INTERVENTO DELLA CGIL ESTERI ALL'ASSEMBLEA PUBBLICA DELLE DELEGATE/I ORGANIZZATA DALLA CGIL FP REGIONALE LAZIO 31/1/2003

 

Sul tema della guerra e della pace il nostro punto di partenza non può essere che la Costituzione, quella Costituzione che sancisce all'articolo 11, cito testualmente: "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. Promuove e favorisce le Organizzazioni Internazionali rivolte a tale scopo".

Piero Calamandrei, nel suo discorso del 4 marzo 1947 ricordò a tutti i Costituenti che nella Costituzione italiana era contenuto L'IMPEGNO DI TUTTO UN POPOLO. Del popolo di coloro che sono morti in silenzio come se fosse un lavoro quotidiano da compiere per restituire all'Italia libertà e giustizia. A noi non viene chiesto di morire, a noi resta un compito cento volte più facile, quello di tradurre il loro sacrificio ed il loro sogno di "una società più giusta ed umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati a debellare il dolore".

 

QUALE PIÙ GRANDE DOLORE DELLA GUERRA?

 

Costruire la pace è un percorso anche individuale nell' avviare l'accettazione e la valorizzazione delle diversità in tutte le relazioni, non solo a livello internazionale, ma partendo da quelle interpersonali: i nostri colleghi di ufficio, i nostri familiari, i nostri vicini, le controparti sindacali, per noi che facciamo questo lavoro. Dobbiamo parlare con la gente, al mercato, per la strada, suscitando riflessioni e confronti sul tema della guerra e della pace, chiedendo a tutti di esprimersi e di prendere posizione.

Noi che siamo qui oggi siamo già convinti!

 

Come donna mi piace ricordare che siamo portatrici di vita e quindi pronte a riconoscere il valore di ogni vita al di là di ogni calcolo economico e di ogni strategia di potere. Non possiamo quindi che opporci fermamente ad ogni forma di terrorismo qualunque sia la sua motivazione perché oltre a negare il valore della vita ostacola i processi di confronto e di mediazione dai quali può nascere la pace.

 

Ma il terrorismo si vince estirpandone le sue cause principali che sono: la povertà, l'ingiustizia, l'ignoranza. In questo senso la globalizzazione deve essere in primo luogo quella dei diritti: in particolare salvaguardia dei diritti umani, diritto alla giustizia, alla democrazia, all'istruzione, ad una vita dignitosa e di lavoro.

 

Il processo di pace deve partire dalla soluzione del conflitto in Medio Oriente riconoscendo il diritto all'esistenza sia di uno Stato palestinese che israeliano. Quella contro l'Iraq è una guerra d'aggressione che allontana ancora di più la prospettiva di realizzare la pace in Medio Oriente; aliena ulteriormente il mondo islamico, esponendoci ad un rischio sempre maggiore di escalation terroristica.

 

Non possiamo accettare l'ineluttabilità della guerra che avrebbe conseguenze disastrose e non solo per i popoli direttamente interessati; eppure questo sembra essere ormai nelle aspettative di molti. Cito ad esempio quanto ci è stato riferito da un collega in servizio a Tel Aviv: le tariffe alberghiere vengono pubblicizzate con un prezzo differente nel periodo tra febbraio e giugno: scontate del 50% a causa del conflitto, del quale già si prevede addirittura la durata!

 

In Europa e negli Stati Uniti autorevoli istituzioni e settori sempre più consistenti della società civile - partiti, sindacati, associazioni, vescovi, sindaci, ex Presidenti, uomini politici, intellettuali, premi Nobel, personalità del mondo dello spettacolo, ecc. - stanno esprimendo la loro esplicita e netta avversione al ricorso all'uso della forza militare in Iraq. Questa si esprime in una mobilitazione sempre più generale e trasversale, in totale dissenso con la dottrina della guerra preventiva del Presidente Bush, che è stata negli ultimi mesi supportata da una gigantesca propaganda mediatica per giustificare l'aggressione: Al tempo stesso, diversi governi - a partire da Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo - in sintonia con le loro società civili denunciano i tentativi americani di aggirare le Nazioni Unite e la NATO stessa, nel caso in cui queste istituzioni decidessero di non avallare l'attacco unilaterale voluto dalla Casa Bianca.

