Archivio marzo 2006
30
marzo
Eletto-choc
Alessandro Robecchi
Ah, quei poveri bambini cinesi che i comunisti facevano
bollire! Unico tra i grandi leader occidentali, solo Silvio li ha ricordati con
affetto, denunciando la cattiveria dei loro bollitori. Un lampante caso di
solidarietà tra bolliti.
Il Cavaliere Caimano ha ancora fame
di tv
Berlusconi getta tutte le sue reti nella
campagna elettorale e cancella dall'etere alleati e opposizione. Il Cavaliere
teme il voto e torna a parlare di «esprorio». Ma l'Unione è prudente
MATTEO BARTOCCI
ROMA
Il Caimano italiano è nato nella palude dell'etere
televisivo e durante le tante guerre che ha fatto per arrivare a dominare la
comunicazione ha imparato a usare i suoi artigli davvero al suo meglio. Per la
prima volta dopo tanto tempo, a due settimane dal voto, oggi si sente messo
nell'angolo, sente odore di sconfitta e spinge le molteplici antenne mediatiche
che sono in suo possesso contro tutto e tutti. L'orribile museruola della «par
condicio» non esiste più, neanche come palliativo per una seconda Repubblica
nata e moritura gravemente malata. Di fatto, non c'è più bavaglio possibile. A
dodici anni dalla sua «discesa in campo» non c'è argine che tenga. Né etico, né
deontologico, né normativo. C'è un uomo solo nell'etere italiano. Il mero
proprietario di Mediaset è ovunque, qualsiasi cosa dica. Lo dimostrano tutti i
dati che gli organismi, non sempre trasparenti (caso Auditel docet), diffondono
come da dovere durante la campagna elettorale. E' comprensibile che Prodi non
ami andare a parlare nelle aziende del suo diretto avversario. Dallo
scioglimento delle camere a oggi Silvio Berlusconi ha parlato nei suoi
telegiornali per più di due ore, l'antagonista Romano Prodi per 20 minuti. Sulla
testata del «simpatico» Emilio Fede, Forza Italia da sola assorbe il 78,27 per
cento del tempo in voce complessivo. I Democratici di sinistra, primo partito
dell'opposizione, si fermano all' 1,26%. Sono cifre da Minculpop. Eppure è
possibile fare di peggio. Studio Aperto, diretto dal giovane Mario Giordano,
dedica al Cavaliere quasi l'86 per cento del tempo-voce complessivo dedicato ai
politici. I Ds non vedono neanche l'1% e si fermano allo 0,55%. In concreto,
Silvio parla per un quarto d'ora, Fassino per 6 (sei) secondi. Non fa eccezione
l'«obiettivo» Tg5 diretto da Carlo Rossella, che dedica agli azzurri 14 minuti
contro i 3 dei Ds.La media del Biscione è «sovietica»: 66% a Forza Italia (1 ora
e 20 minuti), 4% scarso alla Quercia (poco più di 4 minuti). Della qualità
giornalistica di questi programmi può giudicare chi li guarda. Ma se si aggiunge
che le ultime battute del Cavaliere vanno forte come quantità anche sulla Rai -
dove nei tre Tg la Cdl parla per oltre 3 ore (il 56,47%) contro le 2 ore e un
quarto dell'Unione (42,35%) - e sul «britannico» TgLa7 (Cdl 57,34%-Unione
40,87%), si comprende bene che il «conflitto di interessi» non è solo il parto
di «fanatici» del bilancino. Mediaset, amministrata dai figli e dagli amici di
una vita, gonfia le prestazioni del Cavaliere con dosi di anabolizzanti che
disintegrano la politica italiana. Berlusconi però arringa chi crede ancora in
lui agitando il ben rodato drappo rosso dell'«esproprio». Una parola che darebbe
i brividi a chiunque. Dai microfoni di Radio anch'io sentenzia: «Le minacce nei
miei confronti e delle mie aziende dimostrano che viviamo ancora in un paese in
cui una parte deve avere timore che vinca l'altra parte, dimostra che non siamo
ancora in una piena e compiuta democrazia». Il capovolgimento della realtà è
così completo. «Prodi e la sinistra vogliono mandare Rete4 sul satellite e
licenziare più di mille persone», avvisa gli italiani. Il fatto che dopo tanti
anni, correvano gli '80 e c'erano gli odiati «pretori», si ripetano sempre le
stesse cose dimostra il buco nero in cui è avvolta la politica italiana. Sulla
scacchiera i pezzi sono gli stessi del '96. Stavolta il centrosinistra, da
Romano Prodi, in giù, promette che non ripeterà l'errore del passato e farà una
«vera legge sul conflitto di interessi». Una legge europea, americana, liberale,
non punitiva, di sistema e non ad personam. Ma oggi come allora i contorni di
questo intervento non si vedono. Sul piatto ci sono tre parole chiave: blind
trust, incompatibilità, ineleggibilità. Nelle nebbie anglofone, a pochi passi da
una possibile vittoria, il centrosinistra teme di cadere in stallo sul futuro di
Mediaset. Infatti tra un «ma» e un «nì», tutti invocano il blind trust, un fondo
cieco a cui i portatori di possibili conflitti di interesse cederebbero i propri
beni. Non ne conoscerebbero l'uso che ne farebbero i gestori e dunque, anche
volendo, non potrebbero fare leggi a proprio vantaggio. Ma è facile capire che
nel caso della pubblicità e della comunicazione un «fondo cieco» è di difficile
applicazione. Berlusconi, oggi, è il «mero proprietario» di Mediaset, non
partecipa ai cda ma la sua azienda lo serve fedelmente. E sul resto: a urne
chiuse chi avrà il coraggio di reclamare l'incompatibilità del presidente del
consiglio o del leader dell'opposizione? Dell'ineleggibilità di magnati tv in
parlamento, poi, neanche a parlarne. Anzi, è un'idea che dal '94 a oggi ha fatto
molta strada negli Usa e in tanti altri paesi. Soluzioni facili non sono
all'orizzonte. Ma è certo che, se vincerà, all'Unione, serviranno le forbici ben
più del cacciavite. Per tagliare il cordone ombelicale della Rai con la politica
(magari sul modello Zapatero). Per azzerare il Bengodi del «Sic» stabilito dalla
Gasparri e dare limiti «antitrust» settoriali di livello europeo. Per dotare le
autorità di garanzia di più poteri e di sanzioni credibili almeno come
deterrente. Più «aria» in tv non sarebbe che l'inizio.
MINUTI IN VOCE NEI PRINCIPALI TELEGIORNALI BERLUSCONI RAI BERLUSCONI
MEDIASET PRODI RAI PRODI MEDIASET 51.16 2.03.11 33.36 20.24 Fonte: centro
d'ascolto dell'informazione radiotelevisiva. Periodo: 11 febbraio - 12 marzo
PRESENZE IN VOCE NEI PRINCIPALI TELEGIORNALI CENTRODESTRA RAI CENTROSINISTRA
RAI CENTROSINISTRA MEDIASET CENTRODESTRA MEDIASET 56,47% 72,02% 42,35%
27,74% Fonte: centro d'ascolto dell'informazione radiotelevisiva. Periodo:
11 febbraio - 12 marzo
78,27% 35,85% 85,94% 1,26% 0,55% 8,82% FORZA ITALIA E DS NEI TELEGIORNALI
MEDIASET Fonte: Centro Isimm per Agcom. Periodo: 8 marzo - 14 marzo Fi Tg4
Fi Tg5 Fi Studio aperto Ds Studio aperto Ds Tg4 Ds Tg5
28
marzo
Il premier,
durante un comizio, aveva detto che all'epoca di Mao
i piccoli erano bolliti e utilizzati come fertilizzante
Bambini, la
Cina contro Berlusconi
"Parole senza fondamento"
Il Cavaliere ribadisce: "E' storia". Prodi: "Il premier scredita il
Paese"
Calderoli: "Rimostranze assurde, il presidente del Consiglio dice il
vero"
Silvio Berlusconi
PECHINO - Una lunga pausa di riflessione, forse in attesa di
qualche precisazione, poi la secca protesta: quelle di Silvio
Berlusconi sono "affermazioni senza alcuna base" e danneggiano le
relazioni tra i Paesi. Il governo comunista di Pechino ha atteso ben
48 ore prima di reagire alle parole pronunciate dal premier domenica
scorsa in un comizio elettorale a Napoli: "Leggetevi il Libro nero
del comunismo e scoprirete che nella Cina di Mao i comunisti non
mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi".
"Siamo scontenti di queste affermazioni che sono completamente prive
di fondamento", ha fatto sapere oggi il ministero degli Esteri
cinese. Una protesta decisa nei toni che Pechino però ha preferito
smorzare nella forma evitando di convocare l'ambasciatore italiano
in Cina, come di solito avviene in casi come questo. Il Governo
cinese ha preferito infatti far diffondere la nota attraverso
l'agenzia di stampa internazionale 'Reuters' piuttosto che
attraverso i canali diplomatici. Una cautela che non tocca però i
contenuti: "Le parole e i comportamenti dei leader italiani - recita
la nota cinese - dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di
relazioni amichevoli tra l'Italia e la Cina". Ma Berlusconi non
torna indietro, "nessuna retromarcia", spiega ai cronisti. "Ma è
storia, mica li ho bolliti io i ragazzini! - specifica anzi il
premier - se poi viviamo in un paese dove non si può nemmeno
esprimere una certezza, un fatto che è storico...".
Con una frase, dunque, il premier scavalca il tentativo della
Farnesina di calmare le acque con il gigante asiatico. "La frase in
questione - aveva precisto una nota del ministero degli Esteri
concordata con palazzo Chigi - si riferisce a episodi che avrebbero
avuto luogo in passato, mentre è evidente l'inesistenza di intenti
polemici nei confronti della Repubblica popolare cinese". La
Farnesina inoltre ricorda che Berlusconi "si è limitato a citare una
frase contenuta nell'edizione italiana del 'Libro nero del
comunismo' di Stephane Courtois" e precisa anche il numero della
pagina nella quale sarebbe contenuta l'affermazione che ha fatto
arrabbiare il governo di Pechino.
La frizione tra Roma e Pechino cade nel pieno dell'Anno dell'Italia
in Cina: si tratta di una serie di importanti manifestazioni per
promuovere il sistema-Italia in Cina per le quali sono stati
investiti 45 milioni di euro. La decisione di fare del 2006 un anno
"speciale" nelle relazioni tra i due Paesi era stata presa alla fine
del 2004 nel corso di una visita del presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi e del ministro degli Esteri Gianfranco Fini.
E dal centrosinistra piovono le critiche. "Quale immagine viene data
da un paese il cui primo ministro dice una cosa simile? - si chiede
Romano Prodi - E' un'offesa fatta a un popolo di un miliardo 300
milioni di persone. E se anche la metà se la dimentica, 650 mila se
la ricorderanno comunque. Siamo screditati all'estero e senza
crescita all'interno".
Sulla stessa linea Massimo D'Alema: "Meno male che mancano ancora
solo dieci giorni alla fine di questa campagna elettorale, o ci
ritroveremmo in guerra con tutta l'umanità". Ed elenca i recenti
"incidenti" dell'esecutivo sul piano internazionale: "Un ministro
insulta il mondo islamico con un gesto di irresponsabile goliardia
razzista; Giovanardi dichiara guerra all'Olanda e siamo costretti a
chiedere scusa; Berlusconi se la prende con la Francia ma lì le
scuse non le hanno chieste e ci hanno dato solo schiaffoni. Infine,
oggi, la protesta del governo cinese". Per D'Alema occorre
restituire al mondo "l'immagine di un paese dell'accoglienza. Solo
questo centro destra poteva escogitare l'idea di un'Italia
razzista".
Ma contro Pechino rincara la dose Roberto Calderoli: "Se Berlusconi
ha sbagliato lo ha fatto per difetto, perché in passato nei regimi
comunisti, in particolare quello cinese, in periodi di carestia i
bambini sono stati addirittura mangiati. Le dichiarazioni di
Berlusconi - ha aggiunto - possono anche essere raccapriccianti, ma
questa è storia, purtroppo. Ritengo fuori luogo le rimostranze di
Pechino: casomai, avrebbe dovuto farle il nostro di governo, perché
le imprese cinesi stanno divorando la nostra economia con la loro
concorrenza sleale".
E se per il coordinatore di Forza Italia Sandro
Bondi "il premier ha solo citato fatti storici", il ministro
dell'Economia Giulio Tremonti va oltre e dice: "I cinesi ci stanno
mangiando vivi".
Il ministro dell'Interno ha
dato mandato ai suoi legali di denunciare il settimanale Diario per i
contenuti di questa inchiesta!!
In
quattro regioni delicate si sperimenta il voto elettronico. Sarà gestito da
Telecom, Eds e Accenture, l’indiziata numero uno per lo scandalo delle
elezioni in Florida. Partner di Accenture è Gianmario Pisanu, il figlio del
ministro dell’Interno. E un esercito di interinali avrà in mano la chiave
dei risultati
Aprile. Elezioni
private
Gianni
Barbacetto e Mario Portanova
Inchiesta del settimanale Diario 24/3/2006 -
www.diario.it
«I brogli rientrano
nella professionalità e nella storia della sinistra. Qualcuno di loro si
vantò, nel 1996, di aver sottratto a Forza Italia un milione e 705 mila
voti...». Così Silvio Berlusconi ha iniziato l’intervista a Lucia Annunziata
del 12 marzo, quella poi finita con la fuga dallo studio televisivo. I
brogli elettorali sono la sua ossessione.
Li teme, li evoca, li denuncia da quando si è buttato in politica. Da quando
ha cominciato a perdere, poi, l’ossessione è diventata incontenibile.
«Loro», quelli della sinistra, «hanno un esercito di professionisti, a danno
dei nostri dilettanti, che vengono puntualmente fatti fessi», aveva gridato
nel giugno 2004 dal palco di una manifestazione elettorale per le regionali
nella rossa Sesto San Giovanni.
Ora, per arginare i
«professionisti» della sinistra, Berlusconi lancia alla carica ì suoi
«dilettanti»: si chiamano «Legionari azzurri», si definiscono «difensori del
voto» e sono coordinati nientemeno che da Cesare Previti. «Sì, noi pensiamo
di mandare persone per bene che cerchino di far sì che la sinistra non possa
cancellare la volontà degli elettori», ha spiegato Berlusconi ad Annunziata.
I «Legionari» sono una schiera di attivisti di Forza Italia che in tutto il
Paese si stanno apprestando a presidiare i seggi, come rappresentanti di
lista, per vigilare sulle operazioni elettorali. Arriveranno al 9 aprile
istruiti politicamente e preparati tecnicamente, per evitare che «i rossi
continuino con i brogli». E’ già pronto un libretto di otto pagine,
tascabile per poterlo portare sempre con sé, intitolato proprio I
difensori del voto: sarà il manuale per i 121 mila militanti di Forza
Italia chiamati a controllare i seggi. Sveglia all'alba già il sabato 8
aprile, arrivo nelle sezioni elettorali prima di tutti, contare e ricontare
le schede, non perdere di vista le urne, uscire per ultimi, la sera, e non
abbandonare mai, ma proprio mai, il proprio posto: questi i consigli «per
non farsi fregare». E in molte regioni sono già partiti i corsi di
formazione per i «Legionari». «In Lazio, per esempio», spiega a Diario la
coordinatrice regionale di Forza Italia Beatrice Lorenzin, «abbiamo già
iniziato la preparazione dei 5.136 rappresentanti di lista che difenderanno
il voto in questa regione».
I Legionari di Previti
Ma Forza Italia non ha pensato solo ai rappresentanti di lista, da
sempre arruolati dai diversi partiti tra i loro militanti. Nelle pieghe
della nuova legge elettorale c'è infatti anche una novità, passata finora
inosservata, che riguarda gli scrutatori e i presidenti di seggio, cioè
coloro che, regolarmente remunerati, devono gestire i seggi, sovrintendere
alle operazioni di voto e infine scrutinare le schede: non saranno più
estratti a sorte, ma saranno scelti e nominati dalle commissioni elettorali
dei Comuni, che dovranno attingere da elenchi di volontari chiusi il 30
novembre
2005. A
quella data la nuova legge elettorale era stata approvata soltanto dalla
Camera e doveva ancora essere votata al Senato, dove sarebbe passata il 21
dicembre; ma Forza Italia si era già portata avanti e aveva mandato i suoi
militanti a iscriversi in massa nelle liste dei Comuni.
Così ad aprile una valanga di «Legionari azzurri» s'installerà nei seggi non
solo con il ruolo, volontario e di controllo, di rappresentanti di lista, ma
con quello, operativo, ufficiale e remunerato, di scrutatori. La
coordinatrice emiliano-romagnola Isabella Bertolini, per esempio, già il 18
novembre aveva diffuso un appello ai militanti: «Chiedete ai soci, ai
simpatizzanti, agli amici e ai conoscenti di Forza Italia di presentare la
domanda di iscrizione all'albo degli scrutatori del loro Comune di
residenza... Non lasciamo che anche questa volta i seggi elettorali restino
in mano alle sinistre... Con le modifiche introdotte dalla nuova legge
elettorale ora possiamo davvero cambiare le cose».
