Archivio marzo 2006

 

30 marzo

Eletto-choc
Alessandro Robecchi
Ah, quei poveri bambini cinesi che i comunisti facevano bollire! Unico tra i grandi leader occidentali, solo Silvio li ha ricordati con affetto, denunciando la cattiveria dei loro bollitori. Un lampante caso di solidarietà tra bolliti.
Il Cavaliere Caimano ha ancora fame di tv
Berlusconi getta tutte le sue reti nella campagna elettorale e cancella dall'etere alleati e opposizione. Il Cavaliere teme il voto e torna a parlare di «esprorio». Ma l'Unione è prudente
MATTEO BARTOCCI
ROMA
Il Caimano italiano è nato nella palude dell'etere televisivo e durante le tante guerre che ha fatto per arrivare a dominare la comunicazione ha imparato a usare i suoi artigli davvero al suo meglio. Per la prima volta dopo tanto tempo, a due settimane dal voto, oggi si sente messo nell'angolo, sente odore di sconfitta e spinge le molteplici antenne mediatiche che sono in suo possesso contro tutto e tutti. L'orribile museruola della «par condicio» non esiste più, neanche come palliativo per una seconda Repubblica nata e moritura gravemente malata. Di fatto, non c'è più bavaglio possibile. A dodici anni dalla sua «discesa in campo» non c'è argine che tenga. Né etico, né deontologico, né normativo. C'è un uomo solo nell'etere italiano. Il mero proprietario di Mediaset è ovunque, qualsiasi cosa dica. Lo dimostrano tutti i dati che gli organismi, non sempre trasparenti (caso Auditel docet), diffondono come da dovere durante la campagna elettorale. E' comprensibile che Prodi non ami andare a parlare nelle aziende del suo diretto avversario. Dallo scioglimento delle camere a oggi Silvio Berlusconi ha parlato nei suoi telegiornali per più di due ore, l'antagonista Romano Prodi per 20 minuti. Sulla testata del «simpatico» Emilio Fede, Forza Italia da sola assorbe il 78,27 per cento del tempo in voce complessivo. I Democratici di sinistra, primo partito dell'opposizione, si fermano all' 1,26%. Sono cifre da Minculpop. Eppure è possibile fare di peggio. Studio Aperto, diretto dal giovane Mario Giordano, dedica al Cavaliere quasi l'86 per cento del tempo-voce complessivo dedicato ai politici. I Ds non vedono neanche l'1% e si fermano allo 0,55%. In concreto, Silvio parla per un quarto d'ora, Fassino per 6 (sei) secondi. Non fa eccezione l'«obiettivo» Tg5 diretto da Carlo Rossella, che dedica agli azzurri 14 minuti contro i 3 dei Ds.La media del Biscione è «sovietica»: 66% a Forza Italia (1 ora e 20 minuti), 4% scarso alla Quercia (poco più di 4 minuti). Della qualità giornalistica di questi programmi può giudicare chi li guarda. Ma se si aggiunge che le ultime battute del Cavaliere vanno forte come quantità anche sulla Rai - dove nei tre Tg la Cdl parla per oltre 3 ore (il 56,47%) contro le 2 ore e un quarto dell'Unione (42,35%) - e sul «britannico» TgLa7 (Cdl 57,34%-Unione 40,87%), si comprende bene che il «conflitto di interessi» non è solo il parto di «fanatici» del bilancino. Mediaset, amministrata dai figli e dagli amici di una vita, gonfia le prestazioni del Cavaliere con dosi di anabolizzanti che disintegrano la politica italiana. Berlusconi però arringa chi crede ancora in lui agitando il ben rodato drappo rosso dell'«esproprio». Una parola che darebbe i brividi a chiunque. Dai microfoni di Radio anch'io sentenzia: «Le minacce nei miei confronti e delle mie aziende dimostrano che viviamo ancora in un paese in cui una parte deve avere timore che vinca l'altra parte, dimostra che non siamo ancora in una piena e compiuta democrazia». Il capovolgimento della realtà è così completo. «Prodi e la sinistra vogliono mandare Rete4 sul satellite e licenziare più di mille persone», avvisa gli italiani. Il fatto che dopo tanti anni, correvano gli '80 e c'erano gli odiati «pretori», si ripetano sempre le stesse cose dimostra il buco nero in cui è avvolta la politica italiana. Sulla scacchiera i pezzi sono gli stessi del '96. Stavolta il centrosinistra, da Romano Prodi, in giù, promette che non ripeterà l'errore del passato e farà una «vera legge sul conflitto di interessi». Una legge europea, americana, liberale, non punitiva, di sistema e non ad personam. Ma oggi come allora i contorni di questo intervento non si vedono. Sul piatto ci sono tre parole chiave: blind trust, incompatibilità, ineleggibilità. Nelle nebbie anglofone, a pochi passi da una possibile vittoria, il centrosinistra teme di cadere in stallo sul futuro di Mediaset. Infatti tra un «ma» e un «nì», tutti invocano il blind trust, un fondo cieco a cui i portatori di possibili conflitti di interesse cederebbero i propri beni. Non ne conoscerebbero l'uso che ne farebbero i gestori e dunque, anche volendo, non potrebbero fare leggi a proprio vantaggio. Ma è facile capire che nel caso della pubblicità e della comunicazione un «fondo cieco» è di difficile applicazione. Berlusconi, oggi, è il «mero proprietario» di Mediaset, non partecipa ai cda ma la sua azienda lo serve fedelmente. E sul resto: a urne chiuse chi avrà il coraggio di reclamare l'incompatibilità del presidente del consiglio o del leader dell'opposizione? Dell'ineleggibilità di magnati tv in parlamento, poi, neanche a parlarne. Anzi, è un'idea che dal '94 a oggi ha fatto molta strada negli Usa e in tanti altri paesi. Soluzioni facili non sono all'orizzonte. Ma è certo che, se vincerà, all'Unione, serviranno le forbici ben più del cacciavite. Per tagliare il cordone ombelicale della Rai con la politica (magari sul modello Zapatero). Per azzerare il Bengodi del «Sic» stabilito dalla Gasparri e dare limiti «antitrust» settoriali di livello europeo. Per dotare le autorità di garanzia di più poteri e di sanzioni credibili almeno come deterrente. Più «aria» in tv non sarebbe che l'inizio.
MINUTI IN VOCE NEI PRINCIPALI TELEGIORNALI BERLUSCONI RAI BERLUSCONI MEDIASET PRODI RAI PRODI MEDIASET 51.16 2.03.11 33.36 20.24 Fonte: centro d'ascolto dell'informazione radiotelevisiva. Periodo: 11 febbraio - 12 marzo
PRESENZE IN VOCE NEI PRINCIPALI TELEGIORNALI CENTRODESTRA RAI CENTROSINISTRA RAI CENTROSINISTRA MEDIASET CENTRODESTRA MEDIASET 56,47% 72,02% 42,35% 27,74% Fonte: centro d'ascolto dell'informazione radiotelevisiva. Periodo: 11 febbraio - 12 marzo
78,27% 35,85% 85,94% 1,26% 0,55% 8,82% FORZA ITALIA E DS NEI TELEGIORNALI MEDIASET Fonte: Centro Isimm per Agcom. Periodo: 8 marzo - 14 marzo Fi Tg4 Fi Tg5 Fi Studio aperto Ds Studio aperto Ds Tg4 Ds Tg5
 

28 marzo

Il premier, durante un comizio, aveva detto che all'epoca di Mao
i piccoli erano bolliti e utilizzati come fertilizzante
Bambini, la Cina contro Berlusconi
"Parole senza fondamento"

Il Cavaliere ribadisce: "E' storia". Prodi: "Il premier scredita il Paese"
Calderoli: "Rimostranze assurde, il presidente del Consiglio dice il vero"
 
<B>Bambini, la Cina contro Berlusconi<br>"Parole senza fondamento"</B>
Silvio Berlusconi

PECHINO - Una lunga pausa di riflessione, forse in attesa di qualche precisazione, poi la secca protesta: quelle di Silvio Berlusconi sono "affermazioni senza alcuna base" e danneggiano le relazioni tra i Paesi. Il governo comunista di Pechino ha atteso ben 48 ore prima di reagire alle parole pronunciate dal premier domenica scorsa in un comizio elettorale a Napoli: "Leggetevi il Libro nero del comunismo e scoprirete che nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi".

"Siamo scontenti di queste affermazioni che sono completamente prive di fondamento", ha fatto sapere oggi il ministero degli Esteri cinese. Una protesta decisa nei toni che Pechino però ha preferito smorzare nella forma evitando di convocare l'ambasciatore italiano in Cina, come di solito avviene in casi come questo. Il Governo cinese ha preferito infatti far diffondere la nota attraverso l'agenzia di stampa internazionale 'Reuters' piuttosto che attraverso i canali diplomatici. Una cautela che non tocca però i contenuti: "Le parole e i comportamenti dei leader italiani - recita la nota cinese - dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra l'Italia e la Cina". Ma Berlusconi non torna indietro, "nessuna retromarcia", spiega ai cronisti. "Ma è storia, mica li ho bolliti io i ragazzini! - specifica anzi il premier - se poi viviamo in un paese dove non si può nemmeno esprimere una certezza, un fatto che è storico...".

Con una frase, dunque, il premier scavalca il tentativo della Farnesina di calmare le acque con il gigante asiatico. "La frase in questione - aveva precisto una nota del ministero degli Esteri concordata con palazzo Chigi - si riferisce a episodi che avrebbero avuto luogo in passato, mentre è evidente l'inesistenza di intenti polemici nei confronti della Repubblica popolare cinese". La Farnesina inoltre ricorda che Berlusconi "si è limitato a citare una frase contenuta nell'edizione italiana del 'Libro nero del comunismo' di Stephane Courtois" e precisa anche il numero della pagina nella quale sarebbe contenuta l'affermazione che ha fatto arrabbiare il governo di Pechino.


La frizione tra Roma e Pechino cade nel pieno dell'Anno dell'Italia in Cina: si tratta di una serie di importanti manifestazioni per promuovere il sistema-Italia in Cina per le quali sono stati investiti 45 milioni di euro. La decisione di fare del 2006 un anno "speciale" nelle relazioni tra i due Paesi era stata presa alla fine del 2004 nel corso di una visita del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e del ministro degli Esteri Gianfranco Fini.

E dal centrosinistra piovono le critiche. "Quale immagine viene data da un paese il cui primo ministro dice una cosa simile? - si chiede Romano Prodi - E' un'offesa fatta a un popolo di un miliardo 300 milioni di persone. E se anche la metà se la dimentica, 650 mila se la ricorderanno comunque. Siamo screditati all'estero e senza crescita all'interno".

Sulla stessa linea Massimo D'Alema: "Meno male che mancano ancora solo dieci giorni alla fine di questa campagna elettorale, o ci ritroveremmo in guerra con tutta l'umanità". Ed elenca i recenti "incidenti" dell'esecutivo sul piano internazionale: "Un ministro insulta il mondo islamico con un gesto di irresponsabile goliardia razzista; Giovanardi dichiara guerra all'Olanda e siamo costretti a chiedere scusa; Berlusconi se la prende con la Francia ma lì le scuse non le hanno chieste e ci hanno dato solo schiaffoni. Infine, oggi, la protesta del governo cinese". Per D'Alema occorre restituire al mondo "l'immagine di un paese dell'accoglienza. Solo questo centro destra poteva escogitare l'idea di un'Italia razzista".

Ma contro Pechino rincara la dose Roberto Calderoli: "Se Berlusconi ha sbagliato lo ha fatto per difetto, perché in passato nei regimi comunisti, in particolare quello cinese, in periodi di carestia i bambini sono stati addirittura mangiati. Le dichiarazioni di Berlusconi - ha aggiunto - possono anche essere raccapriccianti, ma questa è storia, purtroppo. Ritengo fuori luogo le rimostranze di Pechino: casomai, avrebbe dovuto farle il nostro di governo, perché le imprese cinesi stanno divorando la nostra economia con la loro concorrenza sleale".

E se per il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi "il premier ha solo citato fatti storici", il ministro dell'Economia Giulio Tremonti va oltre e dice: "I cinesi ci stanno mangiando vivi".

 

Il ministro dell'Interno ha dato mandato ai suoi legali di denunciare il settimanale Diario per i contenuti di questa inchiesta!!

In quattro regioni delicate si sperimenta il voto elettronico. Sarà gestito da Telecom, Eds e Accenture, l’indiziata numero uno per lo scandalo delle elezioni in Florida. Partner di Accenture è Gianmario Pisanu, il figlio del ministro dell’Interno. E un esercito di interinali avrà in mano la chiave dei risultati

 Aprile. Elezioni private
Gianni Barbacetto e Mario Portanova 
Inchiesta del settimanale Diario 24/3/2006 - www.diario.it