 

I nostri iscritti del Ministero degli Esteri attualmente in servizio nei Paesi del Golfo e del bacino del Mediterraneo ci hanno trasmesso la loro angoscia per una situazione che, dal loro osservatorio, risulta ancora più pericolosa. Significherebbe distruggere decenni di politica internazionale italiana tesa a costruire relazioni di pace e di cooperazione con Paesi moderati quali ad esempio la Tunisia, l'Egitto, il Marocco ed altri con i quali, più recentemente, si stanno intensificando le relazioni, come la Libia.

 

Più in generale tutto il personale del MAE è particolarmente sensibile alla costruzione di un cammino di pace: il nostro lavoro ci porta dentro i conflitti, ci porta a confrontarci con culture e civiltà diverse, ci porta a partecipare ai tavoli di confronto internazionale, ci porta ad impegnarci per la costruzione dell'allargamento europeo e per il rafforzamento delle relazioni politiche ed economiche tra i paesi dell'Unione.

In questo senso rientra nelle competenze del Ministero degli Esteri la politica della cooperazione allo sviluppo, strumento per combattere la povertà, ed il crescente divario esistente fra Paesi poveri e ricchi, l'arretramento economico-culturale che è la causa del dilagare di grandi epidemie quali ad esempio l'AIDS. Questo strumento è uno dei mezzi a disposizione del Governo italiano per contribuire alla pace combattendo le cause che sono alla base del terrorismo internazionale e quindi anche della guerra.

In questo contesto non dobbiamo dimenticare che il Ministero degli Esteri si avvale del sostegno e della collaborazione delle Regioni e più in generale degli Enti locali per iniziative socio-umanitarie in aree partcolarmente sensibili di cui la Palestina costituisce l'esempio più significativo.

 

Tuttavia, nel 2002 i fondi per la Cooperazione sono stati di fatto tagliati e dirottati eminentemente sul canale multilaterale per favorire surrettiziamente la crescita delle imprese italiane, senza badare ai bisogni reali dei Paesi del Sud del mondo e senza privilegiare realmente la crescita di solide relazioni politiche ed economiche tra l'Italia e quei Paesi. Inoltre, le promesse fatte da Berlusconi di aumento delle risorse economiche destinate alla cooperazione allo sviluppo hanno trovato ben poco riscontro in Finanziaria: dovevamo tendere allo 0,7% del PIL, riusciamo a malapena a raggiungere lo 0,11% e non abbiamo realizzato la ristrutturazione della direzione generale competente per la gestione dell'aiuto pubblico allo sviluppo....tanto che temiamo una ripresa della cosiddetta "malacooperazione" proprio in una fase internazionale così complessa. Le recenti concessioni del Governo italiano che autorizzano le forze armate statunitensi, in trasferimento verso l'Iraq, a sorvolare il nostro spazio aereo e ad utilizzare le nostre basi per "scali tecnici" e "rifornimenti", costituiscono decisioni assolutamente illegittime che, aggirando il Parlamento, assecondano l'arrogante pretesa del Pentagono di imporre il proprio dominio su tutto il mondo.

 

In vista della manifestazione del 15 febbraio pensiamo di inviare una lettera aperta al Ministro degli Esteri, di lanciare una raccolta di firme tra il personale per sollecitare il ricorso a tutti i canali diplomatici per scongiurare un altro conflitto.

 

Abbiamo deciso che come CGIL Esteri, il giorno precedente inviteremo tutti i colleghi a Roma ed all'estero ad indossare in ufficio una maglietta bianca o una fascia bianca al braccio in segno di adesione alla manifestazione contro la guerra e per la pace in Medio Oriente.

 

No alla guerra senza se e senza ma!

No alla guerra, a tutti i costi, anche se ottenesse il pieno avallo dell'ONU o dell'Europa!

No all'arruolamento dell'Italia nella guerra contro l'Iraq.