Il campo avverso non è
stato invece così pronto ad annusare il cambiamento legislativo prima che
diventasse realtà. «Ma non siamo preoccupati», spiega Nora Radice,
responsabile organizzativa provinciale dei Ds milanesi. «Secondo le nostre
informazioni, non ci sono state corse all’iscrizione negli albi. E i nostri
rappresentanti di lista vigileranno in ogni seggio». La dirigente svela un
altro retroscena della spericolata legge approvata dal centrodestra. «La
commissione elettorale del Comune di Milano ha estratto a sorte gli
scrutatori, come prevedeva la vecchia normativa, e poi li ha nominati in
blocco, come stabilisce la nuova». Ve l'immaginate la povera commissione, se
avesse dovuto votare uno a uno, nome per nome, gli scrutatori di un migliaio
di seggi? E ve li immaginate cinque giudici in tutto chiamati a dirimere le
controversie che possono sorgere in un parco di circa 5 milioni di schede
lombarde? E’ un'altra novità della legge, che per il Senato ha soppresso gli
uffici circoscrizionali presenti in ogni capoluogo di provincia e ha
accollato l’ultima fase di controllo del voto a un ufficio regionale unico.
Non per niente il presidente della commissione elettorale lombarda, Domenico
Urbano, ha reclamato altri 60 giudici da aggiungere ai suoi quattro
commissari.
«Berlusconi continua a
parlare di brogli. Chi parla troppo di una cosa, la pensa e la evoca»,
commenta Beatrice Magnolfi, parlamentare dei Ds. Che possa scattare un
meccanismo simile a quello che in psicoanalisi si chiama proiezione, quando
si attribuisce agli altri un proprio desiderio? Proprio Magnolfi, che in
passato è stata assessore all’Innovazione a Prato, in questa legislatura ha
scelto di essere, come si definisce, «il cane da guardia del ministro
dell'Innovazione Lucio Stanca» e il 10 febbraio, per chiudere in bellezza,
gli ha presentato un'interrogazione sullo scrutinio elettronico che sarà
sperimentato al prossimo appuntamento elettorale. Sì, perché il 9 e 10
aprile non proveremo soltanto una nuova legge bislaccamente proporzionale,
definita «una porcata» da uno dei suoi inventori, con incerti premi di
maggioranza, con candidati tutti imposti dai vertici dei partiti e con una
scheda grande come un manifesto. Ci sarà anche un'altra grossa novità:
nelle 12.680 sezioni di quattro regioni, oltre 11 milioni di persone (più
di un quinto degli elettori italiani) saranno chiamati a votare con la
tradizionale matita sulla tradizionale (benché ben più ampia) scheda, ma poi
i loro voti saranno scrutinati al computer: grande modernizzazione,
inevitabile aggiornamento tecnologico, prezioso risparmio di tempo. Ma anche
complessa storia di rischi e commistioni che vale la pena di raccontare.
Votare Stanca
Tutto comincia il 3 gennaio 2006, quando il governo vara il primo decreto
legge dell'anno, con il numero I. Come capita spesso al gabinetto Berlusconi,
nel provvedimento c'è dentro un po' di tutto: disposizioni urgenti per il
voto da casa di elettori che non possono spostarsi; ammissione ai seggi di
osservatori dell'Osce (l'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
in Europa); ma soprattutto disposizioni per lo scrutinio elettronico.
Sperimentazioni erano già state compiute alle europee del 2004 e alle
regionali del 2005, questa volta però è una bella fetta di elettori a essere
interessata alla sperimentazione: il 20 per cento delle sezioni. E per la
prima volta allo scrutinio informatizzato è stato assegnato valore
giuridico. Le schede di carta resteranno in archivio, ma saranno estratte
dagli scatoloni soltanto in caso dì contestazioni.
Le regioni coinvolte sono state scelte, secondo il ministro Stanca, «con il
criterio del bilanciamento territoriale»: una al Nord,
la Liguria ; una al Centro, il Lazio; una al Sud, la Puglia ; un'isola,
la Sardegna. Guarda
caso, però, sono tutte regioni in cui gli esiti elettorali sono incerti e
che peseranno in maniera determinante per l’assegnazione dei premi di
maggioranza (regionali, appunto) per il Senato.
In ognuna delle 12.680
sezioni coinvolte ci sarà un computer, due schermi video e un operatore
informatico. Mentre gli scrutatori procederanno allo scrutinio
tradizionale, contando i voti e impilando le schede, l'operatore digiterà i
voti sulla tastiera e li controllerà su uno degli schermi, mentre il secondo
sarà a disposizione degli scrutatori. Finita la conta, i dati di ogni
sezione saranno inseriti in una «chiavetta» Usb. Le diverse «chiavette» Usb
di tutte le sezioni presenti in un unico plesso (edificio) saranno portate a
mano e inserite nel computer di plesso. Da qui una linea dedicata
trasmetterà i dati direttamente e rapidissimamente al Viminale.
Bello? Sì. Ma anche sicuro? Al riparo da brogli informatici? Chi ricorda le
feroci polemiche seguite al voto del 2000 per le presidenziali americane in
Florida non può non porsi almeno il problema. Ma al ministero
dell'Innovazione il portavoce di Stanca, Dario de Marchi, risponde che non
c'è alcun rischio: «Le memorie Usb assegnate alle sezioni saranno
inizializzate, dunque non potranno essere sostituite con altre. E la
trasmissione dati a Roma sarà effettuata con una rete dedicata,
assolutamente sicura». I tecnici del ministero possono intrattenere a lungo
gli interlocutori su chiavi di sicurezza, codici identificativi, doppie
password, trasmissioni Dmz...
Dopo le prime
sperimentazioni di questo sistema, alle europee del 2004, il ministero ha
costituito una commissione sul voto elettronico. Con quali risultati?
«Avevamo segnalato diversi punti critici», ricorda Maurizio Migliavacca,
coordinatore della segreteria Ds, che ne ha fatto parte. «Il punto
fondamentale riguarda la formazione di presidenti e scrutatori dei seggi, ma
soprattutto degli operatori tecnici: chi li sceglie? come? che formazione
ricevono? Visto che si tratta di personale di aziende private, chi li
controlla e chi garantisce per loro? E dato che i risultati delle regioni
coinvolte nella sperimentazione saranno definitivi prima degli altri, chi
garantirà una corretta comunicazione al pubblico? Non so se tutti questi
punti critici siano stati presi in considerazione per il 9 e 10 aprile».
Lunedì 10 aprile, dopo le ore 15, 11 mila chiavette Usb con il voto dei
cittadini italiani cominceranno a girare per l'Italia in tasca a soggetti
privati. C'è da stare tranquilli? «Lo scrutinio elettronico è un vantaggio
perché è veloce, ma per stare tranquilli ci vorrebbe il controllo finale di
una commissione presso il ministero dell’Interno, composta anche da
rappresentanti dei diversi schieramenti politici», conclude Migliavacca. «E
vorrei che i dati arrivassero anche ai singoli Comuni, come già avviene per
lo spoglio cartaceo».
Trattativa privata
Per niente
tranquilla Beatrice Magnolfi, la deputata «cane da guardia del ministro
dell’Innovazione»: «Il 10 febbraio 2006 ho presentato un'interrogazione a
Stanca, ponendo una serie di domande. Come saranno garantite l’attendibilità
e la correttezza delle procedure di rilevazione informatizzata dello
scrutinio? Come possiamo essere davvero sicuri che le memorie Usb non
possano essere manomesse? Perché non è prevista alcuna protezione per il
trasporto di queste chiavette dalle sezioni al computer dì plesso? Che tipo
di linea sarà quella utilizzata perla trasmissione dei dati al Viminale?».
Ma non basta. C'è un altro ordine di problemi: come mai un'operazione che
verrà a costare oltre 34 milioni dì euro è stata affidata a trattativa
privata? E chi sceglierà gli operatori informatici (saranno circa 18
mila) che faranno lo scrutinio informatico? E con quali criteri saranno
scelti? Sono tre le aziende coinvolte nell’operazione: Telecom Italia,
Eds e Accenture. Telecom gestisce la fetta maggiore del budget, fa da
capocommessa e fornisce le linee per la trasmissione, ma anche tutto
l'hardware. Eds, multinazionale Usa, ha sviluppato il software e
coordina gli operatori. Accenture, la più grande azienda di
consulenza al mondo, ha ottenuto un subappalto e in questo gioco fa il suo
mestiere, cioè la consulenza. Le tre aziende sono state riconfermate nel
gennaio di quest'anno, dopo aver svolto insieme le sperimentazioni
precedenti, alle europee del 2004 e alle regionali del 2005. Ma i 18 mila
operatori informatici saranno forniti da un'altra azienda, la Ajilon
, che fa parte della multinazionale del lavoro interinale Adecco.
«L’appalto è stato
assegnato a trattativa privata per ragioni d'urgenza, perché non c'erano i
tempi per fare la gara», spiega Dario de Marchi. Il ministro Stanca lo ha
ribadito nella sua risposta del 23 febbraio all'interrogazione di Beatrice
Magnolfi: «Il decreto legge numero i del 2oo6 ha espressamente previsto che
tale affidamento avvenga in deroga alle norme di contabilità generale dello
Stato, stante il brevissimo lasso di tempo disponibile prima della
consultazione elettorale; lo svolgimento delle procedure ordinarie sarebbe
stato impossibile in tempi tanto ristretti».
Elezioni:
imprevedibili?
Così un
appalto delicatissimo e di valore consistente, per l’avvenimento più
prevedibile e programmabile che esista in democrazia, cioè le elezioni, è
stato assegnato a trattativa privata al maggiore operatore telefonico
italiano e a due multinazionali di origine statunitense. Eds è il
colosso di gestione dati fondato da Ross Perot, il miliardario
americano che in passato tentò di conquistare la Casa Bianca come
candidato indipendente. Accenture è il nuovo nome assunto dalla
Andersen Consulting, dopo essere stata coinvolta nello scandalo Enron.
Fattura 14 miliardi di dollari con le commesse del governo americano di
George W. Bush. Ha sede fiscale nelle isole Bermuda ed è notoriamente legata
al Partito repubblicano, di cui è grande finanziatrice.
I democratici americani e numerose inchieste della stampa l’accusano di aver
fornito un database per le liste elettorali delle ultime presidenziali in
Florida da cui erano stati espunti, in base alla loro fedina penale, neri e
ispanici (solitamente orientati verso i democratici). Lo scorso anno ha
ricevuto dal governo una nuova commessa da 10 miliardi di dollari per un
sistema di controllo per gli stranieri che entrano ed escono dagli Usa.
Negli Stati Uniti Accenture è oggi subcontractor di una società che si
chiama Election.com per il trattamento generale dei dati elettorali.
Una parte di questa società è stata acquistata da uomini d'affari sauditi
che vogliono rimanere anonimi.
In Italia Accenture
entra di forza nelle commesse governative a partire dal 2001, quando
l'ingegner Mario Pelosi, uno dei grandi manager mondiali di Accenture,
diventa prima consigliere tecnico del ministro Stanca e poi capo
dipartimento del ministero dell'Innovazione. Il progetto di scrutinio
elettronico oggi è seguito da due manager Accenture, Carlo Loglio e
Angelo Italiano, ma il nome più noto nell'azienda è un altro:
Gianmario Pisanu, partner di Accenture e figlio del ministro
dell'Interno Giuseppe Pisanu. Già nel
2002, l 'Accenture Italia del sardo Gianmario Pisanu
era stata coinvolta nel megaprogetto (poi bloccato) di digitalizzazione
della Sardegna: una torta da 48 milioni di euro da dividere con altri
compagni di cordata. Ma nel Paese dei conflitti d'interesse, oggi nessuno
sembra essersi scandalizzato per il fatto che l'appalto per lo scrutinio
elettronico di un quinto degli elettori italiani sia stato concesso a
trattativa privata all'azienda di cui è partner il figlio di un ministro:
sarà l’azienda di Gianmario Pisanu a inviare i dati elettorali al Viminale,
dove li accoglierà, paterno, Giuseppe Pisanu (candidato di Forza Italia in
Puglia).
L’altro ministro coinvolto nella partita, Lucio Stanca, è ministro «tecnico»
dell'Innovazione e della tecnologia: dovrebbe essere dunque una garanzia
d'imparzialità. Peccato che sia candidato di Forza Italia in Calabria,
Umbria e Piemonte. Più in generale, quello che sconcerta è che - in sordina,
senza adeguata informazione e senza alcun dibattito nel Paese - sia stata di
fatto privatizzata una parte dello Stato, un pezzo di ministero
dell'Interno, e proprio nel cuore del gioco democratico: saltate le
Prefetture e il Viminale, la correttezza delle elezioni è affidata in
quattro regioni italiane ai computer, alle «chiavette» Usb, alla
trasmissione dati e al personale tecnico di Telecom, Eds, Accenture, Adecco.
Questo proprio nel momento in cui il Paese è scosso dallo scandalo degli
spioni di Francesco Storace che tentavano di falsare il voto in Lazio. In
cui Telecom compra pagine di quotidiani per spiegare che l’azienda non è
coinvolta nelle intercettazioni abusive. E in quattro regioni considerate
«in bilico», cruciali per la vittoria di uno dei due schieramenti in gara.
27 marzo
IL COMMENTO
I moderati
immaginari
alla corte di re Silvio
di EUGENIO SCALFARI
IL DIBATTITO sull'importanza politica dei moderati italiani prese il
via a partire dalla primavera del 2004. Da allora è
ininterrottamente proseguito. Siamo alla primavera del 2006, mancano
esattamente due settimane alle elezioni e quel dibattito è ancora in
corso. Non pare abbia dato molti frutti per una serie di ragioni:
equivoci lessicali, interessi e furberie politiche, pigrizia
intellettuale, luoghi comuni mediatici.
Ho partecipato anch'io a quel dibattito in varie occasioni e in
particolare con tre articoli su "Repubblica" rispettivamente dell'8
luglio e del 27 ottobre 2004 e del 21 agosto 2005, cercando di
chiarire gli equivoci lessicali, mettere in luce gli interessi
economici e politici che usano il termine "moderati" per dritto e
per rovescio e spronare gli intellettuali a scuotersi dalle loro
pigrizie. Direi con scarso successo. Visto l'esito avevo quindi
deciso di abbandonare il tema e arrendermi all'uso così confuso e
spesso contraddittorio del termine "moderati".
Confesso che a volte è piacevole arrendersi, specie quando non è in
gioco l'onore, l'onorabilità. Farsi cullare dal luogo comune può
essere refrigerante, mettere il cervello in letargo è un modo come
un altro di conoscere la beatitudine passiva. "Passivity rule",
termine finanziario anglosassone molto apprezzato nei casi di Opa di
incerta soluzione.
In questa nuova e arresa disposizione d'animo mi aspettavo che dopo
la sortita del presidente del Consiglio al convegno confindustriale
di Vicenza i moderati italiani manifestassero la loro presenza
inviando un qualche messaggio con voce sia pur moderata ma chiara e
netta. Gli elementi per attendersi questa reazione c'erano tutti:
plateale violazione di regole in casa d'altri, interferenza
altrettanto plateale del capo del potere esecutivo (cioè di una
delle maggiori cariche dello Stato) nella vita di un'associazione
privata, accuse pubbliche e facinorose contro la stampa, la
magistratura, l'opposizione parlamentare, le Università, le persone
della cui ospitalità stava fruendo in quel momento.
Uno spettacolo purtroppo conosciuto ma mai ancora verificatosi in un
luogo - la Confederazione degli industriali - che dovrebbe essere
almeno in teoria il tempio, il sacrario del moderatismo politico. I
moderati - pensavo - non avrebbero retto a quello scempio, a quell'estremismo
politico oltreché verbale che non trova riscontro in nessuna
democrazia liberale che conosciamo. Perciò aspettavo con fiducia.
Ebbene, non è accaduto assolutamente nulla. Non si è sentito un
fiato.
Anzi: la presidenza confindustriale ha emesso un commento severo nei
confronti della sortita berlusconiana, ma poi ha dovuto chiudersi a
riccio sotto le proteste dei piccoli industriali del Nordest (e non
solo del Nordest) imponendo il silenzio stampa a tutte le
associazioni confederate; Della Valle, insultato dal presidente del
Consiglio in quello stesso convegno vicentino e privato a forza di
fischi del diritto a rispondere, si è dimesso dal direttivo
confederale per potersi difendere "senza compromettere
l'associazione".
I "moderati" che seguono Casini non hanno emesso verbo. Quanto al
loro leader, ha detto che lui preferisce discutere di problemi
concreti e non farsi coinvolgere in polemiche. E questa
dichiarazione è stata considerata come il ruggito d'un leone nei
confronti del leader massimo. Fini ha mantenuto un "aplomb" da fare
invidia alle statue di cera del museo Grévin. In compenso i suoi
colonnelli La Russa e Gasparri, berlusconiani onorari, si sono
allineati ai colleghi di Forza Italia, i soliti, osannanti al colpo
di teatro vicentino.
Questi sarebbero gli esponenti economici e politici dei moderati
italiani: imprenditori come l'ex presidente di Confindustria,
D'Amato, leader politici come Casini e Cesa, quadri dirigenti di
Forza Italia. Quanto al partito di Alleanza nazionale, da tempo si
sta riaccendendo nel cuore di molti di loro la fiamma missina,
quindi non c'è da stupirsi.
Passi comunque per gli apparati: guardano alle elezioni e non hanno
spazio per pensare ad altro. Ma i moderati? I moderati di base? La
gente comune che si ritiene moderata? Quelli che coltivano il
buonsenso, le buone creanze, la tolleranza, il giusto mezzo, il
centrismo come luogo santo, il rispetto delle istituzioni? Dove sono
finiti? Queste domande mi hanno scosso e mi hanno suggerito questa
proposizione: i moderati in Italia non esistono. Non sono mai
esistiti.