«I brogli rientrano nella professionalità e nella storia della sinistra. Qualcuno di loro si vantò, nel 1996, di aver sottratto a Forza Italia un milione e 705 mila voti...». Così Silvio Berlusconi ha iniziato l’intervista a Lucia Annunziata del 12 marzo, quella poi finita con la fuga dallo studio televisivo. I brogli elettorali sono la sua ossessione.
Li teme, li evoca, li denuncia da quando si è buttato in politica. Da quando ha cominciato a perdere, poi, l’ossessione è diventata incontenibile. «Loro», quelli della sinistra, «hanno un esercito di professionisti, a danno dei nostri dilettanti, che vengono puntualmente fatti fessi», aveva gridato nel giugno 2004 dal palco di una manifestazione elettorale per le regionali nella rossa Sesto San Giovanni.
Ora, per arginare i «professionisti» della sinistra, Berlusconi lancia alla carica ì suoi «dilettanti»: si chiamano «Legionari azzurri», si definiscono «difensori del voto» e sono coordinati nientemeno che da Cesare Previti. «Sì, noi pensiamo di mandare persone per bene che cerchino di far sì che la sinistra non possa cancellare la volontà degli elettori», ha spiegato Berlusconi ad Annunziata. I «Legionari» sono una schiera di attivisti di Forza Italia che in tutto il Paese si stanno apprestando a presidiare i seggi, come rappresentanti di lista, per vigilare sulle operazioni elettorali. Arriveranno al 9 aprile istruiti politicamente e preparati tecnicamente, per evitare che «i rossi continuino con i brogli». E’ già pronto un libretto di otto pagine, tascabile per poterlo portare sempre con sé, intitolato proprio I difensori del voto: sarà il manuale per i 121 mila militanti di Forza Italia chiamati a controllare i seggi. Sveglia all'alba già il sabato 8 aprile, arrivo nelle sezioni elettorali prima di tutti, contare e ricontare le schede, non perdere di vista le urne, uscire per ultimi, la sera, e non abbandonare mai, ma proprio mai, il proprio posto: questi i consigli «per non farsi fregare». E in molte regioni sono già partiti i corsi di formazione per i «Legionari». «In Lazio, per esempio», spiega a Diario la coordinatrice regionale di Forza Italia Beatrice Lorenzin, «abbiamo già iniziato la preparazione dei 5.136 rappresentanti di lista che difenderanno il voto in questa regione».
I Legionari di Previti
Ma Forza Italia non ha pensato solo ai rappresentanti di lista, da sempre arruolati dai diversi partiti tra i loro militanti. Nelle pieghe della nuova legge elettorale c'è infatti anche una novità, passata finora inosservata, che riguarda gli scrutatori e i presidenti di seggio, cioè coloro che, regolarmente remunerati, devono gestire i seggi, sovrintendere alle operazioni di voto e infine scrutinare le schede: non saranno più estratti a sorte, ma saranno scelti e nominati dalle commissioni elettorali dei Comuni, che dovranno attingere da elenchi di volontari chiusi il 30 novembre 2005. A quella data la nuova legge elettorale era stata approvata soltanto dalla Camera e doveva ancora essere votata al Senato, dove sarebbe passata il 21 dicembre; ma Forza Italia si era già portata avanti e aveva mandato i suoi militanti a iscriversi in massa nelle liste dei Comuni.
Così ad aprile una valanga di «Legionari azzurri» s'installerà nei seggi non solo con il ruolo, volontario e di controllo, di rappresentanti di lista, ma con quello, operativo, ufficiale e remunerato, di scrutatori. La coordinatrice emiliano-romagnola Isabella Bertolini, per esempio, già il 18 novembre aveva diffuso un appello ai militanti: «Chiedete ai soci, ai simpatizzanti, agli amici e ai conoscenti di Forza Italia di presentare la domanda di iscrizione all'albo degli scrutatori del loro Comune di residenza... Non lasciamo che anche questa volta i seggi elettorali restino in mano alle sinistre... Con le modifiche introdotte dalla nuova legge elettorale ora possiamo davvero cambiare le cose».
Il campo avverso non è stato invece così pronto ad annusare il cambiamento legislativo prima che diventasse realtà. «Ma non siamo preoccupati», spiega Nora Radice, responsabile organizzativa provinciale dei Ds milanesi. «Secondo le nostre informazioni, non ci sono state corse all’iscrizione negli albi. E i nostri rappresentanti di lista vigileranno in ogni seggio». La dirigente svela un altro retroscena della spericolata legge approvata dal centrodestra. «La commissione elettorale del Comune di Milano ha estratto a sorte gli scrutatori, come prevedeva la vecchia normativa, e poi li ha nominati in blocco, come stabilisce la nuova». Ve l'immaginate la povera commissione, se avesse dovuto votare uno a uno, nome per nome, gli scrutatori di un migliaio di seggi? E ve li immaginate cinque giudici in tutto chiamati a dirimere le controversie che possono sorgere in un parco di circa 5 milioni di schede lombarde? E’ un'altra novità della legge, che per il Senato ha soppresso gli uffici circoscrizionali presenti in ogni capoluogo di provincia e ha accollato l’ultima fase di controllo del voto a un ufficio regionale unico. Non per niente il presidente della commissione elettorale lombarda, Domenico Urbano, ha reclamato altri 60 giudici da aggiungere ai suoi quattro commissari.
«Berlusconi continua a parlare di brogli. Chi parla troppo di una cosa, la pensa e la evoca», commenta Beatrice Magnolfi, parlamentare dei Ds. Che possa scattare un meccanismo simile a quello che in psicoanalisi si chiama proiezione, quando si attribuisce agli altri un proprio desiderio? Proprio Magnolfi, che in passato è stata assessore all’Innovazione a Prato, in questa legislatura ha scelto di essere, come si definisce, «il cane da guardia del ministro dell'Innovazione Lucio Stanca» e il 10 febbraio, per chiudere in bellezza, gli ha presentato un'interrogazione sullo scrutinio elettronico che sarà sperimentato al prossimo appuntamento elettorale. Sì, perché il 9 e 10 aprile non proveremo soltanto una nuova legge bislaccamente proporzionale, definita «una porcata» da uno dei suoi inventori, con incerti premi di maggioranza, con candidati tutti imposti dai vertici dei partiti e con una scheda grande come un manifesto. Ci sarà anche un'altra grossa novità: nelle 12.680 sezioni di quattro regioni, oltre 11 milioni di persone (più di un quinto degli elettori italiani) saranno chiamati a votare con la tradizionale matita sulla tradizionale (benché ben più ampia) scheda, ma poi i loro voti saranno scrutinati al computer: grande modernizzazione, inevitabile aggiornamento tecnologico, prezioso risparmio di tempo. Ma anche complessa storia di rischi e commistioni che vale la pena di raccontare.
Votare Stanca
Tutto comincia il 3 gennaio 2006, quando il governo vara il primo decreto legge dell'anno, con il numero I. Come capita spesso al gabinetto Berlusconi, nel provvedimento c'è dentro un po' di tutto: disposizioni urgenti per il voto da casa di elettori che non possono spostarsi; ammissione ai seggi di osservatori dell'Osce (l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa); ma soprattutto disposizioni per lo scrutinio elettronico. Sperimentazioni erano già state compiute alle europee del 2004 e alle regionali del 2005, questa volta però è una bella fetta di elettori a essere interessata alla sperimentazione: il 20 per cento delle sezioni. E per la prima volta allo scrutinio informatizzato è stato assegnato valore giuridico. Le schede di carta resteranno in archivio, ma saranno estratte dagli scatoloni soltanto in caso dì contestazioni.
Le regioni coinvolte sono state scelte, secondo il ministro Stanca, «con il criterio del bilanciamento territoriale»: una al Nord, la Liguria ; una al Centro, il Lazio; una al Sud, la Puglia ; un'isola, la Sardegna. Guarda caso, però, sono tutte regioni in cui gli esiti elettorali sono incerti e che peseranno in maniera determinante per l’assegnazione dei premi di maggioranza (regionali, appunto) per il Senato.
In ognuna delle 12.680 sezioni coinvolte ci sarà un computer, due schermi video e un operatore informatico. Mentre gli scrutatori procederanno allo scrutinio tradizionale, contando i voti e impilando le schede, l'operatore digiterà i voti sulla tastiera e li controllerà su uno degli schermi, mentre il secondo sarà a disposizione degli scrutatori. Finita la conta, i dati di ogni sezione saranno inseriti in una «chiavetta» Usb. Le diverse «chiavette» Usb di tutte le sezioni presenti in un unico plesso (edificio) saranno portate a mano e inserite nel computer di plesso. Da qui una linea dedicata trasmetterà i dati direttamente e rapidissimamente al Viminale.
Bello? Sì. Ma anche sicuro? Al riparo da brogli informatici? Chi ricorda le feroci polemiche seguite al voto del 2000 per le presidenziali americane in Florida non può non porsi almeno il problema. Ma al ministero dell'Innovazione il portavoce di Stanca, Dario de Marchi, risponde che non c'è alcun rischio: «Le memorie Usb assegnate alle sezioni saranno inizializzate, dunque non potranno essere sostituite con altre. E la trasmissione dati a Roma sarà effettuata con una rete dedicata, assolutamente sicura». I tecnici del ministero possono intrattenere a lungo gli interlocutori su chiavi di sicurezza, codici identificativi, doppie password, trasmissioni Dmz...
Dopo le prime sperimentazioni di questo sistema, alle europee del 2004, il ministero ha costituito una commissione sul voto elettronico. Con quali risultati? «Avevamo segnalato diversi punti critici», ricorda Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria Ds, che ne ha fatto parte. «Il punto fondamentale riguarda la formazione di presidenti e scrutatori dei seggi, ma soprattutto degli operatori tecnici: chi li sceglie? come? che formazione ricevono? Visto che si tratta di personale di aziende private, chi li controlla e chi garantisce per loro? E dato che i risultati delle regioni coinvolte nella sperimentazione saranno definitivi prima degli altri, chi garantirà una corretta comunicazione al pubblico? Non so se tutti questi punti critici siano stati presi in considerazione per il 9 e 10 aprile».
Lunedì 10 aprile, dopo le ore 15, 11 mila chiavette Usb con il voto dei cittadini italiani cominceranno a girare per l'Italia in tasca a soggetti privati. C'è da stare tranquilli? «Lo scrutinio elettronico è un vantaggio perché è veloce, ma per stare tranquilli ci vorrebbe il controllo finale di una commissione presso il ministero dell’Interno, composta anche da rappresentanti dei diversi schieramenti politici», conclude Migliavacca. «E vorrei che i dati arrivassero anche ai singoli Comuni, come già avviene per lo spoglio cartaceo».
Trattativa privata
Per niente tranquilla Beatrice Magnolfi, la deputata «cane da guardia del ministro dell’Innovazione»: «Il 10 febbraio 2006 ho presentato un'interrogazione a Stanca, ponendo una serie di domande. Come saranno garantite l’attendibilità e la correttezza delle procedure di rilevazione informatizzata dello scrutinio? Come possiamo essere davvero sicuri che le memorie Usb non possano essere manomesse? Perché non è prevista alcuna protezione per il trasporto di queste chiavette dalle sezioni al computer dì plesso? Che tipo di linea sarà quella utilizzata perla trasmissione dei dati al Viminale?».
Ma non basta. C'è un altro ordine di problemi: come mai un'operazione che verrà a costare oltre 34 milioni dì euro è stata affidata a trattativa privata? E chi sceglierà gli operatori informatici (saranno circa 18 mila) che faranno lo scrutinio informatico? E con quali criteri saranno scelti? Sono tre le aziende coinvolte nell’operazione: Telecom Italia, Eds e Accenture. Telecom gestisce la fetta maggiore del budget, fa da capocommessa e fornisce le linee per la trasmissione, ma anche tutto l'hardware. Eds, multinazionale Usa, ha sviluppato il software e coordina gli operatori. Accenture, la più grande azienda di consulenza al mondo, ha ottenuto un subappalto e in questo gioco fa il suo mestiere, cioè la consulenza. Le tre aziende sono state riconfermate nel gennaio di quest'anno, dopo aver svolto insieme le sperimentazioni precedenti, alle europee del 2004 e alle regionali del 2005. Ma i 18 mila operatori informatici saranno forniti da un'altra azienda, la Ajilon , che fa parte della multinazionale del lavoro interinale Adecco.
«L’appalto è stato assegnato a trattativa privata per ragioni d'urgenza, perché non c'erano i tempi per fare la gara», spiega Dario de Marchi. Il ministro Stanca lo ha ribadito nella sua risposta del 23 febbraio all'interrogazione di Beatrice Magnolfi: «Il decreto legge numero i del 2oo6 ha espressamente previsto che tale affidamento avvenga in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato, stante il brevissimo lasso di tempo disponibile prima della consultazione elettorale; lo svolgimento delle procedure ordinarie sarebbe stato impossibile in tempi tanto ristretti».
Elezioni: imprevedibili?
Così un appalto delicatissimo e di valore consistente, per l’avvenimento più prevedibile e programmabile che esista in democrazia, cioè le elezioni, è stato assegnato a trattativa privata al maggiore operatore telefonico italiano e a due multinazionali di origine statunitense. Eds è il colosso di gestione dati fondato da Ross Perot, il miliardario americano che in passato tentò di conquistare la Casa Bianca come candidato indipendente. Accenture è il nuovo nome assunto dalla Andersen Consulting, dopo essere stata coinvolta nello scandalo Enron. Fattura 14 miliardi di dollari con le commesse del governo americano di George W. Bush. Ha sede fiscale nelle isole Bermuda ed è notoriamente legata al Partito repubblicano, di cui è grande finanziatrice.
I democratici americani e numerose inchieste della stampa l’accusano di aver fornito un database per le liste elettorali delle ultime presidenziali in Florida da cui erano stati espunti, in base alla loro fedina penale, neri e ispanici (solitamente orientati verso i democratici). Lo scorso anno ha ricevuto dal governo una nuova commessa da 10 miliardi di dollari per un sistema di controllo per gli stranieri che entrano ed escono dagli Usa. Negli Stati Uniti Accenture è oggi subcontractor di una società che si chiama Election.com per il trattamento generale dei dati elettorali. Una parte di questa società è stata acquistata da uomini d'affari sauditi che vogliono rimanere anonimi.
In Italia Accenture entra di forza nelle commesse governative a partire dal 2001, quando l'ingegner Mario Pelosi, uno dei grandi manager mondiali di Accenture, diventa prima consigliere tecnico del ministro Stanca e poi capo dipartimento del ministero dell'Innovazione. Il progetto di scrutinio elettronico oggi è seguito da due manager Accenture, Carlo Loglio e Angelo Italiano, ma il nome più noto nell'azienda è un altro: Gianmario Pisanu, partner di Accenture e figlio del ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu. Già nel 2002, l 'Accenture Italia del sardo Gianmario Pisanu era stata coinvolta nel megaprogetto (poi bloccato) di digitalizzazione della Sardegna: una torta da 48 milioni di euro da dividere con altri compagni di cordata. Ma nel Paese dei conflitti d'interesse, oggi nessuno sembra essersi scandalizzato per il fatto che l'appalto per lo scrutinio elettronico di un quinto degli elettori italiani sia stato concesso a trattativa privata all'azienda di cui è partner il figlio di un ministro: sarà l’azienda di Gianmario Pisanu a inviare i dati elettorali al Viminale, dove li accoglierà, paterno, Giuseppe Pisanu (candidato di Forza Italia in Puglia).
L’altro ministro coinvolto nella partita, Lucio Stanca, è ministro «tecnico» dell'Innovazione e della tecnologia: dovrebbe essere dunque una garanzia d'imparzialità. Peccato che sia candidato di Forza Italia in Calabria, Umbria e Piemonte. Più in generale, quello che sconcerta è che - in sordina, senza adeguata informazione e senza alcun dibattito nel Paese - sia stata di fatto privatizzata una parte dello Stato, un pezzo di ministero dell'Interno, e proprio nel cuore del gioco democratico: saltate le Prefetture e il Viminale, la correttezza delle elezioni è affidata in quattro regioni italiane ai computer, alle «chiavette» Usb, alla trasmissione dati e al personale tecnico di Telecom, Eds, Accenture, Adecco. Questo proprio nel momento in cui il Paese è scosso dallo scandalo degli spioni di Francesco Storace che tentavano di falsare il voto in Lazio. In cui Telecom compra pagine di quotidiani per spiegare che l’azienda non è coinvolta nelle intercettazioni abusive. E in quattro regioni considerate «in bilico», cruciali per la vittoria di uno dei due schieramenti in gara.

 

27 marzo

IL COMMENTO
I moderati immaginari
alla corte di re Silvio

di EUGENIO SCALFARI

IL DIBATTITO sull'importanza politica dei moderati italiani prese il via a partire dalla primavera del 2004. Da allora è ininterrottamente proseguito. Siamo alla primavera del 2006, mancano esattamente due settimane alle elezioni e quel dibattito è ancora in corso. Non pare abbia dato molti frutti per una serie di ragioni: equivoci lessicali, interessi e furberie politiche, pigrizia intellettuale, luoghi comuni mediatici.

Ho partecipato anch'io a quel dibattito in varie occasioni e in particolare con tre articoli su "Repubblica" rispettivamente dell'8 luglio e del 27 ottobre 2004 e del 21 agosto 2005, cercando di chiarire gli equivoci lessicali, mettere in luce gli interessi economici e politici che usano il termine "moderati" per dritto e per rovescio e spronare gli intellettuali a scuotersi dalle loro pigrizie. Direi con scarso successo. Visto l'esito avevo quindi deciso di abbandonare il tema e arrendermi all'uso così confuso e spesso contraddittorio del termine "moderati".

Confesso che a volte è piacevole arrendersi, specie quando non è in gioco l'onore, l'onorabilità. Farsi cullare dal luogo comune può essere refrigerante, mettere il cervello in letargo è un modo come un altro di conoscere la beatitudine passiva. "Passivity rule", termine finanziario anglosassone molto apprezzato nei casi di Opa di incerta soluzione.

In questa nuova e arresa disposizione d'animo mi aspettavo che dopo la sortita del presidente del Consiglio al convegno confindustriale di Vicenza i moderati italiani manifestassero la loro presenza inviando un qualche messaggio con voce sia pur moderata ma chiara e netta. Gli elementi per attendersi questa reazione c'erano tutti: plateale violazione di regole in casa d'altri, interferenza altrettanto plateale del capo del potere esecutivo (cioè di una delle maggiori cariche dello Stato) nella vita di un'associazione privata, accuse pubbliche e facinorose contro la stampa, la magistratura, l'opposizione parlamentare, le Università, le persone della cui ospitalità stava fruendo in quel momento.


Uno spettacolo purtroppo conosciuto ma mai ancora verificatosi in un luogo - la Confederazione degli industriali - che dovrebbe essere almeno in teoria il tempio, il sacrario del moderatismo politico. I moderati - pensavo - non avrebbero retto a quello scempio, a quell'estremismo politico oltreché verbale che non trova riscontro in nessuna democrazia liberale che conosciamo. Perciò aspettavo con fiducia. Ebbene, non è accaduto assolutamente nulla. Non si è sentito un fiato.

Anzi: la presidenza confindustriale ha emesso un commento severo nei confronti della sortita berlusconiana, ma poi ha dovuto chiudersi a riccio sotto le proteste dei piccoli industriali del Nordest (e non solo del Nordest) imponendo il silenzio stampa a tutte le associazioni confederate; Della Valle, insultato dal presidente del Consiglio in quello stesso convegno vicentino e privato a forza di fischi del diritto a rispondere, si è dimesso dal direttivo confederale per potersi difendere "senza compromettere l'associazione".

I "moderati" che seguono Casini non hanno emesso verbo. Quanto al loro leader, ha detto che lui preferisce discutere di problemi concreti e non farsi coinvolgere in polemiche. E questa dichiarazione è stata considerata come il ruggito d'un leone nei confronti del leader massimo. Fini ha mantenuto un "aplomb" da fare invidia alle statue di cera del museo Grévin. In compenso i suoi colonnelli La Russa e Gasparri, berlusconiani onorari, si sono allineati ai colleghi di Forza Italia, i soliti, osannanti al colpo di teatro vicentino.

Questi sarebbero gli esponenti economici e politici dei moderati italiani: imprenditori come l'ex presidente di Confindustria, D'Amato, leader politici come Casini e Cesa, quadri dirigenti di Forza Italia. Quanto al partito di Alleanza nazionale, da tempo si sta riaccendendo nel cuore di molti di loro la fiamma missina, quindi non c'è da stupirsi.

Passi comunque per gli apparati: guardano alle elezioni e non hanno spazio per pensare ad altro. Ma i moderati? I moderati di base? La gente comune che si ritiene moderata? Quelli che coltivano il buonsenso, le buone creanze, la tolleranza, il giusto mezzo, il centrismo come luogo santo, il rispetto delle istituzioni? Dove sono finiti? Queste domande mi hanno scosso e mi hanno suggerito questa proposizione: i moderati in Italia non esistono. Non sono mai esistiti.

Esistono i conservatori. Gli indifferenti. Gli antipolitici. Gli anarco-individualisti. Anche i trasformisti. Anche i doppiogiochisti. Ma i moderati nel senso di liberal-democratici, quelli no, non ci sono o sono quattro gatti. Quei pochi, semmai, stanno nel centrosinistra. Sono quelli che si riconoscono in Ugo La Malfa, nei fratelli Rosselli, in Turati, in Norberto Bobbio e Vittorio Foa, e nei quali non fa affatto schifo di essere in compagnia politica con i cattolici della Margherita, i diessini di Fassino e D'Alema. Di avere Prodi come leader e di guardare a Ciampi come il solo punto di riferimento istituzionale poiché i capi delle altre istituzioni hanno fatto fagotto. Insomma il popolo riformista.

Ci potrebbe anche essere un riformismo moderato. In molti Paesi esiste e anzi vigoreggia. Ma da noi no perché da noi i moderati sono un'invenzione verbale. Da noi, parliamoci chiaro, non esiste la borghesia. Quella che fece le Cinque giornate milanesi del '48. Quella dell'illuminismo riformatore dei fratelli Verri e di Beccaria. Quella delle riforme agrarie nella Toscana e nell'Emilia. Dei setaioli e dei cotonieri che eleggevano a Biella Quintino Sella. Insomma la borghesia cavouriana che fondò lo Stato perché era portatrice di valori e di interessi.

Purtroppo quella borghesia non ha attecchito per lungo tempo. Durò poco più di un batter di ciglia. Fu seppellita dal fascismo. La Dc di De Gasperi la riportò in vita con una sorta di respirazione bocca a bocca, ma era una piccola borghesia del pubblico impiego, ceto medio del terziario, coltivatori diretti in fase di smobilitazione. Tenuti insieme dall'assistenzialismo pubblico e dalle braccia protettive di Santa Romana Chiesa.

Moderati? Cosiddetti. Conservatori? In parte. Apolitici? In maggioranza. Il gruppo dirigente Dc li trattenne al centro. Riuscì addirittura a portarli all'alleanza con i socialisti. Poi, tendendo ancora di più l'elastico, all'"attenzione" amichevole verso il Pci. Ma nel momento del "liberi tutti" dopo Tangentopoli, rotte le righe che li trattenevano, gran parte di loro rifluirono a destra. Con Casini? Solo le briciole. Il grosso si riconobbe senza sforzo alcuno in Berlusconi. Nella tv delle ballerinette, del Grande Fratello e dell'Isola dei Famosi. Nell'Italia raccontata da Nanni Moretti con ironia e dal Bagaglino con convinto candore.

Ci sarà anche del buono in quest'altra metà della mela italiana; anzi certamente c'è. Ma non c'è la borghesia, che non si esaurisce in una figura patrimoniale ma condensa la sua essenza imprenditoriale nell'innovazione dei prodotti, nella libera competizione, nel contributo a costruire un ambiente che faccia sistema e includa energie, potenzialità e anche debolezze. Gli anglosassoni lo chiamano "togetherness", noi lo traduciamo "insiemità". E' il tratto che ha fatto la forza delle nazioni e la loro ricchezza creando le classi dirigenti appropriate e le culture della libertà e della democrazia.

Una borghesia che accetti di farsi rappresentare da una squadra di demagoghi, populisti, arraffoni, infiocchettati da un pizzico di futurismo marinettiano come efficacemente l'ha definito Edmondo Berselli, non è una borghesia ma la sua grottesca caricatura.
Accettò d'esser presa in giro cinque anni fa dal "contratto con gli italiani", un elenco di promesse da marinaio delle quali ogni persona sensata avrebbe capito l'illusorietà. Mancavano dieci giorni alle elezioni ma nessuno chiese a Berlusconi di dire come avrebbe finanziato quelle promesse. Si vide dopo: le finanziò azzerando l'avanzo primario del bilancio che aveva ricevuto in eredità dal precedente governo, condonando entrate, non perseguendo le evasioni, lasciando briglie libere alle spese improduttive, tagliando i trasferimenti agli enti locali, inasprendo le imposte indirette, facendo lievitare ancora di più lo stock del debito pubblico.

Con tutto ciò le clausole di quel "contratto" restarono largamente inadempiute. Con questo po' po' di passato prossimo alle spalle si accusa oggi Prodi di non dire come finanzierà i suoi impegni programmatici, a cominciare dal taglio del cuneo fiscale. Lo si accusa di voler tassare i Bot e il risparmio. Ma Prodi ha detto chiaramente quale sarà la sua politica. Ha detto: "Manterrò ferma la pressione fiscale senza aumentarla di un centesimo. Sposterò una parte di quella pressione dalle spalle più deboli alle spalle più forti". Non poteva essere più onesto e più chiaro: "Dalle spalle più deboli alle spalle più forti".

La borghesia della Destra storica si autotassò ferocemente per costruire lo Stato. Era una borghesia soprattutto fondiaria e pagò il suo debito alla comunità e allo Stato da lei costruito e governato contribuendo con il 62 per cento alle entrare tributarie totali negli anni che vanno dal 1865 al 1876. Allora dico: giù il cappello di fronte a quella destra e a quella borghesia. Essa aveva in Cavour, Sella, Minghetti, Spaventa, i suoi punti di riferimento. I se-dicenti borghesi dei giorni nostri hanno come modelli Berlusconi e Tremonti.

Basterebbe questo a farci capire perché Mister Tod's viene considerato un bolscevico da molti suoi colleghi. E perché nei cinque anni appena trascorsi la competitività delle imprese italiane abbia perso 25 punti nella classifica mondiale, il bilancio faccia acqua da tutte le parti, la crescita sia bloccata da tre anni e l'Europa ci tratti a pacche sulle spalle e a calci nel sedere.


