
Ministero degli Esteri
Dieci milioni in Albania per l'ospedale mai finito
Un altro spreco di dimensioni colossali citato dalla Corte dei Conti del Lazio è
quello dei 20 milioni di euro stanziati dal ministero degli Esteri per la
costruzione dell'ospedale "Nostra Signora del Buon Consiglio" a Tirana, Albania.
Ospedale che non è stato completato: dei 20 milioni stanziati dalla Farnesina 10
sono andati persi prima che il progetto venisse revocato per impossibilità di
essere portato a termine.
Altro caso evidenziato dalla Corte dei Conti è quello della Federazione italiana
Hockey e Pattinaggio: una serie di spese di rappresentanza prive di
giustificazione, indebiti rimborsi al presidente e al segretario generale hanno
generato la bellezza di 380mila euro di danni erariali resi possibili anche da
una carenza di vigilanza da parte del Coni. Viene segnalato anche un caso che
coinvolge la Federazione Pugilistica italiana: un gran quantità di furti e
ammanchi di cassa - denunciati dalla stessa federazione - hanno fatto sparire un
milione e trecentomila euro.
Campania
Corsi di formazione, l'imbroglio di Pompei
Nel 2011 i giudizi risarcitori per le pratiche di invalidità false in Campania
hanno raggiunto la cifra-record di 2,5 milioni di euro. Ma all'attenzione dei
magistrati contabili c'è anche la gestione dei rifiuti. L'ex sub-commissario
Giulio Facchi è stato condannato a pagare 5,4 milioni per "l'inutile
stabilizzazione di Lsu destinati alla raccolta differenziata". Ma una "gestione
della cosa pubblica improvvisata, che va oltre la malafede" (parole del
procuratore Tommaso Cottone) si estende alla formazione professionale: nel
mirino finiscono i corsi-fantasma presso la sovrintendenza archeologica
organizzati a Pompei.
Al Comune di Santa Maria Capua Vetere viene invece contestato un danno da
245mila euro per "l'inefficiente gestione delle lampade votive". Ma c'è la
Regione in prima linea: i magistrati contabili citano le sanzioni nei confronti
degli assessori della giunta Bassolino (da cinque a venti volte il loro salario)
per avere attivato un mutuo destinato a spese non di investimento fra il 2006 e
il 2007.
Sicilia
Il presidente di Provincia con lo staff da un milione
In Sicilia lo spreco avanza, cambia forma e mantiene l'Isola luogo simbolo della
cattiva gestione. Assume le sembianze di spregiudicate (e illegittime)
operazioni di finanza straordinaria. Come quella che, negli anni scorsi, fece la
Provincia di Palermo affidando 30 milioni a una società - la Ibs Forex di Como -
che prometteva guadagni anticiclici investendo nei mercati monetari. Risultato:
società fallita, soldi scomparsi e vertici dell'ente chiamati a rispondere del
danno erariale.
Ma un leit-motiv della relazione del procuratore Guido Carlino è quello delle
consulenze. Centinaia gli incarichi assegnati. I casi più eclatanti: quello del
presidente della Provincia, sempre di Palermo, Giovanni Avanti, denunciato per
uno staff di collaboratori dal costo di un milione. Oppure l'ex commissario
della Fiera del Mediterraneo condannato per aver continuato ad affidare
incarichi in una "situazione di precarietà finanziaria" che avrebbe portato
l'ente al fallimento.
Abruzzo
Tanti contributi inutili dopo il sisma del 2009
In Abruzzo la ricostruzione dopo il sisma del 2009 ha richiamato anche
l'attenzione della Corte dei conti per una (al momento) imprecisata quantità di
fondi persi in un intreccio di lungaggini e sprechi. Un "pregiudizio erariale"
viene segnalato per i "gravi ritardi accumulati nella realizzazione dei moduli
abitativi provvisori". I controlli della Guardia di Finanza tra maggio e
dicembre 2011 hanno fatto recuperare ai Comuni dell'Aquilano 230mila euro di
finanziamenti concessi per il "mantenimento del reddito" delle imprese colpite
dal sisma: erano stati assegnati con procedure non regolari.
E alla Corte è arrivata anche la denuncia su 500 coppie di abitanti del
capoluogo che avrebbero riscosso, nel tempo, un doppio contributo di "autonoma
sistemazione" fingendo di essere separate o divorziate. La Finanza ha
individuato anche una trentina di casi di terremotati della Valle Peligna cui
sono stati accreditati contributi non richiesti: li hanno dovuti restituire.
Lazio
Per la metro di Roma ritardi e costi triplicati
Il faro lo accende il procuratore della Corte dei Conti del Lazio Angelo
Raffaele De Dominicis. Poi interviene la procura di Roma: c'è qualcosa che non
torna negli sprechi per la costruzione della linea C della metropolitana
capitolina, opera infinita e già bollata come la più costosa d'Europa. Si parla
di corruzione e di inefficienza. Doveva essere pronta per il Giubileo del 2000
ma è ancora in alto mare.
Il costo previsto a inizio progetto era di un miliardo 925 milioni. Poi il conto
è salito a 2 miliardi 683 milioni. Quindi a 3 miliardi e 47 milioni. Per
arrivare, oggi, a 3 miliardi 379 milioni. Ma senza considerare 485 milioni di
maggiori esborsi per quattro arbitrati già aperti, altri 100 milioni appena
stanziati dal Cipe e il miliardo 108 milioni delle cosiddette "opere
complementari" per la tutela archeologica. Totale: 5 miliardi e 72 milioni. Che
potrebbero però salire a 6 miliardi, triplicando le cifre di partenza, se il
costo della tratta Colosseo-Clodio sarà in linea con quello registrato per il
resto dell'opera.
Liguria
L'Università paga il prof anche se non fa lezione
In Liguria è l'assenteismo l'ultima frontiera esplorata dai controllori dei
conti pubblici, con l'inchiesta che tocca l'ateneo di Genova: la Corte indaga
sull'effettiva presenza nelle aule - in occasione di lezioni ed esami - di un
gruppo di docenti universitari, alcuni dei quali con studi professionali in
altre città o all'estero. Spiccano i nomi noti, come l'economista Amedeo Amato e
gli architetti Mosé Ricci e Marco Casamonti. L'apertura dell'indagine, rivelata
dal procuratore Ermete Bogetti, nasce da un esposto del garante dell'università.
Un'altra maxi-inchiesta è a carico di alcuni funzionari dell'Inail che avrebbero
rilasciato false attestazioni di esposizione all'amianto a lavoratori alla
ricerca di benefici previdenziali o assistenziali. Danno erariale: 34 milioni.
Nel mirino anche un finanziamento concesso dalla ex Sviluppo Italia a una
società che si sarebbe dovuta occupare di charter nautico: delle barche
avrebbero fatto uso personale gli amministratori della società e i loro parenti.
Calabria
Il disastro della Sanità: buco da 300 milioni
La malasanità calabrese costa 300 milioni di euro. Soldi andati via in indennità
illegittime per i camici bianchi, assunzioni ingiustificate, risarcimenti ai
familiari di pazienti deceduti a causa di errori di medici e infermieri. Nel
2011 sono stati 103 gli atti di citazione in materia di sanità, contro i 17
dell'anno precedente, con una richiesta di danni (300 milioni, appunto) sette
volte superiore all'importo del 2010.
Novantuno atti di citazione hanno riguardato primari che tra il 2004 e il 2008
hanno indebitamente percepito indennità non spettanti per attività intramuraria,
mentre tre hanno avuto come oggetto il risarcimento danni nei confronti di
personale ospedaliero che ha causato il decesso di pazienti. Un danno di 23
milioni è stato stimato per l'illecita trasformazione dei contratti di 76 Co.
co. co. L'ombra di una truffa anche dietro lo screening dei tumori femminili:
l'illecita utilizzazione dei finanziamenti concessi "ha impedito l'avvio del
progetto nonostante l'avvenuto acquisto di costosi macchinari rimasti
inutilizzati".
Lombardia
E la società del Comune "rinuncia" a sei milioni
La Lombardia non è solo martoriata dalla corruzione, spesso e volentieri legata
all'Expo del 2015. Ci sono anche inspiegabili sprechi. Come quello evidenziato
dal procuratore regionale della Corte dei Conti Antonio Caruso, che cita il caso
Sogemi: gli ex dirigenti della società municipalizzata che gestisce
l'Ortomercato - a cominciare dal presidente Roberto Predolin - sono accusati di
non aver incassato dai grossisti i crediti per i canoni di concessione
nonostante le sentenze sui contenziosi dessero loro ragione.
"All'esito degli accertamenti istruttori - scrivono ora i magistrati contabili -
emergeva una notevole trascuratezza da parte dei vertici societari". La società
aveva "illogicamente rinunciato a oltre 6 milioni di euro". Di qui la decisione
di citare in giudizio i vertici della municipalizzata. Ma ci sono anche casi -
uno da 204mila euro - di assunzioni di personale esterno alla pubblica
amministrazione per incarichi per i quali i dipendenti interni erano in grado di
svolgere.
Friuli Venezia Giulia
Così la Regione spende per laureare i dipendenti
Il ricco Nord Est fa incetta di finanziamenti pubblici. E scopre l'espandersi
delle inchieste sui contributi a pioggia. Le inchieste della magistratura
contabile, nel 2011, hanno riguardato i 430 mila euro di fondi regionali a
favore di una radio privata per una campagna elettorale per la promozione
turistica del Friuli. Ma anche i 60 mila euro che l'amministrazione regionale ha
elargito a un'associazione di ginnastica di Trieste o quei 190 mila euro che il
Comune di Trieste, nel 2010, pensò bene di distribuire ai propri consiglieri
"per interventi contributivi a favore di associazioni operanti nel territorio".
Il sospetto, qualcosa di più, è che il clientelismo abbia esteso le sue radici
ben oltre il Mezzogiorno. Vengono poi citati in giudizio per un danno di circa
189mila euro i vertici dell'Azienda sanitaria di Trieste che nel 2006
consentirono il trasferimento di alcuni dipendenti - interamente spesati con
denaro pubblico - presso un ateneo fuori regione per il conseguimento di lauree
specialistiche.
Rifiuti, la Ue apre la
procedura d’infrazione contro l’Italia per 102 discariche
Clini: "E' uno stimolo a uscire fuori da una
situazione che soprattutto in alcune regioni italiane è caratterizzata dal fatto
che le scelte importanti, quelle strutturali per la gestione intelligente e
coefficiente, siano state rinviate"
Bruxelles apre nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione per “almeno
102 discariche, di cui tre di rifiuti pericolosi, non conformi alla direttiva Ue
del 1999, in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania,
Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e
Umbria.
L’infrazione “è uno stimolo a uscire fuori da una situazione che soprattutto in
alcune regioni italiane è caratterizzata dal fatto che le scelte importanti,
quelle strutturali per la gestione intelligente e coefficiente, siano state
rinviate”, ha affermato il ministro per l’Ambiente, Corrado Clini . “Ci sono –
ha aggiunto Clini – troppe discariche in Italia, che non sono da anni
identificate come una soluzione per la gestione dei rifiuti. L’infrazione e’
quindi uno stimolo ad aumentare e rafforzare la raccolta differenziata e anche
ad aumentare la quota di recupero energetico dai rifiuti. Bisogna – ha concluso
Clini – lavorare in questa direzione”.
La decisione della Commissione europea di inviare all’Italia una prima lettera
di costituzione in mora è la conseguenza del mancato rispetto di parte della
direttiva europea del 1999 sulle discariche di rifiuti. L’Italia, in
particolare, è finita nel mirino per non essersi conformata all’articolo 14 di
quella direttiva, secondo cui gli stati membri avrebbero preso delle misure per
assicurare che discariche “esistenti” (discariche a cui è stato concesso un
permesso o che erano già operative al momento della trasposizione della
direttiva del 1999), non avrebbero continuato ad operare dopo il 16 luglio 2009,
qualora non fossero ancora conformi con la direttiva europea.
Dal 15 luglio 1999 Bruxelles ha chiesto informazioni all’Italia dimostrando
nella sua risposta – precisa Bruxelles – che il Paese non era in linea con le
disposizioni relative alle discariche “esistenti”. Un anno dopo la Commissione
Ue, in una nuova comunicazione a Roma, osservava che dal settembre 2009 almeno
187 discariche esistenti al momento della trasposizione nell’ordinamento della
direttiva del 1999, erano presenti in Italia: discariche, o che non erano state
chiuse, o che non erano ancora conformi alla direttiva europea. La situazione è
stata chiarita dall’Italia il 16 maggio 2011 e, precisa la Commissione Ue, sulla
base di quelle informazioni, a cui si sono aggiunte altre relative alla regione
Piemonte, è emerso che, ancora in 14 Regioni sono presenti almeno 102 discariche
“esistenti” dalla trasposizione della direttiva Ue – tre delle quali di rifiuti
pericolosi – o che non sono state chiuse o che non sono conformi alla direttiva
Ue. L’invio di una lettera di costituzione in mora rappresenta la prima tappa
della procedura di infrazione al Trattato Ue. La seconda è il “parere motivato”
e, se il Paese non si conforma ancora, c’è il ricorso alla Corte di giustizia
europea.