Esistono i conservatori. Gli indifferenti. Gli antipolitici. Gli
anarco-individualisti. Anche i trasformisti. Anche i
doppiogiochisti. Ma i moderati nel senso di liberal-democratici,
quelli no, non ci sono o sono quattro gatti. Quei pochi, semmai,
stanno nel centrosinistra. Sono quelli che si riconoscono in Ugo La
Malfa, nei fratelli Rosselli, in Turati, in Norberto Bobbio e
Vittorio Foa, e nei quali non fa affatto schifo di essere in
compagnia politica con i cattolici della Margherita, i diessini di
Fassino e D'Alema. Di avere Prodi come leader e di guardare a Ciampi
come il solo punto di riferimento istituzionale poiché i capi delle
altre istituzioni hanno fatto fagotto. Insomma il popolo riformista.
Ci potrebbe anche essere un riformismo moderato. In molti Paesi
esiste e anzi vigoreggia. Ma da noi no perché da noi i moderati sono
un'invenzione verbale. Da noi, parliamoci chiaro, non esiste la
borghesia. Quella che fece le Cinque giornate milanesi del '48.
Quella dell'illuminismo riformatore dei fratelli Verri e di Beccaria.
Quella delle riforme agrarie nella Toscana e nell'Emilia. Dei
setaioli e dei cotonieri che eleggevano a Biella Quintino Sella.
Insomma la borghesia cavouriana che fondò lo Stato perché era
portatrice di valori e di interessi.
Purtroppo quella borghesia non ha attecchito per lungo tempo. Durò
poco più di un batter di ciglia. Fu seppellita dal fascismo. La Dc
di De Gasperi la riportò in vita con una sorta di respirazione bocca
a bocca, ma era una piccola borghesia del pubblico impiego, ceto
medio del terziario, coltivatori diretti in fase di smobilitazione.
Tenuti insieme dall'assistenzialismo pubblico e dalle braccia
protettive di Santa Romana Chiesa.
Moderati? Cosiddetti. Conservatori? In parte. Apolitici? In
maggioranza. Il gruppo dirigente Dc li trattenne al centro. Riuscì
addirittura a portarli all'alleanza con i socialisti. Poi, tendendo
ancora di più l'elastico, all'"attenzione" amichevole verso il Pci.
Ma nel momento del "liberi tutti" dopo Tangentopoli, rotte le righe
che li trattenevano, gran parte di loro rifluirono a destra. Con
Casini? Solo le briciole. Il grosso si riconobbe senza sforzo alcuno
in Berlusconi. Nella tv delle ballerinette, del Grande Fratello e
dell'Isola dei Famosi. Nell'Italia raccontata da Nanni Moretti con
ironia e dal Bagaglino con convinto candore.
Ci sarà anche del buono in quest'altra metà della mela italiana;
anzi certamente c'è. Ma non c'è la borghesia, che non si esaurisce
in una figura patrimoniale ma condensa la sua essenza
imprenditoriale nell'innovazione dei prodotti, nella libera
competizione, nel contributo a costruire un ambiente che faccia
sistema e includa energie, potenzialità e anche debolezze. Gli
anglosassoni lo chiamano "togetherness", noi lo traduciamo "insiemità".
E' il tratto che ha fatto la forza delle nazioni e la loro ricchezza
creando le classi dirigenti appropriate e le culture della libertà e
della democrazia.
Una borghesia che accetti di farsi rappresentare da una squadra di
demagoghi, populisti, arraffoni, infiocchettati da un pizzico di
futurismo marinettiano come efficacemente l'ha definito Edmondo
Berselli, non è una borghesia ma la sua grottesca caricatura.
Accettò d'esser presa in giro cinque anni fa dal "contratto con gli
italiani", un elenco di promesse da marinaio delle quali ogni
persona sensata avrebbe capito l'illusorietà. Mancavano dieci giorni
alle elezioni ma nessuno chiese a Berlusconi di dire come avrebbe
finanziato quelle promesse. Si vide dopo: le finanziò azzerando
l'avanzo primario del bilancio che aveva ricevuto in eredità dal
precedente governo, condonando entrate, non perseguendo le evasioni,
lasciando briglie libere alle spese improduttive, tagliando i
trasferimenti agli enti locali, inasprendo le imposte indirette,
facendo lievitare ancora di più lo stock del debito pubblico.
Con tutto ciò le clausole di quel "contratto" restarono largamente
inadempiute. Con questo po' po' di passato prossimo alle spalle si
accusa oggi Prodi di non dire come finanzierà i suoi impegni
programmatici, a cominciare dal taglio del cuneo fiscale. Lo si
accusa di voler tassare i Bot e il risparmio. Ma Prodi ha detto
chiaramente quale sarà la sua politica. Ha detto: "Manterrò ferma la
pressione fiscale senza aumentarla di un centesimo. Sposterò una
parte di quella pressione dalle spalle più deboli alle spalle più
forti". Non poteva essere più onesto e più chiaro: "Dalle spalle più
deboli alle spalle più forti".
La borghesia della Destra storica si autotassò ferocemente per
costruire lo Stato. Era una borghesia soprattutto fondiaria e pagò
il suo debito alla comunità e allo Stato da lei costruito e
governato contribuendo con il 62 per cento alle entrare tributarie
totali negli anni che vanno dal 1865 al 1876. Allora dico: giù il
cappello di fronte a quella destra e a quella borghesia. Essa aveva
in Cavour, Sella, Minghetti, Spaventa, i suoi punti di riferimento.
I se-dicenti borghesi dei giorni nostri hanno come modelli
Berlusconi e Tremonti.
Basterebbe questo a farci capire perché Mister
Tod's viene considerato un bolscevico da molti suoi colleghi. E
perché nei cinque anni appena trascorsi la competitività delle
imprese italiane abbia perso 25 punti nella classifica mondiale, il
bilancio faccia acqua da tutte le parti, la crescita sia bloccata da
tre anni e l'Europa ci tratti a pacche sulle spalle e a calci nel
sedere.
EUSKADI
I giorni dell'Eta
ALFONSO BOTTI
Forse non è un caso che il comunicato con cui l'Eta ha
annunciato il «cessate il fuoco permanente» sia giunto il giorno dopo il voto
favorevole della Commissione costituzionale del Congresso dei deputati al nuovo
Statuto catalano e alla definizione della Catalogna come nazione che compare nel
preambolo del complesso articolato. Respingere la disponibilità al dialogo del
presidente del governo spagnolo, Rodríguez Zapatero, avrebbe sottolineato per
l'ennesima volta l'incapacità di parte del nazionalismo basco di leggere i
processi storici e collocarsi in essi in modo consapevole. Già nel 1931, ai
tempi della Seconda Repubblica, i nazionalisti catalani erano approdati
all'autonomia con largo anticipo sui nazionalisti baschi. Nel 1932 i primi,
cogliendo l'opportunità che la Costituzione dell'anno prima e la maggioranza
repubblicano- socialista offriva loro, e solo nel '36 i secondi, per altro solo
dopo la sollevazione militare e lo scoppio della guerra civile, per
l'ostinazione con cui si erano attardati nella difesa di un progetto di Statuto
anticostituzionale e fortemente segnato dal confessionalismo religioso. Per
tacere dell'occasione storica persa nel 1976, con l'avvio della transizione alla
democrazia, quando solo una frazione minoritaria dell'Eta depose le armi. Alla
decisione resa nota a mezzogiorno di mercoledì 22 marzo l'Eta si è avvicinata
lentamente, con il concorso di diversi fattori, negli ultimi due anni. Anzitutto
per la cesura rappresentata dagli attentati madrileni dell'11 marzo 2004 ad
opera del terrorismo islamista. In secondo luogo per le sollecitazioni a
concentrarsi sulla sola via politica prevenienti dal suo stesso indotto e
dall'area della disciolta Batasuna Poi per la forte debilitazione sul piano
militare e operativo dell'organizzazione terrorista basca a causa dei colpi
inferti dagli appartati repressivi dello Stato. Indi per la disponibilità al
dialogo (a condizione che l'Eta rinunciasse alla lotta armanta) di Zapatero. Si
tratta ora di essere cauti e guardinghi. La decisione presa dall'Eta costituisce
l'attesa e irrinunciabile premessa per l'avvio di quel dialogo tra le parti che
dovrà condurre, con la modifica degli equilibri e assetti istituzionali
esistenti (costituzionali e statutari), alla soluzione dell'unica questione
lasciata irrisolta nel passaggio dal franchismo alla democrazia: quella basca.
Obbiettivo che resta da raggiungere e che non sarà facile centrare. Per
avvicinarsi a esso sarà necessario il contributo di tutti gli attori individuali
e collettivi. Zapatero, che ha fatto il primo passo, dovrà convincere anche i
più restii tra i suoi a seguirlo nel dialogo con il nazionalismo radicale.
Questo, a sua volta, e in particolare l'Eta, dovrà impegnarsi per condurre tutta
l'organizzazione all'abbandono della lotta armata, evitando di perdere pezzi per
strada e lasciare sul terreno plotoni di irriducibili, com'è avvenuto in
passato. Particolari doti di equilibrio e capacità di mediazione dovrà mostrare
il nazionalismo moderato del Pnv, negli ultimi anni non sempre sicuro sulla
rotta da seguire. Una visione delle cose sgombra dai residui del passato
dovranno mettere in luce le associazioni delle vittime del terrorismo a cui si
chiede di riflettere sul fatto che tra i colpiti dalla violenza etarra figurano
personalità che avrebbero salutato con favore la fase che sembra ora finalmente
schiudersi all'orizzonte. Grande senso di responsabilità occorre, infine,
mettano in campo i popolari di Rajoy, anche se alcune tra le prime reazioni e
dichiarazioni non lasciano ben sperare. I popolari non possono dimenticare che
il nazionalismo di baschi, catalani e galiziani è un'opzione politica come
altre, che in democrazia deve avere piena cittadinanza e diritto di espressione.
Non possono dimenticare, poi, che il nazionalismo basco si fece violento durante
e per responsabilità del franchismo, che pretese di nazionalizzare in senso
spagnolista tutti i cittadini dello stato spagnolo in modo coercitivo, passando
come un rullo compressore sulle specificità culturali, linguistiche e gli altri
fattori differenziali. E neppure dovrebbero dimenticare le responsbailità di
Aznar che nella precedente legislatura fece il possibile per radicalizzare il
conflitto tra Madrid da una parte e i nazionalismi catalano e basco dall'altra.
Solo se queste condizioni si verificheranno si potranno lasciare da parte le
cautele che accompagnano l'ottimismo di questi giorni.
26
marzo
Primavera a Parigi
ANNA MARIA MERLO
La situazione è bloccata tra Villepin e gli studenti, con i
sindacati in mezzo, rivitalizzati dai giovani. Ne valeva la pena? È la destra
adesso a chiederselo, spaventata del proprio tentativo di affondo. Valeva la
pena di scatenare una crisi sociale dell'ampiezza che sta vivendo in questi
giorni la Francia, per imporre dall'alto, senza nessuna concertazione preventiva
con il mondo del lavoro e della scuola, il Cpe, il contratto di prima
assunzione, che in realtà non è destinato a cambiare nulla nella situazione dei
giovani, che vivono al quotidiano l'insicurezza, il precariato come sola
alternativa alla disoccupazione, l'assenza magari soprattutto psicologica di
prospettive per il futuro? Il carattere psico-rigido, il narcisismo testardo di
Dominique de Villepin non spiegano tutto. La sinistra francese è quasi
nell'imbarazzo di fronte all'ampiezza della rivolta degli studenti e dei
liceali. Da 25 anni, come la destra, non ha trovato risposte alla crisi sociale
emergente, adeguandosi all'analisi liberista dominante. Non si aspettava
un'offensiva ideologica cosi' forte da parte di Villepin, che fino a qualche
tempo fa aveva cercato di darsi un'immagine «sociale» di stampo vetero-gollista.
Non si aspettava la rivolta dei giovani che gridano: «a chi dice precariato, i
giovani rispondono: resistenza! ». E che spiegano: «non vogliamo questa società
che ci propone un futuro senza avvenire». Il Cpe, il contratto di primo impiego
riservato ai giovani di meno 26 anni che istituzionalizza il precariato, è stata
la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno da anni. Arcaismo dei
giovani francesi, specchio di un paese che si chiude su se stesso e che resiste
ai diktat della mondializzazione? È la spiegazione data dai media statunitensi.
Eppure, studenti e liceali della quarta potenza economica del mondo pongono una
domanda che ci riguarda tutti: le persone devono trasformarsi in kleenex, in
oggetti usa e getta, mentre gli utili delle società vanno alle stelle (89
miliardi di euro quest'anno solo per le prime 40 società quotate alla Borsa di
Parigi)? I soldi non mancano, ma l'ineguaglianza cresce, la povertà è visibile
ai piedi dei bei quartieri, l'individualizzazione dei rapporti sociali, la
rottura delle vecchie solidarietà, non ha portato alla realizzazione di sé per
tutti, ma all'esplosione degli egoismi e alla miseria umana. Questa è la domanda
che i giovani francesi pongono all'Europa: come vogliamo costruire il nostro
futuro? I giovani danno la loro risposta. Anche se il fumo alzato dalla violenza
è lo strumento pronto a screditarla. Malgrado i rischi di derive, ci dicono che
la rivolta delle banlieues del novembre scorso e quella degli studenti -
«privilegiati» secondo il governo - comunicano la stessa inquietudine. Al di là
di tutte le ipocrisie del potere per favorire un melting pot nei posti di
responsabilità - dal prefetto «musulmano» al presentatore di tg appartenente a
«una minoranza visibile» - marciano tutti assieme, classi medie franco-francesi,
liceali banlieusards di tutte le origini, per dire «resistenza» al precariato. I
sindacati, da tempo addormentati e in Francia poveri di iscritti da decenni,
sembrano aver capito che la battaglia contro il Cpe riguarda tutti: si tratta
della qualità della vita di ognuno, della qualità della vita di una società che
aveva costruito, negli anni del boom, uno stato sociale efficiente, e che ora -
in tempi dove circolano molti soldi ma manca il lavoro per tutti - l'ideologia
liberista vorrebbe distruggere. Un altro mondo è possibile, costruiamolo, dicono
gli studenti. La sinistra annaspa e questo è il rischio maggiore, che potrebbe
trasformare lo slancio in una delusione destinata ad essere pagata cara. Perché
le aspettative frustrate non sono mai buone consigliere e la paura nemmeno.
24 marzo
Spedito per posta
alle famiglie "La vera storia italiana". Ma rispetto
al 2001 l'almanacco di propaganda appare assai meno avvincente
Dal fotoromanzo al trash
e la magia di Silvio scompare
L'opuscolo forzista 5 anni dopo: trionfa l'anonimato
di FILIPPO CECCARELLI
La rivista Berluscony
Story uscita nel 1994
COME si dice in questi casi: aridatece, o meglio arispeditece Una
storia italiana. Perché appena finito di sfogliare La vera storia
italiana, e cioè il nuovo almanacco illustrato di propaganda
berlusconiana che diversi milioni di famiglie stanno per ricevere
per posta, si è colti da smarrimento, delusione e nostalgia.
Ma quale "vera storia"? Meglio quella "falsa", allora. E comunque:
quanto più ricco, quanto più avvincente e curato, l'opuscolo
elettorale di cinque anni fa! Si trattava anche in quel caso di una
agiografia, e in 130 pagine il Cavaliere vi compariva 250 volte. Ma
la novità e l'impudicizia stessa dell'operazione, l'assortimento
delle pose, le foto sfolgoranti, i titoli squillanti, le
testimonianze dei buoni padri salesiani, le avventure di mamma Rosa,
ecco, tutto questo inaugurava o forse riportava in dote alla
post-modernità l'antico genere encomiastico.
Fu a suo modo un grande colpo pubblicitario, e il miglior
complimento Una storia italiana se lo conquistò quando l'allora
consigliere berlusconiano Crespi volle promuoverla al rango del
"fotoromanzo". Ecco: più che un sequel, questo nuovo prodotto appare
un'emulazione raffazzonata e trafelatissima del precedente, con il
che rientra in pompa magna nei canoni del trash.
Forse dipende dagli autori. Quelli dell'almanacco del 2001, d'altra
parte, erano due autentici poeti del berlusconismo cortigiano:
Sandro Bondi e Guido Possa, che per l'occasione diedero il meglio
della loro arte glorificatoria a loro volta rielaborando un modello
di opuscolo uscito quasi clandestinamente nel 1994 per le edizioni
Trend - 3.900 lire che ogni collezionista di magagne
dell'immaginario non si pentirà mai di aver speso. Berlusconi story,
s'intitolava: belle foto, spesso inedite, titoli efficaci, testi a
puntino.
Possa & Bondi rimpastarono quel materiale apocrifo, ma di ovvia
produzione berlusconiana. L'aggiornarono, piazzando nel primo
sfoglio l'immagine del Cavaliere che annusava i fiori, tolsero un
po' di Veronica, aggiunsero un po' di mamma Rosa e il "fotoromanzo"
era perfetto.
Si dimenticarono solo di cambiare l'oroscopo. Quello del 1994 era
identico a quello del 2001, entrambi garantendo a Berlusconi
transiti di Saturno nei Pesci, ma soprattutto "risultati all'impegno
profuso". Nella Vera storia l'oroscopo non c'è più. In compenso a
pagina 42 c'è Padre Pio, oltretutto curiosamente presentato nel
sommario come uno che "ha dedicato tutta la sua esistenza allo
studio della religione cattolica". Cosa c'entrerà mai, il santo di
Pietrelcina, sulle pagine di un almanacco elettorale, è certo un
mistero poco glorioso, a parte la santificazione sia avvenuta nel
giugno del 2002, cioè sotto il governo Berlusconi. Ma pazienza.
L'opuscolo di quest'anno è anonimo. "Committente Responsabile"
risulta l'amministratore di Forza Italia, Rocco Crimi. Gli indirizzi
dei destinatari li ha forniti l'archivio elettronico della Postel.