 

EUSKADI
I giorni dell'Eta
ALFONSO BOTTI
Forse non è un caso che il comunicato con cui l'Eta ha annunciato il «cessate il fuoco permanente» sia giunto il giorno dopo il voto favorevole della Commissione costituzionale del Congresso dei deputati al nuovo Statuto catalano e alla definizione della Catalogna come nazione che compare nel preambolo del complesso articolato. Respingere la disponibilità al dialogo del presidente del governo spagnolo, Rodríguez Zapatero, avrebbe sottolineato per l'ennesima volta l'incapacità di parte del nazionalismo basco di leggere i processi storici e collocarsi in essi in modo consapevole. Già nel 1931, ai tempi della Seconda Repubblica, i nazionalisti catalani erano approdati all'autonomia con largo anticipo sui nazionalisti baschi. Nel 1932 i primi, cogliendo l'opportunità che la Costituzione dell'anno prima e la maggioranza repubblicano- socialista offriva loro, e solo nel '36 i secondi, per altro solo dopo la sollevazione militare e lo scoppio della guerra civile, per l'ostinazione con cui si erano attardati nella difesa di un progetto di Statuto anticostituzionale e fortemente segnato dal confessionalismo religioso. Per tacere dell'occasione storica persa nel 1976, con l'avvio della transizione alla democrazia, quando solo una frazione minoritaria dell'Eta depose le armi. Alla decisione resa nota a mezzogiorno di mercoledì 22 marzo l'Eta si è avvicinata lentamente, con il concorso di diversi fattori, negli ultimi due anni. Anzitutto per la cesura rappresentata dagli attentati madrileni dell'11 marzo 2004 ad opera del terrorismo islamista. In secondo luogo per le sollecitazioni a concentrarsi sulla sola via politica prevenienti dal suo stesso indotto e dall'area della disciolta Batasuna Poi per la forte debilitazione sul piano militare e operativo dell'organizzazione terrorista basca a causa dei colpi inferti dagli appartati repressivi dello Stato. Indi per la disponibilità al dialogo (a condizione che l'Eta rinunciasse alla lotta armanta) di Zapatero. Si tratta ora di essere cauti e guardinghi. La decisione presa dall'Eta costituisce l'attesa e irrinunciabile premessa per l'avvio di quel dialogo tra le parti che dovrà condurre, con la modifica degli equilibri e assetti istituzionali esistenti (costituzionali e statutari), alla soluzione dell'unica questione lasciata irrisolta nel passaggio dal franchismo alla democrazia: quella basca. Obbiettivo che resta da raggiungere e che non sarà facile centrare. Per avvicinarsi a esso sarà necessario il contributo di tutti gli attori individuali e collettivi. Zapatero, che ha fatto il primo passo, dovrà convincere anche i più restii tra i suoi a seguirlo nel dialogo con il nazionalismo radicale. Questo, a sua volta, e in particolare l'Eta, dovrà impegnarsi per condurre tutta l'organizzazione all'abbandono della lotta armata, evitando di perdere pezzi per strada e lasciare sul terreno plotoni di irriducibili, com'è avvenuto in passato. Particolari doti di equilibrio e capacità di mediazione dovrà mostrare il nazionalismo moderato del Pnv, negli ultimi anni non sempre sicuro sulla rotta da seguire. Una visione delle cose sgombra dai residui del passato dovranno mettere in luce le associazioni delle vittime del terrorismo a cui si chiede di riflettere sul fatto che tra i colpiti dalla violenza etarra figurano personalità che avrebbero salutato con favore la fase che sembra ora finalmente schiudersi all'orizzonte. Grande senso di responsabilità occorre, infine, mettano in campo i popolari di Rajoy, anche se alcune tra le prime reazioni e dichiarazioni non lasciano ben sperare. I popolari non possono dimenticare che il nazionalismo di baschi, catalani e galiziani è un'opzione politica come altre, che in democrazia deve avere piena cittadinanza e diritto di espressione. Non possono dimenticare, poi, che il nazionalismo basco si fece violento durante e per responsabilità del franchismo, che pretese di nazionalizzare in senso spagnolista tutti i cittadini dello stato spagnolo in modo coercitivo, passando come un rullo compressore sulle specificità culturali, linguistiche e gli altri fattori differenziali. E neppure dovrebbero dimenticare le responsbailità di Aznar che nella precedente legislatura fece il possibile per radicalizzare il conflitto tra Madrid da una parte e i nazionalismi catalano e basco dall'altra. Solo se queste condizioni si verificheranno si potranno lasciare da parte le cautele che accompagnano l'ottimismo di questi giorni.
 

26 marzo

Primavera a Parigi
ANNA MARIA MERLO
La situazione è bloccata tra Villepin e gli studenti, con i sindacati in mezzo, rivitalizzati dai giovani. Ne valeva la pena? È la destra adesso a chiederselo, spaventata del proprio tentativo di affondo. Valeva la pena di scatenare una crisi sociale dell'ampiezza che sta vivendo in questi giorni la Francia, per imporre dall'alto, senza nessuna concertazione preventiva con il mondo del lavoro e della scuola, il Cpe, il contratto di prima assunzione, che in realtà non è destinato a cambiare nulla nella situazione dei giovani, che vivono al quotidiano l'insicurezza, il precariato come sola alternativa alla disoccupazione, l'assenza magari soprattutto psicologica di prospettive per il futuro? Il carattere psico-rigido, il narcisismo testardo di Dominique de Villepin non spiegano tutto. La sinistra francese è quasi nell'imbarazzo di fronte all'ampiezza della rivolta degli studenti e dei liceali. Da 25 anni, come la destra, non ha trovato risposte alla crisi sociale emergente, adeguandosi all'analisi liberista dominante. Non si aspettava un'offensiva ideologica cosi' forte da parte di Villepin, che fino a qualche tempo fa aveva cercato di darsi un'immagine «sociale» di stampo vetero-gollista. Non si aspettava la rivolta dei giovani che gridano: «a chi dice precariato, i giovani rispondono: resistenza! ». E che spiegano: «non vogliamo questa società che ci propone un futuro senza avvenire». Il Cpe, il contratto di primo impiego riservato ai giovani di meno 26 anni che istituzionalizza il precariato, è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno da anni. Arcaismo dei giovani francesi, specchio di un paese che si chiude su se stesso e che resiste ai diktat della mondializzazione? È la spiegazione data dai media statunitensi. Eppure, studenti e liceali della quarta potenza economica del mondo pongono una domanda che ci riguarda tutti: le persone devono trasformarsi in kleenex, in oggetti usa e getta, mentre gli utili delle società vanno alle stelle (89 miliardi di euro quest'anno solo per le prime 40 società quotate alla Borsa di Parigi)? I soldi non mancano, ma l'ineguaglianza cresce, la povertà è visibile ai piedi dei bei quartieri, l'individualizzazione dei rapporti sociali, la rottura delle vecchie solidarietà, non ha portato alla realizzazione di sé per tutti, ma all'esplosione degli egoismi e alla miseria umana. Questa è la domanda che i giovani francesi pongono all'Europa: come vogliamo costruire il nostro futuro? I giovani danno la loro risposta. Anche se il fumo alzato dalla violenza è lo strumento pronto a screditarla. Malgrado i rischi di derive, ci dicono che la rivolta delle banlieues del novembre scorso e quella degli studenti - «privilegiati» secondo il governo - comunicano la stessa inquietudine. Al di là di tutte le ipocrisie del potere per favorire un melting pot nei posti di responsabilità - dal prefetto «musulmano» al presentatore di tg appartenente a «una minoranza visibile» - marciano tutti assieme, classi medie franco-francesi, liceali banlieusards di tutte le origini, per dire «resistenza» al precariato. I sindacati, da tempo addormentati e in Francia poveri di iscritti da decenni, sembrano aver capito che la battaglia contro il Cpe riguarda tutti: si tratta della qualità della vita di ognuno, della qualità della vita di una società che aveva costruito, negli anni del boom, uno stato sociale efficiente, e che ora - in tempi dove circolano molti soldi ma manca il lavoro per tutti - l'ideologia liberista vorrebbe distruggere. Un altro mondo è possibile, costruiamolo, dicono gli studenti. La sinistra annaspa e questo è il rischio maggiore, che potrebbe trasformare lo slancio in una delusione destinata ad essere pagata cara. Perché le aspettative frustrate non sono mai buone consigliere e la paura nemmeno.


24 marzo

Spedito per posta alle famiglie "La vera storia italiana". Ma rispetto
al 2001 l'almanacco di propaganda appare assai meno avvincente
Dal fotoromanzo al trash
e la magia di Silvio scompare

L'opuscolo forzista 5 anni dopo: trionfa l'anonimato
di FILIPPO CECCARELLI
 
<B>Dal fotoromanzo al trash<br>e la magia di Silvio scompare</B>
La rivista Berluscony Story uscita nel 1994

COME si dice in questi casi: aridatece, o meglio arispeditece Una storia italiana. Perché appena finito di sfogliare La vera storia italiana, e cioè il nuovo almanacco illustrato di propaganda berlusconiana che diversi milioni di famiglie stanno per ricevere per posta, si è colti da smarrimento, delusione e nostalgia.

Ma quale "vera storia"? Meglio quella "falsa", allora. E comunque: quanto più ricco, quanto più avvincente e curato, l'opuscolo elettorale di cinque anni fa! Si trattava anche in quel caso di una agiografia, e in 130 pagine il Cavaliere vi compariva 250 volte. Ma la novità e l'impudicizia stessa dell'operazione, l'assortimento delle pose, le foto sfolgoranti, i titoli squillanti, le testimonianze dei buoni padri salesiani, le avventure di mamma Rosa, ecco, tutto questo inaugurava o forse riportava in dote alla post-modernità l'antico genere encomiastico.
Fu a suo modo un grande colpo pubblicitario, e il miglior complimento Una storia italiana se lo conquistò quando l'allora consigliere berlusconiano Crespi volle promuoverla al rango del "fotoromanzo". Ecco: più che un sequel, questo nuovo prodotto appare un'emulazione raffazzonata e trafelatissima del precedente, con il che rientra in pompa magna nei canoni del trash.

Forse dipende dagli autori. Quelli dell'almanacco del 2001, d'altra parte, erano due autentici poeti del berlusconismo cortigiano: Sandro Bondi e Guido Possa, che per l'occasione diedero il meglio della loro arte glorificatoria a loro volta rielaborando un modello di opuscolo uscito quasi clandestinamente nel 1994 per le edizioni Trend - 3.900 lire che ogni collezionista di magagne dell'immaginario non si pentirà mai di aver speso. Berlusconi story, s'intitolava: belle foto, spesso inedite, titoli efficaci, testi a puntino.

Possa & Bondi rimpastarono quel materiale apocrifo, ma di ovvia produzione berlusconiana. L'aggiornarono, piazzando nel primo sfoglio l'immagine del Cavaliere che annusava i fiori, tolsero un po' di Veronica, aggiunsero un po' di mamma Rosa e il "fotoromanzo" era perfetto.

Si dimenticarono solo di cambiare l'oroscopo. Quello del 1994 era identico a quello del 2001, entrambi garantendo a Berlusconi transiti di Saturno nei Pesci, ma soprattutto "risultati all'impegno profuso". Nella Vera storia l'oroscopo non c'è più. In compenso a pagina 42 c'è Padre Pio, oltretutto curiosamente presentato nel sommario come uno che "ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio della religione cattolica". Cosa c'entrerà mai, il santo di Pietrelcina, sulle pagine di un almanacco elettorale, è certo un mistero poco glorioso, a parte la santificazione sia avvenuta nel giugno del 2002, cioè sotto il governo Berlusconi. Ma pazienza.

L'opuscolo di quest'anno è anonimo. "Committente Responsabile" risulta l'amministratore di Forza Italia, Rocco Crimi. Gli indirizzi dei destinatari li ha forniti l'archivio elettronico della Postel. Oltre che poco primaverile, la foto di copertina che ritrae Berlusconi in paltò è leggermente sfocata. Per via di Luca di Montezemolo, la Ferrari alla destra del presidente è come minimo improvvida. La grafica ondeggia tra Famiglia cristiana e Nuova polizia. I contenuti - promessi come "il dietro le quinte del governo Berlusconi" - appaiono un po' confusi; l'ordine cronologico si intreccia con i temi causando ripetizioni.

Alcuni titoli suonano buffi, per esempio: "Nonostante l'11 settembre il governo continua a lavorare". E poi, paradossalmente, c'è poco Berlusconi, come se il ruolo istituzionale ne avesse incapsulato l'energia. Per via del proporzionale, gli alleati italiani non esistono proprio. Tra gli stranieri c'è parecchio Papa Ratzinger e forse troppo Putin (quattro foto). La diplomazia della pacca sulle spalle è dispiegata sul piano fotografico in forme quasi imbarazzanti con occhiate languide, abbracci, carezze e strizzate corporee tra il Cavaliere e Aznar, Schroeder e Blair.

Le biografie degli uomini di governo di Forza Italia sono a tratti grottescamente incensatorie, senza per questo mai smettere di essere noiose nella loro ufficialità. Letta è "l'infaticabile"; Martino "il ministro di pace"; la Moratti "la lady di ferro". "Se tutti i ministri sono come Pietro Lunardi - si legge - allora ben vengano". Il carattere di Micciché è "indomito"; la carriera politica di Scajola "aveva nella storia della sua famiglia tutti i segni premonitori". Tremonti "è senz'altro con Silvio Berlusconi - è specificato - la principale icona di questo governo". Del sottosegretario Bonaiuti si scrive che si è guadagnato "il plauso divertito addirittura del nuovo Pontefice, Benedetto XVI, attento osservatore delle cose italiane al quale la figura del Portavoce non era affatto sfuggita". E vai!

Scoperto è l'intento manipolatorio delle foto di Prodi (smorfia), Rutelli (occhi al cielo, quasi storti) e D'Alema (mano sulla bocca). Qui e lì alcune primizie storiche: l'assassinio di Gentile, le decimazioni nell'Armata rossa, le cattiverie di Mao e di Hitler.

Sempre sul piano delle illustrazioni dominano i laboratori di analisi, i carrelli della spesa e un sacco di soldati e poliziotti (ben 18 fotografie, con mitra, sciabole, mezzi militari). Privo del tocco mistico e magico, questo inedito berlusconismo guerriero si sposa maluccio con le immagini delle coppie e delle famiglie felici. Quasi tutti sono modelli - alcuni, si direbbe, nemmeno italiani. I cittadini ripresi sullo sfondo hanno quasi tutti il volto schermato. E proprio qui forse casca l'asino della propaganda, perché gli oscuri agiografi del berlus-trash avevano paura di renderli riconoscibili. E quindi autentici, reali, insomma veri: a differenza della Vera storia italiana che sta per arrivare nella cassetta delle lettere.

 

23 marzo

Cluster, addio

Con uno storico voto alla Camera dei Deputati, il Belgio è diventato il primo Paese al mondo ad aver messo al bando le munizioni a grappolo - conosciute anche come "cluster" - equiparandole, per i loro effetti indiscriminati, alle mine antipersona. Con centoventidue voti a favore, solo due contrari e dodici astensioni, la Camera belga ha infatti approvato un disegno di legge che estende alle submunizioni delle armi a grappolo il divietovigente per le mine antipersona.

Fonte: "Vita"

20 marzo

Berlusconi dalla sciatalgia al blitz: cronaca di un "sabato bestiale"
Il presidente dell'associazione degli industriali: "Per carità, non fatemi parlare..."
L'ira di Montezemolo
"Povere istituzioni..."

di ALBERTO STATERA
 
<B>L'ira di Montezemolo<br>"Povere istituzioni..."</B>
Berlusconi durante il convegno di Vicenza

"EGO te baptizo piscem", proclama ridendosi addosso il presidente del Consiglio della settima potenza industriale del mondo, sciatalgico ma saltellante sul palco con un microfono tra le mani, modello Vanna Marchi. Sconcerto, gelo, colpi di gomito increduli nelle prime tre file degli stati generali della Confindustria, nell'immensa sala della Fiera di Vicenza. Si guardano tra loro interrogativi, impallidiscono, non vogliono crederci Montezemolo, Tronchetti, Della Valle, Pininfarina, Monti, Colaninno jr., Abete, Amato, Marzotto, Carraro, Emma Marcegaglia, Calearo.

Neelie Kroes, commissaria europea alla Concorrenza, e Günter Verheugen, commissario per le Imprese e l'industria, si interrogano: "What's piscem?". Persino Tognana, ex vicepresidente con D'Amato, si stropiccia gli occhi.

Ferruccio De Bortoli, sul palco, come annichilito, non muove una ruga e freme. Ma il grosso della platea, dalla decima fila in giù, non meno di mille uomini in gessato e donne strizzate, va in visibilio. "Silviooo Silviooo Silvioo..." intonano i duecentocinquanta personaggi accreditatisi mezz'ora prima dell'arrivo inatteso del premier, che era ufficialmente bloccato dalla sciatalgia provocata a suo dire dallo scontro con una cattivissima sindacalista comunista della Cgil.

Sono le truppe cammellate del presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan e del suo spin doctor Franco Miracco, ex comunistissimo collaboratore precario del Manifesto, assistite all'esterno da una flotta di furgoni materializzatisi dal nulla con manifesti 6x3 di Berlusconi e della Lega. Si riconoscono, i cammellati, per i fumo di Londra da grande magazzino e gli occhiali scuri, nella zona con la migliore acustica, a sinistra del palco.

Il vicepresidente Andrea Pininfarina, che sembra un ufficiale tutto di un pezzo del Piemonte Cavalleria, ancora non si dà pace per il buco nell'organizzazione che ha consentito l'ingresso degli "scherani".

Il "piscem" berlusconiano d'apertura del "sabato bestiale" della Confindustria, nella storiella originale sarebbe per la verità una "carpam" e il vescovo evocato dal premier un parroco di campagna. Ma l'aneddoto d'apertura del presidente del Consiglio della settima potenza industriale del mondo se lo volete testuale, è questo: "Un vescovo del Medioevo mangia una bistecca di venerdì. Gli dicono: vescovo, è peccato. E lui: bistecca, ego te baptizo piscem".

Si guardano interrogativi Verheugen e Kroes. Ma è il seguito che lascia stravolte le prime file e, per la verità, anche le seconde: "Io che sono ministro della Salute ad interim, mi sono battezzato in salute". Mi sono battezzato, come il Vescovo, come il Papa. Mi sono guarito, posso persino questo.

Non sanno, gli astanti allibiti, che il meglio deve ancora venire. Quando l'inappuntabile De Bortoli richiama i minuti concordati per gli interventi, il presidente del Consiglio scatena l'inferno in un'aula che per trentasei ore era stata il tempio dello stile e del politically correct. Citizen Berlusconi, rivolto a De Bortoli, scatta in piedi, gonfia il petto, e con voce roca per l'iracondia incontrollata, declama che i giornali sono un "pericolo per la democrazia" tutti, non solo Repubblica e il Corriere della Sera, ma La Stampa, Il Sole 24 Ore, perfino Il Messaggero, asservito, come lascia intendere, al suo socio traditore Pier Ferdinando Casini. Per non dire della radio della Confindustria, noto organo rivoluzionario, che getta fango quotidiano sull'opera ineguagliabile del suo governo.

"Non credete ai giornali che parlano di declino", urla col petto in fuori. "I giornali sono un pericolo per la democrazia". Comunisti e giornali "vogliono solo andare al potere, considerano il profitto sterco del diavolo". Lui è "stanco, stanco". Non ne può più. Per aiutarlo bisogna "lavorare di più e venire meno in Confindustria". Applausi che sommergono i fischi.
"Silviooo... Silviooo...", dal settore degli infiltrati di cui Pininfarina non si dà pace. Tutto fino a quel momento si era svolto con democratica signorilità. Giulio Tremonti, forzando il suo carattere era stato un signorino educato. Il peggio che aveva detto, col suo solito acuto effetto sonoro, era che "la sinistra in cachemire circola per i casali toscani", come se lui, fiscalista principe, vivesse un una baracca, suscitando l'applauso dei forzati del nord-est, che non indossano cachemire, come l'odiato Bertinotti, ma girano in Maserati e in Porsche Cayenne.