24
febbraio
Sconfitti su tutta la linea
Alessandro Dal Lago
La condanna dell'Italia da parte della Corte
europea dei diritti umani di Strasburgo fa giustizia delle enormità compiute
2009 dal governo Berlusconi, ai danni dei migranti provenienti dall'Africa. E
sancisce ciò che molti hanno sempre sostenuto: che bloccare una nave nelle acque
internazionali e consegnare a Gheddafi gli imbarcati non è solo una violazione
del diritto internazionale, ma anche delle convenzioni stipulate dall'Italia e
del più elementare diritto del mare e delle genti. Che Maroni, responsabile di
quell'azione, non si dichiari d'accordo con la Corte non sorprende.
La sua linea è sempre stata impedire ai richiedenti asilo di toccare le nostre
coste e quindi di far valere i propri diritti. Ma anche il comportamento
dell'Italia un anno fa, durante le rivolte nel Maghreb, ha seguito la stessa
logica: quella della detenzione e poi del rimpatrio coatto, quando il blocco in
mare aperto non è possibile. In poche parole, la politica della destra italiana
in materia di immigrazione è sempre stata risolvere il problema negandolo. Gli
stranieri dovevano tornare dove erano salpati, punto e basta. Da qui anche
l'imbarazzo con cui il governo Berlusconi ha fatto la guerra a un dittatore con
cui aveva stipulato proficui affari (gas e petrolio in cambio di esseri umani).
Tuttavia, la linea Berlusconi-Maroni, per quanto sprezzante dei diritti umani,
bassamente utilitaristica e demagogica, mirata cioè a una facile popolarità
interna, non è un'eccezione. Da sempre, da quando il canale di Sicilia è solcato
dalle carrette del mare, la politica italiana è stata la chiusura. Come la
Germania ha ricordato l'anno scorso, le proteste italiane per il presunto
abbandono da parte dell'Europa sono infondate, visto che noi accogliamo meno
richiedenti asilo di tutti i paesi del nord Europa. E aggiungiamo che gli
accordi con Ben Alì e Gheddafi sono di vecchia data e risalgono ad Amato e
Pisanu. Se andiamo al fondo del problema, la sentenza della Corte è un colpo
alla Bossi Fini, che in realtà estendeva e induriva la Turco-Napolitano.
Insomma è la politica migratoria del nostro paese a essere messa in discussione.
Ricordiamo che un peschereccio che soccorra una barca di migranti rischia di
essere sequestrato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e che tutto
il sistema dei Cie rifiuta le ispezioni degli enti internazionali ed è sottratto
di fatto al controllo della magistratura. E ora il problema è: il governo Monti
ha intenzione di cambiare questa politica del respingimento e dell'espulsione?
Ne dubitiamo. Gli accordi con il nuovo governo libico vanno nello stesso senso
di quelli con Gheddafi. E quindi la caccia al nero in Libia di cui parlano le
cronache, nonché le altre tensioni nell'Africa del nord continueranno a
provocare fughe e respingimenti in un infernale gioco dell'oca. Il ministro
Riccardi ha un bell'invocare una "revisione". Sarebbero necessari un cambiamento
complessivo di legislazione, una sensibilità totalmente diversa nei partiti che
appoggiano Monti, una nuova politica dell'informazione.
A leggere i commenti dei lettori dei grandi quotidiani alla notizia della
sentenza della Corte di Strasburgo vengono i brividi. Ora l'Europa non è vista
solo come l'astrazione che si sfila i soldi dalle tasche, ma anche come la
burocrazia che viola la nostra integrità nazionale. A tanto hanno portato due
decenni di demagogia, xenofobia più o meno dichiarata e ostilità istituzionale
per gli stranieri.
“Ferrovie italiane le meno
sicure d’Europa”
(da “Il Fatto Quotidiano”)
Nella classifica della Ue degli incidenti sui
binari stiamo peggio di Francia, Germania, Spagna e Inghilterra. Il dato viene
rilanciato dall'Agenzia nazionale della sicurezza per la quale “restano aree di
criticità”
Il linguaggio è prudente, spesso ovattato, come è inevitabile e forse giusto che
sia quando si parla di un argomento delicatissimo e di forte impatto sociale
com’è la sicurezza dei treni. Ma dietro le sfumature, i tecnicismi e le
circonlocuzioni, il messaggio dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle
ferrovie è chiaro: sui binari italiani si intravede qualche miglioramento, ma
“restano aree di criticità”. Rischi legati soprattutto alla “manutenzione
dell’infrastruttura e del materiale rotabile”, cioè tutto quanto il sistema del
trasporto ferroviario. Nel linguaggio tecnico, infatti, l’infrastruttura sono i
binari; il materiale rotabile, invece, i treni, loco-motori e vagoni. Il fatto
che la manutenzione sia considerata inadeguata è di notevole gravità. La
manutenzione è l’ingrediente fondamentale della sicurezza, la strada maestra per
prevenire guasti ed incidenti.
E’ proprio la scarsa manutenzione il male grave di cui le Ferrovie stanno
soffrendo, soprattutto in questi ultimi anni e soprattutto sulle linee definite
secondarie. Le tratte, cioè, che niente hanno a che spartire con il sistema dei
1. 000 chilometri dell’Alta velocità che poggia su binari e strutture
relativamente nuovi, di concezione moderna, seguiti con una cura costante e
minuziosa e su cui viaggiano convogli superlustrati e definiti dalle Ferrovie “a
mercato”. A soffrire sono piuttosto gli altri 15. 700 chilometri, collegati da
binari vecchi su cui oltretutto circolano locomotori e vagoni ugualmente vecchi,
in qualche caso addirittura di decenni.
I treni e i binari dei pendolari, insomma, gli Intercity, i treni merci e quelli
delle lunghe percorrenze nord-sud diventati di una fragilità estrema, esposti a
tutti i contraccolpi. Compresi quelli della neve e del freddo che un tempo per
le ferrovie non costituivano un problema, ma che lo sono diventato, come succede
regolarmente ogni inverno e com’è successo di nuovo moltiplicato per dieci in
due weekend di fila all’inizio di febbraio. Il fatto che le segnalazioni di
criticità provengano non da qualche sindacato, da qualche comitato di pendolari
arrabbiati o da qualche esponente politico, ma dall’Agenzia della sicurezza,
organismo guidato da Alberto Chiovelli , conferisce al monito un valore doppio.
Prima di tutto perché l’Agenzia ha come ragione sociale proprio la valutazione
del rischio e possiede le competenze per misurare l’adeguatezza o meno delle
misure adottate o non sufficientemente intraprese per scongiurarlo. E poi perché
l’Agenzia è un organismo terzo, al di sopra delle parti e i suoi ammonimenti
devono essere presi con tutta la serietà del caso.
C’è poi un ulteriore elemento che deve essere preso in considerazione: non era
mai successo che l’Agenzia si esprimesse con tanta relativa chiarezza su aspetti
così delicati del funzionamento del sistema ferroviario. L’ammonimento di
Chiovelli riguarda in prevalenza Ferrovie italiane guidate da più di un
quinquennio da Mauro Moretti , che non sono l’unico soggetto presente sui binari
italiani, ma restano il quasi monopolista del mercato, soprattutto nell’ambito
del trasporto passeggeri, garantendo al momento il 99 per cento di tutti gli
spostamenti nazionali. Anche il luogo dove il monito è stato lanciato ha una sua
rilevanza simbolica, anche se forse non del tutto voluta: Firenze, città
insolita per esporre argomenti generali di rilevanza nazionale, ma anche sede
all’Osmannoro di uno dei più importanti e moderni centri delle manutenzioni
ferroviarie, l’Officina grandi riparazioni che si occupa sia delle revisioni
delle carrozze del trasporto nazionale sia dei treni regionali.
Il fatto che poi la relazione dell’Agenzia della sicurezza abbia individuato
proprio nella manutenzione uno degli elementi di criticità, riporta direttamente
l’attenzione sull’incidente ferroviario più grave degli ultimi decenni, quello
della notte del 29 giugno 2009 a Viareggio, 32 morti per l’incendio conseguente
al deragliamento di un merci. Anche se ancora non ci sono certezze sulle cause
del disastro, molti elementi convergono su un punto, e cioè che il cedimento
dell’asse di un carrello abbia causato l’innesco della sciagura e che tale
cedimento fosse dovuto proprio alla manutenzione scarsa e approssimativa.
I dati forniti dall’Agenzia sfatano anche un altro tenace luogo comune del mondo
dei binari e cioè che le Ferrovie italiane siano le più sicure d’Europa. I
confronti internazionali indicano che gli incidenti totali sui binari italiani
sono da un paio d’anni più numerosi di quelli avvenuti in Inghilterra, Spagna,
Germania e Francia. Gli incidenti alle persone causati dai treni in movimento
pongono addirittura l’Italia di gran lunga in testa alla classifica negativa con
89 casi nel 2011, 15 in più rispetto a due anni prima.
“Abuso” d’amore di Michele
Iorio per i figli
Il presidente del Molise (Pdl) è stato
condannato per le consulenze a Luca e indagato per aver assunto un medico amico
dell'altro suo figlio davide. Il giudice ha disposto l'interdizione dai pubblici
uffici per 18 mesi
Cuore di papà. Il governatore del Molise, Michele
Iorio (Pdl), ieri è stato condannato in primo grado a un anno e sei mesi per
abuso d’ufficio e all’interdizione dai pubblici uffici (per 18 mesi): avrebbe
affidato due studi alla società di consulenza Bain & Co in cui lavora suo figlio
Davide. Non solo: Iorio, insieme con l’altro figlio, Luca, è indagato anche in
un’altra inchiesta. Sempre abuso d’ufficio: stavolta c’è di mezzo un medico che
sarebbe stato assunto dalla sanità molisana senza concorso. Un professore con il
quale ha lavorato il figlio del Governatore. Due tegole per Iorio che in Molise
è un’istituzione: “Ha guidato la Regione dal 1998 al 2000. Poi è stato eletto
governatore nel 2001 e riconfermato nel 2006 e nel 2011. Nonostante la legge
oggi preveda un limite di due mandati”, ricorda il consigliere regionale Massimo
Romano (Costruire Democrazia). Partiamo dal caso Bain & co.
La Regione guidata da Iorio, sostengono i magistrati di Campobasso, avrebbe
affidato importanti consulenze – una in materia di sanità, l’altra
sull’autostrada del Molise – alla società multinazionale in cui lavora il figlio
Davide. Così ha ricostruito il procuratore Fabio Papa nella sua requisitoria:
“Su queste delibere, Iorio non si asteneva, come prescritto e come suo dovere,
in presenza di un evidentissimo interesse di un proprio strettissimo congiunto”.
Una consulenza fantasma, secondo Papa: lo studio sulla sanità “non lo ha visto
nessuno”. Nemmeno la Digos che si è occupata dell’inchiesta “ha mai trovato la
consulenza”. Quello del pm è un atto di accusa verso la classe dirigente
molisana: “Abbiamo assistito a una sequenza di testimoni mortificante. Nessuno è
stato in grado di dire cosa ha fatto la Bain per la Regione Molise.
Persino i testimoni più autorevoli, sono tutti partiti in quarta nel dire che le
consulenze sono state utilissime, poi non hanno saputo dire cosa contenevano. E
comunque, prima di affidare il lavoro, bisognava fare una comparazione tra
diverse società”. E la difesa come replica? “Non esisteva – ha sostenuto
l’avvocato Arturo Messere – alcun dovere di astensione da parte del presidente
nell’adottare le delibere. La Regione si è affidata a una società di consulenza
a livello europeo. Non ci fu alcun favoritismo”. E la promozione di Davide
Iorio? “È bravo”. Ma le disavventure di papà Iorio non sono finite. Un’altra
inchiesta (condotta dai pm Armando D’Alterio , Fabio Papa e Immacolata Di Petti)
pende sulla sua testa. L’accusa è ancora abuso d’ufficio. E c’è di nuovo di
mezzo un figlio: Luca, medico, che oggi grazie a un “comando” è vice-direttore
di chirurgia vascolare al Cardarelli di Campobasso. L’avvocato Messere appena
diffusa la notizia disse: “Non emergono illeciti penali a carico di Michele e
Luca Iorio”. Massimo Romano ha parlato dell’inchiesta nelle interrogazioni al
Consiglio Regionale: “L’indagine parte dall’assunzione all’ospedale di Isernia
del dottor Cristiano Huscher”. Un professionista “di chiara fama”, ma finito al
centro di polemiche e condannato in Cassazione, come riportò anche il Corriere
della Sera, per omicidio colposo per un’operazione su una malata terminale di
cancro. Si difese così: “Sono il nuovo caso Tortora”. Secondo i pm molisani a
Huscher sarebbe stato concesso un “incarico con nomina diretta non preceduta da
avviso pubblico, procurando così al medico un ingiusto vantaggio patrimoniale”.