Oltre che poco primaverile, la foto di copertina che ritrae
Berlusconi in paltò è leggermente sfocata. Per via di Luca di
Montezemolo, la Ferrari alla destra del presidente è come minimo
improvvida. La grafica ondeggia tra Famiglia cristiana e Nuova
polizia. I contenuti - promessi come "il dietro le quinte del
governo Berlusconi" - appaiono un po' confusi; l'ordine cronologico
si intreccia con i temi causando ripetizioni.
Alcuni titoli suonano buffi, per esempio: "Nonostante l'11 settembre
il governo continua a lavorare". E poi, paradossalmente, c'è poco
Berlusconi, come se il ruolo istituzionale ne avesse incapsulato
l'energia. Per via del proporzionale, gli alleati italiani non
esistono proprio. Tra gli stranieri c'è parecchio Papa Ratzinger e
forse troppo Putin (quattro foto). La diplomazia della pacca sulle
spalle è dispiegata sul piano fotografico in forme quasi
imbarazzanti con occhiate languide, abbracci, carezze e strizzate
corporee tra il Cavaliere e Aznar, Schroeder e Blair.
Le biografie degli uomini di governo di Forza Italia sono a tratti
grottescamente incensatorie, senza per questo mai smettere di essere
noiose nella loro ufficialità. Letta è "l'infaticabile"; Martino "il
ministro di pace"; la Moratti "la lady di ferro". "Se tutti i
ministri sono come Pietro Lunardi - si legge - allora ben vengano".
Il carattere di Micciché è "indomito"; la carriera politica di
Scajola "aveva nella storia della sua famiglia tutti i segni
premonitori". Tremonti "è senz'altro con Silvio Berlusconi - è
specificato - la principale icona di questo governo". Del
sottosegretario Bonaiuti si scrive che si è guadagnato "il plauso
divertito addirittura del nuovo Pontefice, Benedetto XVI, attento
osservatore delle cose italiane al quale la figura del Portavoce non
era affatto sfuggita". E vai!
Scoperto è l'intento manipolatorio delle foto di Prodi (smorfia),
Rutelli (occhi al cielo, quasi storti) e D'Alema (mano sulla bocca).
Qui e lì alcune primizie storiche: l'assassinio di Gentile, le
decimazioni nell'Armata rossa, le cattiverie di Mao e di Hitler.
Sempre sul piano delle illustrazioni dominano i
laboratori di analisi, i carrelli della spesa e un sacco di soldati
e poliziotti (ben 18 fotografie, con mitra, sciabole, mezzi
militari). Privo del tocco mistico e magico, questo inedito
berlusconismo guerriero si sposa maluccio con le immagini delle
coppie e delle famiglie felici. Quasi tutti sono modelli - alcuni,
si direbbe, nemmeno italiani. I cittadini ripresi sullo sfondo hanno
quasi tutti il volto schermato. E proprio qui forse casca l'asino
della propaganda, perché gli oscuri agiografi del berlus-trash
avevano paura di renderli riconoscibili. E quindi autentici, reali,
insomma veri: a differenza della Vera storia italiana che sta per
arrivare nella cassetta delle lettere.
23
marzo
Cluster, addio
Con uno storico voto alla Camera dei Deputati,
il Belgio è diventato il primo Paese al mondo ad aver messo al bando le
munizioni a grappolo - conosciute anche come "cluster" - equiparandole, per i
loro effetti indiscriminati, alle mine antipersona. Con centoventidue voti a
favore, solo due contrari e dodici astensioni, la Camera belga ha infatti
approvato un disegno di legge che estende alle submunizioni delle armi a
grappolo il divietovigente per le mine antipersona.
Fonte: "Vita"
20
marzo
Berlusconi dalla
sciatalgia al blitz: cronaca di un "sabato bestiale"
Il presidente dell'associazione degli industriali: "Per carità, non
fatemi parlare..."
L'ira di
Montezemolo
"Povere istituzioni..."
di ALBERTO STATERA
Berlusconi durante il
convegno di Vicenza
"EGO te baptizo piscem", proclama ridendosi addosso il
presidente del Consiglio della settima potenza industriale del
mondo, sciatalgico ma saltellante sul palco con un microfono tra le
mani, modello Vanna Marchi. Sconcerto, gelo, colpi di gomito
increduli nelle prime tre file degli stati generali della
Confindustria, nell'immensa sala della Fiera di Vicenza. Si guardano
tra loro interrogativi, impallidiscono, non vogliono crederci
Montezemolo, Tronchetti, Della Valle, Pininfarina, Monti, Colaninno
jr., Abete, Amato, Marzotto, Carraro, Emma Marcegaglia, Calearo.
Neelie Kroes, commissaria europea alla Concorrenza, e Günter
Verheugen, commissario per le Imprese e l'industria, si interrogano:
"What's piscem?". Persino Tognana, ex vicepresidente con D'Amato, si
stropiccia gli occhi.
Ferruccio De Bortoli, sul palco, come annichilito, non muove una
ruga e freme. Ma il grosso della platea, dalla decima fila in giù,
non meno di mille uomini in gessato e donne strizzate, va in
visibilio. "Silviooo Silviooo Silvioo..." intonano i
duecentocinquanta personaggi accreditatisi mezz'ora prima
dell'arrivo inatteso del premier, che era ufficialmente bloccato
dalla sciatalgia provocata a suo dire dallo scontro con una
cattivissima sindacalista comunista della Cgil.
Sono le truppe cammellate del presidente della Regione Veneto
Giancarlo Galan e del suo spin doctor Franco Miracco, ex
comunistissimo collaboratore precario del Manifesto,
assistite all'esterno da una flotta di furgoni materializzatisi dal
nulla con manifesti 6x3 di Berlusconi e della Lega. Si riconoscono,
i cammellati, per i fumo di Londra da grande magazzino e gli
occhiali scuri, nella zona con la migliore acustica, a sinistra del
palco.
Il vicepresidente Andrea Pininfarina, che sembra un ufficiale tutto
di un pezzo del Piemonte Cavalleria, ancora non si dà pace per il
buco nell'organizzazione che ha consentito l'ingresso degli
"scherani".
Il "piscem" berlusconiano d'apertura del "sabato bestiale" della
Confindustria, nella storiella originale sarebbe per la verità una "carpam"
e il vescovo evocato dal premier un parroco di campagna. Ma
l'aneddoto d'apertura del presidente del Consiglio della settima
potenza industriale del mondo se lo volete testuale, è questo: "Un
vescovo del Medioevo mangia una bistecca di venerdì. Gli dicono:
vescovo, è peccato. E lui: bistecca, ego te baptizo piscem".
Si guardano interrogativi Verheugen e Kroes. Ma è il seguito che
lascia stravolte le prime file e, per la verità, anche le seconde:
"Io che sono ministro della Salute ad interim, mi sono battezzato in
salute". Mi sono battezzato, come il Vescovo, come il Papa. Mi sono
guarito, posso persino questo.
Non sanno, gli astanti allibiti, che il meglio deve ancora venire.
Quando l'inappuntabile De Bortoli richiama i minuti concordati per
gli interventi, il presidente del Consiglio scatena l'inferno in
un'aula che per trentasei ore era stata il tempio dello stile e del
politically correct. Citizen Berlusconi, rivolto a De Bortoli,
scatta in piedi, gonfia il petto, e con voce roca per l'iracondia
incontrollata, declama che i giornali sono un "pericolo per la
democrazia" tutti, non solo Repubblica e il Corriere della
Sera, ma La Stampa, Il Sole 24 Ore, perfino Il
Messaggero, asservito, come lascia intendere, al suo socio
traditore Pier Ferdinando Casini. Per non dire della radio della
Confindustria, noto organo rivoluzionario, che getta fango
quotidiano sull'opera ineguagliabile del suo governo.
"Non credete ai giornali che parlano di declino", urla col petto in
fuori. "I giornali sono un pericolo per la democrazia". Comunisti e
giornali "vogliono solo andare al potere, considerano il profitto
sterco del diavolo". Lui è "stanco, stanco". Non ne può più. Per
aiutarlo bisogna "lavorare di più e venire meno in Confindustria".
Applausi che sommergono i fischi.
"Silviooo... Silviooo...", dal settore degli infiltrati di cui
Pininfarina non si dà pace. Tutto fino a quel momento si era svolto
con democratica signorilità. Giulio Tremonti, forzando il suo
carattere era stato un signorino educato. Il peggio che aveva detto,
col suo solito acuto effetto sonoro, era che "la sinistra in
cachemire circola per i casali toscani", come se lui, fiscalista
principe, vivesse un una baracca, suscitando l'applauso dei forzati
del nord-est, che non indossano cachemire, come l'odiato Bertinotti,
ma girano in Maserati e in Porsche Cayenne.
"Il cavaliere inesistente", come era stato soprannominato il
Cavaliere nell'assise vicentina dopo aver annunciato il forfait per
sciatalgia, s'è materializzato a scompaginare le carte, annunciando
di aver aumentato tutto "anche le nascite", forse nel più importante
bluff di tutta la sua vita. Colpo di scena a tavolino? O "stato
confusionale" come l'ha bollato Andrea Pininfarina col tono
dell'ufficiale del Piemonte Cavalleria?
Stato confusionale senza dubbio è stata la generale diagnosi nelle
prime file dei Poteri forti, ma anche nelle seconde file degli
imprenditori veri, dispersi fra le truppe cammellate, dopo l'assalto
a Diego Della Valle, colpevole di aver scosso la testa mentre il
Vescovo dei "piscem" snocciolava i suoi dati sull'Italia che va alla
grande, che mai ha goduto di questo prestigio internazionale, che ha
fatto arricchire tutti con la crescita del valore delle aziende e
delle case. "Della Valle, la prego di dare del lei al presidente del
Consiglio", gli intima il premier del settimo paese industriale al
mondo, rimproverandogli gli "scheletri nell'armadio" che lo inducono
a parteggiare per i comunisti, per salvarsi chissà da quali accuse
con l'aiuto della "magistratura rossa".
Berlusconi urla e urla, si fa livido, la claque gli grida dietro:
"Silvio... Silvio...". Montezemolo continua a sbiancare. Gli sediamo
vicino, nel posto lasciato libero da Berlusconi che se ne va tra gli
inni da stadio del suo popolo di partito "convocato". Sospira
Montezemolo pallido, sconvolto: "Per carità, non mi fate dire,
rispettiamo le istituzioni. Tutte le istituzioni, compreso il
presidente del Consiglio".
Spunta dalla prima fila Mario Carraro, industriale dei trattori, ex
presidente degli industriali veneti, signore assai acuto di una
certa età, che ha un nitido ricordo del passato. E recita: "Alcune
volte, nel riferire le visite in provincia del federale, si usa la
frase: il capo del fascismo. La frase non è appropriata, dato che
c'è un solo capo del fascismo". E' una direttiva del Minculpop del
13 settembre 1941. Gli sembra di essere tornato a quei tempi e non
si rassegna. Ricorda che non c'era la tivù, ma le veline
dell'agenzia Stefani. Il 25 luglio però, appena appresa la notizia
delle dimissioni di Mussolini, Mario Morgagni, che aveva inventato
l'agenzia del fascismo, si suicidò.
Suicidi, di certo, non ci saranno nei giornali
italiani, dopo la performance del premier a Vicenza. Ma una cosa è
certa: la Confindustria, per le prossime elezioni, non ha bisogno di
fare endorsement. Per Montezemolo l'ha già fatto Berlusconi.
L'EDITORIALE
Capo del
governo per diritto divino
di EUGENIO SCALFARI
FASSINO HA detto di lui: "È un uomo disperato". Eco ha scritto: "La
democrazia è in pericolo". D'Alema: "Demagogia e populismo allo
stato puro". Giuliano Ferrara: "Meglio un colpo di Stato o almeno un
colpo di teatro che la noia". I suoi giornali usciti ieri in
crumiraggio: "Ha conquistato gli industriali". Pininfarina dopo lo
show di sabato mattina: "Confusione mentale dovuta forse allo
stress".
Fini, Casini, Calderoli: "Avanti così". (Il presidente della Camera
ha aggiunto l'ombra d'una riserva: "Lasciamo da parte le polemiche e
pensiamo ai problemi concreti").
Quanto a Ciampi immagino, anzi ho fondato motivo di ritenere, che
sia molto preoccupato di altri atti inconsulti in queste ultime tre
settimane di campagna elettorale e anche dopo, fino a quando resterà
a Palazzo Chigi in attesa che il nuovo capo dello Stato nomini il
nuovo capo del Governo, cioè più o meno fino ai primi di maggio,
ancora un mese e mezzo di passione nel senso della "Via Crucis".
Ma chi è, che cosa è diventato il Berlusconi di questa campagna
elettorale? Una scheggia impazzita di un sistema istituzionale
volutamente frantumato in cinque anni di bracconaggio legalizzato
dalla maggioranza parlamentare? Un eversore disposto a tutto pur di
non lasciare il potere? Un caso di egolatria da manuale
psichiatrico?
Per fortuna siamo ancorati all'Europa. L'Europa avrà perso gran
parte della sua forza propulsiva e questo governo ci ha messo del
suo per azzopparla, ma nonostante sia male in arnese ha ancora forza
sufficiente per impedire che l'Italia si trasformi in una zattera
alla deriva. Ha ragione Prodi quando dice che il rilancio economico
e politico dell'Europa rappresenta l'obiettivo principale sul quale
dobbiamo puntare fin dai primi giorni dell'auspicabile governo di
centrosinistra. Lo dice anche Tremonti e Fini e Casini.
Un po' tardi dopo cinque anni durante i quali hanno dato mano (Tremonti)
o hanno subito in silenzio il picconaggio delle istituzioni europee
e dello spirito che le teneva in piedi. Meglio tardi che mai, ma non
troppo tardi. Una conversione in fin di vita può bastare per
salvarsi l'anima ma non salva la credibilità d'una politica
dissennata che ci ha screditato riducendo a zero il nostro prestigio
in Europa e nel mondo.
Sabato, nel suo comizio al convegno della Confindustria, il
presidente del Consiglio ha urlato dalla passerella: "Abbiamo
portato l'Italia al vertice del suo prestigio internazionale e voi
che girate il mondo lo sapete".
Ebbene, chi gira il mondo e ha contatti sia con la gente sia con le
istituzioni di altri paesi sa che il mondo ride di noi. Siamo
ridiventati oggetto di dileggio e di sconsiderazione, un pessimo
esempio da non imitare per il resto del mondo che pure non brilla
per saggezza e senso di responsabilità. Nella classifica della
competitività economica siamo scivolati al quarantasettesimo posto,
ma in quella del prestigio siamo sotto zero, alla stregua del
colonnello Gheddafi e forse anche più giù. Se non ci fosse Ciampi ci
avrebbero già cacciati a pedate dai consessi internazionali.
Gli imprenditori che girano il mondo queste cose le sanno benissimo,
anche quelli che gridano "Silvio Silvio" quando si sentono
promettere che pagheranno solo il 5 per cento di tasse se Berlusconi
vincerà. Il 5 per cento? Ci credono davvero? Nemmeno le allodole si
farebbero accalappiare da specchietti così fasulli.
Che cosa ha detto Silvio Berlusconi nel comizio di sabato con il
quale ha travolto le regole stabilite dalla Confindustria per poter
agevolmente interrogare i due protagonisti dello scontro elettorale?
"Il vero e sostanziale contenuto di quella presenza è stato
l'esibizione del corpo del re. Quel corpo trasuda energia,
ottimismo, capacità taumaturgiche, umori, sicurezza. Ma anche odio
per il nemico e sopportazione infastidita degli alleati, disprezzo
per le regole, noncuranza per le opinioni altrui. Logorrea. Luoghi
comuni.
"Barzellette grevi. Sessuologia da taverna. Megalomania e egolatria.
E due messaggi martellati senza risparmio: il pericolo del comunismo
incombente, l'incompetenza e l'immoralità della sinistra. Questo è
il messaggio che il corpo del re comunica dai teleschermi da lui
saldamente occupati".
Ho scritto queste frasi in un articolo intitolato "Su tutti gli
schermi il corpo del re". La data è quella del 29 gennaio scorso.
Durava già da un mese l'invasione barbarica delle radio e delle
televisioni in spregio alle regole del pluralismo che proprio in
quei giorni Ciampi ricordava con lettere pressanti indirizzate alla
Commissione di vigilanza e al consiglio d'amministrazione della Rai.
Da allora è scattata anche finalmente la norma della "par condicio"
che è stata applicata una sola volta nel confronto con Prodi del 14
marzo. Dovrebbe ripetersi il 3 aprile, ma dopo quanto è accaduto
ieri dubito molto che quell'appuntamento e il rispetto di quelle
regole arbitrate da Bruno Vespa ci saranno.
Il leader di Forza Italia ha constatato la sua incapacità di
contenersi, ha assaporato l'amaro della sconfitta in quell'occasione
e nell'altra immediatamente precedente con Diliberto. Ha tentato di
infrangerle nella trasmissione di Lucia Annunziata conclusa con il
suo clamoroso ritiro.
Penso che non vorrà rispettarle mai più. Sta giocando la sua
sopravvivenza politica, la difende come i felini difendono il loro
territorio, ringhiando e artigliando.
Disperato? Non credo. Confusione mentale? Non credo.
Berlusconi è convinto di governare per diritto divino.
Rivolgendosi a Della Valle dopo averlo pubblicamente insultato per
malefatte gravissime insinuate senza alcuna precisazione, gli ha
ingiunto di dargli del lei e ha atteso che i fischi della sua claque
impedissero la replica della persona offesa. A De Bortoli che
moderava l'incontro, dopo aver insultato anche lui come direttore
del giornale "fazioso" 24 Ore, ha detto: "La smetta di contare il
mio tempo con l'orologio".