"Il cavaliere inesistente", come era stato soprannominato il Cavaliere nell'assise vicentina dopo aver annunciato il forfait per sciatalgia, s'è materializzato a scompaginare le carte, annunciando di aver aumentato tutto "anche le nascite", forse nel più importante bluff di tutta la sua vita. Colpo di scena a tavolino? O "stato confusionale" come l'ha bollato Andrea Pininfarina col tono dell'ufficiale del Piemonte Cavalleria?

Stato confusionale senza dubbio è stata la generale diagnosi nelle prime file dei Poteri forti, ma anche nelle seconde file degli imprenditori veri, dispersi fra le truppe cammellate, dopo l'assalto a Diego Della Valle, colpevole di aver scosso la testa mentre il Vescovo dei "piscem" snocciolava i suoi dati sull'Italia che va alla grande, che mai ha goduto di questo prestigio internazionale, che ha fatto arricchire tutti con la crescita del valore delle aziende e delle case. "Della Valle, la prego di dare del lei al presidente del Consiglio", gli intima il premier del settimo paese industriale al mondo, rimproverandogli gli "scheletri nell'armadio" che lo inducono a parteggiare per i comunisti, per salvarsi chissà da quali accuse con l'aiuto della "magistratura rossa".

Berlusconi urla e urla, si fa livido, la claque gli grida dietro: "Silvio... Silvio...". Montezemolo continua a sbiancare. Gli sediamo vicino, nel posto lasciato libero da Berlusconi che se ne va tra gli inni da stadio del suo popolo di partito "convocato". Sospira Montezemolo pallido, sconvolto: "Per carità, non mi fate dire, rispettiamo le istituzioni. Tutte le istituzioni, compreso il presidente del Consiglio".

Spunta dalla prima fila Mario Carraro, industriale dei trattori, ex presidente degli industriali veneti, signore assai acuto di una certa età, che ha un nitido ricordo del passato. E recita: "Alcune volte, nel riferire le visite in provincia del federale, si usa la frase: il capo del fascismo. La frase non è appropriata, dato che c'è un solo capo del fascismo". E' una direttiva del Minculpop del 13 settembre 1941. Gli sembra di essere tornato a quei tempi e non si rassegna. Ricorda che non c'era la tivù, ma le veline dell'agenzia Stefani. Il 25 luglio però, appena appresa la notizia delle dimissioni di Mussolini, Mario Morgagni, che aveva inventato l'agenzia del fascismo, si suicidò.

Suicidi, di certo, non ci saranno nei giornali italiani, dopo la performance del premier a Vicenza. Ma una cosa è certa: la Confindustria, per le prossime elezioni, non ha bisogno di fare endorsement. Per Montezemolo l'ha già fatto Berlusconi.

 
L'EDITORIALE
Capo del governo per diritto divino
di EUGENIO SCALFARI

FASSINO HA detto di lui: "È un uomo disperato". Eco ha scritto: "La democrazia è in pericolo". D'Alema: "Demagogia e populismo allo stato puro". Giuliano Ferrara: "Meglio un colpo di Stato o almeno un colpo di teatro che la noia". I suoi giornali usciti ieri in crumiraggio: "Ha conquistato gli industriali". Pininfarina dopo lo show di sabato mattina: "Confusione mentale dovuta forse allo stress".
Fini, Casini, Calderoli: "Avanti così". (Il presidente della Camera ha aggiunto l'ombra d'una riserva: "Lasciamo da parte le polemiche e pensiamo ai problemi concreti").

Quanto a Ciampi immagino, anzi ho fondato motivo di ritenere, che sia molto preoccupato di altri atti inconsulti in queste ultime tre settimane di campagna elettorale e anche dopo, fino a quando resterà a Palazzo Chigi in attesa che il nuovo capo dello Stato nomini il nuovo capo del Governo, cioè più o meno fino ai primi di maggio, ancora un mese e mezzo di passione nel senso della "Via Crucis".

Ma chi è, che cosa è diventato il Berlusconi di questa campagna elettorale? Una scheggia impazzita di un sistema istituzionale volutamente frantumato in cinque anni di bracconaggio legalizzato dalla maggioranza parlamentare? Un eversore disposto a tutto pur di non lasciare il potere? Un caso di egolatria da manuale psichiatrico?

Per fortuna siamo ancorati all'Europa. L'Europa avrà perso gran parte della sua forza propulsiva e questo governo ci ha messo del suo per azzopparla, ma nonostante sia male in arnese ha ancora forza sufficiente per impedire che l'Italia si trasformi in una zattera alla deriva. Ha ragione Prodi quando dice che il rilancio economico e politico dell'Europa rappresenta l'obiettivo principale sul quale dobbiamo puntare fin dai primi giorni dell'auspicabile governo di centrosinistra. Lo dice anche Tremonti e Fini e Casini.

Un po' tardi dopo cinque anni durante i quali hanno dato mano (Tremonti) o hanno subito in silenzio il picconaggio delle istituzioni europee e dello spirito che le teneva in piedi. Meglio tardi che mai, ma non troppo tardi. Una conversione in fin di vita può bastare per salvarsi l'anima ma non salva la credibilità d'una politica dissennata che ci ha screditato riducendo a zero il nostro prestigio in Europa e nel mondo.
Sabato, nel suo comizio al convegno della Confindustria, il presidente del Consiglio ha urlato dalla passerella: "Abbiamo portato l'Italia al vertice del suo prestigio internazionale e voi che girate il mondo lo sapete".

Ebbene, chi gira il mondo e ha contatti sia con la gente sia con le istituzioni di altri paesi sa che il mondo ride di noi. Siamo ridiventati oggetto di dileggio e di sconsiderazione, un pessimo esempio da non imitare per il resto del mondo che pure non brilla per saggezza e senso di responsabilità. Nella classifica della competitività economica siamo scivolati al quarantasettesimo posto, ma in quella del prestigio siamo sotto zero, alla stregua del colonnello Gheddafi e forse anche più giù. Se non ci fosse Ciampi ci avrebbero già cacciati a pedate dai consessi internazionali.

Gli imprenditori che girano il mondo queste cose le sanno benissimo, anche quelli che gridano "Silvio Silvio" quando si sentono promettere che pagheranno solo il 5 per cento di tasse se Berlusconi vincerà. Il 5 per cento? Ci credono davvero? Nemmeno le allodole si farebbero accalappiare da specchietti così fasulli.

Che cosa ha detto Silvio Berlusconi nel comizio di sabato con il quale ha travolto le regole stabilite dalla Confindustria per poter agevolmente interrogare i due protagonisti dello scontro elettorale? "Il vero e sostanziale contenuto di quella presenza è stato l'esibizione del corpo del re. Quel corpo trasuda energia, ottimismo, capacità taumaturgiche, umori, sicurezza. Ma anche odio per il nemico e sopportazione infastidita degli alleati, disprezzo per le regole, noncuranza per le opinioni altrui. Logorrea. Luoghi comuni.

"Barzellette grevi. Sessuologia da taverna. Megalomania e egolatria. E due messaggi martellati senza risparmio: il pericolo del comunismo incombente, l'incompetenza e l'immoralità della sinistra. Questo è il messaggio che il corpo del re comunica dai teleschermi da lui saldamente occupati".
Ho scritto queste frasi in un articolo intitolato "Su tutti gli schermi il corpo del re". La data è quella del 29 gennaio scorso. Durava già da un mese l'invasione barbarica delle radio e delle televisioni in spregio alle regole del pluralismo che proprio in quei giorni Ciampi ricordava con lettere pressanti indirizzate alla Commissione di vigilanza e al consiglio d'amministrazione della Rai. Da allora è scattata anche finalmente la norma della "par condicio" che è stata applicata una sola volta nel confronto con Prodi del 14 marzo. Dovrebbe ripetersi il 3 aprile, ma dopo quanto è accaduto ieri dubito molto che quell'appuntamento e il rispetto di quelle regole arbitrate da Bruno Vespa ci saranno.

Il leader di Forza Italia ha constatato la sua incapacità di contenersi, ha assaporato l'amaro della sconfitta in quell'occasione e nell'altra immediatamente precedente con Diliberto. Ha tentato di infrangerle nella trasmissione di Lucia Annunziata conclusa con il suo clamoroso ritiro.

Penso che non vorrà rispettarle mai più. Sta giocando la sua sopravvivenza politica, la difende come i felini difendono il loro territorio, ringhiando e artigliando.
Disperato? Non credo. Confusione mentale? Non credo.
Berlusconi è convinto di governare per diritto divino.
Rivolgendosi a Della Valle dopo averlo pubblicamente insultato per malefatte gravissime insinuate senza alcuna precisazione, gli ha ingiunto di dargli del lei e ha atteso che i fischi della sua claque impedissero la replica della persona offesa. A De Bortoli che moderava l'incontro, dopo aver insultato anche lui come direttore del giornale "fazioso" 24 Ore, ha detto: "La smetta di contare il mio tempo con l'orologio".

Questi sono comportamenti da re per diritto divino, non da presidente del Consiglio di una democrazia parlamentare. E mandano in solluchero i tanti italiani che hanno il Parlamento a schifo dopo averlo riempito di dilettanti, demagoghi e voltagabbana.

Narrano le storie che Carlo IX di Valois, quello della notte di San Bartolomeo, quando giocava una partita al gioco di carte chiamato les hombres con qualche suo cortigiano, intascasse comunque la posta anche se aveva perduto e alle rimostranze dell'altro giocatore rispondesse invariabilmente "non dimenticate che io sono il re".

Appunto. Per il re non valgono le regole.

Ma voglio aggiungere un parola sul caso dell'Annunziata, censurata dall'Autorità delle comunicazioni. La sua condotta nella trasmissione di cui si è tanto parlato è stata, nella parte finale, decisamente sopra le righe, ma bisogna considerarla per intero quella trasmissione. È stata il tentativo inane della giornalista di poter porre domande e ottenere risposte; impedito dall'intervistato che faceva domande a se stesso e rispondeva a quelle e a non alle domande della giornalista, contro la quale lanciava insulti di faziosità e di incompetenza.

Dopo il caso Confindustria mi sento di inviare i miei complimenti a Lucia Annunziata e mi chiedo: cosa farà Vespa se il 3 aprile Berlusconi romperà le regole stabilite? Lo ridurrà al silenzio: e se non ci riuscisse gli spegnerà il microfono o lo lascerà libero di comiziare contro Prodi? E che cosa faranno i conduttori dei vari talk show se improvvisamente il presidente del Consiglio bussasse alla loro porta pretendendo di imbucarsi in una trasmissione che non prevede la sua presenza? Gli apriranno la porta o lo lasceranno fuori? E lasciarlo fuori sarà giudicato un comportamento censurabile dall'Autorità delle comunicazioni e dal consiglio della Rai?

Ci può essere di peggio e di più grave della già grave prevaricazione di regole di pluralismo e di parità stabilite da una legge dello Stato.

Ci possono essere altri atti inconsulti. Per esempio la denuncia, fin d'ora adombrata come evento certo, di brogli elettorali in caso di vittoria del centrosinistra.
Provocazioni compiute da provocatori di professione nel corso di cortei e manifestazioni. Spionaggio degli avversari politici e fabbricazione di falsi dossier per infangare persone scomode e testimoni imbarazzanti. Ne abbiamo avuto esempi recenti. Altri, più gravi ancora, potrebbero verificarsi nel prossimo futuro.

Capisco l'angosciata vigilanza del presidente della Repubblica, il solo possibile antemurale contro ondate di avventura da parte di gente di avventura.
Meglio un colpo di scena che una coltre di noia? Ebbene, questo è il massimo della décadence e del nichilismo. Ne prenda nota anche la Chiesa di Roma e non baratti gli aiuti alle scuole cattoliche con la libertà e la democrazia. Lo fece settantasette anni fa. Non credo che possa ripeterlo oggi senza doverne pagare un altissimo prezzo.

Quanto alla lista dei giornali reprobi indicati dal presidente (pro tempore) del Consiglio, nella quale abbiamo l'onore di essere compresi, tutti senza eccezioni si sono sempre attenuti alla regola di registrare le notizie con oggettività ed esprimere le loro libere opinioni sui fatti.

Le notizie non sono solo quelle che promanano dalle fonti del ministero, che spesso contengono falsità palesi.

L'ultima e più clamorosa ce l'ha data lo stesso capo del governo quando ha detto che la pressione fiscale nel 2001 era del 45 per cento mentre - dati dell'Istat alla mano - superava di poco il 41. O quando ha detto che il rapporto debito pubblico-Pil ereditato dal presente governo era di gran lunga superiore a quello attuale. E che l'avanzo primario del bilancio nel 2001 era inesistente.

Quanto alle opinioni dei giornalisti e degli editorialisti, esse sono libere e costituzionalmente garantite. Ho ammirato il sangue freddo di De Bortoli sabato mattina e la sua decisione di non rispondere agli insulti ricevuti. Ed ho ammirato la compostezza di Prodi. Il leader del centrosinistra avrebbe potuto chiedere alla Confindustria un supplemento di tempo per replicare; in fondo il maggior torto è stato fatto a lui che aveva rispettato le regole di fronte all'avversario che ha occupato un tempo doppio per insultarlo insieme ai partiti della sua coalizione.

Il sangue freddo e l'accenno di sottile ironia al premier "risanato" di De Bortoli: bravissimo. Ma resta che una prevaricazione è stata consentita, molti assenti sono stati insultati, quello presente, anch'egli insultato, non ha potuto rispondere. Non mi pare che quel "forum" si possa definire riuscito.

Quanto a coloro che si oppongono a questo genere di atti inconsulti, va bene così: hanno la natura d'un boomerang, checché ne pensi l'impareggiabile Emilio Fede che è stato in pari data insignito di un Oscar televisivo. Alla comicità?


18 marzo

I pazienti nei Paesi in Via di Sviluppo devono accontentarsi di farmaci di seconda scelta.
Accedi al sito della Campagna per l'accesso ai farmaciLagos/Berlino/New York/Roma, 15 marzo 2006 – Le persone affette da HIV / AIDS nei Paesi in Via di Sviluppo non possono usufruire di nuovi e migliori farmaci che possono fare la differenza, afferma l'organizzazione umanitaria di soccorso medico Medici Senza Frontiere (MSF). MSF si rifiuta di accettare il comportamento standard delle case farmaceutiche che commercializzano farmaci meno idonei nei paesi africani, asiatici o latinoamericani riservando i farmaci perfezionati o più recenti ai paesi che possono pagare di più. Per questa ragione MSF ha ordinato direttamente alla sede centrale dei Laboratori Abbott di Chicago una nuova versione termostabile del farmaco denominato lopinavir / ritonavir, che la Abbot vende attualmente nei soli Stati Uniti a un prezzo di 9.687 $ (prezzo medio per paziente per anno).
"Con una temperatura che raggiunge regolarmente i 40° centigradi, e con i frequenti blackout energetici quotidiani, i nostri pazienti non possono usare la vecchia versione di questo farmaco", afferma la dottoressa Helen Bygrave, che lavora per il programma MSF di trattamento dell'AIDS a Lagos, in Nigeria. "E' una crudele ironia: sebbene questo farmaco, che non necessita di refrigerazione, sembra essere stato ideato apposta per posti come la Nigeria, proprio in Nigeria non è disponibile".
Nel novembre del 2005, la Abbott ha lanciato negli Stati Uniti una nuova versione dell'associazione lopinavir / ritonavir, inibitore della proteasi potenziata. A differenza della vecchia versione, questa nuova versione non ha bisogno di refrigerazione, il che rende il farmaco molto più idoneo a essere utilizzato nei climi caldi di molti Paesi in Via di Sviluppo dove MSF opera. Ma quando MSF si è informata sul prezzo e la disponibilità di questo nuovo prodotto per i suoi pazienti, la Abbott ha risposto che avrebbe aspettato che il prodotto fosse disponibile in Europa prima di richiederne la commercializzazione nei Paesi in Via di Sviluppo. Questo significa un ritardo potenziale di anni prima che questo farmaco possa raggiungere le persone che ne hanno maggiormente bisogno.
Il farmaco lopinavir/ritonavir è una componente fondamentale della terapia antiretrovirale per i pazienti che necessitano di passare ad un regime di trattamento di seconda linea più nuovo ed efficace quando, dopo qualche anno di trattamento con farmaci di prima linea, iniziano in maniera naturale a sviluppare delle resistenze. L'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l'uso di questa nuova formulazione come trattamento di seconda linea.
Nel programma di MSF a Khayelitsha, in Sudafrica, il 16% dei pazienti, dopo 4 anni di cura, ha bisogno di passare a un nuovo regime di trattamento. Questi dati mostrano in maniera inequivocabile l'enorme e sempre crescente bisogno di nuovi farmaci. Con più di 60.000 pazienti in cura con farmaci antiretrovirali, MSF afferma che i propri sforzi per trattare alcuni pazienti che hanno bisogno di nuovi farmaci sono compromessi dalle politiche delle industrie farmaceutiche che rallentano il processo per rendere disponibili questi nuovi farmaci nei Paesi in Via di Sviluppo.
Ibrahim Umoru, che riceve il trattamento antiretrovirale nella clinica di Lagos, sta assumendo la vecchia versione del lopinavir / ritonavir da 5 settimane, ma questo farmaco ha bisogno di essere refrigerato nella clinica, cosa che naturalmente Ibrahim non riesce a fare a casa propria. "Non posso permettermi il carburante per il generatore che consentirebbe di far funzionare un frigorifero. E senza il frigorifero, queste temperature rendono le capsule simili ad un ammasso informe tipo chewing gum masticato. Ho bisogno della nuova versione".
Poiché la Abbott non rende il farmaco disponibile nei Paesi in Via di Sviluppo, MSF farà oggi un'ordinazione per i propri progetti in Camerun, Guatemala, Kenya, Malawi, Nigeria, Sud Africa, Tailandia, Uganda, e Zimbabwe. Sulla base di prove fornite da esperti industriali che dimostrano chiaramente che la nuova versione è meno costosa da produrre della vecchia, MSF chiede per questa nuova formulazione il prezzo più basso possibile, che non dovrebbe essere superiore al costo pagato dai Paesi in Via di Sviluppo per la vecchia versione.
In una lettera indirizzata alla Abbott, importanti ricercatori, studiosi e organizzazioni impegnate nella lotta all'HIV/AIDS di tutto il mondo chiedono alla Abbott di rendere disponibile in tempi rapidi la nuova versione del lopinavir / ritonavir ai pazienti dei Paesi in Via di Sviluppo.
La Abbott ha commercializzato questo farmaco con il nome di Kaletra dal 2000, ma la vecchia versione è una capsula gelatinosa che va somministrata più volte al giorno, richiede restrizioni dietetiche e ha bisogno di refrigerazione nei climi caldi.
La mancanza di accesso al lopinavir / ritonavir illustra chiaramente la situazione inquietante riguardo al problema dell'accesso ai farmaci nei Paesi in Via di Sviluppo. Mentre il prezzo dei farmaci antiretrovirali di prima generazione si è notevolmente ridotto grazie alla competizione dei farmaci generici, il prezzo dei nuovi farmaci allunga-vita, che godono di un monopolio grazie alla protezione del brevetto, è drammaticamente più alto di quello dei vecchi farmaci. Questo blocca l'accesso alle terapie nei paesi più poveri dove vive la maggioranza delle persone malate di AIDS.
Se l'accesso ai farmaci dipende dalle politiche di marketing delle case farmaceutiche, allora le vite di milioni di pazienti continueranno a essere in pericolo.
 