Per i pm (come hanno ricostruito i giornali moli-sani) Iorio avrebbe proposto a
Huscher, conosciuto tramite il giovane Luca, di assumere l’incarico di direttore
dell’Unità operativa complessa di Chirurgia generale per consentire a Iorio jr.
di fare esperienza vicino a casa.
Così Huscher avrebbe ottenuto un ingiusto profitto: 93. 785 euro lordi all’anno
più un’indennità ad personam di 31 mila euro. Un fascicolo di tremila pagine con
episodi da chiarire: il figlio di Iorio avrebbe partecipato a interventi
chirurgici prima di avere un rapporto di lavoro con l’ospedale. Ancora: la
Regione finanziò un progetto di ricerca da 500 mila euro predisposto da Huscher.
Il programma andava realizzato con l’università del Molise, per questo, secondo
i pm, Huscher ottenne la nomina di professore straordinario per tre anni con
retribuzione annua di 48 mila euro lordi.
da Il Fatto Quotidiano
Riforma delle pensioni, per
la Cgil "un furto legalizzato"
Centinaia di migliaia di lavoratori fuori dal
lavoro e senza pensione, oppure costretti a pagare una seconda volta i
contributi previdenziali. I l patronato Inca Cgil non usa mezzi termini per
definire la "ricongiunzione onerosa" dei contributi. Domanda a Fornero: "Può una
nuova legge cancellare contratti e accordi già firmati?"
Francesco Piccioni
Un
«furto legalizzato», ma anche «il delirio di un folle». Si sta parlando degli
effetti concreti della prodigiosa «riforma delle pensioni» approvata in pochi
giorni dal governo Monti.
L'Inca Cgil ha voluto limitare la sua denuncia, ieri, soltanto a due «effetti
diretti» di quel provvedimento, nel timore - fondato - che i giornalisti si
perdessero negli infiniti meandri una una «riforma» fatta secondo criteri che
ricordano il tracciamento coloniale dei confini di certi paesi sahariani: con la
riga e la squadra, senza guardare chi cadeva dentro o fuori.
Il primo punto riguarda i cosiddetti «esodati», lavoratori messi fuori dalla
produzione grazie ad accordi sottoscritti con l'azienda e con il governo,
secondo le regole pensionistiche in vigore fino al 4 dicembre 2011. Gente al
momento senza pensione, senza più posto di lavoro e spesso persino senza
ammortizzatori sociali. La platea identificata dall'Inca comprende quanti sono
ancora in mobilità o che stavano per andarci, ma anche chi è uscito per crisi e
ristrutturazione aziendale, quanti sono stati convinti dall'azienda ad uscirsene
con incentivi, ché tanto le pensione era lì a un passo.
La «riforma» ha confermato il taglio dei ponti alle spalle, ma ha allontanato il
traguardi di molti anni (fino a 7, in alcuni casi). Il loro numero è stato
quantificato dall'Inps in 70.000, inizialmente; ma si riferisce solo ai casi già
arrivati all'attenzione dell'istituto, ossia accordi siglati prima del 4
dicembre. Ma da allora sono andati in porto dismissioni importanti (Termini
Imerese e Irisbus, per dirne due), con migliaia di persone coinvolte. La manovra
prevedeva una «cifra x», da decidere, per «coprire» queste posizioni; ma
ammoniva anche che si trattava di un fondo «a esaurimento»: finché c'erano soldi
si paga, poi amen. Con buona parte di un diritto fin qui certo (l'andare in
pensione dopo una vita di lavoro).
L'iter parlamentare del «milleproroghe», che doveva porre riparo alla
«disattenzione» del governo, peggiorava addirittura la situazione: veniva
allargata la platea dei possibili beneficiari, ma il fondo rimaneva uguale. La
Cgil - spiegano sia Vera Lamonica (segretario confederale) che Morena Piccinini,
presidente dell'Inca - chiede di sapere se «gli accordi con il governo sono
validi o no?»; e, dal ministro, «qual'è l'atto riparativo riparativo che ha
promesso e quando sarà deliberato». Ma il ministro Fornero, per ora, non ha mai
neppure risposto.
La seconda questione è in prospettiva persino più esplosiva, anche se già ora
sta facendo danni formidabili. Si parla della «ricongiunzione contributiva
onerosa», una misura decisa dal governo Berlusconi - ai tempi della sua «riforma
delle pensioni. Avendo deciso di equiparare l'età pensionabile delle donne a
quelle degli uomini, nel pubblico impiego (uno «scalone» di ben 5 anni), si
pensava che molte avrebbero preferito ritirarsi subito, anche prendendo un
assegno minore. Quindi, per scoraggiarle, fu deciso di far loro pagare la
«ricongiunzione» tra i diversi periodi contributivi della loro vita lavorativa.
Ben poche vi fecero ricorso, ma la norma è rimasta.
L'attuale governo ha avuto il colpo di genio, rivelando solo qui una «competenza
tecnica» degna di miglior causa: ha esteso a tutti questa norma. Con effetti
letali. Misura decisa «per equità», perché «era necessario metter fine ai
privilegi», dice il governo. Mentendo. La «ricongiunzione» - tra istituti che
oltretutto sono in corso di unificazione, come Inpdap e Inps - è sempre stata
gratuita per chi passava da un trattamento migliore a uno peggiore; onerosa solo
per il viceversa. Ora pagano tutti, a prescindere.
La tragedia nasce dal fatto che si è obbligati a pagare - e cifre inconcepibili,
per un lavoratore dipendente: decine di migliaia di euro - se per caso, pur
avendo fatto sempre lo stesso lavoro nella stessa azienda, è cambiata la
«ragione sociale» della ditta. È il caso delle Poste e Ipost, con persone
contributivamente trasferite - per decisione dell'allora a.d., Corrado Passera -
dall'Inpdap (statali) all'Inps (privati). Ora dovrebbero ripagarsi una seconda
volta tutto un (lungo) periodo contributivo già versato, altrimenti la loro
pensione sarà quella di uno che ha lavorato appena 20-25 anni. Di fatto, gli
anni di contributi non utilizzabili sono incamerati senza un servizio
corrispettivo. È dunque legittimo parlare di «furto legalizzato», con lo Stato
nella parte del ladro.
Ma si trovano nella stessa situazione anche tutti coloro che sono stati
«privatizzati» (le municipalizzate, Telecom, Alitalia, ecc), scorporati,
esternalizzati, o riassunti da una «newco» (pensate a Fiat? toccherà anche a
loro, ovvio). Per non dire dire dei giovani che, secondo gli stessi ministri,
«devono abituarsi a cambiare spesso lavoro». Cosa accadrà quando, com'è giusto,
dovranno «ritirarsi»? Quanto dovranno versare per «riunificare» una carriera
lavorativa svolta sotto 12 o 20 società diverse, tra periodi mancanti o fasi da
«partita Iva»? Di fatto, quello che era il diritto alla pensione per chi ha
sempre lavorato, diventa ora «una lotteria», o un diritto puramente «ipotetico».
Ossia l'esatto contrario di un diritto garantito dallo Stato.
La Cgil minaccia ovviamente cause legali. Ma a lavoratori che pure hanno lo
stesso problema sembra impossibile persino praticare la strada della class
action. Pare che il genio legislativo che l'ha materialmente scritta l'abbia
congegnata in modo tale da renderla inapplicabile; perlomeno in casi simili. Un
comma 22.
La domanda che anche in casa Cgil sorge al termine di questa disarmante
ricognizione è abbastanza precisa: «ma una nuova legge può sciogliere contratti
e regole precedenti, liberamente sottoscritti da soggetti indipendenti e persino
dallo Stato?». In regime di democrazia, no. Può accadere solo in caso di golpe o
di rivoluzione. Ma, quest'ultima, non l'abbiamo vista passare...
Le cosche & i politici
insieme ai vertici della Regione
Un altissimo ufficiale dei carabinieri, Valerio
Giradina, fa nomi e cognomi di un patto di ferro che esisterebbe tra i clan di
Reggio e di San Giovanni e il presidente della Regione calabria Scopelliti.
Silvio Messinetti
Peppe & Tino. Da giovani camerati della destra
missina a burattinai di una lobby politico mafiosa. Tutto in venti anni di
onorata carriera. Illazioni? Boutade campate in aria? Nient'affatto.
Dichiarazioni acquisite agli atti di un maxi processo di 'ndrangheta. La bomba è
esplosa nell'aula bunker di Reggio Calabria. E a farla deflagrare non è stato un
pentito e, nemmeno, un testimone di giustizia, ma un altissimo ufficiale dei
carabinieri, il colonnello Valerio Giardina, per un decennio a capo dei Ros
della città dello Stretto. Nella sua deposizione al processo «Meta» egli ha
descritto nei particolari più scottanti la «lobby affaristico-massonica in cui
ci sono i vertici delle cosche e della politica».
Un gruppo di potere di cui, secondo l'ufficiale dei carabinieri, sarebbero parte
integrante l'attuale presidente della Regione Peppe Scopelliti e il fratello
Consolato detto Tino. «Abbiamo documentato in questi anni i rapporti tra
Scopelliti e i vertici delle cosche di Villa San Giovanni e Reggio» ha
raccontato. Pezzi da novanta dei clan e professionisti insospettabili, picciotti
ed esponenti di quella «zona grigia» che a Reggio maramaldeggia da sempre. In
rapporti diretti con la famiglia Scopelliti.
Giardina fa nomi e cognomi. A cominciare da Mimmo Barbieri, imprenditore, già
condannato in primo grado per associazione mafiosa. Il 15 ottobre del 2006
Scopelliti, allora sindaco di Reggio, si recò, a bordo di un'auto blindata
intestata alla questura di Roma, alla festa per l'anniversario di nozze dei
coniugi Barbieri. Un banchetto a cui avrebbero partecipato tra gli altri i
fratelli Giuseppe, Cosimo e Totò Alvaro, reggenti dell'omonima cosca. Scopelliti
si intrattenne per un bel po' a quel ricevimento sull'Aurelia per poi recarsi
allo Stadio Olimpico per Roma-Reggina.
Giardina ha ripercorso le fasi dell'indagine tirando in ballo un altro
imprenditore, Franco Labate. Questi in una conversazione intercettata con Mimmo
Barbieri definisce Scopelliti «un uomo politico controllato dai De Stefano» che
gli avrebbero garantito voti tramite Pino Scaramuzzino, gestore del noto locale
L'Oasi, e ritenuto prestanome del clan. E nel «sistema Reggio» un ruolo centrale
l'avrebbe avuto Tino Scopelliti «che inquinava la gestione degli appalti
pubblici». Secondo Giardina, Tino Scopelliti avrebbe intrattenuto una stretta
relazione d'affari con Pasquale Crucitti, alto dirigente dell'ufficio Lavori
Pubblici del Comune al fine di pilotare gli appalti e incassare le mazzette.
Un sistema di malaffare di cui era a conoscenza buona parte degli imprenditori
tanto da creare persino un «fondo nero» per le tangenti. «I soldi li prende
tutti il fratello del sindaco» diceva Barbieri a Labate. Insomma, Giardina (che
ha invitato Labate a venire in aula e chiarire il senso di queste affermazioni)
ha ricostruito la fitta trama che ha ridotto Reggio in una città a sovranità
ndranghetista, in un connubio devastante di mafia e politica.
Scopelliti ha espresso sconcerto e stupore per «un teorema accusatorio con la
volontà politica di danneggiarlo». Di certo i guai per il presidente calabrese
ormai non si contano più. Dalle indagini a suo carico sul bilancio comunale e la
sanità regionale fino alla commissione di accesso antimafia sbarcata a Reggio da
qualche settimana.
Mezzo passo avanti e due
indietro
Mezzo passo in avanti e due indietro, così si
potrebbero commentare le dichiarazioni del ministro-ammiraglio Di Paola alle
commissioni Difesa di Camera e Senato. Il mezzo passo in avanti è l’annuncio
della riduzione delle Forze Armate di 30mila unità (dalle attuali 183mila).