Questi sono comportamenti da re per diritto divino, non da
presidente del Consiglio di una democrazia parlamentare. E mandano
in solluchero i tanti italiani che hanno il Parlamento a schifo dopo
averlo riempito di dilettanti, demagoghi e voltagabbana.
Narrano le storie che Carlo IX di Valois, quello della notte di San
Bartolomeo, quando giocava una partita al gioco di carte chiamato
les hombres con qualche suo cortigiano, intascasse comunque la posta
anche se aveva perduto e alle rimostranze dell'altro giocatore
rispondesse invariabilmente "non dimenticate che io sono il re".
Appunto. Per il re non valgono le regole.
Ma voglio aggiungere un parola sul caso dell'Annunziata, censurata
dall'Autorità delle comunicazioni. La sua condotta nella
trasmissione di cui si è tanto parlato è stata, nella parte finale,
decisamente sopra le righe, ma bisogna considerarla per intero
quella trasmissione. È stata il tentativo inane della giornalista di
poter porre domande e ottenere risposte; impedito dall'intervistato
che faceva domande a se stesso e rispondeva a quelle e a non alle
domande della giornalista, contro la quale lanciava insulti di
faziosità e di incompetenza.
Dopo il caso Confindustria mi sento di inviare i miei complimenti a
Lucia Annunziata e mi chiedo: cosa farà Vespa se il 3 aprile
Berlusconi romperà le regole stabilite? Lo ridurrà al silenzio: e se
non ci riuscisse gli spegnerà il microfono o lo lascerà libero di
comiziare contro Prodi? E che cosa faranno i conduttori dei vari
talk show se improvvisamente il presidente del Consiglio bussasse
alla loro porta pretendendo di imbucarsi in una trasmissione che non
prevede la sua presenza? Gli apriranno la porta o lo lasceranno
fuori? E lasciarlo fuori sarà giudicato un comportamento censurabile
dall'Autorità delle comunicazioni e dal consiglio della Rai?
Ci può essere di peggio e di più grave della già grave
prevaricazione di regole di pluralismo e di parità stabilite da una
legge dello Stato.
Ci possono essere altri atti inconsulti. Per esempio la denuncia,
fin d'ora adombrata come evento certo, di brogli elettorali in caso
di vittoria del centrosinistra.
Provocazioni compiute da provocatori di professione nel corso di
cortei e manifestazioni. Spionaggio degli avversari politici e
fabbricazione di falsi dossier per infangare persone scomode e
testimoni imbarazzanti. Ne abbiamo avuto esempi recenti. Altri, più
gravi ancora, potrebbero verificarsi nel prossimo futuro.
Capisco l'angosciata vigilanza del presidente della Repubblica, il
solo possibile antemurale contro ondate di avventura da parte di
gente di avventura.
Meglio un colpo di scena che una coltre di noia? Ebbene, questo è il
massimo della décadence e del nichilismo. Ne prenda nota anche la
Chiesa di Roma e non baratti gli aiuti alle scuole cattoliche con la
libertà e la democrazia. Lo fece settantasette anni fa. Non credo
che possa ripeterlo oggi senza doverne pagare un altissimo prezzo.
Quanto alla lista dei giornali reprobi indicati dal presidente (pro
tempore) del Consiglio, nella quale abbiamo l'onore di essere
compresi, tutti senza eccezioni si sono sempre attenuti alla regola
di registrare le notizie con oggettività ed esprimere le loro libere
opinioni sui fatti.
Le notizie non sono solo quelle che promanano dalle fonti del
ministero, che spesso contengono falsità palesi.
L'ultima e più clamorosa ce l'ha data lo stesso capo del governo
quando ha detto che la pressione fiscale nel 2001 era del 45 per
cento mentre - dati dell'Istat alla mano - superava di poco il 41. O
quando ha detto che il rapporto debito pubblico-Pil ereditato dal
presente governo era di gran lunga superiore a quello attuale. E che
l'avanzo primario del bilancio nel 2001 era inesistente.
Quanto alle opinioni dei giornalisti e degli editorialisti, esse
sono libere e costituzionalmente garantite. Ho ammirato il sangue
freddo di De Bortoli sabato mattina e la sua decisione di non
rispondere agli insulti ricevuti. Ed ho ammirato la compostezza di
Prodi. Il leader del centrosinistra avrebbe potuto chiedere alla
Confindustria un supplemento di tempo per replicare; in fondo il
maggior torto è stato fatto a lui che aveva rispettato le regole di
fronte all'avversario che ha occupato un tempo doppio per insultarlo
insieme ai partiti della sua coalizione.
Il sangue freddo e l'accenno di sottile ironia al premier "risanato"
di De Bortoli: bravissimo. Ma resta che una prevaricazione è stata
consentita, molti assenti sono stati insultati, quello presente,
anch'egli insultato, non ha potuto rispondere. Non mi pare che quel
"forum" si possa definire riuscito.
Quanto a coloro che si oppongono a questo genere di atti inconsulti,
va bene così: hanno la natura d'un boomerang, checché ne pensi
l'impareggiabile Emilio Fede che è stato in pari data insignito di
un Oscar televisivo. Alla comicità?
18
marzo

I pazienti nei Paesi in Via
di Sviluppo devono accontentarsi di farmaci di seconda scelta.
Lagos/Berlino/New
York/Roma, 15 marzo 2006 – Le persone affette da HIV / AIDS nei Paesi in
Via di Sviluppo non possono usufruire di nuovi e migliori farmaci che
possono fare la differenza, afferma l'organizzazione umanitaria di soccorso
medico Medici Senza Frontiere (MSF). MSF si rifiuta di accettare il
comportamento standard delle case farmaceutiche che commercializzano farmaci
meno idonei nei paesi africani, asiatici o latinoamericani riservando i
farmaci perfezionati o più recenti ai paesi che possono pagare di più. Per
questa ragione MSF ha ordinato direttamente alla sede centrale dei
Laboratori Abbott di Chicago una nuova versione termostabile del farmaco
denominato lopinavir / ritonavir, che la Abbot vende attualmente nei soli
Stati Uniti a un prezzo di 9.687 $ (prezzo medio per paziente per anno).
"Con una temperatura che raggiunge
regolarmente i 40° centigradi, e con i frequenti blackout energetici
quotidiani, i nostri pazienti non possono usare la vecchia versione di
questo farmaco", afferma la dottoressa Helen Bygrave, che lavora per il
programma MSF di trattamento dell'AIDS a Lagos, in Nigeria. "E' una
crudele ironia: sebbene questo farmaco, che non necessita di refrigerazione,
sembra essere stato ideato apposta per posti come la Nigeria, proprio in
Nigeria non è disponibile".
Nel novembre del 2005, la Abbott ha lanciato
negli Stati Uniti una nuova versione dell'associazione lopinavir /
ritonavir, inibitore della proteasi potenziata. A differenza della vecchia
versione, questa nuova versione non ha bisogno di refrigerazione, il che
rende il farmaco molto più idoneo a essere utilizzato nei climi caldi di
molti Paesi in Via di Sviluppo dove MSF opera. Ma quando MSF si è informata
sul prezzo e la disponibilità di questo nuovo prodotto per i suoi pazienti,
la Abbott ha risposto che avrebbe aspettato che il prodotto fosse
disponibile in Europa prima di richiederne la commercializzazione nei Paesi
in Via di Sviluppo. Questo significa un ritardo potenziale di anni prima che
questo farmaco possa raggiungere le persone che ne hanno maggiormente
bisogno.
Il farmaco lopinavir/ritonavir è una
componente fondamentale della terapia antiretrovirale per i pazienti che
necessitano di passare ad un regime di trattamento di seconda linea più
nuovo ed efficace quando, dopo qualche anno di trattamento con farmaci di
prima linea, iniziano in maniera naturale a sviluppare delle resistenze.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l'uso di questa nuova
formulazione come trattamento di seconda linea.
Nel programma di MSF a Khayelitsha, in
Sudafrica, il 16% dei pazienti, dopo 4 anni di cura, ha bisogno di passare a
un nuovo regime di trattamento. Questi dati mostrano in maniera
inequivocabile l'enorme e sempre crescente bisogno di nuovi farmaci. Con più
di 60.000 pazienti in cura con farmaci antiretrovirali, MSF afferma che i
propri sforzi per trattare alcuni pazienti che hanno bisogno di nuovi
farmaci sono compromessi dalle politiche delle industrie farmaceutiche che
rallentano il processo per rendere disponibili questi nuovi farmaci nei
Paesi in Via di Sviluppo.
Ibrahim Umoru, che riceve il trattamento
antiretrovirale nella clinica di Lagos, sta assumendo la vecchia versione
del lopinavir / ritonavir da 5 settimane, ma questo farmaco ha bisogno di
essere refrigerato nella clinica, cosa che naturalmente Ibrahim non riesce a
fare a casa propria. "Non posso permettermi il carburante per il generatore
che consentirebbe di far funzionare un frigorifero. E senza il frigorifero,
queste temperature rendono le capsule simili ad un ammasso informe tipo
chewing gum masticato. Ho bisogno della nuova versione".
Poiché la Abbott non rende il farmaco
disponibile nei Paesi in Via di Sviluppo, MSF farà oggi un'ordinazione per i
propri progetti in Camerun, Guatemala, Kenya, Malawi, Nigeria, Sud Africa,
Tailandia, Uganda, e Zimbabwe. Sulla base di prove fornite da esperti
industriali che dimostrano chiaramente che la nuova versione è meno costosa
da produrre della vecchia, MSF chiede per questa nuova formulazione il
prezzo più basso possibile, che non dovrebbe essere superiore al costo
pagato dai Paesi in Via di Sviluppo per la vecchia versione.
In una lettera indirizzata alla Abbott,
importanti ricercatori, studiosi e organizzazioni impegnate nella lotta
all'HIV/AIDS di tutto il mondo chiedono alla Abbott di rendere disponibile
in tempi rapidi la nuova versione del lopinavir / ritonavir ai pazienti dei
Paesi in Via di Sviluppo.
La Abbott ha commercializzato questo farmaco
con il nome di Kaletra dal 2000, ma la vecchia versione è una capsula
gelatinosa che va somministrata più volte al giorno, richiede restrizioni
dietetiche e ha bisogno di refrigerazione nei climi caldi.
La mancanza di accesso al lopinavir /
ritonavir illustra chiaramente la situazione inquietante riguardo al
problema dell'accesso ai farmaci nei Paesi in Via di Sviluppo. Mentre il
prezzo dei farmaci antiretrovirali di prima generazione si è notevolmente
ridotto grazie alla competizione dei farmaci generici, il prezzo dei nuovi
farmaci allunga-vita, che godono di un monopolio grazie alla protezione del
brevetto, è drammaticamente più alto di quello dei vecchi farmaci. Questo
blocca l'accesso alle terapie nei paesi più poveri dove vive la maggioranza
delle persone malate di AIDS.
Se l'accesso ai farmaci dipende dalle politiche
di marketing delle case farmaceutiche, allora le vite di milioni di
pazienti continueranno a essere in pericolo.
16
marzo
Il premier: "Non
è facile convincerle a lasciare famiglia e marito"
La Prestigiacomo prepara un dossier per il prossimo duello
Cdl, sconcerto
tra le donne
per la gaffe di Berlusconi in tv
di GIOVANNA CASADIO
Il ministro Stefania
Prestigiacomo preparerà un dossier sulle donne per il prossimo
duello
ROMA - Il ministro delle Pari opportunità Stefania
Prestigiacomo gli manderà un dossier con l'elenco delle cose che il
governo e la maggioranza hanno fatto per le donne. Perché Berlusconi
lo studi bene prima del nuovo faccia a faccia del 3 aprile, visto
che nel duello tv con Prodi di martedì, non se n'è ricordato. Il
sottosegretario agli Esteri, Margherita Boniver, candidata numero 4
in Piemonte (una delle poche donne in testa di lista di Forza
Italia) avanza il sospetto: "Distratto, forse era distratto". E io,
ammette, "sono rimasta sorpresa dalla risposta che sulle donne ha
dato il presidente del Consiglio. Non che Prodi brillasse,
comunque". "Verrà il giorno per parlare di questa cosa..." e Maria
Burani Procaccini, presidente della commissione bicamerale infanzia
(dirottata ora da Forza Italia al Senato nel Lazio in un posto a
rischio) seppellisce la questione sotto una sonora risata: "Siamo in
campagna elettorale... Del resto non è che Prodi ha preso la palla
al balzo e ha replicato alla mentalità ottocentesca".
Amarezza, imbarazzo, bocche cucite in Forza Italia. E malumori
"rosa" che trasudano anche in alcune mail del "Berlusconi fans
club":"Ma che concezione ha delle donne?". Sandro Bondi, il
coordinatore del partito, detta una nota alle agenzie di stampa
nella quale annuncia che le donne elette in Parlamento da Fi saranno
più di quelle di Fassino e altri. Tenta di smontare la polemica e lo
sconcerto "bipartisan" per le affermazioni del premier a cominciare
da quella secondo la quale di donne nelle liste elettorali forziste
ce ne saranno "ma non è stato facile convincere chi ha una
formazione adeguata a ricoprire queste cariche impegnative a
lasciare la famiglia e il marito e a trasferirsi a Roma per cinque
giorni alla settimana...". E per sovrappiù ha aggiunto: "Nel nostro
programma credo che abbiamo tenuto in conto le esigenze delle
categoria".
"Ottocentesco, grottesco": hanno buon gioco a denunciare i leader
dell'Unione. Rosy Bindi, una delle due capoliste dell'Ulivo: "Qui si
vede quanto è distante Berlusconi dal paese. Non avremo forse un
governo zapaterista o bacheletiano con il 50% di donne, sono
realista, ma prodiano con un 30% sì". Massimo D'Alema, il presidente
Ds rimarca: "Ma le donne italiane lo hanno sentito? Si dice genere e
non categoria, per lui 25 anni sono passati invano". Idem il
segretario Fassino. Allora Bondi si affretta a precisare: "Noi
abbiamo una concezione dell'emancipazione femminile e delle pari
opportunità diversa da quella della sinistra". Una diversità che
piace assai poco anche alle donne del loro schieramento. Dietro la
promessa di anonimato, tutte riconoscono "l'autogol rosa". È
"scivolato su una buccia di banana" che però riguarda 25 milioni di
elettrici.
Un'insufficienza a Berlusconi da Erminia Mazzoni, vice segretario
Udc. E i silenzi sono più significativi dei commenti. Isabella
Bertolini si trincera dietro un "no comment". Ricorda però che in
Emilia ha sudato per avere almeno altre tre donne, oltre lei, in
posizione sicura in lista accogliendo la calabrese Jole Santelli e
la piemontese Patrizia Tangheroni. Le due avevano rischiato di
essere fatte fuori, e certo non perché volessero restare in
famiglia. Appello di Daniela Santanché (An) "insoddisfatta" per
l'uscita di Berlusconi: "Il premier si riscatterà il 3 aprile:
prometta di dare a due donne la presidenza di Camera e Senato e di
fare una battaglia bipartisan per una donna al Colle".
"Erano impreparati sia Berlusconi che Prodi, ma
non condivido che le donne non sono in politica perché vogliono
restare in famiglia", chiosa Gabriella Carlucci ricandidata, ma in
brutta posizione al contrario della soubrette Mara Carfagna che ha
spuntato un buon posto in Campania e provocato una sollevazione nel
partito. Difendono quel che ha detto Berlusconi in tv la Armosino e
la Gardini.
13
marzo
I ragazzi
che studiano lontano dalla propria abitazione lo sanno:
sistemarsi, all'inizio, è molto difficile. Tra tugurii,
monolocali e prezzi esorbitanti
A.A.A.
cercasi casa disperatamente
Viaggio nel "calvario" dei fuori sede
Un viaggio nel mondo
del mercato immobiliare attraverso una ricerca dell'Eurispes
e le inchieste di molte scuole di giornalismo
di DANIELE
SEMERARO
ROMA
- Innumerevoli telefonate, giri da una parte all'altra della
città con in mano il fedelissimo giornale degli annunci,
visite interminabili a case improponibili, tugurii che
arrivano a costare anche 600 euro al mese. Per gli studenti
universitari fuori sede, trovare una sistemazione non è cosa
facile. E, con l'arrivo della bella stagione, affittuari e
agenzie immobiliari si sbizzarriscono alzando i prezzi agli
(spesso ignari) inquilini.
Un argomento che, anno dopo anno, viene trattato, discusso,
studiato soprattutto dai protagonisti: gli studenti. E quale
occhio migliore se non quello degli studenti delle scuole di
giornalismo e delle radio d'ateneo, che spesso organizzano
inchieste su questo problema, per addentrarci in un mondo
ancora troppo oscuro?
Il settimanale online della Scuola di giornalismo
dell'Università di Bologna, "La Stefani", ha condotto
un'indagine, uscita questi giorni, che risulta piuttosto
allarmante: solo la metà dei contratti di affitto (51%),
infatti, risulta in regola, e il rimanente 49% si divide tra
coloro che hanno solo un impegno senza valore legale (24%) e
quelli che sono totalmente in nero (25%).
Bologna. Secondo quanto riporta l'inchiesta di
Alessandro Antonelli e Chiara De Felice, che è stata
condotta su un campione di 350 studenti (tra i 18 e i 25
anni), emerge che la responsabilità di questa "metà oscura"
degli affitti studenteschi pesa sia sui proprietari che
sugli studenti. Alla domanda, infatti, sul perché
dell'assenza di un contratto, 81 su 350 rispondono che la
decisione è del proprietario, ma sono in 74 ad ammettere che
è una scelta concordata. Anche se poi, pur stando così le
cose, il 66% degli studenti in nero è convinto che questo
torni quasi esclusivamente a vantaggio dei proprietari, che
così intascano soldi ed evadono le tasse.