16 marzo

Il premier: "Non è facile convincerle a lasciare famiglia e marito"
La Prestigiacomo prepara un dossier per il prossimo duello
Cdl, sconcerto tra le donne
per la gaffe di Berlusconi in tv

di GIOVANNA CASADIO
 
<B>Cdl, sconcerto tra le donne<br>per la gaffe di Berlusconi in tv  </B>
Il ministro Stefania Prestigiacomo preparerà un dossier sulle donne per il prossimo duello

ROMA - Il ministro delle Pari opportunità Stefania Prestigiacomo gli manderà un dossier con l'elenco delle cose che il governo e la maggioranza hanno fatto per le donne. Perché Berlusconi lo studi bene prima del nuovo faccia a faccia del 3 aprile, visto che nel duello tv con Prodi di martedì, non se n'è ricordato. Il sottosegretario agli Esteri, Margherita Boniver, candidata numero 4 in Piemonte (una delle poche donne in testa di lista di Forza Italia) avanza il sospetto: "Distratto, forse era distratto". E io, ammette, "sono rimasta sorpresa dalla risposta che sulle donne ha dato il presidente del Consiglio. Non che Prodi brillasse, comunque". "Verrà il giorno per parlare di questa cosa..." e Maria Burani Procaccini, presidente della commissione bicamerale infanzia (dirottata ora da Forza Italia al Senato nel Lazio in un posto a rischio) seppellisce la questione sotto una sonora risata: "Siamo in campagna elettorale... Del resto non è che Prodi ha preso la palla al balzo e ha replicato alla mentalità ottocentesca".

Amarezza, imbarazzo, bocche cucite in Forza Italia. E malumori "rosa" che trasudano anche in alcune mail del "Berlusconi fans club":"Ma che concezione ha delle donne?". Sandro Bondi, il coordinatore del partito, detta una nota alle agenzie di stampa nella quale annuncia che le donne elette in Parlamento da Fi saranno più di quelle di Fassino e altri. Tenta di smontare la polemica e lo sconcerto "bipartisan" per le affermazioni del premier a cominciare da quella secondo la quale di donne nelle liste elettorali forziste ce ne saranno "ma non è stato facile convincere chi ha una formazione adeguata a ricoprire queste cariche impegnative a lasciare la famiglia e il marito e a trasferirsi a Roma per cinque giorni alla settimana...". E per sovrappiù ha aggiunto: "Nel nostro programma credo che abbiamo tenuto in conto le esigenze delle categoria".

"Ottocentesco, grottesco": hanno buon gioco a denunciare i leader dell'Unione. Rosy Bindi, una delle due capoliste dell'Ulivo: "Qui si vede quanto è distante Berlusconi dal paese. Non avremo forse un governo zapaterista o bacheletiano con il 50% di donne, sono realista, ma prodiano con un 30% sì". Massimo D'Alema, il presidente Ds rimarca: "Ma le donne italiane lo hanno sentito? Si dice genere e non categoria, per lui 25 anni sono passati invano". Idem il segretario Fassino. Allora Bondi si affretta a precisare: "Noi abbiamo una concezione dell'emancipazione femminile e delle pari opportunità diversa da quella della sinistra". Una diversità che piace assai poco anche alle donne del loro schieramento. Dietro la promessa di anonimato, tutte riconoscono "l'autogol rosa". È "scivolato su una buccia di banana" che però riguarda 25 milioni di elettrici.

Un'insufficienza a Berlusconi da Erminia Mazzoni, vice segretario Udc. E i silenzi sono più significativi dei commenti. Isabella Bertolini si trincera dietro un "no comment". Ricorda però che in Emilia ha sudato per avere almeno altre tre donne, oltre lei, in posizione sicura in lista accogliendo la calabrese Jole Santelli e la piemontese Patrizia Tangheroni. Le due avevano rischiato di essere fatte fuori, e certo non perché volessero restare in famiglia. Appello di Daniela Santanché (An) "insoddisfatta" per l'uscita di Berlusconi: "Il premier si riscatterà il 3 aprile: prometta di dare a due donne la presidenza di Camera e Senato e di fare una battaglia bipartisan per una donna al Colle".

"Erano impreparati sia Berlusconi che Prodi, ma non condivido che le donne non sono in politica perché vogliono restare in famiglia", chiosa Gabriella Carlucci ricandidata, ma in brutta posizione al contrario della soubrette Mara Carfagna che ha spuntato un buon posto in Campania e provocato una sollevazione nel partito. Difendono quel che ha detto Berlusconi in tv la Armosino e la Gardini.

 

13 marzo

I ragazzi che studiano lontano dalla propria abitazione lo sanno: sistemarsi, all'inizio, è molto difficile. Tra tugurii, monolocali e prezzi esorbitanti
A.A.A. cercasi casa disperatamente
Viaggio nel "calvario" dei fuori sede

Un viaggio nel mondo del mercato immobiliare attraverso una ricerca dell'Eurispes e le inchieste di molte scuole di giornalismo
di DANIELE SEMERARO
 
<B>A.A.A. cercasi casa disperatamente<br>Viaggio nel "calvario" dei fuori sede</B>
ROMA - Innumerevoli telefonate, giri da una parte all'altra della città con in mano il fedelissimo giornale degli annunci, visite interminabili a case improponibili, tugurii che arrivano a costare anche 600 euro al mese. Per gli studenti universitari fuori sede, trovare una sistemazione non è cosa facile. E, con l'arrivo della bella stagione, affittuari e agenzie immobiliari si sbizzarriscono alzando i prezzi agli (spesso ignari) inquilini.

Un argomento che, anno dopo anno, viene trattato, discusso, studiato soprattutto dai protagonisti: gli studenti. E quale occhio migliore se non quello degli studenti delle scuole di giornalismo e delle radio d'ateneo, che spesso organizzano inchieste su questo problema, per addentrarci in un mondo ancora troppo oscuro?

Il settimanale online della Scuola di giornalismo dell'Università di Bologna, "La Stefani", ha condotto un'indagine, uscita questi giorni, che risulta piuttosto allarmante: solo la metà dei contratti di affitto (51%), infatti, risulta in regola, e il rimanente 49% si divide tra coloro che hanno solo un impegno senza valore legale (24%) e quelli che sono totalmente in nero (25%).

Bologna. Secondo quanto riporta l'inchiesta di Alessandro Antonelli e Chiara De Felice, che è stata condotta su un campione di 350 studenti (tra i 18 e i 25 anni), emerge che la responsabilità di questa "metà oscura" degli affitti studenteschi pesa sia sui proprietari che sugli studenti. Alla domanda, infatti, sul perché dell'assenza di un contratto, 81 su 350 rispondono che la decisione è del proprietario, ma sono in 74 ad ammettere che è una scelta concordata. Anche se poi, pur stando così le cose, il 66% degli studenti in nero è convinto che questo torni quasi esclusivamente a vantaggio dei proprietari, che così intascano soldi ed evadono le tasse.

Dalla ricerca, inoltre, emerge che solo 108 tra gli intervistati possono permettersi una stanza tutta per sé, con prezzi che salgono oltre i trecento euro spese incluse, mentre il restante 60% divide la camera con un'altra persona. Vera spia del sovraffollamento, però, spiegano, è il totale degli "occupanti" l'appartamento: due terzi hanno risposto di essere almeno in quattro a casa, ma il 24% convive con più di cinque persone. E non mancano gli appartamenti da sette. A Bologna, inoltre, è abbastanza alto anche il problema delle discriminazioni: 120 studenti su 350 intervistati dichiara di aver subito delle discriminazioni nella ricerca di una sistemazione, e il 40% di questi crede che a chiudergli le porte in faccia sia stato il proprio attestato di frequenza al Dams, la facoltà di Discipline dell'arte, della musica e dello spettacolo.

Roma. "Roma caput mundi, ma non sa di esserlo. Perché Roma sa di essere la capitale d'Italia e della cristianità, ma ignora di essere anche la capitale europea dell'università". Inizia così l'approfondita indagine dei giornalisti praticanti dell'Agenzia di stampa "Lumsa News" di Roma, che sottolinea come servizi e infrastrutture non soddisfino il problema dell'emergenza abitativa per gli studenti che arrivano da ogni parte d'Italia. Parliamo di costi: per una stanza singola nella Capitale ormai i prezzi arrivano a sfiorare anche i 500 euro al mese, e anche una doppia non si trova sotto i 350. Racconta un'intervistata: "Inizialmente pagavo 400mila lire al mese ma ogni anno il proprietario ha chiesto un aumento del prezzo di locazione, fino ad arrivare a quello attuale: 450 euro. Inutile dire che paghiamo in nero, ma è l'unica soluzione che abbiamo trovato". E se si gira tra collegi e residenze universitarie le lamentele non cambiano: dall'"impossibilità di trovare un posticino" per i 30mila di Tor Vergata (perché i posti letto a disposizione dello studentato sono 120) e per gli studenti di Roma Tre (le richieste sono 2500 l'anno per 70 posti) fino ai limiti della zona di San Lorenzo, a ridosso della Città Universitaria de "La Sapienza", ridotto ormai a un quartiere dormitorio che ospita migliaia di appartamenti - alcuni anche fatiscenti - destinati ai "poveri" ragazzi che vogliono studiare nei tanti atenei, grandi e piccoli, della Capitale.
 
<B>A.A.A. cercasi casa disperatamente<br>Viaggio nel "calvario" dei fuori sede</B>

Milano. A Milano, secondo bacino universitario dopo Roma, l'argomento è stato affrontato diverse volte. In particolare, scrive Paola Brianti su "Mag", il quotidiano online della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica, il problema principale è quello di una "carenza cronica" di affitti che interessa spesso gli studenti fuori sede. I problemi? È presto detto: i prezzi e le condizioni dell'appartamento offerto, "spesso al limite della decenza".

Napoli. "Assenza di riscaldamento, aumento degli affitti e condizioni fatiscenti delle abitazioni". Questi i principali problemi che lamentano gli studenti che vivono nel capoluogo partenopeo nell'inchiesta che Francesco Tortora ha condotto per "Inchiostro", la rivista della Scuola di giornalismo dell'Università "Suor Orsola Benincasa". Tra gli studenti intervistati, alcuni addirittura lamentano che, con l'introduzione dell'euro, il proprio affitto sia passato "magicamente" da 250mila lire a 200 euro. A questo bisogna aggiungere anche frequenti azioni di taglieggiamento da parte della camorra locale. "Come se non bastasse - continua Tortora - le stanze che gli studenti affittano a caro prezzo sono anche vecchie e non riscaldate". E i contratti? Nessuno li regolarizza. Per non parlare, poi, spiega un'altra neo-giornalista, Caterina Scilipoti, di "una tendenza tutta napoletana: cambiare alloggio molte volte durante la carriera universitaria", alla ricerca di sistemazioni migliori e prezzi convenienti. E c'è anche chi, non potendosi permettere un affitto, come spiega il loro collega Davide De Paola, occupa un'abitazione "per sopravvivere".

Urbino. Esistono, e di questo ci stupiamo, anche delle città universitarie in cui gli affitti sono in crisi e i prezzi calano. Dove? Ad Urbino, ad esempio. Scrive Alessio Sgherza dell'Istituto di formazione al giornalismo del capoluogo marchigiano che "molti alloggi restano vuoti, i contratti diventano più brevi" e, di conseguenza, gli affitti calano anche di cinquanta euro in meno di due anni. Secondo l'inchiesta, circa l'8% dei posti letto rimane vuoto, "mentre fino a qualche anno fa c'era la fila fuori dalla porta, gli alloggi si riempivano già da settembre". E così, può capitare che nelle case "le stanze triple diventino doppie, una stanza diventi un salone".

C'è da aggiungere, inoltre, che i controlli, nel nostro Paese, sono pressoché nulli: in Italia, infatti, le associazioni degli inquilini e dei proprietari sono impossibilitati a intervenire direttamente, e lo Stato può rilevare l'illecito solo a fronte di una denuncia da parte dello studente, cosa rarissima considerati i costi, in tempo e soldi, di battaglie legali.

In Italia. E a livello nazionale, cosa accade? Secondo una recente ricerca dell'Eurispes, contenuta nel Rapporto Italia 2005, "non si può fare un calcolo medio nazionale" sui prezzi degli affitti, perché questi "variano in funzione della città: al centro-nord si hanno prezzi mediamente più alti di quelli del meridione a causa del diverso costo della vita. Quello che però è indiscutibilmente estendibile a tutto il territorio riguarda il rincaro che ha assalito il mercato degli affitti per gli studenti. Al punto che oggi, più che mai, studiare in una regione diversa dalla propria è diventato un privilegio per pochi eletti".

I prezzi. Dai risultati della ricerca, ad esempio, si ricava che per l'affitto di una camera singola possono essere richiesti fino a 500 euro mensili, come avviene ad esempio a Roma, che detiene il record del caro affitti. La Capitale è seguita, poi, da Siena, dove una stanza costa mediamente 350 euro, poi troviamo Pavia (300 euro) e Parma (255 euro). Meno cara Bari, con i suoi 230 euro per una camera singola. A preoccupare, però, sono soprattutto gli aumenti degli ultimi anni: a Pavia, spiegano i ricercatori dell'Eurispes, negli ultimi sei anni il costo delle stanze si è raddoppiato, a Siena c'è stato un aumento del 50-70%. A Roma, addirittura, dal 1999 a oggi c'è stato un aumento che ha sfiorato quota 76%, come è confermato anche dall'Adisu (l'Azienda per il diritto allo studio universitario) del Lazio.

Le cause? In primo luogo sicuramente l'aumento degli studenti universitari e la disponibilità sempre costante degli alloggi universitari (come ad esempio gli studentati) che spingono molti fuori sede a rivolgersi a privati. Secondo uno studio, addirittura, il numero dei posti alloggio messi a disposizione da comuni e atenei copre solo l'1,9% sul totale degli studenti: circa 33mila posti alloggio su oltre un milione e 730mila studenti.

10 marzo

Ricerca sul cancro? Storace regala 55 milioni di euro alle banche
Marcello Pamio 10/03/2006

Mentre la vergognosa soap-opera tra Prodi e Berlusconi continua a tenere occupati i palinsesti televisivi e i cervelli, e mentre dall’altra parte dell’oceano stanno oramai definendo come intervenire militarmente e illegittimamente in Iran (sembra che uomini delle truppe speciali israeliane siano già penetrati nel territorio iraniano per individuare i siti da far esplodere[1]), qui da noi il ministro della Salute Storace ha firmato il decreto (previsto nella Finanziaria 2006) sulla ripartizione dei soldi per la ricerca sul cancro!
Ebbene, dei 100 milioni di euro stanziati per la ricerca oncologica dallo Stato (e quindi usciti dalle nostre tasche), oltre la metà (55 milioni) finiscono nelle tasche di società private - controllate da banche private - e il rimanente va agli Irccs pubblici (Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico)!
L’agenzia di stampa Adnkronos Salute ha anticipato i nomi di questi destinatari, e quello che è emerso è molto interessante.
Questi sono i servizi pubblici che hanno ricevuto i soldi:
- Istituto nazionale dei tumori di Milano
à 10 milioni di euro
- Istituto Regina Elena di Roma
à 20 milioni
- Istituto Superiore di Sanità
à 5 milioni di euro
- Alleanza contro il cancro
à 10 milioni di euro
E questi altri sono quelli privati:
- S. Raffaele Monte Tabor
à 20 milioni di euro
- Istituto Europeo di Oncologia di Milano
à 20 milioni di euro
- San Raffaele della Pisana di Roma
à 7 milioni di euro
- Fondazione Santa Lucia
à 5 milioni
- Fondazione Maugeri di Pavia
à 3 milioni di euro
Vediamo alcuni dei fortunati beneficiari privati:
Istituto Europeo di Oncologia (20 milioni di euro)
L’IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia, quello per intenderci di Umberto Veronese, l’ex collega di Storace.
I soci di questo istituto oncologico sono, come nella migliore tradizione, un po’ di banche, assicurazioni, finanziarie: Mediobanca, Banca Intesa, Unicredit, Capitalia, Banca Popolare Italiana, Fondiaria SAI, Generali, RAS, Fiat, Pirelli, Edison, Sorin Group, Italcementi, Fondazione Salvatore Maugeri, Fondazione Cabrino Carena.[2]
L’amministratore delegato è il dott. Carlo Ciani[3], che ha lavorato – guarda caso – proprio per Mediobanca, ed è stato consigliere e membro esecutivo della Monte dei Paschi Vita spa.[4] Fino al 1998 Consigliere della Società Italiana Assicurazioni e Riassicurazioni Spa[5], e Amministratore delegato della Sai Holding Spa[6] fino al 2002.
Dall’8 maggio 2001 è consigliere della Pirelli spa[7]
I principali azionisti di Pirelli spa sono (all’11 novembre 2005): Camfin (Cam Petroli srl  al 50% con Agip Fuel spa del gruppo ENI[8]), Generali, Edizioni Holding, Mediobanca, Fondiaria-SAI, e gruppo RAS[9]
San Raffaele della Pisana (7 milioni di euro)
Il San Raffaele della Pisana di Roma è di proprietà della società per azioni Tosinvest sanità di proprietà della Finanziaria Tosinvest di proprietà della famiglia Angelucci, quella che ha scalato le vette della finanza e che oggi oltre ad essere gli editori di quotidiani come “Libero” e il “Riformista” possiede circa dieci cliniche private per qualche migliaio di posti letto.
La Finanziaria Tosinvest secondo un Atto di Sindacato Ispettivo n°4-03377[10] (seduta nr. 279) pubblicato dal Senato il 19 novembre 2002 e indirizzato ai ministri (economia, finanze, attività attività produttive, salute e giustizia), sembrerebbe «implicata nella vicenda dell’acquisizione del San Raffaele. Non solo ma tale società si è vista contestare dalla polizia tributaria circa 140 miliardi di vecchie lire di evasione fiscale per il 1998, avendo operato una elusione della tassazione di plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni a oscure società lussemburghesi della proprietà delle cliniche di Velletri e Cassino»[11]
Sempre secondo tale atto del 2002, la Poliambulatori Cave srl di Roma, della società Panigea di proprietà sempre della Finanziaria Tosinvest, avrebbe un dirigente che si chiama Massimo Fini[12], non il giornalista ma il fratello dell’attuale Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini[13].
Se non bastasse tra i proprietari della Poliambulatorio Cave srl figura la signora Patrizia Pescatori, moglie proprio di Massimo Fini!![14]
L’attuale amministratore della Tosinvest è Ernesto Monti, presidente dell’Astaldi[15] (una delle principali società di costruzioni in Italia). Monti fa parte del consiglio di amministrazione di Finmeccanica[16], è stato dirigente per tutti gli anni Novanta della Banca di Roma (oggi Capitalia, che tra gli azionisti ha proprio la Finanziaria Tosinvest ) ed è dentro pure il consiglio di Fintecna, la finanziaria statale che dopo la ricapitalizzazione della Società dello Stretto di Messina ne è divenuta la maggiore azionista con il 68,8% del capitale sociale[17].
San Raffaele del Monte Tabor (20 milioni di euro)
Questo istituto privato il cui nome Raffaele, scelto dal suo fondatore don Luigi Maria Verzé, deriva dall’ebraico Raf-el, che significa “Medicina di Dio”, “Dio guarisce[18], si trova a Milano.
La Fondazione omonima gestisce l’Istituto Universitario San Raffaele (uno dei maggiori ospedali italiani) il Science Park Raf spa, la società che controlla le proprietà intellettuali il cui capitale è privato al 100%[19], cioè i brevetti, e infine il Dipartimento di Biotecnologia (DIBIT), l’Università Vita-Salute. Insomma un impero da mille e una notte
Di questo centro non si sa molto se non che banche tipo Cariplo, Mediocredito e Banco di San Paolo garantiscono finanziamenti illimitati…
Qualche mala lingua vedrebbe tra gli azionisti Silvio Berlusconi e pure l’Opus Dei…
In Italia la ricerca scientifica non esiste. 
I cervelli migliori scappano all’estero, e fanno molto bene.
In Italia si preferiscono buttare i nostri soldi per operazioni come Peacekeeping in Iraq, piuttosto che cercare di comprendere come mai le persone oggi si ammalano sempre più! 
Come mai, per esempio, le persone malate di cancro che NON è solamente una cellula impazzita (questa è solamente la manifestazione fisica), negli ultimi anni, e nonostante le belle parole dei luminari di turno (tipo gli Umberti: Veronesi e Tirelli, & compagnia bella) stanno aumentando giorno dopo giorno!
Nonostante questo, per partecipare al genocidio perpetrato dalla coalizione anglo-americana nei confronti del popolo sovrano iracheno, noi italiani abbiamo speso, senza che nessuno ce lo dicesse, oltre 200 milioni di euro!
Lo riporta il Disegno di legge nr. 112 presentato il 28 giugno 2005: «E’ autorizzata, fino al 31 dicembre 2005, la spesa di 212.972.175 euro per la proroga della partecipazione di personale militare alla missione internazionale in Iraq»[20]
Più del doppio della cifra che il medesimo governo Berlusconi ha stanziato per la ricerca sul cancro. Tutto il male però non viene per nuocere: visto infatti chi sono i personaggi e come le società private che li controllano portano avanti tali ricerche, forse è bene spenderli da qualche altra parte…

 

8 marzo

La guerra dentro
DANILO ZOLO
La sezione britannica di Amnesty International, in un rapporto di 48 pagine, denuncia quello che sinora in Occidente nessuno aveva voluto ammettere: la lezione di Abu Ghraib non ha avuto il minimo effetto. In Iraq 14.000 detenuti sono tuttora privati dei loro più elementari diritti. Le forze di occupazione inglesi e statunitensi li tengono in carcere senza averli mai incriminati o processati. Drammatiche testimonianze di ex prigionieri documentano che in Iraq le torture sono sempre all'ordine del giorno. Alcuni hanno riferito di essere stati percossi con cavi di plastica, torturati con scosse elettriche, rinchiusi in stanze allagate dove nell'acqua veniva fatta passare la corrente. Fra questi, 200 sono prigionieri da più di due anni, e quasi 4.000 da più di un anno. «Mantenere in carcere un così ampio numero di persone senza garanzie legali è una grave omissione di responsabilità da parte delle forze americane e britanniche», denuncia Kate Allen, direttore di Amnesty International per la Gran Bretagna. Queste notizie completano uno scenario sempre più tetro nel quale le infamie di Guantanamo, di Abu Ghraib, di Camp Bondsteel, di Polj-Charki, di Bagram appaiono come una realtà diffusa, programmata e strategicamente motivata. La guerra contro il «terrorismo globale» condotta dagli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali è ormai apertamente terroristica. Per convincersene è sufficiente scorrere il recente documento del Pentagono: il Quadrennial Defense Review Report.