Per farlo, questo mezzo passo in avanti il ministro-ammiraglio se la prende
comoda: ha detto che ci vorranno 10 anni.Per mandare a casa gli operai della
Irisbus e della Thyssen bastano poche ore, per ridurre il numero di generali e
militari, due lustri. E poi in realtà, bisognerebbe ridurre almeno il doppio di
quanto previsto da Di Paola. Le nostre Forze Armate potrebbero benissimo fare a
meno di 60mila ufficiali e soldati, senza venir meno agli obblighi
costituzionali (la “difesa della patria”) e agli impegni internazionali nelle
missioni “di pace” (tra cui quella “di guerra” dell’Afghanistan). Tutto questo
sarà accompagnato da una “legge delega” alquanto discutibile, perchè -su un tema
così importante- riduce i poteri del Parlamento dando al governo il compito di
dettagliare norme molto delicate e sensibili.
I due passi indietro sono il mantenimento del programma di produzione e
acquisizione dei cacciabombardieri F35 (parzialmente ridotti di numero, da 131 a
90) e di un bilancio della difesa a livelli altissimi (cioè 21 miliardi di
euro). I soldi risparmiati per il personale saranno investiti nel miglioramento
dell’”efficienza” delle Forze Armate, cioè in nuovi sistemi d’arma sempre più
costosi e inutili. E per gli F35 -se fossero 90 invece di 131- alla fine sempre
più di 10 miliardi andremmo a spendere. In realtà quelle avanzate da Di Paola
sono delle finte riduzioni: anche con questo numero più contenuto di F35 (e con
la ventennale riduzione di un po’ di militari), le spese militari aumenterebbero
-in termini reali- mediamente del 5-6% ogni anno, se includiamo tutte le spese,
ed in particolare quelle per i sistemi d’arma e per le missioni all’estero che
non sono contabilizzate nel bilancio della difesa.
Anche per questo è ormai patetica la lamentosa propaganda del ministro della
difesa di turno (questa è la volta di Di Paola ) di un bilancio della difesa
ridotto allo 0,9% del PIL (perchè non vengono considerate le spese che vengono
sostenute da altri ministeri come quello dello sviluppo economico), quando dalla
NATO al SIPRI (il prestigioso istituto svedese per il disarmo) ci dicono che le
spese militari del nostro paese rappresentano l’1,4% del PIL, sostanzialmente in
linea con la media europea. C’è poi chi – come il generale Tricarico, Capo di
Stato maggiore dell’Aeronautica – afferma che dagli F35 ci saranno benefici
economici per oltre 13 miliardi di euro. Ma quando, dove? Parole e numeri in
libertà. Magari -con sprezzo del ridicolo- Tricarico potrebbe proporre di
costruire qualche altro centinaio di F35 in più per uscire dalla recessione e
rilanciare l’economia. Generali ed ammiragli sembrano in realtà avere a cuore
solo il loro interesse corporativo e particolare.
L’interesse generale del paese è invece un altro: ridurre la spesa militare per
investire nel rilancio dell’economia; risparmiare 10 miliardi di euro degli F35
per potenziare gli ammortizzatori sociali per i disoccupati, per i precari e per
salvaguardare i redditi delle pensioni minime e dei salari più bassi. Il paese
non si salverà con i dottor Stranamore -che al massimo ci condurranno in qualche
nuova avventura bellica- ma con le persone di buon senso (e speriamo che nel
governo Monti qualcuna ancora ce ne sia) che sappiano usare bene la spesa
pubblica contro questa crisi così drammatica. E’ anche per questo che è
importante rilanciare la campagna contro gli F35 promossa da Sbilanciamoci, Rete
Disarmo, Tavola per la pace, Unimondo con il costante e convinto sostegno del
manifesto e promuovere il prossimo 25 febbraio in tutte le città d’Italia,
manifestazioni e iniziative per chiedere lo stop agli F35 (per info:
www.sbilanciamoci.org e www.disarmo.org). Quei 10 miliardi di euro si possono
risparmiare e si può ridurre il debito pubblico, oppure con lo stesso importo si
possono creare migliaia di posti di lavoro in imprese che si dedicano al
riassetto idrogeologico del territorio, alla messa in sicurezza delle oltre
12mila scuole che non rispettano la 626, alla creazione di 4mila nuovi asilo
nido pubblici. Si può rischiare il default per tanti motivi, ma non certo per
dei cacciabombardieri e per far contenta la casta dei generali.
Le difficoltà del gruppo Marcegaglia riflettono
quelle delle grandi imprese italiane e le loro strategie sul fronte sindacale e
del lavoro
La crisi in atto, tra le molte conseguenze, ha avuto anche quella di aumentare
le difficoltà in cui si dibatteva già da tempo il sistema della grande e
medio-grande impresa italiana. Così diversi gruppi nazionali di diverse
dimensioni sono stati acquisiti dal capitale straniero, mentre altri minacciano
di esserlo, altri ancora stanno passando attraverso faticosi processi di
ristrutturazione (vedi il caso Fonsai che dovrebbe essere inglobato per la gran
parte in Unipol). Infine, qualcuno, come la Marcegaglia, ha visto bloccata
all’improvviso una marcia alla crescita che sembrava inarrestabile e messo in
difficoltà le sue prospettive di sviluppo futuro, rivelando anche alcune
debolezze strategiche di fondo. Il caso della Marcegaglia ci aiuta a comprendere
quali rilevanti difficoltà deve affrontare in questo momento l’impresa italiana
e, in tale quadro, quali siano alcune delle strategie di risposta che essa cerca
di portare avanti sul fronte sindacale e del lavoro.
aspetti generali
Il gruppo opera principalmente nel settore della produzione di tubi in acciaio,
ma si occupa anche di una serie di attività diversificate, che vanno dai
manufatti per l’edilizia alle macchine per l’industria siderurgica, ai pannelli
fotovoltaici, al turismo. Tali comparti pesano attualmente sul fatturato
complessivo soltanto per il 12% circa, anche se assorbono preziose risorse
finanziarie e umane. Si tratta, per alcuni versi, di un vizio più generale della
grande impresa nazionale che, appena dispone di qualche liquidità, si permette
da sempre delle costose divagazioni dal business principale. La Marcegaglia, nel
periodo 1998-2007, ha visto le sue dimensioni crescere rapidamente, sino a
raggiungere sostanzialmente, almeno come livello del fatturato, la taglia delle
principali protagoniste del settore, dalla italo-argentina Tenaris alla francese
Vallourec, dalla giapponese Sumitomo Metals alla tedesca Mannesman. Tale
crescita è a suo tempo avvenuta sia attraverso dei processi di espansione
dall’interno, sia soprattutto con una rilevante attività di acquisizione di
imprese del settore che gettavano progressivamente la spugna, in questo facendo
venire in mente Le Anime Morte di Gogol, un romanzo il cui protagonista, Cicikov,
vagava nelle campagne russe per comprare da altri nobili le liste dei contadini
morti. Così nel 2007 la sua cifra d’affari aveva raggiunto i 4,2 miliardi di
euro circa, con una crescita media del 18% all’anno nel periodo 2002-2007,
mentre anche il numero degli addetti e i profitti aumentavano senza posa.
Ma la crisi ha subito rivelato la fragilità di tale andamento. Così nel 2009 il
fatturato è crollato a 2,7 miliardi, mentre il 2010 ha visto una ripresa anche
se la cifra d’affari, a 3,8 miliardi di euro, era ancora inferiore a quella del
2007. Il crollo è da mettere in relazione sia con una riduzione delle quantità
vendute che dei prezzi relativi. Nel 2006 il 58% del fatturato riguardava
l’Italia e il 96% l’Europa, mentre nel 2010 tale ultima percentuale era scesa
all’88%. Va comunque sottolineato, a tale proposito, come negli ultimi anni
l’azienda abbia avviato un sia pur tardivo e rilevante processo di
internazionalizzazione, in particolare verso i paesi del BRIC, facendo anche un
grande sforzo a livello di investimenti; il processo non ha però portato ad
annullare le distanze che la separano dalla concorrenza. Si consideri soltanto,
ad esempio, che nel caso della Vallourec il 74% delle vendite si svolgeva nel
2010 fuori dall’Europa e in quello della Tenaris ben il 90%.
Un’altra e ancora più importante debolezza strategica della Marcegaglia riguarda
il fatto che le altre aziende prima citate concentrano le vendite nel settore
dei tubi per l’energia, di gran lunga quello a più alto valore aggiunto e il più
redditizio, mentre la Marcegaglia è praticamente assente dal comparto e si trova
invece relegata in segmenti di mercato in cui la concorrenza è molto più forte,
mentre i margini sono molto più ridotti e più esposti alla crisi; si veda, così,
cosa sta succedendo nel nostro paese ai comparti dell’edilizia, degli
elettrodomestici, dell’auto, tutti importanti clienti del gruppo.
i dati economici e finanziari
Le difficoltà strategiche dell’azienda si riflettono sulla struttura dei suoi
costi e dei suoi ricavi e più in generale sui suoi risultati economici e
finanziari. Il gruppo, dopo che nel periodo precedente otteneva utili
significativi, dal 2008 in poi non guadagna più. Il leggero utile che è ancora
presente nei bilanci a partire da quell’anno appare sostanzialmente irrilevante:
una variazione anche minima e perfettamente legale nei criteri di valutazione di
qualche posta dell’attivo potrebbe portare facilmente ad una situazione di sia
pure moderata perdita. Ma la presidente di Confindustria non può presentarsi con
dei bilanci non in utile.
Tra le cause delle difficoltà, stanno, da una parte, la maggiore incidenza dei
costi fissi sul risultato finale di fronte ad un fatturato ridotto, dall’altra
certamente l’aumento dei costi delle materie prime, che non si è riusciti a
scaricare interamente sui prezzi dei prodotti finali. L’azienda rischia da
questo punto di vista di trovarsi tra due fuochi, tra la pressione dei
produttori della materia prima a monte e quella della concorrenza a valle. Da
segnalare, ancora, la relativa esiguità del valore aggiunto aziendale, anche
prima della crisi, segno del fatto che le produzioni dell’azienda sono
abbastanza povere. Parallelamente, anche il costo del lavoro, componente
fondamentale dello stesso valore aggiunto, appare molto basso, collocandosi oggi
intorno al 6-7% del fatturato complessivo. Il confronto con la migliore
concorrenza del settore appare certamente impietoso su tutti i fronti. Prendendo
come riferimenti in particolare i bilanci di Tenaris e di Vallourec e
confrontandoli con quelli del gruppo Marcegaglia si ottengono i seguenti
risultati:
- sul fronte del conto economico, il valore aggiunto della Marcegaglia si
colloca nel 2010 intorno al 12,5% del fatturato, mentre esso è al 35,5% per
Vallourec e al 39,2% per la Tenaris. Questo permette alla concorrenza di
sopportare anche un costo del lavoro molto più elevato rispetto a quello della
Marcegaglia. L’incidenza di questa voce sul fatturato, sempre nel 2010, è in
effetti del 14,9% nel caso della Vallourec, del 12,2% in quello della Tenaris e
solo del 7,1% in quello dell’impresa italiana. Questo significa anche che le due
imprese riescono a dare molta più occupazione a parità di fatturato. Anche
l’utile netto di esercizio sul fatturato risulta estremamente più elevato nel
caso delle prime due e pari al 16,2% per la Vallourec del 14,8% per la Tenaris e
soltanto dello 0,2% per la Marcegaglia;
- ancora più sfavorevole appare il confronto per quanto riguarda la struttura
finanziaria delle varie imprese. Dal lato dell’attivo di bilancio, le imprese
concorrenti presentano un’incidenza degli investimenti sul totale del capitale
investito molto più elevata. Inoltre, dal lato del passivo, il rapporto del
capitale netto con il totale delle fonti di finanziamento è del 63,9% nel caso
della Vallourec, del 73,5% in quello della Tenaris e soltanto del 25,3%vin
quello della Marcegaglia. Un abisso.
la questione sindacale e del costo del lavoro
I rapporti dell’azienda con il sindacato si presentavano tradizionalmente come
abbastanza pacifici e sostanzialmente improntati alla buona volontà; si
trattava, da questo punto di vista, quasi di un’anomalia nel panorama delle
relazioni sindacali nazionali. Ma, dopo l’avvio della crisi, in particolare dal
2010 in poi, il clima interno si è deteriorato e l’impresa ha varato una
politica più ostile, in particolare cominciando a dialogare con le sole
rappresentanze sindacali di livello aziendale e trascurando quelle a livello di
coordinamento sindacale, passando poi a richiedere di inquadrare i nuovi assunti
di vari stabilimenti del gruppo, e per un periodo di sei anni e mezzo, con
salari di ingresso molto più ridotti rispetto a quelli normali. La Fiom ha
rifiutato tale ipotesi mentre gli altri sindacati si sono dichiarati alla fine
d’accordo. L’impresa mostra così di tendere a dividere le rappresentanze dei
lavoratori e a cercare di concentrare l’attenzione sul problema del costo del
lavoro, quando in realtà i temi di fondo posti dalla crisi sono ben altri.