Dalla ricerca, inoltre, emerge che solo 108 tra gli
intervistati possono permettersi una stanza tutta per sé,
con prezzi che salgono oltre i trecento euro spese incluse,
mentre il restante 60% divide la camera con un'altra
persona. Vera spia del sovraffollamento, però, spiegano, è
il totale degli "occupanti" l'appartamento: due terzi hanno
risposto di essere almeno in quattro a casa, ma il 24%
convive con più di cinque persone. E non mancano gli
appartamenti da sette. A Bologna, inoltre, è abbastanza alto
anche il problema delle discriminazioni: 120 studenti su 350
intervistati dichiara di aver subito delle discriminazioni
nella ricerca di una sistemazione, e il 40% di questi crede
che a chiudergli le porte in faccia sia stato il proprio
attestato di frequenza al Dams, la facoltà di Discipline
dell'arte, della musica e dello spettacolo.
Roma. "Roma caput mundi, ma non sa di esserlo. Perché
Roma sa di essere la capitale d'Italia e della cristianità,
ma ignora di essere anche la capitale europea
dell'università". Inizia così l'approfondita indagine dei
giornalisti praticanti dell'Agenzia di stampa "Lumsa News"
di Roma, che sottolinea come servizi e infrastrutture non
soddisfino il problema dell'emergenza abitativa per gli
studenti che arrivano da ogni parte d'Italia. Parliamo di
costi: per una stanza singola nella Capitale ormai i prezzi
arrivano a sfiorare anche i 500 euro al mese, e anche una
doppia non si trova sotto i 350. Racconta un'intervistata:
"Inizialmente pagavo 400mila lire al mese ma ogni anno il
proprietario ha chiesto un aumento del prezzo di locazione,
fino ad arrivare a quello attuale: 450 euro. Inutile dire
che paghiamo in nero, ma è l'unica soluzione che abbiamo
trovato". E se si gira tra collegi e residenze universitarie
le lamentele non cambiano: dall'"impossibilità di trovare un
posticino" per i 30mila di Tor Vergata (perché i posti letto
a disposizione dello studentato sono 120) e per gli studenti
di Roma Tre (le richieste sono 2500 l'anno per 70 posti)
fino ai limiti della zona di San Lorenzo, a ridosso della
Città Universitaria de "La Sapienza", ridotto ormai a un
quartiere dormitorio che ospita migliaia di appartamenti -
alcuni anche fatiscenti - destinati ai "poveri" ragazzi che
vogliono studiare nei tanti atenei, grandi e piccoli, della
Capitale.
Milano. A Milano, secondo bacino universitario dopo
Roma, l'argomento è stato affrontato diverse volte. In
particolare, scrive Paola Brianti su "Mag", il quotidiano
online della Scuola di giornalismo dell'Università
Cattolica, il problema principale è quello di una "carenza
cronica" di affitti che interessa spesso gli studenti fuori
sede. I problemi? È presto detto: i prezzi e le condizioni
dell'appartamento offerto, "spesso al limite della decenza".
Napoli. "Assenza di riscaldamento, aumento degli
affitti e condizioni fatiscenti delle abitazioni". Questi i
principali problemi che lamentano gli studenti che vivono
nel capoluogo partenopeo nell'inchiesta che Francesco
Tortora ha condotto per "Inchiostro", la rivista della
Scuola di giornalismo dell'Università "Suor Orsola
Benincasa". Tra gli studenti intervistati, alcuni
addirittura lamentano che, con l'introduzione dell'euro, il
proprio affitto sia passato "magicamente" da 250mila lire a
200 euro. A questo bisogna aggiungere anche frequenti azioni
di taglieggiamento da parte della camorra locale. "Come se
non bastasse - continua Tortora - le stanze che gli studenti
affittano a caro prezzo sono anche vecchie e non
riscaldate". E i contratti? Nessuno li regolarizza. Per non
parlare, poi, spiega un'altra neo-giornalista, Caterina
Scilipoti, di "una tendenza tutta napoletana: cambiare
alloggio molte volte durante la carriera universitaria",
alla ricerca di sistemazioni migliori e prezzi convenienti.
E c'è anche chi, non potendosi permettere un affitto, come
spiega il loro collega Davide De Paola, occupa un'abitazione
"per sopravvivere".
Urbino. Esistono, e di questo ci stupiamo, anche
delle città universitarie in cui gli affitti sono in crisi e
i prezzi calano. Dove? Ad Urbino, ad esempio. Scrive Alessio
Sgherza dell'Istituto di formazione al giornalismo del
capoluogo marchigiano che "molti alloggi restano vuoti, i
contratti diventano più brevi" e, di conseguenza, gli
affitti calano anche di cinquanta euro in meno di due anni.
Secondo l'inchiesta, circa l'8% dei posti letto rimane
vuoto, "mentre fino a qualche anno fa c'era la fila fuori
dalla porta, gli alloggi si riempivano già da settembre". E
così, può capitare che nelle case "le stanze triple
diventino doppie, una stanza diventi un salone".
C'è da aggiungere, inoltre, che i controlli, nel nostro
Paese, sono pressoché nulli: in Italia, infatti, le
associazioni degli inquilini e dei proprietari sono
impossibilitati a intervenire direttamente, e lo Stato può
rilevare l'illecito solo a fronte di una denuncia da parte
dello studente, cosa rarissima considerati i costi, in tempo
e soldi, di battaglie legali.
In Italia. E a livello nazionale, cosa accade?
Secondo una recente ricerca dell'Eurispes, contenuta nel
Rapporto Italia 2005, "non si può fare un calcolo medio
nazionale" sui prezzi degli affitti, perché questi "variano
in funzione della città: al centro-nord si hanno prezzi
mediamente più alti di quelli del meridione a causa del
diverso costo della vita. Quello che però è
indiscutibilmente estendibile a tutto il territorio riguarda
il rincaro che ha assalito il mercato degli affitti per gli
studenti. Al punto che oggi, più che mai, studiare in una
regione diversa dalla propria è diventato un privilegio per
pochi eletti".
I prezzi. Dai risultati della ricerca, ad esempio, si
ricava che per l'affitto di una camera singola possono
essere richiesti fino a 500 euro mensili, come avviene ad
esempio a Roma, che detiene il record del caro affitti. La
Capitale è seguita, poi, da Siena, dove una stanza costa
mediamente 350 euro, poi troviamo Pavia (300 euro) e Parma
(255 euro). Meno cara Bari, con i suoi 230 euro per una
camera singola. A preoccupare, però, sono soprattutto gli
aumenti degli ultimi anni: a Pavia, spiegano i ricercatori
dell'Eurispes, negli ultimi sei anni il costo delle stanze
si è raddoppiato, a Siena c'è stato un aumento del 50-70%. A
Roma, addirittura, dal 1999 a oggi c'è stato un aumento che
ha sfiorato quota 76%, come è confermato anche dall'Adisu
(l'Azienda per il diritto allo studio universitario) del
Lazio.
Le cause? In primo luogo sicuramente l'aumento degli
studenti universitari e la disponibilità sempre costante
degli alloggi universitari (come ad esempio gli studentati)
che spingono molti fuori sede a rivolgersi a privati.
Secondo uno studio, addirittura, il numero dei posti
alloggio messi a disposizione da comuni e atenei copre solo
l'1,9% sul totale degli studenti: circa 33mila posti
alloggio su oltre un milione e 730mila studenti.
10 marzo
Ricerca sul cancro?
Storace regala 55 milioni di euro alle banche
Marcello
Pamio 10/03/2006
Mentre la vergognosa
soap-opera tra Prodi e Berlusconi continua a tenere occupati i palinsesti
televisivi e i cervelli, e mentre dall’altra parte dell’oceano stanno oramai
definendo come intervenire militarmente e illegittimamente in Iran (sembra
che uomini delle truppe speciali israeliane siano già penetrati nel
territorio iraniano per individuare i siti da far esplodere),
qui da noi il ministro della Salute Storace ha firmato il decreto (previsto
nella Finanziaria 2006) sulla ripartizione dei soldi per la ricerca sul
cancro!
Ebbene, dei 100 milioni di euro stanziati per la ricerca oncologica dallo
Stato (e quindi usciti dalle nostre tasche), oltre la metà (55 milioni)
finiscono nelle tasche di società private - controllate da banche private -
e il rimanente va agli Irccs pubblici (Istituti di Ricovero e Cura a
carattere scientifico)!
L’agenzia di stampa Adnkronos Salute ha anticipato i nomi di questi
destinatari, e quello che è emerso è molto interessante.
Questi sono i servizi
pubblici che hanno ricevuto i soldi:
- Istituto nazionale dei tumori di Milano
à
10 milioni di euro
- Istituto Regina Elena di Roma
à
20 milioni
- Istituto Superiore di Sanità
à
5 milioni di euro
- Alleanza contro il cancro
à
10 milioni di euro
E questi altri sono
quelli privati:
- S. Raffaele Monte Tabor
à
20 milioni di euro
- Istituto Europeo di Oncologia di Milano
à
20 milioni di euro
- San Raffaele della Pisana di Roma
à
7 milioni di euro
- Fondazione Santa Lucia
à
5 milioni
- Fondazione Maugeri di Pavia
à
3 milioni di euro
Vediamo alcuni dei
fortunati beneficiari privati:
Istituto Europeo di
Oncologia (20 milioni di euro)
L’IEO,
l’Istituto Europeo di Oncologia, quello per intenderci di Umberto Veronese,
l’ex collega di Storace.
I soci di questo istituto oncologico sono, come nella migliore tradizione,
un po’ di banche, assicurazioni, finanziarie: Mediobanca, Banca
Intesa, Unicredit, Capitalia, Banca Popolare Italiana, Fondiaria SAI,
Generali, RAS, Fiat, Pirelli, Edison, Sorin Group, Italcementi, Fondazione
Salvatore Maugeri, Fondazione Cabrino Carena.
L’amministratore
delegato è il dott. Carlo Ciani,
che ha lavorato – guarda caso – proprio per Mediobanca, ed è stato
consigliere e membro esecutivo della Monte dei Paschi Vita spa.
Fino al 1998 Consigliere della Società Italiana Assicurazioni e
Riassicurazioni Spa,
e Amministratore delegato della Sai Holding Spa
fino al 2002.
Dall’8 maggio 2001 è consigliere della Pirelli spaI principali azionisti di Pirelli spa sono (all’11
novembre 2005): Camfin (Cam Petroli srl al 50% con Agip
Fuel spa del gruppo ENI),
Generali, Edizioni Holding, Mediobanca, Fondiaria-SAI, e gruppo RAS
San Raffaele della
Pisana (7 milioni di euro)
Il San
Raffaele della Pisana di Roma è di proprietà della società per azioni
Tosinvest sanità di proprietà della Finanziaria Tosinvest
di proprietà della famiglia Angelucci, quella che ha scalato le vette
della finanza e che oggi oltre ad essere gli editori di quotidiani come “Libero”
e il “Riformista” possiede circa dieci cliniche private per qualche
migliaio di posti letto.
La Finanziaria
Tosinvest
secondo un Atto di
Sindacato Ispettivo n°4-03377
(seduta nr. 279) pubblicato dal Senato il 19 novembre 2002 e indirizzato ai
ministri (economia, finanze, attività attività produttive, salute e
giustizia), sembrerebbe «implicata nella vicenda dell’acquisizione del
San Raffaele. Non solo ma tale società si è vista contestare
dalla polizia tributaria circa 140 miliardi di
vecchie lire di evasione fiscale per il 1998, avendo operato una elusione
della tassazione di plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni a
oscure società lussemburghesi della proprietà delle cliniche di Velletri e
Cassino»
Sempre
secondo tale atto del 2002,
la Poliambulatori Cave
srl di Roma, della società Panigea di proprietà sempre
della Finanziaria Tosinvest, avrebbe un dirigente che si chiama
Massimo Fini,
non il giornalista ma il fratello dell’attuale Vicepresidente del Consiglio
Gianfranco Fini.
Se non bastasse tra i
proprietari della Poliambulatorio Cave srl figura la signora
Patrizia Pescatori, moglie proprio di Massimo Fini!!L’attuale amministratore della Tosinvest è Ernesto
Monti, presidente dell’Astaldi
(una delle principali società di costruzioni in Italia). Monti fa parte del
consiglio di amministrazione di Finmeccanica,
è stato dirigente per tutti gli anni Novanta della Banca di Roma
(oggi Capitalia, che tra gli azionisti ha proprio la Finanziaria Tosinvest
) ed è dentro pure il consiglio di Fintecna, la finanziaria statale
che dopo la ricapitalizzazione della Società dello Stretto di Messina
ne è divenuta la maggiore azionista con il 68,8% del capitale sociale.
San Raffaele del
Monte Tabor (20 milioni di euro)
Questo
istituto privato il cui nome Raffaele, scelto dal suo fondatore
don Luigi Maria Verzé, deriva dall’ebraico Raf-el, che significa
“Medicina di Dio”, “Dio guarisce”,
si trova a Milano.
La
Fondazione
omonima gestisce l’Istituto
Universitario San Raffaele (uno dei maggiori ospedali italiani) il
Science Park Raf spa, la società che controlla le proprietà
intellettuali il cui capitale è privato al 100%,
cioè i brevetti, e infine il Dipartimento di Biotecnologia (DIBIT),
l’Università Vita-Salute. Insomma un impero da mille e una notte
Di questo centro non si sa molto se non che banche tipo Cariplo,
Mediocredito e Banco di San Paolo garantiscono finanziamenti
illimitati…
Qualche mala lingua vedrebbe tra gli azionisti Silvio Berlusconi e pure
l’Opus Dei…
In Italia la ricerca
scientifica non esiste.
I cervelli migliori scappano all’estero, e fanno molto bene.
In Italia si preferiscono buttare i nostri soldi per operazioni come
Peacekeeping in Iraq, piuttosto che cercare di comprendere come mai le
persone oggi si ammalano sempre più!
Come mai, per esempio, le persone malate di cancro che NON è solamente una
cellula impazzita (questa è solamente la manifestazione fisica), negli
ultimi anni, e nonostante le belle parole dei luminari di turno (tipo gli
Umberti: Veronesi e Tirelli, & compagnia bella) stanno aumentando giorno
dopo giorno!
Nonostante questo, per partecipare al genocidio perpetrato dalla coalizione
anglo-americana nei confronti del popolo sovrano iracheno, noi italiani
abbiamo speso, senza che nessuno ce lo dicesse, oltre 200 milioni di euro!
Lo riporta il Disegno di legge nr. 112 presentato il 28 giugno 2005:
«E’ autorizzata, fino al 31 dicembre 2005, la spesa di 212.972.175
euro per la proroga della partecipazione di personale militare alla missione
internazionale in Iraq»Più del doppio della cifra che il medesimo governo Berlusconi ha
stanziato per la ricerca sul cancro. Tutto il male però non viene per
nuocere: visto infatti chi sono i personaggi e come le società private che
li controllano portano avanti tali ricerche, forse è bene spenderli da
qualche altra parte…
8 marzo
La guerra dentro
DANILO ZOLO
La sezione britannica di Amnesty International,
in un rapporto di 48 pagine, denuncia quello che sinora in Occidente
nessuno aveva voluto ammettere: la lezione di Abu Ghraib non ha
avuto il minimo effetto. In Iraq 14.000 detenuti sono tuttora
privati dei loro più elementari diritti. Le forze di occupazione
inglesi e statunitensi li tengono in carcere senza averli mai
incriminati o processati. Drammatiche testimonianze di ex
prigionieri documentano che in Iraq le torture sono sempre
all'ordine del giorno. Alcuni hanno riferito di essere stati
percossi con cavi di plastica, torturati con scosse elettriche,
rinchiusi in stanze allagate dove nell'acqua veniva fatta passare la
corrente. Fra questi, 200 sono prigionieri da più di due anni, e
quasi 4.000 da più di un anno. «Mantenere in carcere un così ampio
numero di persone senza garanzie legali è una grave omissione di
responsabilità da parte delle forze americane e britanniche»,
denuncia Kate Allen, direttore di Amnesty International per la Gran
Bretagna. Queste notizie completano uno scenario sempre più tetro
nel quale le infamie di Guantanamo, di Abu Ghraib, di Camp
Bondsteel, di Polj-Charki, di Bagram appaiono come una realtà
diffusa, programmata e strategicamente motivata. La guerra contro il
«terrorismo globale» condotta dagli Stati Uniti e dei loro alleati
occidentali è ormai apertamente terroristica. Per convincersene è
sufficiente scorrere il recente documento del Pentagono: il
Quadrennial Defense Review Report.
La guerra che viene annunciata al mondo per il prossimo futuro è una
long war, terroristica nel significato convenzionale per cui
l'uso delle armi di distruzione di massa ha come obbiettivo la
strage di migliaia di civili innocenti. E lo è nel significato più
ampio e drammaticamente attuale di una guerra che diffonde il panico
nella forma di una sistematica violazione dei più elementari diritti
dell'uomo. La «lunga guerra» si annuncia come una «guerra
irregolare», invasiva, capillare, invisibile perché combatte un
nemico infido e spregevole, presente in ogni angolo della terra e
ovunque minaccia i valori e gli interessi dell'Occidente.
Qualsiasi mezzo per distruggere le metastasi del «terrorismo
globale», per scardinarne le strutture è non solo politicamente
legittimo ma è legittimato «da Dio stesso», esterna Tony Blair. Come
ha scritto Alan Dershowitz, occorre infliggere ai terroristi
sconfitte severe, inabilitare i suoi militanti arrestandoli o
uccidendoli, usare la tortura e le rappresaglie collettive.