La guerra che viene annunciata al mondo per il prossimo futuro è una long war, terroristica nel significato convenzionale per cui l'uso delle armi di distruzione di massa ha come obbiettivo la strage di migliaia di civili innocenti. E lo è nel significato più ampio e drammaticamente attuale di una guerra che diffonde il panico nella forma di una sistematica violazione dei più elementari diritti dell'uomo. La «lunga guerra» si annuncia come una «guerra irregolare», invasiva, capillare, invisibile perché combatte un nemico infido e spregevole, presente in ogni angolo della terra e ovunque minaccia i valori e gli interessi dell'Occidente.

Qualsiasi mezzo per distruggere le metastasi del «terrorismo globale», per scardinarne le strutture è non solo politicamente legittimo ma è legittimato «da Dio stesso», esterna Tony Blair. Come ha scritto Alan Dershowitz, occorre infliggere ai terroristi sconfitte severe, inabilitare i suoi militanti arrestandoli o uccidendoli, usare la tortura e le rappresaglie collettive.

Così le guerre scatenate in questi anni dagli Stati Uniti e dai loro alleati rientrano in un unico paradigma strategico: quello di una «lunga guerra», motivata da clamorose imposture umanitarie e imponenti campagne ideologiche, per coprire stragi di civili, occupazione militare dei paesi sconfitti, depredazione di risorse energetiche, controllo di strutture politiche e giudiziarie, frammentazione di territori. Se i piani del Pentagono avranno successo, sarà una «lunga guerra dentro»: rischia di non concludersi se non con la fine della civiltà occidentale.


 

Studio Eurispes per l'8 marzo: "Rischio di pericolosa involuzione"
Livelli bassi per l'occupazione femminile e la spesa sociale
Lavoro, famiglia, diritti e politica
In Italia le donne vanno indietro

 

ROMA - Otto marzo, festa delle donne. Ma a quanto pare le donne italiane hanno ben poco da festeggiare. Una ricerca Eurispes mette in fila una serie di dati che portano a un'unica conclusione: "Il ruolo e la condizione della donna oggi in Italia presenta il rischio di una pericolosa involuzione culturale, sociale ed economica", per usare le parole di Gian Maria Fara, presidente dell'istituto.

Che non si tratti di una visione allarmistica lo testimoniano i numeri. In particolare lo studio evidenzia che in Italia il tasso di occupazione delle donne è pari al 45,1% contro il 57,8% in Francia, il 60,2% in Germania e il 72,8% in Danimarca. Il 40% degli uomini ritiene che la cura della casa sia soprattutto compito delle donne. In materia di spesa pubblica per la famiglia, la casa e l'esclusione sociale il nostro Paese si colloca al penultimo posto della graduatoria europea con l'1,1% del Pil (la media Ue è del 3,4%).

Ma vediamo alcuni altri aspetti emersi dalla ricerca Eurispes.

Sì a convivenza, fecondazione e aborto. La maggioranza delle donne, il 67,1%, è favorevole alla convivenza. Percentuale che sale al 71,1% tra le donne dai 35 ai 44 anni e raggiunge il 96,2% tra le giovanissime. Anche per quanto riguarda il divorzio è maggiore la percentuale di donne favorevoli (66,7%) rispetto a quelle che si dichiarano contrarie. Oltre la metà delle donne, il 60,1%, è poi favorevole alla fecondazione assistita e il ricorso all'aborto è ritenuto legittimo soprattutto se esiste un pericolo per la madre (81,7%) e in caso di gravi malformazioni (74,6%).

Donne a dire messa. Il 48,1% delle donne si dichiara d'accordo con l'affermazione secondo cui le donne potrebbero dire messa. Il 45,1% è invece contrario. Una quota consistente, il 6,8%, non ha le idee chiare al riguardo.

Quote rosa. Il 54% degli italiani ritiene che le donne in politica siano discriminate e il 66,6% si dice favorevole alle "quote rosa" poiché ritiene che l'imposizione per legge sia l'unico modo di garantire una certa presenza femminile in politica.

Nonni e nipoti. Se il 68,2% degli italiani sostiene che il ruolo dell'uomo e il ruolo della donna all'interno della famiglia dovrebbero essere intercambiabili, la quota più alta di chi la pensa così si registra tra gli over65 (76,8%) mentre fra i giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni la percentuale scende al 59,3%.

Lavoro e famiglia. E' opinione diffusa (68,6%) che la donna, anche quando ha figli, non dovrebbe rinunciare al lavoro. Ma sull'affermazione secondo la quale il successo nel lavoro è più importante per l'uomo che per la donna gli italiani si dividono: il 51,8% è d'accordo, il 47,2% in disaccordo. Nonostante l'ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, dunque, resta diffusa la convinzione che il principale ambito di realizzazione femminile sia rappresentato dalla famiglia e dai figli.

Matrimonio. A pronunciare il fatidico sì si arriva più tardi: in sei anni l'età del primo matrimonio aumenta in modo quasi analogo per maschi e femmine (+1,7 e +1,6 anni). Non solo, crescono le unioni dove lei è più grande di lui: a oggi oltre il 30% delle coppie ha nell'uomo il coniuge più giovane.

7 marzo

OGM: le incertezze della comunità scientifica
e le paure della società civile  
Dott.ssa  Luisa T.

La scoperta del DNA e l'avvento della biologia molecolare hanno consentito all'uomo la possibilità di modificare direttamente il codice genetico non più solo attraverso i processi naturali di selezione ed ibridazione. E' diventato possibile, attraverso le tecnologie dell'ingegneria genetica, prelevare da un organismo una sequenza di DNA che codifica per una determinata funzione (gene) e trasferirla ad un organismo diverso anche molto lontano dal punto di vista filogenetico.
Questo ha reso possibile lo sviluppo degli OGM (Organismi Geneticamente Modificati). La creazione degli OGM è ormai una realtà consolidata; gli utilizzi di queste nuove biotecnologie hanno coinvolto inizialmente settori come la produzione di farmaci, (primi ad essere modificati geneticamente furono i batteri, fino a fargli produrre sostanze utili per l’uomo, come l’insulina umana), e la medicina in generale, per poi passare anche ad altri settori come l'agroalimentare e la tutela dell'ambiente. 
I prodotti agricoli transgenici esistono già da alcuni anni, coltivati soprattutto in Canada e negli USA. Nel 1990 i raccolti geneticamente modificati praticamente non esistevano; a distanza di soli 10 anni più di 40 milioni d’ettari sono coltivati con queste tecniche in tutto il mondo. L'incremento di queste coltivazioni è stato addirittura esponenziale negli ultimissimi anni (si è passati da 2,8 milioni d’ettari nel 1996 ai 53 milioni di ettari nel 2001), secondo le ultime statistiche pubblicate ISAA [1].
La produzione è concentrata in quattro Paesi: 68% in USA, 22% in Argentina, 6% in Canada e 3% in Cina per un totale pari al 99%; dedicata principalmente a quattro tipi di colture: 63% di soia, 19% di mais, 13% di cotone e il 5% di colza.
Negli USA circa il 60% della soia coltivata è transgenica; questo dato rende l'idea di quanto imponente e rapida sia stata la penetrazione di queste nuove varietà in agricoltura; inoltre, considerando che gli USA sono i maggiori esportatori al mondo di soia, si può affermare che il 5% circa della soia che circola nel mondo è transgenica. 
In Europa la situazione è abbastanza diversa: oltre alla prudenza manifestata dai governi dell'Unione Europea (che difendono il principio della "massima precauzione"), l'ostilità abbastanza diffusa da parte dei consumatori ha frenato la massiccia coltivazione e commercializzazione dei prodotti dell'agricoltura biotecnologica.
In Italia, la coltivazione in campo di OGM è proibita, se non a scopo sperimentale, e comunque, in aree confinate e opportunamente individuate tramite specifiche autorizzazioni. Le attenzioni poste dal nostro Paese al settore primario si estendono anche alle attività a valle: dalla trasformazione fino alla distribuzione.
Le varietà più sperimentate sono: soia, mais, colza, riso, cotone, pomodoro, cicoria, tabacco, barbabietola, patata, olivo, vite, kiwi, fragola, ciliegio, melone, crisantemi, girasoli.
Le principali modifiche riguardano: resistenza ad erbicidi (soprattutto al glifosato) ed insetti (specialmente alla piralide), maschiosterilità (i famosi semi Terminator della Monsanto), inibizione della marcescenza (in particolare nei pomodori). Il numero dei geni impiegati in queste modificazioni non è superiore alla decina.
In particolare, la resistenza ad erbicidi ed insetti è la modifica più sfruttata in campo agronomico; infatti, il 90 per cento circa delle piante transgeniche sono piante con queste caratteristiche. Secondo i produttori, però, queste sono state le piante biotecnologiche di prima generazione create allo scopo di aumentare la produttività; le piante di seconda generazione, che si stanno attualmente sperimentando e che entreranno in commercio tra alcuni anni, consentiranno un miglioramento qualitativo di alcune caratteristiche alimentari. Ad esempio la produzione di vegetali con un contenuto elevato di alcuni particolari nutrienti utili alla salute umana (come le vitamine o alcuni aminoacidi).
Incertezze sugli effetti
L’inserzione artificiale di un transgene, può interferire fisicamente con l’espressione dei geni adiacenti alla zona d’inserimento. Una volta inserito in una cellula, infatti, il gene è incorporato nel genoma in modo casuale (randomly spliced), ma sempre in regioni attive dove ne è possibile l’espressione. L’inserimento può impedire, deprimere o stimolare l’espressione dei geni associati alle regioni attive del DNA dell'ospite ed è quindi in grado di influire anche su caratteristiche legate con la comparsa di sostanze impreviste.
I motivi cui è legata la possibilità che negli organismi GM compaiano sostanze allergeniche o tossiche possono essere ricondotti ai seguenti aspetti principali:
Al fatto che tecniche attuali non permettono un’inserzione mirata dei geni estranei nel genoma ospite implicando la possibilità che la struttura (e quindi la funzionalità) di geni endogeni correlati al sito di inserzione venga disturbata. Questa possibilità è resa più concreta dalla necessità di inserire i geni estranei in zone del DNA molto attive per quanto riguarda l'espressione genetica.
Al fatto che i promotori, che sono sequenze di regolazione sempre associate al transgene strutturale, possono interferire con l’espressione genetica a vari livelli. Inoltre, all’insieme promotore-gene strutturale sono spesso associate altre sequenze regolatrici, dette enhancers, che stimolano notevolmente l’espressione del transgene ma che possono avere lo stesso effetto anche sull’attività dei geni nativi circostanti, addirittura riattivando quelli normalmente disattivati in un certo tessuto o gruppo di cellule differenziate. Per questo motivo non si può escludere, per esempio, che geni codificanti per proteine dannose espresse normalmente solo nelle parti non edibili di una pianta, possano risvegliarsi e determinare la sintesi di queste sostanze anche in tessuti edibili e normalmente innocui. Il complesso promotore-enhancer, quindi, può influire sui delicati meccanismi che concertano l’attività genetica influenzando la biochimica cellulare in modo imprevedibile. 
Nella maggior parte dei casi il gene inserito non appartiene alla stessa specie dell’organismo ospite. Non c’è modo di sapere come l’organismo reagirà alla presenza di una proteina estranea, né come questa influenzerà il metabolismo e la biochimica cellulare. Anche questo può generare effetti imprevisti.
L’effetto di un gene dipende dal contesto in cui si trova. In un ambiente nuovo è attualmente impossibile prevederlo. 
La maggior parte delle proteine estranee inserite in organismi edibili non hanno mai fatto parte dell'alimentazione umana. Quindi non è possibile prevedere se l’alimento è sicuro se non attraverso una valutazione estensiva del rischio alimentare. 
Anche se la tipologia dei geni utilizzati attualmente rende questa categoria di fenomeno di rischio meno probabile delle altre, non si può escludere la possibilità che nel DNA inserto possano finire, inavvertitamente, delle sequenze di regolazione in grado di provocare complicazioni impreviste. La presenza di una sequenza di DNA inserito con attività di regolazione impreviste e in grado di influire anche sull’attività di altri geni, può manifestarsi con effetti diversi tra i quali la produzione di sostanze pericolose. 
L’ingegneria genetica porta alla produzione di "proteine di fusione" che possono risultare allergeniche. Queste proteine si generano da legame di sequenze di DNA che provengono da diverse sorgenti; la regione in cui le proteine vengono unite tende ad assumere conformazioni molto diverse da quelle originarie e piuttosto differenti da quelle che si riscontrano nelle proteine naturali. Tali conformazioni anomale possono essere facilmente riconosciute come "epitopi" dal sistema immunitario e sono quindi in grado di indurre una risposta allergica alla proteina.
Anche tra le sostanze note prodotte da alcune linee transgeniche, ovviamente, ce ne sono alcune che possono risultare tossiche o allergeniche.
D’altra parte, se un certo numero di complicazioni biochimiche impreviste a carico del metabolismo di piante transgeniche è stato già riscontrato e documentato, a causa della politica industriale portata ad esagerare i vantaggi del biotech ed a oscurare tutto ciò che ne evidenzi i rischi, c’è il sospetto che molti dati possano non essere stati riportati. Un esempio che giustifica questa affermazione, è quello della scoperta di danni intestinali in topi nutriti con pomodori transgenici FlavrSavr. I risultati di questa ricerca, portata avanti dagli stessi scienziati della FDA e volta a valutare l'eventuale necessità di introdurre test più approfonditi per la valutazione del rischio legato alla commercializzazione degli OGM, avevano motivato la richiesta di ulteriori test per valutare i dati emersi dal primo studio: ma tale richiesta non ha avuto alcun seguito e gli esperti della FDA conclusero, quindi, che i dati presentati dalla compagnia non erano sufficienti a dimostrare la sicurezza dell’OGM e che diverse domande restavano aperte. Nonostante questo, la FDA non solo ha approvato il pomodoro ma ha addirittura dichiarato che, le questioni rilevanti ai fini della valutazione di sicurezza della linea transgenica scelta per questa verifica generale risultavano risolte in modo tanto soddisfacente da non rendere necessarie indagini più rigorose per nessuno dei successivi alimenti GM. La cosa venne fuori un anno dopo, quando, nel corso di una causa contro la FDA , uscì fuori un documento confidenziale che descriveva questa vicenda (vedi:
http://www.psrast.org/fdalawstmore.hatm ).
Altro caso del genere è quello relativo all’ormone ricombinante della crescita bovina, alla dichiarazione della sua equivalenza con la sua controparte tradizionale e alla successiva scoperta di differenze capaci di modificare le proprietà e gli effetti di questa proteina (Violand BN et al. Protein Science. 3:1089-97, 1994). 
Tra le pubblicazioni scientifiche che dimostrano la presenza di effetti imprevisti a carico delle piante GM, se ne possono ricordare alcune.
Per esempio: una linea di tabacco GM per produrre l’acido gamma-linoleico che ha inaspettatamente prodotto principalmente acido octadecatetranico tossico e non esistente nelle varietà naturali (Reddy SA, Thomas TL. Nature Biotechnology, vol 14, sid 639-642, May 1996); una linea di lievito GM per aumentare la fermentazione ha prodotto un metabolite imprevisto (il metyl-glyoxal) in quantità tossiche e mutagene (Inose, T. Murata, K. Int. J. Food Science Tech. 30: 141-146, 1995); una linea di soia GM con un gene proveniente dalla Noce Brasiliana che ha determinato reazioni allergiche in persone non sensibili alla soia tradizionale (Nordlee, J.A. et al. The New England Journal of Medicine 14: 688-728; 1996); una linea di patate GM con un gene proveniente dal Bacillus thuringiensis (gene CryI var. kurstaki, ceppo HD1) che ha provocato danni intestinali a topi ( Nagui H. Fares, Adel K. El-Sayed. Natural Toxins Volume 6, Issue 6, 1998. Pages: 219-233); il caso drammatico del triptofano prodotto da un ceppo batterico ingegnerizzato che è stato responsabile della morte di 35 persone e dell’invalidità di altre 1500 (Mayeno, AN et al Tibtech 12:364, 1994).
     Un’altra ipotesi di rischio per la salute umana è la possibilità che i geni per le resistenze agli antibiotici (inseriti come marcatori dell'avvenuto trasferimento di materiale genetico in un organismo geneticamente modificato) possano diffondersi rapidamente arrivando ai microrganismi presenti nell'ambiente esterno o all'interno degli organismi animali (ad esempio la flora intestinale). Il passaggio di materiale genetico da organismi superiori a microrganismi è un fatto reale e non ipotetico, in quanto già osservato, tanto che a lanciare questo allarme sono stati alcuni ricercatori e scienziati dell'istituto Pasteur. La trasmissione di resistenze agli antibiotici da alimenti ogm ai microrganismi che popolano l'ambiente, l'uomo e gli animali avrebbe conseguenze catastrofiche (soprattutto per i microrganismi patogeni) in quanto tutta la chemioterapia contro i batteri diventerebbe presto inefficace.
I rischi per la salute umana appena descritti rendono l'idea della posta in gioco; sarebbe di fondamentale importanza per lo meno poter scegliere, cioè poter discriminare gli alimenti di origine transgenica per permettere, almeno alla frazione della popolazione particolarmente suscettibile (bambini, individui con problemi di natura allergica, ecc.) di evitare rischi del tutto superflui. Risulta però molto problematico, allo stato attuale, ottenere filiere agroalimentari "ogm-free". Il sistema americano per il maneggio delle granaglie è stato disegnato per grandi quantità e non per operare differenziazioni. Secondo Kim Nill, della American Soya Association, ci sono 10 punti durante il percorso dalla fattoria alla nave durante il quale tipi differenti di semi di soia vengono deliberatamente mischiati per incrementare la loro qualità. In questo senso molto importante sarà l'applicazione della recentissima legislazione europea (Regolamenti UE 49/2000 e 50/2000) che impone l'etichettatura agli alimenti che contengono più dell'1 per cento di ogm per ogni singolo ingrediente (l'1 per cento è da considerarsi come contaminazione casuale, e non volontaria).
A questo proposito va sottolineato che le metodologie per analisi quantitative di questo tipo non permettono ancora una estrema precisione nel produrre risultati certi ed inequivocabili. Il metodo per rintracciare ogm negli alimenti è basato sulla tecnica della PCR (polimerase chain reaction), una tecnica di biologia molecolare che sequenziando il DNA è in grado di determinare la presenza di geni esogeni; con questa tecnica si può arrivare a identificare un contenuto percentuale inferiore allo 0,1 per cento, ma con una variabilità del 20-30 per cento. Tutto ciò comporta il fatto che due laboratori diversi possono arrivare a determinare sullo stesso campione due concentrazioni diverse (ad esempio 0,9 per cento e 1,1 per cento); ci si troverà quindi di fronte ad una serie di contenziosi per l'etichettatura che metteranno a confronto i laboratori privati che certificano per l'industria alimentare ed i laboratori pubblici che eseguono i controlli.
Questa legge riguarda comunque alimenti che contengano ancora DNA o proteine di origine transgenica (vengono esclusi quindi gli alimenti purificati come gli oli di soia). Per adesso, almeno in Italia, è vietato l'utilizzo di prodotti transgenici per gli alimenti destinati alla prima infanzia (D.P.R. 128/99).
Il rischio ambientale
Un altro aspetto che andrebbe anche considerato è la valutazione del rischio ambientale. Infatti la coltivazione su larga scala di questi organismi geneticamente modificati può comportare effetti dannosi, non solo alla salute degli uomini, ma anche alla stabilità e agli equilibri degli ecosistemi con effetti che indirettamente si possono ripercuotere anche sull'uomo.
Tra questi rischi il principale è quello relativo all'inquinamento genetico: i pollini di questi ibridi ogm possono diffondere nell'ambiente anche per alcuni kilometri dalla coltura di partenza ed andare ad incrociarsi con varietà naturali comportando la diffusione incontrollata dei geni artificialmente immessi nell'ogm; a questo proposito va registrata l'assoluta inidoneità della legge che regola l'immissione deliberata di ogm nell'ambiente, la quale impone un limite di soli 200 metri tra le colture convenzionali e quelle transgeniche.
Inoltre, considerando che spesso queste piante ogm possiedono caratteri che le rendono avvantaggiate rispetto alle varietà naturali, è facile immaginare che possano prendere il sopravvento sulla flora naturale con notevoli ripercussioni negative sulla biodiversità.
Un altro problema ambientale correlato con gli ogm, anche se in maniera più indiretta, riguarda il fatto che molte delle modificazioni genetiche inserite riguardano l'assunzione di resistenza ad alcuni pesticidi: in sostanza rendendo la pianta coltivata (ma non le altre) resistente ad un determinato pesticida (soprattutto erbicidi a base di glifosato, sulla cui presunta innocuità si stanno ponendo forti dubbi), l'agricoltore si sentirà incentivato ad utilizzare grandi quantità di pesticidi con un notevole aumento dell'inquinamento di natura chimica e dell'esposizione degli agricoltori a queste sostanze (che si sono dimostrate più pericolose di quanto non si presumeva inizialmente).
Inoltre, potendo trattare le coltivazioni con l'erbicida in tutte le fasi vitali della pianta (e non solo prima della germinazione) i residui di queste sostanze tossiche sulle parti eduli aumenteranno sicuramente a discapito della salute dei consumatori.
Concludendo va rilevato che il mais biotecnologico, producendo in continuo la tossina che normalmente viene prodotta solo in alcuni momenti del ciclo della pianta, porterà probabilmente alla diffusione rapida della resistenza alla tossina da parte degli insetti, invalidando un ottimo insetticida naturale usato in agricoltura biologica.
Infine un recente studio riporta la rintracciabilità di questa tossina nel terreno (di campi coltivati con mais biotecnologico) per lunghi periodi ed in elevata quantità con conseguenze sconosciute.
Dall'esame della letteratura scientifica sull'utilizzo delle biotecnologie nel settore agroalimentare si evince che esistono due fronti di pensiero in contrasto tra di loro: coloro che ipotizzano alcuni rischi per la salute umana e per l'ambiente ed altri che, invece, minimizzano questi rischi o non li accettano per niente.
Questa divisione è ormai diventata anche politica e culturale, tanto che si possono identificare le due scuole di pensiero: l'europea (massima precauzione, prima si deve confermare l'innocuità poi si può commercializzare) e l'americana (prima si deve provare la pericolosità, poi si può ritirare dal commercio).
Negli ultimi mesi sono comparsi alcuni studi che criticano l'atteggiamento di precauzione manifestato soprattutto dai consumatori europei.
Alcuni di questi riguardano la potenziale pericolosità della tossina prodotta dal mais biotecnologico che si autoprotegge così dalla piralide; si ritiene, infatti, che è sicuramente più dannoso per la salute umana e per l'ambiente l'utilizzo di pesticidi organofosforici usati per combattere gli insetti che la tossina naturale biotecnologica. Secondo una ricerca della Iowa State University, inoltre, grazie al mais biotecnologico l'uso di pesticidi è diminuito del 15 per cento - 25 per cento, quindi un'ottima ricaduta per l'ambiente. 
Inoltre, il mais biotecnologico ha mostrato come effetto secondario di diminuire l'attacco e la contaminazione da parte dei funghi che producono le pericolosissime aflatossine; quindi meno aflatossine meno trattamenti con fungicidi pericolosi per l'uomo e per l'ambiente.