conclusioni
le vicende più recenti della Marcegaglia appaiono abbastanza rappresentative di
quelle di tante altre imprese nazionali di dimensioni produttive più o meno
rilevanti. Cresciute molto negli anni “facili”, esse si ritrovano ora, con la
crisi, da una parte con una presenza internazionale largamente insufficiente,
dall’altra con le difficoltà ad inserirsi nelle fasce di mercato più ricche ed
avanzate, mentre mostrano anche un management di frequente non adeguato ai
compiti nuovi. La conseguenza alla fine è quella di risultati complessivi
mediocri. Invece di affrontare tali problemi, molte imprese trovano più semplice
prendersela con i lavoratori e le loro rappresentanze, apparendo ossessionate in
particolare dalla questione del costo del lavoro, quando le loro difficoltà si
trovano invece dal lato dei ricavi piuttosto che da quelli dei costi. L’evidente
necessità di spingere invece sui processi di internazionalizzazione e
sull’innovazione di prodotto si scontra all’interno con l’evidente carenza di
risorse finanziarie e con dei gruppi dirigenti di frequente inadeguati al
compito, mentre all’esterno le aziende si ritrovano con un sistema finanziario
che guarda spesso altrove e con dei poteri pubblici del tutto assenti dalla
scena.
fonte: www.sbilanciamoci.info
15 febbraio
Verità e
giustizia
Loris Campetti
Nessuno restituirà la vita alle migliaia di persone uccise dall'amianto, operai
e cittadini colpevoli solo di aver lavorato nelle fabbriche della morte, oppure
di aver lavato le tute impregnate di veleno dei loro compagni, o di aver
respirato in casa o al bar quelle maledette fibre. Una strage, a Casale
Monferrato e nelle città di tutto il mondo in cui il miliardario svizzero
Schmidheiny e il barone belga de Cartier hanno ucciso e intossicato in nome di
un profitto che sapevano fondarsi sul sangue di tanta povera gente. Nessuno
restituirà il sorriso a chi ha perso il marito o il figlio, o l'uno e l'altro,
in base al principio criminale per cui la salute e la vita di chi lavora sono
variabili dipendenti del plusvalore, architrave dell'impresa capitalistica.
Eppure, la sentenza di condanna a 16 anni per disastro doloso e omissione dolosa
di misure antinfortunistiche emessa ieri dal tribunale di Torino, ha un
grandissimo merito: restituisce a intere comunità vittime dell'amianto il
rispetto che meritano e, insieme, la fiducia se non in un futuro ormai
intimamente compromesso, almeno nella giustizia. Questa volta gli assassini non
l'hanno fatta franca, uccidevano sapendo di uccidere e per questo sono stati
condannati. Le lacrime di commozione di chi per anni ha lottato per avere non
quel che aveva perso - e nessuna sentenza potrà restituirgli - ma verità e
giustizia, mostrano la riappropriazione da parte di migliaia di persone del
diritto a vivere ed elaborare il lutto più grande, sapendo però che la loro
battaglia civile non è stata inutile. Il Comitato familiari delle vittime
dell'amianto ne aveva appena vinta un'altra di battaglia, costringendo il
sindaco e l'amministrazione comunale di Casale a tornare sulla sua decisione
intollerabile di accettare i soldi del carnefice, mister Eternit, il magnate
Schmidheiny, a condizione di rinunciare alla costituzione di parte civile. Uno
schiaffo che la comunità delle vittime non poteva accettare. Quel sindaco di
destra, oltre che cinico e disumano, neanche sapeva fare i conti, dato che la
giustizia ha deciso un risarcimento al comune superiore a quello «offerto» dal
miliardario in cambio dell'uscita di scena.
Chissà se qualche mascalzone verrà a spiegarci che sentenze come queste
allontanano gli investimenti stranieri in Italia. Chissà se Schmidheiny
interverrà a qualche congresso di Confindustria per protestare contro la
sentenza, come avevano fatto i suoi colleghi della ThyssenKrupp.
Sarebbe bello, al contrario, se la condanna di Torino istillasse almeno un
dubbio nella testa di chi, in fabbrica come in Parlamento, a palazzo Chigi come
nelle redazioni dei grandi giornali, cavalcando la crisi si batte per cancellare
diritti e dignità di chi lavora. La cui sicurezza, oggi, viene in secon'ordine
rispetto al profitto. La sentenza interroga chi in nome della crisi sta
cancellando il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori, le norme sulla
sicurezza. Sono quelli per cui i profitti vengono prima dell'ambiente.
Della conclusione del processo di Torino dobbiamo ringraziare una magistratura
che ha avuto il coraggio di formulare una sentenza che farà giurisprudenza in
tutto il mondo. Dobbiamo ringraziare per primo il pm Raffaele Guariniello che ha
istruito il processo, un uomo giusto, tenace, puntiglioso. Non un eroe, gli eroi
non servono. Un magistrato.
Tribunale fallimentare,
incarichi d'oro. Inchiesta sui compensi da capogiro
di Italo Carmignani e Massimo Martinelli
ROMA - In tribunale, avvocati e cancellieri ne parlano con circospezione. E lo
raccontano come se fosse unbubbone
che prima o poi doveva scoppiare, perché gli interessi economici in ballo sono
davvero altissimi e gli esclusi dalla grande torta cominciavano a dare segni di
insofferenza da tempo. La spartizione milionaria riguardava, e riguarda tuttora,
l’assegnazione delle procedure fallimentari del Tribunale di Roma ai curatori
fallimentari, che sono professionisti esterni, avvocati o commercialisti, che
gestiscono la pratica spesso per decenni, e vengono pagati cifre che in alcun
casi sono da capogiro, poiché agganciate al valore della pratica.
Su questo sistema che potrebbe nascondere rapporti clientelari o anche
corruttivi, La procura di Perugia ha appena avviato un’inchiesta, essendo
competente a indagare su tutti i reati in cui un magistrato romano può essere
indagato oppure considerato parte lesa. E nel caso dell’inchiesta sulla
Fallimentare, le condizioni potrebbero ricorrere entrambe. Perché a raccontare
alcune presunte storie di malaffare è stato Francesco Taurisano, fino a pochi
mesi fa giudice della Fallimentare di Roma. Che ha puntato il dito contro il suo
ex presidente di sezione, Ciro Monsurrò, accusandolo di una serie di
comportamenti che, qualora fossero verificati, potrebbero configurare condotte
penalmente rilevanti.
La decisione di Fumu. A conferma dell’assoluta delicatezza della vicenda c’è la
decisione del procuratore capo di Perugia, Giacomo Fumu, di trattenere la
titolarità dell’inchiesta in attesa di conferire una delega di indagine alla
Guardia di Finanza e ai Carabinieri. Secondo indiscrezioni, Francesco Taurisano
avrebbe rivelato i meccanismi in base ai quali i vertici della Fallimentare
assegnavano le procedure ai curatori, cominciando dal fascicolo più imponente,
quello sulla liquidazione di Federconsorzi, che fino alla primavera scorsa era
assegnata all’avvocato Sergio Scicchitano. Quell’incarico, invidiato da tutto il
foro di Roma per l’entità delle parcelle per il commissario «gonfiate» dal
valore della procedura, è stato riassegnato a giugno 2011, dopo che Scicchitano
era rimasto coinvolto nell’inchiesta sulle false fatturazioni che portarono agli
arresti domiciliari l’ex presidente di Confcommercio Roma, Cesare Pambianchi, e
il suo socio di studio, il commercialista Carlo Mazzieri.
Il nuovo curatore. In quel frangente, il giudice Taurisano che era delegato al
fallimento Federconsorzi, avrebbe raccontato che la sua scelta per la nomina di
un nuovo curatore sarebbe caduta su un commercialista romano, Roberto Falconi,
che ovviamente fu ben lieto di accettare la nomina, almeno in un primo momento.
Perché è in questa fase che, secondo Taurisano, sarebbe scattato il meccanismo
perverso che, a suo dire, caratterizzerebbe grande parte dell’assegnazione delle
nomine. Un intervento deciso, da parte del presidente Monsurrò, esercitato anche
sul commercialista Falcone, avrebbe provocato la sua improvvisa rinuncia a
quell’incarico milionario. Alla quale sarebbe seguita l’assegnazione
dell’incarico ad un altro commissario liquidatore, già commissario del gruppo
Cirio e - almeno secondo la versione di Taurisano, in ottimi rapporti con il
presidente della Fallimentare, Ciro Monsurrò e con i vertici del tribunale di
Roma.
In realtà, gli inquirenti umbri sembrano convinti che dietro l’ultima lotta
intorno alla nomina del curatore di Federconsorzi si sia consumata l’ennesimo
capitolo di una lotta tra due gruppi di potere in seno alla Fallimentare di
Roma, che per anni hanno gestito in piena autonomia l’assegnazione di incarichi
professionali di valore immenso. Una lotta che sembrava destinata a finire, dopo
che Francesco Taurisano aveva chiesto e ottenuto il trasferimento alle sezioni
civili del Tribunale. Ma che improvvisamente è ripartita, stavolta alla luce del
sole.
10 febbraio
In due per due mesi sulla
torre della protesta
I macchinisti fischiano per solidarietà. Stanislao e Olivero resistono,
accampati fra zona giorno e zona notte: hanno scattato delle foto e girato un
video per Repubblica.it. E non vogliono scendere: "La nostra è una protesta
civile, per questo dà fastidio"
di FABRIZIO RAVELLI
Due
mesi, sessanta giorni là sopra al freddo, a guardare la città dall'alto. Dalla
notte fra l'8 e il 9 dicembre. Oliviero Cassini se li è fatti tutti, sessanta
giorni e sessanta notti di una vita dura, tre sacchi a pelo uno dentro l'altro
la notte, un wc chimico, e qualche salviettina per pulirsi alla meno peggio.
Peppe e Carmine che erano con lui a un certo punto sono scesi. Carmine per la
cattiva salute. Peppe per vedere come andavano le cose là sotto, se qualcosa si
muoveva nella loro vertenza. Un altro, Stanislao, è salito qualche giorno fa per
non lasciare Oliviero da solo.
Si sale in alto, per provare a farsi vedere, per giocarsi la vita, per fare sul
serio. La torre faro è bella alta, e tutti possono sapere che là sopra e lì
sotto, nella piccola comunità di lavoratori Wagon Lits licenziati, sono in ballo
posti di lavoro, famiglie, speranze. Sono quelli dei treni notturni, che
tenevano insieme Nord e Sud di questo Paese, e sono stati cancellati. Sfide come
questa ce n'è parecchie in corso, dalla Lombardia alla Sicilia alla Sardegna.
Questa è la più clamorosamente visibile, ma per ora non ha prodotto risultati.
La torre è il simbolo di una solitudine disperata e gelida.
La torre è in fondo, fra i binari 21 e 22. Ci si incammina lungo il 24,
l'ultimo, fino a dove finisce la pensilina della stazione Centrale, e ancora
oltre. Il traffico di viale Brianza, la vita della città che scorre, è lì sotto.
Poi si scavalcano quattro rotaie, ed ecco la massicciata in cemento dove, al
riparo di una tettoia arrugginita, da due mesi campa la comunità dei licenziati.
Sono una quarantina - su 152 della Wagon Lits rimasti senza lavoro in Lombardia
- quelli accampati qua sotto. Sei tende di fortuna, una cucina improvvisata,
legna che brucia nei bidoni per scaldarsi un po'. E Oliviero affacciato là in
alto, dai cellophan che chiudono la piattaforma della "zona giorno". La "zona
notte" è più in alto ancora, c'è un altro pezzo di scala a pioli da fare,
avvolta nella plastica rossa.
Di scendere e lasciar perdere non ne vogliono sapere: "La nostra è una protesta
civile - dice Oliviero al telefono - E paradossalmente dà anche fastidio. Ci
fanno pressioni perché scendiamo. Ma io sono stupito: cosa altro dovremmo fare?
Dopo 28 anni di servizio sono in mezzo a una strada. Per tutti questi anni noi
abbiamo servito e accudito, e abbiamo tenuto unito il Paese. Ho sentito tante
volte il presidente Napolitano parlare di coesione sociale, e allora mi appello
a lui. Che vigili e faccia qualcosa. In fondo tagliare i treni notturni vuol
dire rompere la coesione sociale e territoriale dell'Italia, e anche violare
l'articolo 16 della Costituzione che garantisce la libertà di movimento".
Oliviero a casa ha una figlia di 8 anni: "È serena, e proviamo a metterla come
un gioco". Peppe invece di figli piccoli ne ha due, e una moglie anche lei
licenziata dalla Wagon Lits: "Lei era a part-time, 800 euro al mese. Ora ci
stiamo spendendo quei quattro risparmi, e aspettiamo la liquidazione". Carmine
ha moglie e tre figli, dai 21 ai 10 anni: "Se c'è bisogno, io torno lassù. Tutti
a dirci di scendere, ma qua sotto la vedi la forza che c'è fra noi. La
visibilità l'abbiamo ottenuta, ma è il resto che manca". La Cgil ha respinto
un'ipotesi di accordo (Cisl e Uil erano favorevoli) per riassorbire i 152
licenziati in Lombardia, puntando a una soluzione per tutti gli 800 che sono in
Italia. Qualche promessa è arrivata, ma sostanza zero. "Anche il sindacato
regionale, che è tutto di dipendenti Trenitalia, non sembra scaldarsi più di
tanto per la nostra lotta".