Così le guerre scatenate in questi anni dagli Stati Uniti e dai loro
alleati rientrano in un unico paradigma strategico: quello di una
«lunga guerra», motivata da clamorose imposture umanitarie e
imponenti campagne ideologiche, per coprire stragi di civili,
occupazione militare dei paesi sconfitti, depredazione di risorse
energetiche, controllo di strutture politiche e giudiziarie,
frammentazione di territori. Se i piani del Pentagono avranno
successo, sarà una «lunga guerra dentro»: rischia di non concludersi
se non con la fine della civiltà occidentale.
Studio Eurispes per l'8 marzo:
"Rischio di pericolosa involuzione"
Livelli bassi per l'occupazione femminile e la spesa
sociale
Lavoro, famiglia, diritti e politica
In Italia le donne vanno indietro
ROMA - Otto marzo, festa delle donne. Ma a quanto
pare le donne italiane hanno ben poco da festeggiare.
Una ricerca Eurispes mette in fila una serie di dati che
portano a un'unica conclusione: "Il ruolo e la
condizione della donna oggi in Italia presenta il
rischio di una pericolosa involuzione culturale, sociale
ed economica", per usare le parole di Gian Maria Fara,
presidente dell'istituto.
Che non si tratti di una visione allarmistica lo
testimoniano i numeri. In particolare lo studio
evidenzia che in Italia il tasso di occupazione delle
donne è pari al 45,1% contro il 57,8% in Francia, il
60,2% in Germania e il 72,8% in Danimarca. Il 40% degli
uomini ritiene che la cura della casa sia soprattutto
compito delle donne. In materia di spesa pubblica per la
famiglia, la casa e l'esclusione sociale il nostro Paese
si colloca al penultimo posto della graduatoria europea
con l'1,1% del Pil (la media Ue è del 3,4%).
Ma vediamo alcuni altri aspetti emersi dalla ricerca
Eurispes.
Sì a convivenza, fecondazione e aborto. La
maggioranza delle donne, il 67,1%, è favorevole alla
convivenza. Percentuale che sale al 71,1% tra le donne
dai 35 ai 44 anni e raggiunge il 96,2% tra le
giovanissime. Anche per quanto riguarda il divorzio è
maggiore la percentuale di donne favorevoli (66,7%)
rispetto a quelle che si dichiarano contrarie. Oltre la
metà delle donne, il 60,1%, è poi favorevole alla
fecondazione assistita e il ricorso all'aborto è
ritenuto legittimo soprattutto se esiste un pericolo per
la madre (81,7%) e in caso di gravi malformazioni
(74,6%).
Donne a dire messa. Il 48,1% delle donne si
dichiara d'accordo con l'affermazione secondo cui le
donne potrebbero dire messa. Il 45,1% è invece
contrario. Una quota consistente, il 6,8%, non ha le
idee chiare al riguardo.
Quote rosa. Il 54% degli italiani ritiene che le
donne in politica siano discriminate e il 66,6% si dice
favorevole alle "quote rosa" poiché ritiene che
l'imposizione per legge sia l'unico modo di garantire
una certa presenza femminile in politica.
Nonni e nipoti. Se il 68,2% degli italiani
sostiene che il ruolo dell'uomo e il ruolo della donna
all'interno della famiglia dovrebbero essere
intercambiabili, la quota più alta di chi la pensa così
si registra tra gli over65 (76,8%) mentre fra i giovani
di età compresa tra i 25 e i 34 anni la percentuale
scende al 59,3%.
Lavoro e famiglia. E' opinione diffusa (68,6%)
che la donna, anche quando ha figli, non dovrebbe
rinunciare al lavoro. Ma sull'affermazione secondo la
quale il successo nel lavoro è più importante per l'uomo
che per la donna gli italiani si dividono: il 51,8% è
d'accordo, il 47,2% in disaccordo. Nonostante l'ingresso
massiccio delle donne nel mercato del lavoro, dunque,
resta diffusa la convinzione che il principale ambito di
realizzazione femminile sia rappresentato dalla famiglia
e dai figli.
Matrimonio. A pronunciare il fatidico sì si
arriva più tardi: in sei anni l'età del primo matrimonio
aumenta in modo quasi analogo per maschi e femmine (+1,7
e +1,6 anni). Non solo, crescono le unioni dove lei è
più grande di lui: a oggi oltre il 30% delle coppie ha
nell'uomo il coniuge più giovane.
7 marzo
OGM: le
incertezze della comunità scientifica
e le paure della società civile
Dott.ssa Luisa T.
La scoperta
del DNA e l'avvento della biologia molecolare hanno consentito
all'uomo la possibilità di modificare direttamente il codice
genetico non più solo attraverso i processi naturali di
selezione ed ibridazione. E' diventato possibile, attraverso le
tecnologie dell'ingegneria genetica, prelevare da un organismo
una sequenza di DNA che codifica per una determinata funzione
(gene) e trasferirla ad un organismo diverso anche molto lontano
dal punto di vista filogenetico.
Questo ha reso possibile lo sviluppo degli OGM (Organismi
Geneticamente Modificati). La creazione degli OGM è ormai una
realtà consolidata; gli utilizzi di queste nuove biotecnologie
hanno coinvolto inizialmente settori come la produzione di
farmaci, (primi ad essere modificati geneticamente furono i
batteri, fino a fargli produrre sostanze utili per l’uomo, come
l’insulina umana), e la medicina in generale, per poi passare
anche ad altri settori come l'agroalimentare e la tutela
dell'ambiente.
I prodotti agricoli transgenici esistono già da alcuni anni,
coltivati soprattutto in Canada e negli USA. Nel 1990 i raccolti
geneticamente modificati praticamente non esistevano; a distanza
di soli 10 anni più di 40 milioni d’ettari sono coltivati con
queste tecniche in tutto il mondo. L'incremento di queste
coltivazioni è stato addirittura esponenziale negli ultimissimi
anni (si è passati da 2,8 milioni d’ettari nel 1996 ai 53
milioni di ettari nel 2001), secondo le ultime statistiche
pubblicate ISAA [1].
La produzione
è concentrata in quattro Paesi: 68% in USA, 22% in Argentina, 6%
in Canada e 3% in Cina per un totale pari al 99%; dedicata
principalmente a quattro tipi di colture: 63% di soia, 19% di
mais, 13% di cotone e il 5% di colza.
Negli USA circa il 60% della soia coltivata è transgenica;
questo dato rende l'idea di quanto imponente e rapida sia stata
la penetrazione di queste nuove varietà in agricoltura; inoltre,
considerando che gli USA sono i maggiori esportatori al mondo di
soia, si può affermare che il 5% circa della soia che circola
nel mondo è transgenica.
In Europa la situazione è abbastanza diversa: oltre alla
prudenza manifestata dai governi dell'Unione Europea (che
difendono il principio della "massima precauzione"), l'ostilità
abbastanza diffusa da parte dei consumatori ha frenato la
massiccia coltivazione e commercializzazione dei prodotti
dell'agricoltura biotecnologica.
In Italia, la
coltivazione in campo di OGM è proibita, se non a scopo
sperimentale, e comunque, in aree confinate e opportunamente
individuate tramite specifiche autorizzazioni. Le attenzioni
poste dal nostro Paese al settore primario si estendono anche
alle attività a valle: dalla trasformazione fino alla
distribuzione.
Le varietà più sperimentate sono: soia, mais, colza, riso,
cotone, pomodoro, cicoria, tabacco, barbabietola, patata, olivo,
vite, kiwi, fragola, ciliegio, melone, crisantemi, girasoli.
Le principali modifiche riguardano: resistenza ad erbicidi
(soprattutto al glifosato) ed insetti (specialmente alla
piralide), maschiosterilità (i famosi semi Terminator della
Monsanto), inibizione della marcescenza (in particolare nei
pomodori). Il numero dei geni impiegati in queste modificazioni
non è superiore alla decina.
In particolare, la resistenza ad erbicidi ed insetti è la
modifica più sfruttata in campo agronomico; infatti, il 90 per
cento circa delle piante transgeniche sono piante con queste
caratteristiche. Secondo i produttori, però, queste sono state
le piante biotecnologiche di prima generazione create allo scopo
di aumentare la produttività; le piante di seconda generazione,
che si stanno attualmente sperimentando e che entreranno in
commercio tra alcuni anni, consentiranno un miglioramento
qualitativo di alcune caratteristiche alimentari. Ad esempio la
produzione di vegetali con un contenuto elevato di alcuni
particolari nutrienti utili alla salute umana (come le vitamine
o alcuni aminoacidi).
Incertezze
sugli effetti
L’inserzione artificiale di un transgene, può interferire
fisicamente con l’espressione dei geni adiacenti alla zona
d’inserimento. Una volta inserito in una cellula, infatti, il
gene è incorporato nel genoma in modo casuale (randomly
spliced), ma sempre in regioni attive dove ne è possibile
l’espressione. L’inserimento può impedire, deprimere o stimolare
l’espressione dei geni associati alle regioni attive del DNA
dell'ospite ed è quindi in grado di influire anche su
caratteristiche legate con la comparsa di sostanze impreviste.
I motivi cui è legata la possibilità che negli organismi GM
compaiano sostanze allergeniche o tossiche possono essere
ricondotti ai seguenti aspetti principali:
Al fatto che tecniche attuali non permettono un’inserzione
mirata dei geni estranei nel genoma ospite implicando la
possibilità che la struttura (e quindi la funzionalità) di geni
endogeni correlati al sito di inserzione venga disturbata.
Questa possibilità è resa più concreta dalla necessità di
inserire i geni estranei in zone del DNA molto attive per quanto
riguarda l'espressione genetica.
Al fatto che i promotori, che sono sequenze di
regolazione sempre associate al transgene strutturale, possono
interferire con l’espressione genetica a vari livelli. Inoltre,
all’insieme promotore-gene strutturale sono spesso associate
altre sequenze regolatrici, dette enhancers, che
stimolano notevolmente l’espressione del transgene ma che
possono avere lo stesso effetto anche sull’attività dei geni
nativi circostanti, addirittura riattivando quelli normalmente
disattivati in un certo tessuto o gruppo di cellule
differenziate. Per questo motivo non si può escludere, per
esempio, che geni codificanti per proteine dannose espresse
normalmente solo nelle parti non edibili di una pianta, possano
risvegliarsi e determinare la sintesi di queste sostanze anche
in tessuti edibili e normalmente innocui. Il complesso
promotore-enhancer, quindi, può influire sui delicati meccanismi
che concertano l’attività genetica influenzando la biochimica
cellulare in modo imprevedibile.
Nella maggior parte dei casi il gene inserito non appartiene
alla stessa specie dell’organismo ospite. Non c’è modo di sapere
come l’organismo reagirà alla presenza di una proteina estranea,
né come questa influenzerà il metabolismo e la biochimica
cellulare. Anche questo può generare effetti imprevisti.
L’effetto di un gene dipende dal contesto in cui si trova. In un
ambiente nuovo è attualmente impossibile prevederlo.
La maggior parte delle proteine estranee inserite in organismi
edibili non hanno mai fatto parte dell'alimentazione umana.
Quindi non è possibile prevedere se l’alimento è sicuro se non
attraverso una valutazione estensiva del rischio alimentare.
Anche se la tipologia dei geni utilizzati attualmente rende
questa categoria di fenomeno di rischio meno probabile delle
altre, non si può escludere la possibilità che nel DNA inserto
possano finire, inavvertitamente, delle sequenze di regolazione
in grado di provocare complicazioni impreviste. La presenza di
una sequenza di DNA inserito con attività di regolazione
impreviste e in grado di influire anche sull’attività di altri
geni, può manifestarsi con effetti diversi tra i quali la
produzione di sostanze pericolose.
L’ingegneria genetica porta alla produzione di "proteine di
fusione" che possono risultare allergeniche. Queste proteine si
generano da legame di sequenze di DNA che provengono da diverse
sorgenti; la regione in cui le proteine vengono unite tende ad
assumere conformazioni molto diverse da quelle originarie e
piuttosto differenti da quelle che si riscontrano nelle proteine
naturali. Tali conformazioni anomale possono essere facilmente
riconosciute come "epitopi" dal sistema immunitario e sono
quindi in grado di indurre una risposta allergica alla proteina.
Anche tra le sostanze note prodotte da alcune linee
transgeniche, ovviamente, ce ne sono alcune che possono
risultare tossiche o allergeniche.
D’altra parte, se un certo numero di complicazioni biochimiche
impreviste a carico del metabolismo di piante transgeniche è
stato già riscontrato e documentato, a causa della politica
industriale portata ad esagerare i vantaggi del biotech ed a
oscurare tutto ciò che ne evidenzi i rischi, c’è il sospetto che
molti dati possano non essere stati riportati. Un esempio che
giustifica questa affermazione, è quello della scoperta di danni
intestinali in topi nutriti con pomodori transgenici FlavrSavr.
I risultati di questa ricerca, portata avanti dagli stessi
scienziati della FDA e volta a valutare l'eventuale necessità di
introdurre test più approfonditi per la valutazione del rischio
legato alla commercializzazione degli OGM, avevano motivato la
richiesta di ulteriori test per valutare i dati emersi dal primo
studio: ma tale richiesta non ha avuto alcun seguito e gli
esperti della FDA conclusero, quindi, che i dati presentati
dalla compagnia non erano sufficienti a dimostrare la sicurezza
dell’OGM e che diverse domande restavano aperte. Nonostante
questo, la FDA non solo ha approvato il pomodoro ma ha
addirittura dichiarato che, le questioni rilevanti ai fini della
valutazione di sicurezza della linea transgenica scelta per
questa verifica generale risultavano risolte in modo tanto
soddisfacente da non rendere necessarie indagini più rigorose
per nessuno dei successivi alimenti GM. La cosa venne fuori un
anno dopo, quando, nel corso di una causa contro la FDA , uscì fuori un documento
confidenziale che descriveva questa vicenda (vedi:
http://www.psrast.org/fdalawstmore.hatm
).
Altro caso del genere è quello relativo all’ormone ricombinante
della crescita bovina, alla dichiarazione della sua equivalenza
con la sua controparte tradizionale e alla successiva scoperta
di differenze capaci di modificare le proprietà e gli effetti di
questa proteina (Violand BN et al. Protein Science. 3:1089-97,
1994).
Tra le pubblicazioni scientifiche che dimostrano la presenza di
effetti imprevisti a carico delle piante GM, se ne possono
ricordare alcune.
Per esempio: una linea di tabacco GM per produrre l’acido
gamma-linoleico che ha inaspettatamente prodotto principalmente
acido octadecatetranico tossico e non esistente nelle varietà
naturali (Reddy SA, Thomas TL. Nature Biotechnology, vol
14, sid 639-642, May 1996); una linea di lievito GM per
aumentare la fermentazione ha prodotto un metabolite imprevisto
(il metyl-glyoxal) in quantità tossiche e mutagene (Inose, T.
Murata, K. Int. J. Food Science Tech. 30: 141-146, 1995);
una linea di soia GM con un gene proveniente dalla Noce
Brasiliana che ha determinato reazioni allergiche in persone non
sensibili alla soia tradizionale (Nordlee, J.A. et al. The
New England Journal of Medicine 14: 688-728; 1996); una
linea di patate GM con un gene proveniente dal Bacillus
thuringiensis (gene CryI var. kurstaki, ceppo HD1) che ha
provocato danni intestinali a topi ( Nagui H. Fares, Adel K.
El-Sayed. Natural Toxins Volume 6, Issue 6, 1998. Pages:
219-233); il caso drammatico del triptofano prodotto da un ceppo
batterico ingegnerizzato che è stato responsabile della morte di
35 persone e dell’invalidità di altre 1500 (Mayeno, AN et al
Tibtech 12:364, 1994).
Un’altra ipotesi di rischio per la
salute umana è la possibilità che i geni per le resistenze agli
antibiotici (inseriti come marcatori dell'avvenuto trasferimento
di materiale genetico in un organismo geneticamente modificato)
possano diffondersi rapidamente arrivando ai microrganismi
presenti nell'ambiente esterno o all'interno degli organismi
animali (ad esempio la flora intestinale). Il passaggio di
materiale genetico da organismi superiori a microrganismi è un
fatto reale e non ipotetico, in quanto già osservato, tanto che
a lanciare questo allarme sono stati alcuni ricercatori e
scienziati dell'istituto Pasteur. La trasmissione di resistenze
agli antibiotici da alimenti ogm ai microrganismi che popolano
l'ambiente, l'uomo e gli animali avrebbe conseguenze
catastrofiche (soprattutto per i microrganismi patogeni) in
quanto tutta la chemioterapia contro i batteri diventerebbe
presto inefficace.
I rischi per la salute umana appena descritti rendono l'idea
della posta in gioco; sarebbe di fondamentale importanza per lo
meno poter scegliere, cioè poter discriminare gli alimenti di
origine transgenica per permettere, almeno alla frazione della
popolazione particolarmente suscettibile (bambini, individui con
problemi di natura allergica, ecc.) di evitare rischi del tutto
superflui. Risulta però molto problematico, allo stato attuale,
ottenere filiere agroalimentari "ogm-free". Il sistema americano
per il maneggio delle granaglie è stato disegnato per grandi
quantità e non per operare differenziazioni. Secondo Kim Nill,
della American Soya Association, ci sono 10 punti durante il
percorso dalla fattoria alla nave durante il quale tipi
differenti di semi di soia vengono deliberatamente mischiati per
incrementare la loro qualità. In questo senso molto importante
sarà l'applicazione della recentissima legislazione europea
(Regolamenti UE 49/2000 e 50/2000) che impone l'etichettatura
agli alimenti che contengono più dell'1 per cento di ogm per
ogni singolo ingrediente (l'1 per cento è da considerarsi come
contaminazione casuale, e non volontaria).