 

6 marzo

Università in agitazione per gli ultimi decreti ministeriali sulle classi di laurea.
Il ministero: "I provvedimenti vanno a vantaggio degli studenti"
Crediti uguali in tutti gli atenei
i rettori: ricorriamo al Tar

Settimane decisive: si attende la decisione della Corte dei Conti
di MASSIMILIANO PAPASSO
 
<B>Crediti uguali in tutti gli atenei<br>i rettori: ricorriamo al Tar</B>
Dopo l'opposizione alla riforma dello status giuridico dei docenti e le critiche ai criteri di ripartizione delle risorse alle università, un nuovo e importante capitolo si va ad aggiungere allo scontro tra governo ed atenei italiani. Questa volta a far infuriare rettori, presidi e docenti ci sono gli ultimi decreti ministeriali sulle nuove classi di laurea, approvati in via definitiva dalla Camera nella scorsa settimana e che adesso sono in attesa del giudizio della Corte dei Conti per essere firmati dal ministro Letizia Moratti e diventare operativi.

In particolare sono due i punti dei nuovi decreti a non andar giù agli atenei italiani: il nuovo sistema di riconoscimento e attribuzione dei crediti agli studenti per ogni singolo esame e l'attuazione della riforma "ad Y" già dal prossimo anno accademico. Uno scontro che si preannuncia più infuocato che mai, visto che se dovesse arrivare il nulla osta da parte della Corte dei Conti, le Università italiane hanno già in mente di presentare ricorso immediato al Tar per scongiurare quello che hanno già definito "un nuovo attacco all'autonomia degli atenei".

La guerra dei crediti. Gran parte dello scontro tra ministero e università si gioca proprio sul terreno dei crediti universitari. I nuovi decreti, infatti, obbligano gli atenei a riconoscere come vincolanti quei crediti acquisiti dallo studente nei casi di cambio o trasferimento da università diverse. In pratica, ogni ragazzo non potrà più essere privato dei risultati - seppur intermedi - conseguiti all'interno del proprio percorso di studi. Da Milano a Roma, come da Enna a Trento, i crediti degli studenti avranno lo stesso peso specifico e alle università non rimarrà che riconoscerli, a patto che si rimanga nel recinto (in verità abbastanza ampio) della classe di laurea di partenza. Il nuovo sistema va a modificare quanto introdotto nel 1999 dalla riforma Berlinguer-Zecchino, secondo cui ogni singolo credito doveva essere valutato a approvato dai consigli di facoltà. I nuovi decreti inoltre introducono l'attribuzione di un "valore minimo" per ogni singolo esame (sei) e un tetto di otto prove all'anno. In sostanza le facoltà non potranno più prevedere nei propri piani di studi degli esami che garantiscono agli studenti pochi crediti.

Attacco all'autonomia. Se per l'opposizione "con questo decreto si vuole introdurre una sorta di valore legale per ciascun esame universitario, introducendo così un appiattimento qualitativo degli studi e dei titoli conseguiti", per i rettori il pericolo più immediato è quello di mettere a rischio l'autonomia degli atenei. "Le novità introdotte dal governo pongono un serio limite all'autonomia del nostro sistema universitario - spiega Guido Fabiani, rettore di Roma Tre e membro del comitato di presidenza della Crui -. Gli atenei hanno il diritto e il dovere di intervenire sulla qualità dei crediti acquisiti dagli studenti all'interno di un'altra esperienza di studio. Obbligando le università a riconoscerli, oltre a fare un passo indietro sul tema della valutazione tanto sbandierato da questo governo, si vuole dare una mano anche a quegli atenei privati nati negli ultimi anni". Non è fantascienza infatti prevedere che da molte dalle università sbocciate sotto l'ala protettrice della Moratti ci possa essere presto una migrazione di massa di studenti verso atenei più prestigiosi. Insomma l'ipotesi che si potrebbe avverare è che uno studente ottenga 2/3 della laurea in un ateneo "di serie B" e poi si trasferisca in una grande struttura per dare un valore aggiunto alla sua laurea. "Opponendoci a questa riforma - conclude Fabiani - vogliamo tutelare gli stessi studenti e la qualità del loro titolo di studio. Non ci può essere riconoscimento senza una attenta verifica della qualità del lavoro svolto".

L'incognita dei percorsi "ad Y". Oltre al sistema dei crediti, la partita tra governo e atenei si gioca anche sui tempi di attuazione della riforma "ad Y", che dovrebbe mandare in pensione il sistema del "3+2". Il nuovo percorso di studi prevede la possibilità da parte degli studenti - dopo un primo anno propedeutico e comune a tutti - di scegliere se conquistare una laurea triennale per provare ad entrare subito nel mondo del lavoro, oppure continuare a studiare per altri quattro. Se il meccanismo della riforma era chiaro già da tempo a molte università, i nuovi decreti approvati mercoledì scorso hanno accelerato i tempi di attuazione, prevedendo la partenza dei nuovi corsi già dal prossimo anno accademico e in ogni caso non oltre il 2007/2008. Una previsione secondo i rettori "azzardata" visto che l'offerta formativa degli atenei è stata già preparata secondo il vecchio ordinamento e non ci sarebbe più spazio per pensare ad una loro modifica. Anche perché proprio oggi partono le preiscrizioni degli studenti dell'ultimo anno delle scuole superiori.

"Più potere agli studenti". Ma se i nuovi decreti non sembrano andar giù a rettori e docenti, l'ennesima rivoluzione del sistema universitario italiano sarà accolto con grande soddisfazione dagli studenti, almeno secondo il sottosegretario del Miur Maria Grazia Siliquini, che più di tutti si è battuta per l'attuazione della riforma. "Sono molto soddisfatta - ha spiegato la senatrice di Alleanza Nazionale dopo l'ultimo via libera del Parlamento - perché siamo riusciti ad accogliere le osservazioni del Cun e dei giovani del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari. Con questi decreti abbiamo voluto favorire la mobilità dei giovani tra corsi di laurea simili e tra atenei diversi. Sempre per il bene degli studenti, abbiamo voluto evitare un numero eccessivo di esami e la frammentazione dei crediti formativi assegnati ai vari insegnamenti, che ha contribuito alla parcellizzazione degli stessi, allo scadimento complessivo della qualità nella formazione nonché alla degenerazione di diverse facoltà, trasformatesi in semplici esamifici".

3 marzo

Grandi opere: lavori infiniti, inaugurazioni bluff
costi spesso lievitati e tanti progetti nel cassetto
L'Italia dei cantieri promessi
radiografia di uno spot

Solo in un caso su cinque dagli annunci alla fase operativa
di GIOVANNI VALENTINI
 
<B>L'Italia dei cantieri promessi<br>radiografia di uno spot</B>
Lavori per il viadotto
di San Teodoro

ROMA - Grandi Opere o grandi bufale? Progetti o promesse? Lavori pubblici o piuttosto affari privati?
Il trionfalistico spot di un minuto diffuso a nostre spese, cioè di tutti noi contribuenti, dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sulle tv nazionali alla vigilia della campagna elettorale, e ora bloccato dall'Authority sulle Comunicazioni in nome della "par condicio", è una cartina di tornasole per il governo di Silvio Berlusconi; il banco di prova della sua affidabilità; un test per misurare la sua capacità di realizzare quanto aveva annunciato e di mantenere gli impegni assunti nel mitico "contratto con gli italiani". Il contenuto di quei 60 secondi merita perciò una verifica punto per punto, con l'ausilio di alcuni documenti ufficiali - come l'ultimo Rapporto sull'attuazione della cosiddetta "Legge Obiettivo" elaborato dal Servizio studi della Camera dei Deputati nel luglio 2005 e quello più recente dello stesso ministero - e con la consulenza tecnica degli esperti del Wwf.

Più che un'eredità di opere o di cantieri, quella che il centrodestra lascia dopo cinque anni alle generazioni future è in realtà una pesante ipoteca sul Belpaese: non solo per l'impatto ambientale, spesso sottovalutato in base a progetti preliminari per lo più superficiali, approssimativi e affrettati, ma soprattutto sul piano economico e finanziario.

A sei mesi dal suo insediamento, nel dicembre 2001 il governo Berlusconi aveva fatto carta straccia del Piano generale dei Trasporti, elaborato dall'ultimo governo di centrosinistra su impulso dell'ex ministro Pierluigi Bersani, per sostituirlo con il primo Programma delle Infrastrutture strategiche in cui elencava 117 opere per un costo valutato originariamente in 125,8 miliardi di euro (delibera Cipe n.121/2001), senza tuttavia indicare esattamente le risorse né tantomeno la loro provenienza.
 

Questo faraonico "libro dei sogni", privo di un'adeguata copertura finanziaria, nel tempo è andato crescendo a dismisura: secondo i rapporti elaborati dal Servizio studi della Camera, in collaborazione prima con il Cresme (il maggiore centro di ricerca nel settore dell'edilizia) e poi anche con l'Istituto Nova, nel 2004 il numero delle Grandi Opere era salito a 228, per un importo di 231,8 miliardi di euro e nel 2005 è arrivato a 235 interventi, per 264,3 miliardi di euro.

Già il dato che dopo quattro anni il costo complessivo del programma risulta raddoppiato, dimostra che il piano delle infrastrutture è fuori controllo. Una lista della spesa, insomma, una posta, un valore teorico come quello che si attribuisce convenzionalmente alle fiches di varie forme e colori quando si gioca a poker. Ma visto che in questa legislatura il debito pubblico ha ricominciato pericolosamente a crescere, fino a superare il 106% del Pil, stiamo maneggiando una bomba a orologeria che minaccia di compromettere ulteriormente il bilancio già dissestato dello Stato italiano.

Con lo spot del ministro Lunardi ancora negli occhi e nelle orecchie, proviamo a verificare quanto è stato effettivamente realizzato di quel Programma, ricordando che nel suo contratto unilaterale Berlusconi s'era impegnato ad aprire cantieri per "almeno il 40%" degli investimenti previsti.

Nella migliore delle ipotesi, in base al rapporto diffuso recentemente dallo stesso ministero delle Infrastrutture sulla cosiddetta "Legge Obiettivo", l'attuazione del piano decennale è ferma invece al 21,4% (cioè 37,2 miliardi di opere effettivamente "cantierate" su un costo complessivo aggiornato a 173 miliardi di euro) e forse a giugno potrebbe raggiungere il 25,4% arrivando - secondo quanto annunciato - a 44 miliardi. Se invece si prendono come riferimento i 264 miliardi stimati dal Servizio studi della Camera, allora la realizzazione del programma sarebbe appena al 14%.

<B>L'Italia dei cantieri promessi<br>radiografia di uno spot</B>
Lavori sul Raccordo di Roma

Ma la verità è che buona parte delle "Grandi Opere" attivate dal governo in carica erano state già predisposte e avviate sotto i governi precedenti oppure sono rimaste purtroppo sulla carta, se è vero che all'aprile scorso quelle effettivamente concluse rappresentavano appena lo 0,2% del totale (pagina 21 dello studio della Camera). Vediamo in dettaglio, seguendo l'ordine dell'autopromozione televisiva del ministero, voce per voce, titolo per titolo.

1) Roma, Raccordo e galleria raccordo. I lavori sul Grande Raccordo Anulare non sono né una "grande opera" né tantomeno una grande novità. Si tratta in effetti del completamento delle terza corsia nel quadrante Nord-Ovest, per un totale di 18 chilometri e 350 metri (di cui 9 chilometri e 450 metri già completati in precedenza e altri 8 chilometri e 900 metri da completare tra aprile e agosto del 2006), con un costo complessivo di 613 milioni di euro.

L'ammodernamento del Gra era stato già avviato in precedenza con la costruzione della terza corsia fra la Laurentina e la Tuscolana e con il doppio tunnel sotto l'Appia antica. Ancora prima, negli anni Novanta, fu aperta la bretella autostradale Fiano-San Cesareo per abbreviare la distanza tra Firenze e Napoli, dirottando appunto una parte del traffico che si riversava sul tratto orientale del raccordo.

2) Napoli, piazza Municipio. L'immagine utilizzata nello spot del ministro Lunardi è come un fondale di cartone: riguarda il cantiere di una delle tratte in corso di realizzazione per il completamento della Linea 1 della metropolitana di Napoli. L'opera fu progettata alcuni decenni addietro e all'inizio degli anni Novanta venne aperto il primo tratto.
 
<B>L'Italia dei cantieri promessi<br>radiografia di uno spot</B>
I lavori per il Mose


3) Palermo-Messina. I lavori per la realizzazione dell'autostrada Palermo-Messina (circa 240 chilometri) iniziarono negli anni '70, con l'apertura dei cantieri nel primo tratto Messina-Villafranca. Il completamento dell'opera è stato finanziato solo in minima parte con i fondi della Legge Obiettivo dal governo di centrodestra: la parte più consistente proviene da un co-finanziamento della Regione Sicilia, dello Stato italiano e della Commissione europea a metà degli anni Novanta.

La cerimonia d'inaugurazione, voluta per motivi elettorali dal presidente del Consiglio Berlusconi il 21 dicembre 2004, s'è rivelata una farsa: dopo appena due giorni, l'autostrada è stata richiusa per proseguire i lavori. Secondo un calcolo della Fillea-Cgil, il maggior sindacato dei lavoratori edili, tutto ciò ha provocato un ritardo di circa sei mesi nel completamento dell'opera. Ancora adesso nelle due direzioni (Palermo-Messina e Messina-Palermo) sono aperti una decina di cantieri per la sistemazione definitiva delle gallerie e per la costruzione delle aree di sosta. In molti tratti, perciò, il traffico è ridotto su un'unica corsia.