E allora si tira avanti, anche se è davvero dura. Il freddo spacca le ossa:
"L'altra notte qui c'erano 14 gradi sotto zero". Ogni tanto un treno di
passaggio fischia per solidarietà, ma sono pochi: hanno già sospeso cinque
macchinisti per questo piccolo gesto. La mensa improvvisata, affidata a due
lavoratori calabresi, sforna pastasciutte e panini per chi ha fame. "Non siamo
soli, c'è gente che viene a trovarsi e che ci aiuta", dice Peppe. E racconta che
dall'alto della torre, soprattutto di notte, si vede bene il formicolare di una
Milano disperata: "Vediamo quelli che vanno a dormire nei vagoni in parcheggio.
Ci sono anche tanti ragazzi. Passano di qua, magari gli offriamo qualcosa di
caldo. L'altra notte uno attraversava i binari, e se non era per le nostre urla
ci lasciava la pelle. Il macchinista ci ha sentito, e ha fermato il treno mezzo
metro prima di schiacciarlo".
9 febbraio
La grande colazione
di Marco Travaglio
Un testimone racconta che nel 1997, in piena Bicamerale, il presidente della
medesima Massimo D’Alema incontrò a Venezia l’allora sindaco Massimo Cacciari .
Al governo c’era Prodi e B. era reduce dalle rovinose elezioni del ‘ 96,
politicamente defunto, tant’è che i suoi alleati cercavano un modo carino per
dirgli che era finita e gli cercavano sottobanco un successore (Di Pietro o
Fazio o Monti).
Cacciari domandò: “Scusa, Max, ma sei sicuro di questo accordo con Berlusconi ?
Non è che poi quello, come sempre, alla fine te lo mette in quel posto?” . Il
conte Max lo guardò dall’alto in basso pur essendo meno alto, sorrise a lungo in
silenzio, congiunse il pollice e l’indice della mano destra rivolti verso il
basso e li fece ciondolare con lieve moto ondulatorio. Poi sibilò: “Tranquillo,
Massimo, lo tengo per le palle” .
Naturalmente finì che B., promosso al rango di padre ricostituente, dopo aver
portato a spasso la Volpe del Tavoliere (e con lui tutto il centrosinistra) per
quasi tre anni, fece saltare il tavolo della Bicamerale. E, da morto che era,
rinacque a nuova vita più fresco che pria: nel 2001 era di nuovo a Palazzo Chigi
.
La scena si ripeté dieci anni dopo, nell’autunno 2007, con Veltroni al posto di
Max. Anche allora governava Prodi e B. era dato per defunto, tant’è che cercava
disperatamente di comprare senatori dell’Unione. Ma Uòlter, neosegretario del Pd,
incurante delle sfighe precedenti, aprì un bel “tavolo” per “le riforme insieme”
. Legge elettorale, Costituzione e tutto il resto. Il cadaverino risorse
un’altra volta: sei mesi dopo, complice Mastella, era di nuovo premier ; intanto
Uòlter, che in tutta la campagna elettorale non l’aveva neppure nominato ( “il
principale esponente dello schieramento avverso” ), perse tutte le elezioni
nazionali e locali e dovette dimettersi.
Ora, non c’è il due senza il tre, tocca a Bersani . Tre mesi fa aveva le
elezioni in tasca, persino se si candidava lui. Poi sostenne il governo Monti
con B., ma giurò che non era una maggioranza politica. In realtà lo era, ma si
riuniva nelle catacombe. Ora è uscita allo scoperto, ha fatto outing: incontri
alla luce del sole, comunicati congiunti. Mancano solo le pubblicazioni, ma i
rapporti prematrimoniali sono tutt’altro che vietati. L’inciucio parte dalla
legge elettorale, poi si vedrà. Ci sono tante pratiche da archiviare tipo i
magistrati, che danno noia a destra e a sinistra. Tanto, dicono gli strateghi
del Pd, B. è morto.
Lui manda avanti Al Fano (ma è solo un trompe l’oeil, neppure fra i più
riusciti). E, siccome è Carnevale, estrae dalla naftalina il travestimento da
statista, col fazzoletto da piccolo partigiano al collo, inaugurato tre anni fa
a Onna con un certo successo. Punta al Quirinale e pur di arrivarci è pronto a
tutto, anche a proseguire l’inciucio nella prossima legislatura con un bel
governissimo Pdl-Pd-Terzo polo, magari guidato da Passera (sennò la gente si
disabitua al conflitto d’interessi).
Il paraninfo di Pier Luigi e Silvio promessi sposi è Violante , che già vegliava
sulla Bicamerale da presidente della Camera. Nel 1994 tuonava: “Il nucleo di
interessi che si aggruma intorno a Forza Italia è in profonda continuità col
sistema di potere che ha causato tanti lutti e danni all’Italia… Forza Italia è
un manipolo di piduisti e del peggio del vecchio regime. Berlusconi, con la
chiamata alle armi contro il comunismo, ripete la parola d’ordine del fascismo e
del nazismo quando morivano nei lager comunisti, socialisti ed ebrei. E con
questa parola d’ordine la mafia uccideva i sindacalisti. È una chiamata alla
mafia quella di Berlusconi” .
Nel 2002 Violante diceva che “le proposte di Berlusconi rispondono alle
richieste dei grandi mafiosi” . Nel 2004 parlava di “interessi penali e
criminali” del centrodestra. E nel 2006 denunciò “un giro di mafia intorno a
Berlusconi” . Oggi si batte come un leone per maritare Bersani con quel bel
soggetto, rinviato a giudizio proprio ieri perché passò al suo Giornale la
bobina rubata della telefonata segreta tra Fassino e Consorte. Che gli fai a uno
così? Te lo sposi.
La conversione ecologica
necessaria
Tonino Perna
Di fronte all'ondata di gelo che ha investito l'Europa c'è chi si permette di
irridere gli ambientalisti con la battuta «questo è il riscaldamento globale».
Purtroppo per la gran parte dell'opinione pubblica il riscaldamento globale
significa solo che la temperatura media della terra e dei mari aumenta. Che farà
sempre più caldo e le piccole isole scompariranno per l'innalzamento degli
oceani dovuto allo scioglimento dei ghiacciai. Tutto vero, ma insufficiente per
capire dove stiamo andando. Il primo effetto dello squilibrio ambientale,
indotto dalla crescita iperbolica di anidride carbonica immessa nell'atmosfera,
lo si legge attraverso la crescita della frequenza degli «eventi estremi».
Uragani, piogge abbondanti, ondate di siccità o eccezionali precipitazioni
nevose ci sono sempre state, ma è la loro frequenza che è cambiata. Non solo, è
stato registrato negli ultimi trent'anni un aumento dell'intensità di questi
fenomeni (dalle piogge intense alla forza degli uragani, alle precipitazioni
nevose). Inoltre, va notato che stanno saltando i limiti verso l'alto e verso il
basso delle temperature per cui avremo eccessi di freddo e caldo in diverse aree
del pianeta.
Anche in questi giorni, mentre in Europa si muore di freddo, in Alaska si
registra un insolito aumento della temperatura, in Australia, ad Adelaide, il
termometro ha superato i 41 gradi e la penisola arabica è attraversata da
violente tempeste di sabbia rovente.
Naturalmente venti centimetri di neve a Roma non costituiscono un "evento
estremo" e solo un sindaco inetto e in malafede può prendersela con
l'eccezionalità del fenomeno. Ma se un intero paese va in tilt in condizioni
normali che cosa succede quando deve affrontare seriamente gli "eventi estremi"?
L'abbiamo visto lo scorso autunno in Liguria, quando in poche ore sono caduti
500 mm di pioggia, provocando disastri umani e materiali; l'abbiamo visto a
Giampilieri il primo ottobre del 2009, quando 375 mm di poggia in sei ore hanno
provocato 37 vittime e l'evacuazione di un intero paese (dove ancora non si è
fatto niente per mettere le popolazioni in sicurezza). In un paese in cui non si
fa più la manutenzione ordinaria del territorio, figuriamoci quella
straordinaria che è oggi necessaria per prevenire i danni degli "eventi
estremi". Altro che Tav, grandi opere e liberalizzazioni. I danni al territorio
ed ai suoi abitanti causati da incendi, alluvioni, mareggiate, sono costati -
secondo una stima in difetto - 30 miliardi di euro nell'ultimo decennio.
Per sopravvivere agli "eventi estremi" dobbiamo cambiare radicalmente visione
del mondo e del nostro futuro. Dobbiamo investire nella manutenzione del
territorio, nella protezione del nostro patrimonio (naturale, abitativo,
storico), nella "prevenzione" delle catastrofi annunciate. Oggi gli "eventi
estremi" meteorologici sono prevedibili con buona approssimazione 48 ore prima
che si registrino. È necessario approntare un sistema di allarme e messa in
sicurezza delle popolazioni che superi il modello di funzionamento dell'attuale
protezione "incivile", che stabilisca una scala di priorità e di responsabilità,
individuando il soggetto pubblico che funge da responsabile di ultima istanza.
Infine, dobbiamo porci seriamente la questione della sovranità energetica ed
alimentare, una questione politica di prima grandezza finora sottovalutata. Fino
ad oggi potevamo pensare che bastava avere il denaro per procurarsi le risorse
energetiche e quelle alimentari. Nel futuro non sarà più così. La Russia che
taglia le forniture di gas, per assicurarle ai suoi abitanti, non sarà più un
fatto eccezionale. Così come paesi come l'Argentina, l'India, il Vietnam, che in
questi ultimi anni di speculazioni finanziarie hanno bloccato l'export di beni
alimentari per assicurarsi l'autosufficienza.
Ciò significa che dobbiamo ridurre la nostra dipendenza energetica ed
alimentare, e che la questione del "risparmio" e della conversione ecologica è
diventata urgente per rispondere alle sfide degli "eventi estremi".
3 febbraio
L'Ama premia i dirigenti, da
4mila a 12mila euro
Polemiche sulle nuove elargizioni: nella lista
anche Andrini con mille euro. L'ad Cappello: abbiamo dimezzato le gratifiche
di Claudio Marincola
ROMA - L’Ama premia i suoi dirigenti con
gratifiche che vanno dai 4 mila ai 12 mila euro. I premiati sono direttori di
prima fascia con stipendi che vanno dai 120 mila a 200 mila euro l’anno. Se la
passavano benino anche senza, insomma. Le prime indiscrezioni erano circolate
già in piena estate (Messaggero del 24 luglio 2011) ma nessuno osava crederci.
L’azienda di via Calderon de La Barca era stata appena investita dalla bufera di
Parentopoli. Un’imbarcata di cognati, cugini e amici sulla quale è in corso
un’indagine della Procura. Erano ancora fresche inoltre le polemiche per
l’aumento del 10% della Tari. Il vertice era appena cambiato: al posto dell’ex
patron dell’Unire Franco Panzironi era arrivato da Milano il supermanager
Salvatore Cappello. Ed ecco che ci risiamo.
I premi si riferiscono alle perfomance del 2010. Nell’elenco figura, tra gli
altri, anche Giovanni D’Onofrio, il responsabile dell’Ufficio legale, finito nel
ciclone di parentopoli. In testa ai premiati (12 mila euro) 4 dirigenti apicali:
Giovanna Anelli, Davide Ambrogi, Giovanni Fiscon e appunto D’Onofrio. Per non
fare torto a nessuno, poi, un piccolo riconoscimento mille euro, meglio di
niente è andato anche a Stefano Andrini, ex estremista di destra dal passato
turbolento. Di lui si parlò dopo che Panzironi decise di farne il nuovo ad di
Ama servizi. Decisamente inferiori i premi riconosciuti a un ristretto numero di
quadri di VIII livello (tra i mille e i duemila euro). Tra questi anche un
funzionario che ha rifiutato («Non voglio finire sui giornali», avrebbe
confidato ai colleghi). In totale le gratifiche non superano i 200 mila euro.
Quando si parla di Ama Spa le sorprese non finiscono mai. Può accadere anche che
a conclusione di una vertenza una ex dipendente si veda corrispondere più di 900
mila euro. Quasi una vincita al superenalotto. L’ultima tranche di 139 mila euro
le è stata pagata il 14 dicembre scorso dopo che l’azienda si era vista
pignorare un conto corrente bancario. Ma con le vertenze non è finita: stanno
per arrivare infatti migliaia di ricorsi di dipendenti ai quali non è stata
applicata e riconosciuta la legge 104, quella riservata ai disabili.