4) Variante di Mestre. I lavori sono effettivamente iniziati soltanto per la tratta di collegamento fra l'A4 (Venezia-Trieste) e l'A27 (Venezia-Belluno). Per quella più lunga, invece, siamo ancora alla fase degli espropri, mentre è in corso lo spostamento della linea del metano a Bonisiolo.

Il progetto su cui ha puntato il governo è il cosiddetto "Passante largo": 32 chilometri e 300 metri per un costo di circa 750 milioni di euro. Gli ambientalisti non si sono mai opposti alla variante, ma contestano il fatto che fra tutte le ipotesi alternative è stata scelta - a loro giudizio - la soluzione peggiore: cioè quella più costosa e a maggior impatto ambientale.

5) Olbia-Nuoro, viadotto San Teodoro. Questa "grande opera" è semplicemente una piccola bretella di 23 chilometri tra Siniscola e San Teodoro (costo 37 milioni di euro). Anche questa progettata e avviata da tempo, serve a bypassare un tratto particolarmente pericoloso della strada statale 131 bis, appunto tra Nuoro e Olbia.

6) Piloni della Cisa. Si tratta del raccordo destinato a congiungere la A15 Parma-La Spezia, meglio nota come "AutoCisa", con la A22 del Brennero. Probabilmente, nello spot di Lunardi si punta sui piloni di cemento, ancora in costruzione, proprio perché la loro immagine è più scenografica e suggestiva.

7) Autostrade del Mare. Sono un progetto di derivazione comunitaria che ha l'obiettivo di collegare operativamente i vari porti del Mediterraneo. Ma al momento, in Italia, sono soltanto aria fritta. Finora, l'unico provvedimento concreto del governo Berlusconi è stata l'istituzione nel 2004 della Società Rete autostrade mediterranee, partecipata al 95% da Sviluppo Italia e co-governata in forza di una convenzione insieme al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Dei quattro collegamenti previsti dall'Unione europea, due interessano in particolare il nostro Paese: l'asse Sud-Est (che comprende l'Adriatico, lo Ionio e il Mediterraneo orientale fino a Cipro) e quello Sud-Ovest (che comprende la Spagna, la Francia, l'Italia e Malta). Fatto sta, comunque, che l'ultima legge finanziaria ha tagliato i fondi ai porti che sono i "caselli" naturali delle Autostrade del Mare, provocando la protesta di tutti gli operatori.

8) Viadotto Salerno-Reggio Calabria. Anche in questo caso, lo spot ministeriale si concentra sull'immagine più spettacolare. In totale, i lavori per il completamento e ammodernamento dei 204,5 chilometri dell'Autostrada Salerno-Reggio Calabria dovrebbe costare 5 miliardi e 832 milioni di euro (Fonte: Servizio studi della Camera). Ma in base alle stime contenute in un dossier Fillea-Cgil dell'ottobre 2004 la decisione di accorpare i lavori in 6 macro-lotti, affidandoli a "general contractor" e liberalizzando in sostanza i sub-appalti, ha fatto quintuplicare i costi rispetto alla legge Merloni con il rischio di alimentare l'infiltrazione mafiosa. E a questo ritmo, secondo lo stesso sindacato, per finire i lavori occorreranno 36 anni.

9) Tav, autostrade e ferrovia ad alta velocità. Qui si fa di tutte le erbe un fascio mettendo insieme l'ampliamento delle autostrade e la nuova ferrovia. Secondo il Wwf, per realizzare i 1.500 chilometri della dorsale ad alta velocità (Torino-Milano-Roma-Napoli) e della trasversale (Torino-Trieste, dal confine francese a quello sloveno) occorrono almeno 60 miliardi di euro. Nel 1991, quando fu varato il progetto, la stima era di 13 miliardi.

Per evitare che il programma facesse saltare il bilancio delle Ferrovie, nel 2002 il governo Berlusconi istituì la "Infrastrutture Spa" (Ispa) con lo scopo di finanziare la Tav attraverso l'emissione di obbligazioni statali. Ma, trattandosi di linee considerate non redditizie dagli stessi operatori, nel 2005 l'Eurostat (l'istituto di statistica europea) non ha voluto certificare i bilanci 2003-2004 della Repubblica italiana, sollevando 6 eccezioni ed esprimendo in particolare "dubbi sulla correttezza di alcuni dati e sul ruolo dell'Ispa nel finanziamento della Tav". Veniva così confermato il sospetto che in realtà "Infrastrutture Spa" fosse uno strumento di finanza creativa per alleggerire artificiosamente il bilancio statale dagli investimenti sull'alta velocità.

La cronaca degli ultimi mesi racconta che il 22 dicembre 2005, proprio all'indomani dell'incidente ferroviario di Roccasecca, doveva essere inaugurata l'alta velocità Roma-Napoli dopo 14 anni di attesa. Per ovvi motivi di opportunità, la cerimonia è stata rinviata di qualche giorno. Concepita anche in funzione della redditività per instradare un treno passeggeri ogni quarto d'ora e un treno merci ogni mezz'ora, per adesso la linea sopporterà due coppie di convogli al giorno. In attesa però dell'ultimo tratto per il collegamento con la stazione di Afragola, la Tav finisce a 18 chilometri da Napoli e poi si procede a velocità normale.

10) Mose di Venezia. È il sistema tecnologico per la regolazione dell'acqua alta a Venezia (costo stimato 5 miliardi di euro), attraverso un complesso sistema di dighe mobili. A tutt'oggi, risulta che siano iniziati solo i lavori di dragaggio e scavo per aumentare la profondità delle tre bocche di porto di Malamocco, Lido e Chioggia e della cosiddetta conca di navigazione.
Ma il governo Berlusconi, dopo aver inserito l'opera fra le "infrastrutture strategiche", ha eluso completamente le procedure di impatto ambientale in un'area come quella della Laguna in cui esistono almeno una decina di zone tutelate dall'Unione europea. Perciò sia il Wwf con la Lipu (Lega per la protezione degli uccelli) sia i parlamentari Verdi al Parlamento di Strasburgo, hanno presentato un ricorso alla Commissione di Bruxelles che il 17 gennaio scorso ha messo in mora l'Italia per la violazione della normativa comunitaria, aprendo formalmente una procedura d'infrazione.


2 marzo

Le bugie della RAI sull'Influenza Aviare
Tratto da http://www.biozootec.it
Visto su www.criticamente.it

In questi periodo, a causa della solita cattiva informazione data dai media, i consumi di carni avicole sono scesi drasticamente, si parla di meno 70%.  A questo disastro si sono aggiunti, in questi ultimi giorni, i commenti della RAI che individuano gli allevamenti rurali come i più a rischio di Influenza Aviare. Si stanno umiliando migliaia di agricoltori che ancora credono nel lavoro della terra. In pratica i prodotti avicoli d'eccellenza allevati all'aperto con metodi antichi, sarebbero un pericolo per i consumatori. Produzioni tradizionali come il Brianzolo in Lombardia, il Perniciato in Emilia, la Valdarnese in Toscana, la Padovana e la Polverara in Veneto, la Bianca di Saluzzo in Piemonte, il Gigante nero in Liguria, la Siciliana in Sicilia e le altre decine di produzioni di elevata qualità sono di colpo denigrate. Ma queste affermazioni, drammatiche se vere o sciagurate se false, che fondamento di verità hanno?
Ma è proprio vero che gli allevamenti rurali sono i più a rischio? 
Per valutare questo pericolo facciamo un po' di conti su quanto è successo dal dicembre 1999 all'aprile 2000 quando il virus dell'Influenza Aviare (H7N1) ha colpito le campagne venete e lombarde portando alla morte quasi 14 milioni di capi.
Per brevità confrontiamo i focolai scoppiati negli allevamenti lombardi di galline ovaiole. 
Consideriamo come allevamenti rurali e/o biologici quelli con meno di 3.000 galline accasate mentre indichiamo come industriali quelli con più di 3.000 galline.
I dati dell'epidemia parlano chiaro: 72 focolai di Influenza negli allevamenti industriali della Lombardia e solo 4 casi in tutti gli altri allevamenti lombardi rurali e/o biologici. Se rapportiamo i dati relativi ai focolai con il numero delle aziende (fonte ISTAT, Censimento Agricoltura 2000 ) risulta che sono stati colpiti il 43% degli allevamenti industriali di galline ovaiole contro un bassissimo numero di allevamenti rurali: 4 su 17.000.
Con i dati messi a disposizione dagli Istituti Zooprofilattici e dall'ISTAT si possono riproporre moltissimi esempi di questo tipo e in qualsiasi modo le informazioni oggettive vengano elaborate, danno sempre lo stesso risultato: gli allevamenti a rischio sono quelli industriali mentre gli allevamenti rurali sono i più sani e salubri. Non è certo una novità: la debolezza genetica , degli animali allevati dall'industria, e un metodo d'allevamento innaturale (eccessiva concentrazione di animali) rendono gli allevamenti intensivi molto vulnerabili a qualsiasi virus.
Come il buon senso poteva far intuire, le produzioni rurali, con razze a lento accrescimento e con libertà di pascolo, sono ancora le uniche a produrre qualità e le più sicure per i consumatori.

 

Un documento dell'inchiesta smentisce il premier
erano della Fininvest i fondi neri che finanziarono il Psi
"Silvio mi parlò dei soldi a Craxi
Incassero dopo i suoi processi"

Nelle carte sequestrate nello studio londinese di David Mills
le parole dell'avvocato che Berlusconi dice di non conoscere
di LUCA FAZZO


L'avvocato David Mills

MILANO - Due affermazioni cruciali di Silvio Berlusconi vengono smentite dai documenti che la polizia britannica ha inviato alla Procura di Milano nell'ambito dell'indagine su David Mills, l'avvocato che creò il sistema di società occulte della Fininvest. La prima affermazione di Berlusconi risale a undici anni fa: quando indicò la società All Iberian come "una società inglese" incaricata semplicemente di seguire un contratto televisivo. La seconda affermazione di Berlusconi è di pochi giorni fa, quando ha dichiarato di non avere mai conosciuto David Mills.

Ecco, invece, il documento sequestrato negli studi londinesi di Mills e inviato in Italia. La data è del 25 novembre 1995: due giorni prima la Procura di Milano ha inviato un nuovo ordine di custodia contro Bettino Craxi, ex segretario del Partito socialista, latitante ad Hammamet, l'accusa è di avere ricevuto dieci miliardi di lire sottobanco dalla società All Iberian, dietro quella società secondo la Procura c'è Berlusconi.

Il Cavaliere si indigna. A Repubblica dichiara: "È una distorsione dei fatti inaccettabile. Una società del mio gruppo, la Principal, ha contratti per la compravendita di diritti con una società olandese. La Principal ha dato mandato ad una società inglese, la All Iberian, di seguire il contratto".

Peccato che nello stesso giorno il Cavaliere si senta al telefono con David Mills. Lo rivela l'appunto di Mills: "Quando ho parlato a Silvio Berlusconi giovedì (il 23 novembre, ndr) lui ha insistito sul fatto che le ultime accuse sono motivate politicamente. Sono bombe politiche perché i giudici di Mani Pulite ora a Milano sono in grado di affermare che dietro questo pagamento a Craxi ci sia Berlusconi. Al momento del pagamento, alla fine del 1991, Craxi non era primo ministro. Di conseguenza l'unica imputazione che può essere contestata è quella che ci sia stato un contributo non dichiarato a un partito politico. Non c'è nessuna accusa di corruzione perché Craxi non ricopriva alcun incarico pubblico. Naturalmente in questo paese non si tratterebbe di reato, come Berlusconi ha insistito a farmi notare".

Mentre in Italia nega di controllare All Iberian e parla di pagamenti di diritti televisivi, Berlusconi si precipita a parlare con l'uomo che ha creato All Iberian per conto di Fininvest e gli racconta, pur ridimensionandola, la vera storia di quei soldi a Craxi: un finanziamento illecito, nessuna corruzione, una cosa che in Inghilterra non sarebbe perseguibile penalmente.

In quei giorni del 1995 i contatti tra l'avvocato inglese, Berlusconi e i suoi collaboratori sono intensi. Qualche tempo dopo, Mills accetterà di venire interrogato dai magistrati italiani e darà la sua versione su All Iberian, ammettendo solo l'innegabile sfumando quanto possibile il ruolo del Cavaliere. E molti soldi inizieranno a muoversi sui suoi conti correnti.

Ed è qui che spunta un altro documento un po' inquietante, sequestrato dalla polizia inglese. È un file del computer di Calkin Pattinson, un gestore di fondi che si occupa delle finanze di Mills. Pattinson ricapitola la situazione del suo cliente: gli affari con Flavio Briatore, le 150mila sterline di stipendi annui, le 12mila che incassa dal suo vecchio studio legale, le 70mila dello stipendio di ministro di sua moglie Tessa.

E poi scrive: "Nel Regno Unito Mills è in possesso di approssimativamente 500mila sterline degli affari italiani e che sono attualmente depositati presso Guinness Mahon. Non porterà via il denaro fino a quando il processo a Berlusconi non sarà terminato, il che potrebbe significare fino al 2001".

Perché Mills ha dei soldi - circa 750mila euro - che potrà incassare solo dopo la fine del processo al Cavaliere? La Procura ha un sospetto: perché l'incasso dei soldi era condizionato all'esito dei processi, al successo conseguito dalle amnesie di Mills davanti ai giudici italiani.

 
COMMENTO
L'ultimo show elettorale
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON - Con la lealtà verso i propri fedelissimi che lo contraddistingue, George Bush ha rispettato il contratto che aveva sottoscritto con quel Silvio Berlusconi quando aveva scelto di schierarsi contro la Vecchia Europa e con l'America dei nuovi guerrieri. Lo show elettorale che il governo italiano aveva implorato da mesi negli studios americani, è stato prodotto e consegnato, quando Bush ha definito la propria relazione con Berlusconi più che "personale", "strategica", dunque profonda. Se questa scommessa berlusconiana che ha puntato sull'endorsement, sull'investitura di un presidente americano sempre meno popolare in casa (34% nei disastrosi sondaggi di ieri) e nel mondo, funzionerà, si vedrà naturalmente il 10 aprile prossimo.

Ma l'amico americano ha pagato la cambiale staccata tre anni or sono. Che una zaffata elettorale italiana sarebbe entrata in quello Studio Ovale, dove è passata tanta della nobile e meno nobile storia del nostro tempo, era previsto e voluto: ma alla fine la Casa Bianca ha dovuto correggere l'impressione di un'eccessiva sponsorizzazione del Cavaliere. E le ragioni della diplomazia l'hanno spinta a precisare che "le parole di apprezzamento personale del Presidente non vanno interpretate come un'investitura del governo americano a una parte politica. Noi non interferiamo nelle scelte elettorali italiane". Un copione prevedibile.

Non sorprende neppure la malinconia da talk show esplosa in uno scambio di battute fra Prodi ("è la festa americana d'addio") e Berlusconi ("sarà invece il giorno del suo funerale") che aveva preceduto il cosiddetto colloquio di stato.

Lo spot, prodotto sfruttando la doppia veste del nostro premier per aggirare la legge sulla par condicio nella sua funzione di capo del governo nazionale, non più di leader di partito, e dilagare nei telegiornali, così come il discorso alle Camere americane di questa mattina, era l'obbiettivo di una visita troppo vicina al voto per non essere vista per quello che è, un'operazione di propaganda elettorale. Si può dire che Bush ha mantenuto la promessa del suo contratto con Berlusconi.

Il ruolo e l'interessamento del Lord Protettore americano del centrodestra italiano erano rimasti pericolosamente in sospeso, e in dubbio, quando la loquace imprudenza di Berlusconi aveva attribuito a Bush, lo scorso ottobre, un esplicito voto di sfiducia contro l'Unione e Prodi. Le istituzioni americane erano state costrette a reagire subito, proclamando la loro neutralità formale. Da quella gaffe, malamente ricucita, era nata l'esigenza bruciante per un governo impegnato in una lotta per la propria vita, di organizzare un altro spettacolo di sostegno e di fiducia abbastanza prossimo al voto per servire agli interessi del centrodestra. Ma non troppo vicino, per non generare l'antico e triste sospetto della sovranità limitata italiana, riportandoci ai lugubri tempi degli appelli paternalistici a votare pro o contro, quale in sostanza anche questo è. E Bush ha fatto il proprio dovere contrattuale. Ha dato al rapporto con Berlusconi un senso "strategico", dunque un orizzonte più ampio del mese che manca al voto; ha accettato una domanda-assist sui pregi della stabilità di governo, un altro dei temi più cari alla propaganda del centrodestra ("è meglio che dover ricominciare a conoscersi con un nuovo leader ogni anno") ha toccato un altro tasto classico dell'arsenale bushiano, quando ha definito Berlusconi "un uomo di parola", uno che "mantiene la parola". Uno degli slogan più ripetuti dalla macchina dello spin, della persuasione costruita attorno a Bush è infatti essere "uno che dice quello che fa, e fa quello che dice", indipendentemente dalla verità.

La scelta berlusconiana di implorare l'investitura elettorale dal soglio imperiale non viene neppure turbata dal ritiro annunciato del nostro corpo di spedizione italiano, come ormai tanti partecipanti alla esausta "coalizione volontaria" da un Iraq dove sono state uccise 1.300 persone in un weekend, secondo i cronisti del Washington Post che sono andati a contare cadaveri negli obitori di Bagdad. Ma questa furbata di ritirarsi, ma con il consenso, come quella di avere combattuto senza ammettere di essere in guerra, rientra in quel quadro di accettabile incoerenza italiana che diplomaticamente passa per "divergenze di opinioni", come ha benevolmente concesso il Presidente Usa.

Il prezzo che Bush ha dovuto pagare per non perdere anche Berlusconi, dopo una dozzina di alleati già usciti, è permettere queste versioni moderne delle classiche pantomime italiane in salsa neo-con, "non belligeranze" per diffondere la democrazia e ritiri spacciati come "missione compiuta", sempre nel segno dei "valori comuni". Non è l'encomiabile sacrificio delle nostre forze armate che possa fare molta differenza nella guerra civile a bassa intensità scoppiata in Iraq, quando neppure i 130 mila soldati Usa riescono a controllare la strage quotidiana.

Il senso di quell'aggettivo "strategico" che Bush ha regalato al suo Berlusconi come viatico elettorale non è infatti militare, ma è "ideologico". È affinità di visione e condivisione di quei "valori" che sono la parola mistica e il passepartout che hanno fatto vincere Bush e ora Berlusconi tenta di importare in Italia usando il copione scritto negli Stati Uniti da Karl Roveper il figlio di George Bush il Vecchio. Li sentiremo esaltare più volte oggi, come colonna sonora del discorso che il presidente del Consiglio pronuncerà nell'aula della Camera, e che per tutto il pomeriggio di ieri ha diligentemente, testardamente cercato di mandare a memoria, chiuso nella residenza ufficiale della Blair House, con le schede per la pronuncia figurata scritta dai suoi coaches linguistici, dagli allenatori. Alcuni diplomatici italiani, che tentarono invano di dissuaderlo all'epoca, ricordano con un frisson d'orrore il misterioso discorso che Berlusconi si ostinò a pronunciare in inglese all'ultima assemblea dell'Onu e il cui contenuto rimase largamente oscuro alle delegazioni in aula. Ma ci assicurano che il suo inglese sia molto progredito e comunque l'accento, la pronuncia, l'intelleggibilità dell'indirizzo alle Camere riunite non sono importanti, perché il contenuto è già chiaro.

Berlusconi si è definitivamente, strategicamente legato al carro di George Bush e con quello è destinato a trionfare o a sfasciarsi nel Circo Massimo delle elezioni italiane.


 

 

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