Che l’Ama spa non navighi in buone acque è un dato incontestabile (il
conferimento del Centro carni per ricapitalizzarla parla da solo). Eppure
continua ad assumere dirigenti. L’ultimo risale al 23 novembre scorso. Si chiama
Salvatore Caminada e viene da Milano, come l’ad Salvatore Cappello. Guiderà la
direzione Impianti e guadagnerà per i prossimi 3 anni 160 mila euro lordi annui,
più l’eventuale premio di risultato di 20 mila.
I sindacati sono pronti a scendere sul piede di guerra. Premi e superminimi
contrastano con il taglio degli straordinari che ridurrà del 40% circa le ore
extra.
Come commenta l’Ama tutto questo? Per l’ad Cappello «non c’è alcun nesso» tra le
due voci. I criteri nell’assegnazione degli incentivi «sono stati oggettivi», vi
è forte riduzione nella spesa, «addirittura il 45% in meno rispetto all’anno
precedente». «Il premio massimo individuale di 30 mila euro è stato ridotto a 12
mila aggiunge l’ad il costo dei premi di produttività erogati quest’anno è stato
inferiore di ben 620 mila euro».
I romani, secondo Cappello, possono stare tranquilli: nel 2012 la tariffa non
aumenterà e i servizi miglioreranno. «É evidente che la mia autonomia a qualcuno
dà fastidio - osserva il manager milanese - ma non mi farò intimidire, e
continuerò per la mia strada». Cappello ha annunciato un esposto per denunciare
la diffusione «di notizie interne che violano la privacy delle persone».
Se l'azienda paga i conti ma
non riceve commesse per vivere
Cinzia Gubbini
Il Gruppo Riela era la 14.ma azienda più ricca
della Sicilia. Poi è stata confiscata, e oggi è in liquidazione. Se arriva lo
Stato si salvi chi può? No, è che oggi l'azienda di trasporto costa. E non regge
il mercato.
Il
10 gennaio sono state avviate le procedure per la liquidazione del gruppo Riela.
E' un'altra azienda sequestrata alla criminalità organizzata che muore. Come
accade per 9 aziende su 10 tra quelle che vengono sottratte al potere mafioso -
lo ha ricordato di recente Domenico Posca, presidente degli Amministratori
giudiziari. Un dato che di per sé è una denuncia. La Riela verrà liquidata
perché «non riesce a stare sul mercato », dice la determinazione del 19 luglio
dell'Agenzia per i beni confiscati. Dietro questa formula, per nulla asettica,
si nasconde la storia di un gruppo di trasporto che nel 1999 era la
quattordicesima azienda più ricca della Sicilia. Un'azienda che ha fatturato
anche trenta milioni di euro e dato lavoro a 250 dipendenti. La sua chiusura,
dunque, rappresenta un duro colpo per la provincia di Catania, ma anche un
messaggio pericoloso: le aziende che vengono tolte alla mafia non ce la fanno.
Quando arriva lo Stato si salvi chi può.
Oggi le condizioni del gruppo Riela sono molto diverse rispetto al suo
"glorioso" passato che, però, è stato glorioso anche sotto controllo pubblico.
E' che, a un certo punto - per ragioni ancora da capire, visto che nessuno è mai
finito sotto inchiesta - gli amministratori (se ne sono succeduti tre dall'anno
del sequestro, nel lontano '95) non si accorgono che la famiglia Riela sta
cercando di riprendersi l'azienda . Come? Semplicissimo: fondando un nuovo
consorzio, Se.Tra, che pian piano comincia a svuotare il gruppo accaparrandosi
tutti i clienti e diventando addirittura il principale creditore della Riela. Se
ne accorgono i magistrati, e mettono Se.Tra sotto sequestro, ipotizzando che lo
scopo del consorzio fosse presentarsi come naturale acquirente una volta giunti
all 'alienazione del bene confiscato. Il consorzio vince il riesame, ma perde in
Cassazione. Da allora, però, non si è più proceduto con l'ulteriore sequestro.
Intanto praticamente tutti gli ex dipendenti - che hanno capito subito quale
fosse il cavallo "vincente" - lavorano in un'azienda del consorzio Se.tra. Che,
tra l'altro, usa un logo che evoca il gruppo Riela. Hanno tanti clienti e vanno
alla grande. Non solo: Se.tra ha chiesto indietro al gruppo Riela 6 milioni di
euro . Un decreto ingiuntivo che se arrivasse a buon fine la porterebbe al
fallimento. E' uno dei motivi che ha spinto l'Agenzia nazionale a liquidare.
Questo l'intricato intreccio della storia del gruppo, considerato un vero e
proprio "caso di scuola" dagli addetti ai lavori. E dunque ci sta anche la
liquidazione, inesorabile destino per le aziende confiscate. Senonché da qualche
anno ci sono persone che stanno cercando di rimettere in pedi l'azienda. E ci
credono. Tra loro c'è il direttore tecnico. Si chiama Mario Di Marco: è un
dipendente finito in mobilità dopo aver lavorato per anni alla Ce.sa.Me. (700
dipendenti, fallita nel 2004). Poteva aspettare la pensione e invece ha
accettato l'incarico. Tratta Riela come fosse una sua creatura . Non vuole farla
morire perché vede un futuro. Sono in corso trattative importanti per nuove
commesse. Niente che possa competere con il passato da leone della Riela, ma
probabilmente abbastanza per mantenere 22 dipendenti . E soprattutto per non
spegnere una fiammella di legalità in un territorio ammorbato dalla
disoccupazione e in un settore - quello del trasporto - considerato tra i più
infiltrati dagli interessi mafiosi. Le modalità degli scioperi di questi giorni,
d'altronde, hanno mostrato gente in azione con cui non conviene scherzare .
La nuova Riela non frequenta questi circuiti. Lavora molto con i gruppi di
acquisto solidale che sono stati i primi a dargli fiducia. Accettando di pagare
un prezzo più alto per il trasporto rispetto alle tariffe stracciate di quel
"mercato" su cui Riela non riesce a stare. E' quello che Di Marco chiama «il
prezzo della legalità». Le tariffe Riela possono essere anche del 30% più care .
E il motivo sta nel fatto che Riela, essendo amministrata dallo Stato, è
"costretta" a rispettare le regole. Contratti a posto, tasse pagate, revisioni
perfette, bolli in ordine, orario di lavoro rispettato. Si può "stare sul
mercato"? «Ma in questi anni siamo riusciti a stabilire nuovi contatti,
imprenditori che apprezzano la nostra affidabilità. Forse anche la nostra
storia», racconta Di Marco. E' lo stato che sembra latitare. Assistenzialismo?
No, Di Marco chiede lavoro. «Perché mai i tabacchi italiani devono essere
trasportati da una ditta spagnola?», si domanda. E' impossibile immaginare che
le aziende con partecipazioni pubbliche - ce ne sono a decine, da Finmeccanica,
al Poligrafico - prevedano una collaborazione con le aziende confiscate ?
«Soluzioni di questo tipo sono state prese in considerazione - risponde il vice
prefetto Maria Rosaria Laganà dell'Agenzia per i beni confiscati - ma bisogna
anche tenere in considerazione le regole della concorrenza : non ci possono
essere aziende facilitate rispetto ad altre». Già, il mercato. «Sulla Riela è
stato fatto di tutto, compreso un tavolo per ricollocare i dipendenti», precisa.
Certo, ma nessun futuro per un'azienda che è stata un "nome", in Sicilia? «Se ci
fossero novità - spiega Laganà - andrebbero certamente prese in considerazione.
Ma dovrebbero essere commesse consistenti , in grado di durare nel tempo».
Insomma, uno spiraglio c'è. Solo se le commesse aumentassero. Ma in quanti sono
disposti a sostenere il «costo della legalità»?
Opere pubbliche, le 320
incompiute
Sono le 320 opere pubbliche mai ultimate in
Italia.
Il record in Sicilia.
Le opere pubbliche abbandonate a metà sono una storia vecchia.
Ma oggi, grazie a un lavoro certosino fatto da www.incompiutosiciliano.org
possiamo rifarci gli occhi vedendole tutte in fila in un elenco che fa paura.
Non esiste una stima globale di questo spreco ma parliamo di miliardi di euro
buttati al cesso.
Questa lista la si dovrebbe far imparare a memoria nelle scuole così magari poi
la gente ci pensa quando vota.
Incompiuto Siciliano non si è limitato a redarre una lista, ha anche organizzato
un tour turistico all’incompiuto come corrente artistica.
Ecco la lista della vergogna:
Invaso incompleto – Cammarata (AG)
Variante di Porto Empedocle – Sicilia – Porto Empedocle
Viadotto Burgio – Sicilia – Burgio
Trenino Cogne-Pila – Valle D’Aosta – Cogne
Ospedale Sant’Isodoro – L’Aquila
Stadio “Tommaso Fattori” – L’Aquila
Palazzo dello sport – L’Aquila – Paganica
Centro Polifunzionale – L’Aquila
Metropolitana – L’Aquila
Bretella tra Brignano e Torrione – L’Aquila
Depuratore – Chieti – Francavilla al Mare
Porto di Francavilla al mare – Chieti
Ponte – Chieti
Campus universitario di Madonna delle Piane – Chieti
Ospedale – Chieti – Ripa Teatina
Ospedale Clinicizzato “Santissima Annunziata” di Colle dell’Ara – Chieti
Villaggio del Fanciullo – Teramo – Silvi
Complesso Ospedaliero di Casalena – Teramo
Ospedale “Sant’Egidio alla Vibrata” – Teramo
Ponte ciclo pedonale – Teramo – Silvi
Autoporto di Castellalto – Teramo
Autoporto di Roseto – Teramo – Roseto degli Abruzzi
Carcere Mandamentale – Matera – Irsina
Aeroporto di Pisticci – Matera
Ferrovia Matera-Ferrandina – Matera
Cinema Ariston – Potenza
Ex caserma dei Vigili del Fuoco – Potenza
Ex-Cip Zoo – Potenza
Ex-dispensario – Potenza
Palestra – Potenza
Stazione autobus extraurbani – Potenza
Diga sul Monte Marello – Catanzaro – Cannalia
Diga di Gimigliano sul fiume Melito – Catanzaro
Diga sull’Alaco – Catanzaro – San Sostene
Diga del Redisole – Catanzaro – Torrente Fiumarella
Ospedale – Catanzaro – Girifalco
Centro Polifunzionale – Catanzaro
Palazzetto dello sport – Catanzaro – Borgia
Piscina comunale di San Giovanni in Fiore – Catanzaro
Diga sul Laurenzana – Cosenza – Fiume Trionto
Diga sul Monte Pettinascura – Cosenza
Grande mattatoio consortile – Cosenza – Cetraro
Nuovo mercato coperto – Cosenza – Diamante
Mattatoio comunale – Cosenza – S. Pietro di Guarano
Diga di Tarsia – Cosenza
Diga sul Basso Savuto – Cosenza
Mattatoio consortile di Diamante – Cosenza
Diga Basso Esaro – Cosenza
Diga sull’Alto Esaro – Cosenza
Mercato coperto di Diamante – Cosenza
Casa albergo – Cosenza – Buonvicino
Diga del Votturino – Cosenza – Altopiano della Sila
Mattatoio consortile – Cosenza – Casole Bruzio
Sala Conferenze di Diamante – Cosenza
Casa albergo – Cosenza – Saracena
Scuola Materna – Cosenza – Diamante
Istituto di riabilitazione “Papa Giovanni” – Cosenza – Serra d’Aiello
Ospedale di Scalea – Cosenza
Stadio di Paola – Cosenza
Palazzetto dello Sport – Cosenza – Cittadella di Capo
Trasversale di Serre – Cosenza – Serre
Campo di calcio di Crotone
Diga sul Lordo – Reggio Calabria
Diga inutilizzata – Reggio Calabria – Laureana in Borrello
Diga sul fiume Metrano – Reggio Calabria – Gioia Tauro
Diga sul Melito – Reggio Calabria
Diga sul Menta – Reggio Calabria – Roccaforte del Greco
Ospedale di Cittanova – Reggio Calabria
Ospedale di Gerace – Reggio Calabria
Palazzetto dello sport – Reggio Calabria – Taurianova
Bretella di completamento – Reggio Calabria – Lauria
Autostrada A3, Salerno – Reggio Calabria
Tangenziale Est di Vibo Valentia
Biblioteca comunale – Caserta
Mattatoio comunale – Caserta – Piedimonte Matese
Mattatoio comunale e foro boario – Caserta
Ospedale “San Rocco” – Caserta – Sessa Aurunca
Piscina – Caserta – Piedimonte Matese
Ospedale di S. Bartolomeo in Galdo – Benevento
Ospedale “Maria SS. Delle Grazie” – Benevento
Albergo – Napoli – Alimuri
Vasca d´alaggio – Napoli – Torre Annunziata
Ospedale – Napoli – Boscotrecase
Ospedale “S. Maria di Casascola” – Napoli – Gragnano
Spirito nuovo tra antiche mura – Salerno – Sassano
Cementificio – Salerno – Sapri
Nuova casa comunale “Spirito nuovo tra antiche mura” – Salerno – Sassano
Ospedale “San Michele di Pogerola” – Salerno – Amalfi
Ospedale – Salerno – Roccadaspide
Palazzetto dello sport – Salerno – Cava de’ Tirreni
Rampa di collegamento (Ponte) – Salerno – Cava de’ Tirreni
Ex-statale 447 – Salerno
Ospedale del polo di Cona – Ferrara
Variante di valico – Bologna
Bowling – Pordenone – Roveredo
Diga Ravedis – Pordenone – Montereale Valcellina
Ospedale Nuovo – Frosinone
Centro Intermodale – Latina
Autostrada Rieti-Torano
Parcheggio sotterraneo – Roma
Anello ferroviario, stazione Vigna Clara – Roma
Colonia Fano – Genova
Messa in sicurezza del Torrente Sturla – Genova – Bavari
Ospedale “Luigi Frugone” – Genova – Busalla
Ospedale civile “Arnaldo Terzi” – Genova
Sede dell’Agenzia delle Entrate – Bergamo
Borgo di Consonno – Lecco
Canale fluviale Milano-Cremona
Ponte di Vedano – Milano
Strada provinciale Mirazzano – Vimodrone – Milano
Chiusa Golasecca – Varese
Palazzetto dello sport – Varese – Cantù
Pista d’Atletica Zengarini – Tribuna – Pesaro – Urbino – Fano
Traforo della Guinza – Pesaro – Urbino – Mercatello sul Metauro (PU)
Centro visite del sito archeologico di Sepino – Campobasso
Ospedale “Vietri” – Campobasso – Larino
Ospedale “SS. Rosario” – Isernia
Palafuksas – Torino
Orfanotrofio ex-Ipai – Vercelli
Parcheggio interrato Piazza XX Settembre – Bari – Trani
Ponte – Bari – Palese
L’asilo incompiuto a Trani o rudere di Via Di Vittorio – Bari
Casa di riposo – Bari
Stazione ferroviaria di Palese – Bari
Pretura – Brindisi
Impianto per il trattamento dei rifiuti solidi urbani – Brindisi
Istituto “Tanzarella” – Brindisi
Centro per anziani – Brindisi
Palazzetto dello sport – Brindisi – Fasano
Piscina Coperta – Foggia – Vieste
Invaso Pappadai – Lecce
Casa di riposo per anziani – Lecce – Nardò
Centro sportivo – Lecce – Cesarea Terme
Impianto sollevamento acqua – Taranto
Scuola elementare – Cagliari – Monserrato
Chiesa San Giovanni Evangelista – Cagliari – Quartu Sant’Elena
Elettrificazione della “dorsale sarda” – Cagliari
Strada “La Fumosa” – Olbia – Tempio – Tempio Pausania
Campo sportivo – Oristano
Teatro – Sassari – Villasor
Ufficio senza destinazione d’uso – Sassari – Li Punti
Mercato civico – Sassari – Villasor
Nuova caserma dei carabinieri – Sassari – Bono
Ospedaletto – Sassari – Benetutti
Piscina – Sassari – Benetutti
Centro sportivo polivalente – Sassari – Benetutti
Ippodromo – Sassari – Benetutti
Strada camionale – Sassari
Teatro popolare Samonà – Agrigento – Sciacca
Museo di via Roma – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Piscina comunale – Agrigento – Sciacca
Museo – Contrada La Salina – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Pretura – Agrigento
Deposito d’acqua di Monte Imbriacola – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Deposito di Aria Rossa – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Diga di Gibbesi – Agrigento – Naro
Deposito d’acqua zona scalo nuovo di Cala Pisana – Agrigento – Lampedusa e
Linosa
Deposito di Poggio Monaco – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Case popolari – Agrigento – Cattolica Eraclea
Approdo di Cala Pisana – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Casa per anziani – Agrigento – Casteltermini
Deposito d’acqua di Taccio Vecchio – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Ospizio – Agrigento – Cattolica Eraclea
Ospedale – Agrigento – Cattolica Eraclea
Piscina Comunale Ctr Imbriacola – Agrigento – Lampedusa e Linosa
Campo di calcio Villaggio Mosé – Agrigento
Piscina – Agrigento – Cattolica Eraclea
Polisportivo coperto – Agrigento – Castrofilippo
Campo da rugby Villaggio Mosé – Agrigento
Palazzetto dello sport – Agrigento – Cattolica Eraclea
Piscina Comunale Coperta – Agrigento – Sciacca
Stadio d’atletica – Agrigento
Linea ferroviaria Canicattì – Riesi – Agrigento
Messa in sicurezza della statale SS 115 – Agrigento – Sciacca
Carcere mandamentale – Caltanissetta – Gela
Diga Disueri – Caltanissetta – Gela
Caserma dei carabinieri – Caltanissetta – Gela
Diga Comunelli – Caltanissetta – Gela
Dissalatore – Caltanissetta – Gela
Caserma dei Vigili del Fuoco – Caltanissetta – Gela
Piscina comunale – Caltanissetta – Milena
Linea ferroviaria Caltanissetta – Misteci – Caltanissetta
Svincolo Irosa – Caltanissetta – Resuttano
Teatro Nuovo – Catania – Giarre
Teatro di viale Moncada – Catania
Centro congressi comunale – Catania – Mascali
Approvvigionamento idrico della città di Catania – Piedimonte Etneo
Mercato dei fiori – Catania – Giarre
Centro diurno e comunità alloggio per anziani – Catania – Giarre
Case popolari – Catania – Bronte
Case popolari – Catania – Adrano
Pretura – Catania – Giarre
Parco tematico dei divertimenti – Catania – Fiumefreddo
Diga di Pietrarossa – Catania
Depuratore delle acque – Catania – Biancavilla
Distaccamento provinciale dei Vigili del Fuoco – Catania
Diga di Pietrarossa – Catania – Caltagirone
Parcheggio multipiano – Catania – Giarre
Pista delle macchinine – Catania – Giarre
Parco – Catania
Ponte cosiddetto “Dei Sospiri” – Catania – Linguaglossa
Mercato ortofrutticolo – Catania – Caltagirone
Bambinopoli – Parco “Chico Mendes” – Catania – Giarre
Ospedale Vittorio Emanuele – San Marco – Catania
Nuovo complesso policlinico Universita di Catania
Ospedale – Catania – Biancavilla
Ospedale – Catania – Grammichele
Ospedale Sant’Isodoro – Catania – Giarre
Ospedale – Catania – Randazzo
Ospedale “Rinaldi” – Catania – Vizzini
Casa albergo per anziani – Catania – Giarre
Campo di polo – Catania – Giarre
Palestra comunale – Catania – Mascali
Campo sportivo – Catania – Misterbianco
Velodromo “Salinelle” – Catania – Paternò
Palestra comunale – Catania – Sant’Alfio
Centro sportivo polifunzionale – Catania – Giarre
Piscina Olimpionica coperta – Catania – Giarre
Piscina comunale – Catania – Giarre
Palazzetto dello Sport – Catania – Palagonia (CT)
Colonnato lungo i binari – Catania – Bronte
Ponte – Catania – Randazzo
Diga Morello – Enna – Villarosa
Teatro “Garibaldi” – Enna
Parco archeologico del castello di Nicosia – Enna
Invaso Olivo – Enna
Invaso Pozzillo – Enna – Ragalbuto
Mercato ortofrutticolo – Enna
Mercato ortofrutticolo Leonforte – Enna
Carcere – Enna
Diga Ancipa – Enna – Troina
Mattatoio comunale – Enna – Nicosia
Ospedale “Ferro Branciforte Capra” – Enna – Leonforte
Sanatorio – Enna – Pergusa
Palazzetto dello sport – Enna – Leonforte
Piscina – Enna – Centuripe
Superstrada nord – sud – ss177 – Enna – Leonforte
Linea ferroviaria Leonforte – Nicosia – Enna
Superstrada NORD-SUD – ss117 – Enna – Nicosia
Carcere – Messina – Patti
Dissalatore – Messina – Lipari
Carcere – Messina – Mistretta
Lavori di consolidamento del torrente Simeto – Messina – San Piero Patti
Casa per anziani – Messina – Mistretta
Linea ferroviaria Santo Stefano di Camastra – Mistretta – Messina
Ponte sullo stretto di Messina
Strada “Dei due Mari” – SS 117 Centrale Sicula – Messina – Santo Stefano di
Camastra
Diga dello Scanzano – Palermo – Lago Scanzano
Diga di Blufi – Palermo
Diga di Rosamarina – Palermo – Termini Imerese
Diga Poma – Palermo – Lago Poma
Centro servizi – Palermo – Capaci
Diga Garcia di Roccamena – Palermo – Termini Imerese
Asilo nido – Palermo
Scuola media – Palermo – Mezzojuso
Azienda ospedaliera “Villa Sofia” – Palermo
Sanatorio – Palermo – Piana degli Albanesi
Ospedale “Villa delle Ginestre” – Palermo
Padiglioni polichirurgici e Ospedale via Ingegneros – Palermo
Ospedale “Casa del Sole” – Palermo
Azienda Ospedaliera “V. Cervello” – Palermo
Viadotto sul cuore delle Madonie – Palermo
Anello metroferroviario – Palermo
Passante ferroviario. Raddoppio metropolitana Palermo centrale – Punta Raisi –
Palermo – Cinisi
Linea ferroviaria Palermo Lolli – Santa Ninfa
Sottovia scatolare – Palermo – Bolognetta
Galleria interna al parco delle Madonie – Palermo – Petralia Soprana
Raccordo Autostradale – Palermo
Adduttore del fiume Irminio – Ragusa
Ex ospedale psichiatrico – Ragusa
Ospedale “G.B Odierna” – Ragusa
Teatro Comunale di Siracusa
Invaso di Lentini – Siracusa
Asilo nido – Siracusa – Priolo Gargallo
Centro scolastico polivalente per scuole elementari e materne – Siracusa –
Priolo Gargallo
Scuola-albergo – Siracusa
Ex Ospedale Neuropsichiatrico – Siracusa
Ospedale civile – Siracusa – Pachino
Casa albergo per anziani – Siracusa – Priolo Gargallo
Ospedale “E. Muscatello” – Siracusa – Augusta
Centro diurno per gli anziani – Siracusa – Priolo Gargallo
Nuovo ospedale generale – Siracusa – Lentini
Sopraelevata SP26 – Siracusa – Rosolini
Porto di Pantelleria – Trapani
Teatro di Gibellina – Trapani
Monumento ai Mille – Trapani – Marsala
Pista ciclabile – Trapani – Mazara del Vallo
Chiesa Madre (c.d. Chiesa di Quaroni) – Trapani – Gibellina
Dissalatore – Trapani – Nubia
Ponte – Trapani – Mazara del Vallo
Acquedotto di Montescuro-ovest – Trapani
Alloggi della polizia – Trapani – Gibellina
Serbatoi Paceco, Trinità, Rubino, Zafferana – Trapani
Centro turistico – Trapani – Gibellina
Cimitero – Trapani – Contrada Ciappola – Cutusio
Scuola – Trapani – Erice
Piscina comunale – Trapani
Ospedale “San Biagio” – Trapani – Marsala
Ospedale “Vittorio Emanuele II” – Trapani – Castelvetrano
Centro cure per disabili – Trapani – Castellammare del Golfo
Ospedale Nuovo – Trapani – Marsala
Palestra – Trapani – Erice
Litoranea Nord – Trapani
Porto “Banchine versante Ronciglio” – Trapani
Linea ferroviaria Kaggera – Vita – Salemi – Trapani
Porto di Castellammare del Golfo – lavori di prolungamento e messa in sicurezza
– Trapani
Galleria tra la Valle dell’Adige e il lago di Garda – Trento
Linea tramviaria Scandicci – Santa Maria Novella – Firenze
Acquario pubblico “Diacinto Cestoni” – Livorno
Porta del parco Appennino Tosco Emiliano – Massa Carrara – Filattiera
Scolmatore acque – Pisa – Pontedera
La strada quadrilatero umbro-marchigiana – Perugia
Superstrada Perugia-Ancona
Nuovo ospedale comprensoriale – Terni
Superstrada Terni – Rieti
Metropolitana – Terni
Diga di Beauregard – Aosta – Valgrisenche
MO.S.E. – MOdulo Sperimentale Elettromeccanico – Venezia
Idrovia Venezia – Padova
Ospedale “San Bortolo Nuovo” – Vicenza
Istituto Elioterapico – Vicenza – Roana