A questo proposito va sottolineato che le metodologie per
analisi quantitative di questo tipo non permettono ancora una
estrema precisione nel produrre risultati certi ed
inequivocabili. Il metodo per rintracciare ogm negli alimenti è
basato sulla tecnica della PCR (polimerase chain reaction), una
tecnica di biologia molecolare che sequenziando il DNA è in
grado di determinare la presenza di geni esogeni; con questa
tecnica si può arrivare a identificare un contenuto percentuale
inferiore allo 0,1 per cento, ma con una variabilità del 20-30
per cento. Tutto ciò comporta il fatto che due laboratori
diversi possono arrivare a determinare sullo stesso campione due
concentrazioni diverse (ad esempio 0,9 per cento e 1,1 per
cento); ci si troverà quindi di fronte ad una serie di
contenziosi per l'etichettatura che metteranno a confronto i
laboratori privati che certificano per l'industria alimentare ed
i laboratori pubblici che eseguono i controlli.
Questa legge riguarda comunque alimenti che contengano ancora
DNA o proteine di origine transgenica (vengono esclusi quindi
gli alimenti purificati come gli oli di soia). Per adesso,
almeno in Italia, è vietato l'utilizzo di prodotti transgenici
per gli alimenti destinati alla prima infanzia (D.P.R. 128/99).
Il rischio
ambientale
Un altro aspetto che andrebbe anche considerato è la valutazione
del rischio ambientale. Infatti la coltivazione su larga scala
di questi organismi geneticamente modificati può comportare
effetti dannosi, non solo alla salute degli uomini, ma anche
alla stabilità e agli equilibri degli ecosistemi con effetti che
indirettamente si possono ripercuotere anche sull'uomo.
Tra questi rischi il principale è quello relativo
all'inquinamento genetico: i pollini di questi ibridi ogm
possono diffondere nell'ambiente anche per alcuni kilometri
dalla coltura di partenza ed andare ad incrociarsi con varietà
naturali comportando la diffusione incontrollata dei geni
artificialmente immessi nell'ogm; a questo proposito va
registrata l'assoluta inidoneità della legge che regola
l'immissione deliberata di ogm nell'ambiente, la quale impone un
limite di soli 200 metri tra le colture
convenzionali e quelle transgeniche.
Inoltre, considerando che spesso queste piante ogm possiedono
caratteri che le rendono avvantaggiate rispetto alle varietà
naturali, è facile immaginare che possano prendere il
sopravvento sulla flora naturale con notevoli ripercussioni
negative sulla biodiversità.
Un altro problema ambientale correlato con gli ogm, anche se in
maniera più indiretta, riguarda il fatto che molte delle
modificazioni genetiche inserite riguardano l'assunzione di
resistenza ad alcuni pesticidi: in sostanza rendendo la pianta
coltivata (ma non le altre) resistente ad un determinato
pesticida (soprattutto erbicidi a base di glifosato, sulla cui
presunta innocuità si stanno ponendo forti dubbi), l'agricoltore
si sentirà incentivato ad utilizzare grandi quantità di
pesticidi con un notevole aumento dell'inquinamento di natura
chimica e dell'esposizione degli agricoltori a queste sostanze
(che si sono dimostrate più pericolose di quanto non si
presumeva inizialmente).
Inoltre, potendo trattare le coltivazioni con l'erbicida in
tutte le fasi vitali della pianta (e non solo prima della
germinazione) i residui di queste sostanze tossiche sulle parti
eduli aumenteranno sicuramente a discapito della salute dei
consumatori.
Concludendo va rilevato che il mais biotecnologico, producendo
in continuo la tossina che normalmente viene prodotta solo in
alcuni momenti del ciclo della pianta, porterà probabilmente
alla diffusione rapida della resistenza alla tossina da parte
degli insetti, invalidando un ottimo insetticida naturale usato
in agricoltura biologica.
Infine un recente studio riporta la rintracciabilità di questa
tossina nel terreno (di campi coltivati con mais biotecnologico)
per lunghi periodi ed in elevata quantità con conseguenze
sconosciute.
Dall'esame della letteratura scientifica sull'utilizzo delle
biotecnologie nel settore agroalimentare si evince che esistono
due fronti di pensiero in contrasto tra di loro: coloro che
ipotizzano alcuni rischi per la salute umana e per l'ambiente ed
altri che, invece, minimizzano questi rischi o non li accettano
per niente.
Questa divisione è ormai diventata anche politica e culturale,
tanto che si possono identificare le due scuole di pensiero:
l'europea (massima precauzione, prima si deve confermare
l'innocuità poi si può commercializzare) e l'americana (prima si
deve provare la pericolosità, poi si può ritirare dal
commercio).
Negli ultimi mesi sono comparsi alcuni studi che criticano
l'atteggiamento di precauzione manifestato soprattutto dai
consumatori europei.
Alcuni di questi riguardano la potenziale pericolosità della
tossina prodotta dal mais biotecnologico che si autoprotegge
così dalla piralide; si ritiene, infatti, che è sicuramente più
dannoso per la salute umana e per l'ambiente l'utilizzo di
pesticidi organofosforici usati per combattere gli insetti che
la tossina naturale biotecnologica. Secondo una ricerca della
Iowa State University, inoltre, grazie al mais biotecnologico
l'uso di pesticidi è diminuito del 15 per cento - 25 per cento,
quindi un'ottima ricaduta per l'ambiente.
Inoltre, il mais biotecnologico ha mostrato come effetto
secondario di diminuire l'attacco e la contaminazione da parte
dei funghi che producono le pericolosissime aflatossine; quindi
meno aflatossine meno trattamenti con fungicidi pericolosi per
l'uomo e per l'ambiente.
6 marzo
Università in agitazione
per gli ultimi decreti ministeriali sulle classi
di laurea.
Il ministero: "I provvedimenti vanno a vantaggio
degli studenti"
Crediti uguali in tutti gli atenei
i rettori: ricorriamo al Tar
Settimane decisive: si attende la decisione
della Corte dei Conti
di
MASSIMILIANO PAPASSO
Dopo l'opposizione alla
riforma dello status giuridico dei docenti e le
critiche ai criteri di ripartizione delle
risorse alle università, un nuovo e importante
capitolo si va ad aggiungere allo scontro tra
governo ed atenei italiani. Questa volta a far
infuriare rettori, presidi e docenti ci sono gli
ultimi decreti ministeriali sulle nuove classi
di laurea, approvati in via definitiva dalla
Camera nella scorsa settimana e che adesso sono
in attesa del giudizio della Corte dei Conti per
essere firmati dal ministro Letizia Moratti e
diventare operativi.
In particolare sono due i punti dei nuovi
decreti a non andar giù agli atenei italiani: il
nuovo sistema di riconoscimento e attribuzione
dei crediti agli studenti per ogni singolo esame
e l'attuazione della riforma "ad Y" già dal
prossimo anno accademico. Uno scontro che si
preannuncia più infuocato che mai, visto che se
dovesse arrivare il nulla osta da parte della
Corte dei Conti, le Università italiane hanno
già in mente di presentare ricorso immediato al
Tar per scongiurare quello che hanno già
definito "un nuovo attacco all'autonomia degli
atenei".
La guerra dei crediti. Gran parte dello
scontro tra ministero e università si gioca
proprio sul terreno dei crediti universitari. I
nuovi decreti, infatti, obbligano gli atenei a
riconoscere come vincolanti quei crediti
acquisiti dallo studente nei casi di cambio o
trasferimento da università diverse. In pratica,
ogni ragazzo non potrà più essere privato dei
risultati - seppur intermedi - conseguiti
all'interno del proprio percorso di studi. Da
Milano a Roma, come da Enna a Trento, i crediti
degli studenti avranno lo stesso peso specifico
e alle università non rimarrà che riconoscerli,
a patto che si rimanga nel recinto (in verità
abbastanza ampio) della classe di laurea di
partenza. Il nuovo sistema va a modificare
quanto introdotto nel 1999 dalla riforma
Berlinguer-Zecchino, secondo cui ogni singolo
credito doveva essere valutato a approvato dai
consigli di facoltà. I nuovi decreti inoltre
introducono l'attribuzione di un "valore minimo"
per ogni singolo esame (sei) e un tetto di otto
prove all'anno. In sostanza le facoltà non
potranno più prevedere nei propri piani di studi
degli esami che garantiscono agli studenti pochi
crediti.
Attacco all'autonomia. Se per
l'opposizione "con questo decreto si vuole
introdurre una sorta di valore legale per
ciascun esame universitario, introducendo così
un appiattimento qualitativo degli studi e dei
titoli conseguiti", per i rettori il pericolo
più immediato è quello di mettere a rischio
l'autonomia degli atenei. "Le novità introdotte
dal governo pongono un serio limite
all'autonomia del nostro sistema universitario -
spiega Guido Fabiani, rettore di Roma Tre e
membro del comitato di presidenza della Crui -.
Gli atenei hanno il diritto e il dovere di
intervenire sulla qualità dei crediti acquisiti
dagli studenti all'interno di un'altra
esperienza di studio. Obbligando le università a
riconoscerli, oltre a fare un passo indietro sul
tema della valutazione tanto sbandierato da
questo governo, si vuole dare una mano anche a
quegli atenei privati nati negli ultimi anni".
Non è fantascienza infatti prevedere che da
molte dalle università sbocciate sotto l'ala
protettrice della Moratti ci possa essere presto
una migrazione di massa di studenti verso atenei
più prestigiosi. Insomma l'ipotesi che si
potrebbe avverare è che uno studente ottenga 2/3
della laurea in un ateneo "di serie B" e poi si
trasferisca in una grande struttura per dare un
valore aggiunto alla sua laurea. "Opponendoci a
questa riforma - conclude Fabiani - vogliamo
tutelare gli stessi studenti e la qualità del
loro titolo di studio. Non ci può essere
riconoscimento senza una attenta verifica della
qualità del lavoro svolto".
L'incognita dei percorsi "ad Y". Oltre al
sistema dei crediti, la partita tra governo e
atenei si gioca anche sui tempi di attuazione
della riforma "ad Y", che dovrebbe mandare in
pensione il sistema del "3+2". Il nuovo percorso
di studi prevede la possibilità da parte degli
studenti - dopo un primo anno propedeutico e
comune a tutti - di scegliere se conquistare una
laurea triennale per provare ad entrare subito
nel mondo del lavoro, oppure continuare a
studiare per altri quattro. Se il meccanismo
della riforma era chiaro già da tempo a molte
università, i nuovi decreti approvati mercoledì
scorso hanno accelerato i tempi di attuazione,
prevedendo la partenza dei nuovi corsi già dal
prossimo anno accademico e in ogni caso non
oltre il 2007/2008. Una previsione secondo i
rettori "azzardata" visto che l'offerta
formativa degli atenei è stata già preparata
secondo il vecchio ordinamento e non ci sarebbe
più spazio per pensare ad una loro modifica.
Anche perché proprio oggi partono le
preiscrizioni degli studenti dell'ultimo anno
delle scuole superiori.
"Più potere agli studenti". Ma se i nuovi
decreti non sembrano andar giù a rettori e
docenti, l'ennesima rivoluzione del sistema
universitario italiano sarà accolto con grande
soddisfazione dagli studenti, almeno secondo il
sottosegretario del Miur Maria Grazia Siliquini,
che più di tutti si è battuta per l'attuazione
della riforma. "Sono molto soddisfatta - ha
spiegato la senatrice di Alleanza Nazionale dopo
l'ultimo via libera del Parlamento - perché
siamo riusciti ad accogliere le osservazioni del
Cun e dei giovani del Consiglio Nazionale degli
Studenti Universitari. Con questi decreti
abbiamo voluto favorire la mobilità dei giovani
tra corsi di laurea simili e tra atenei diversi.
Sempre per il bene degli studenti, abbiamo
voluto evitare un numero eccessivo di esami e la
frammentazione dei crediti formativi assegnati
ai vari insegnamenti, che ha contribuito alla
parcellizzazione degli stessi, allo scadimento
complessivo della qualità nella formazione
nonché alla degenerazione di diverse facoltà,
trasformatesi in semplici esamifici".
3 marzo
Grandi opere: lavori infiniti,
inaugurazioni bluff
costi spesso lievitati e tanti progetti nel cassetto
L'Italia dei cantieri promessi
radiografia di uno spot
Solo in un caso su cinque dagli annunci alla fase
operativa
di GIOVANNI
VALENTINI
Lavori per
il viadotto
di San Teodoro
ROMA -
Grandi Opere o grandi bufale? Progetti o promesse?
Lavori pubblici o piuttosto affari privati?
Il trionfalistico spot di un minuto diffuso a nostre
spese, cioè di tutti noi contribuenti, dal ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti sulle tv nazionali
alla vigilia della campagna elettorale, e ora bloccato
dall'Authority sulle Comunicazioni in nome della "par
condicio", è una cartina di tornasole per il governo di
Silvio Berlusconi; il banco di prova della sua
affidabilità; un test per misurare la sua capacità di
realizzare quanto aveva annunciato e di mantenere gli
impegni assunti nel mitico "contratto con gli italiani".
Il contenuto di quei 60 secondi merita perciò una
verifica punto per punto, con l'ausilio di alcuni
documenti ufficiali - come l'ultimo Rapporto
sull'attuazione della cosiddetta "Legge Obiettivo"
elaborato dal Servizio studi della Camera dei Deputati
nel luglio 2005 e quello più recente dello stesso
ministero - e con la consulenza tecnica degli esperti
del Wwf.
Più che un'eredità di opere o di cantieri, quella che il
centrodestra lascia dopo cinque anni alle generazioni
future è in realtà una pesante ipoteca sul Belpaese: non
solo per l'impatto ambientale, spesso sottovalutato in
base a progetti preliminari per lo più superficiali,
approssimativi e affrettati, ma soprattutto sul piano
economico e finanziario.
A sei mesi dal suo insediamento, nel dicembre 2001 il
governo Berlusconi aveva fatto carta straccia del Piano
generale dei Trasporti, elaborato dall'ultimo governo di
centrosinistra su impulso dell'ex ministro Pierluigi
Bersani, per sostituirlo con il primo Programma delle
Infrastrutture strategiche in cui elencava 117 opere per
un costo valutato originariamente in 125,8 miliardi di
euro (delibera Cipe n.121/2001), senza tuttavia indicare
esattamente le risorse né tantomeno la loro provenienza.
Questo faraonico "libro dei
sogni", privo di un'adeguata copertura finanziaria, nel
tempo è andato crescendo a dismisura: secondo i rapporti
elaborati dal Servizio studi della Camera, in
collaborazione prima con il Cresme (il maggiore centro
di ricerca nel settore dell'edilizia) e poi anche con
l'Istituto Nova, nel 2004 il numero delle Grandi Opere
era salito a 228, per un importo di 231,8 miliardi di
euro e nel 2005 è arrivato a 235 interventi, per 264,3
miliardi di euro.
Già il dato che dopo quattro anni il costo complessivo
del programma risulta raddoppiato, dimostra che il piano
delle infrastrutture è fuori controllo. Una lista della
spesa, insomma, una posta, un valore teorico come quello
che si attribuisce convenzionalmente alle fiches di
varie forme e colori quando si gioca a poker. Ma visto
che in questa legislatura il debito pubblico ha
ricominciato pericolosamente a crescere, fino a superare
il 106% del Pil, stiamo maneggiando una bomba a
orologeria che minaccia di compromettere ulteriormente
il bilancio già dissestato dello Stato italiano.
Con lo spot del ministro Lunardi ancora negli occhi e
nelle orecchie, proviamo a verificare quanto è stato
effettivamente realizzato di quel Programma, ricordando
che nel suo contratto unilaterale Berlusconi s'era
impegnato ad aprire cantieri per "almeno il 40%" degli
investimenti previsti.
Nella migliore delle ipotesi, in base al rapporto
diffuso recentemente dallo stesso ministero delle
Infrastrutture sulla cosiddetta "Legge Obiettivo",
l'attuazione del piano decennale è ferma invece al 21,4%
(cioè 37,2 miliardi di opere effettivamente "cantierate"
su un costo complessivo aggiornato a 173 miliardi di
euro) e forse a giugno potrebbe raggiungere il 25,4%
arrivando - secondo quanto annunciato - a 44 miliardi.
Se invece si prendono come riferimento i 264 miliardi
stimati dal Servizio studi della Camera, allora la
realizzazione del programma sarebbe appena al 14%.
Lavori sul
Raccordo di Roma
Ma la verità è che buona parte delle "Grandi Opere"
attivate dal governo in carica erano state già
predisposte e avviate sotto i governi precedenti oppure
sono rimaste purtroppo sulla carta, se è vero che
all'aprile scorso quelle effettivamente concluse
rappresentavano appena lo 0,2% del totale (pagina 21
dello studio della Camera). Vediamo in dettaglio,
seguendo l'ordine dell'autopromozione televisiva del
ministero, voce per voce, titolo per titolo.
1) Roma, Raccordo e galleria raccordo. I lavori
sul Grande Raccordo Anulare non sono né una "grande
opera" né tantomeno una grande novità. Si tratta in
effetti del completamento delle terza corsia nel
quadrante Nord-Ovest, per un totale di 18 chilometri e
350 metri (di cui 9 chilometri e 450 metri già
completati in precedenza e altri 8 chilometri e 900
metri da completare tra aprile e agosto del 2006), con
un costo complessivo di 613 milioni di euro.
L'ammodernamento del Gra era stato già avviato in
precedenza con la costruzione della terza corsia fra la
Laurentina e la Tuscolana e con il doppio tunnel sotto
l'Appia antica. Ancora prima, negli anni Novanta, fu
aperta la bretella autostradale Fiano-San Cesareo per
abbreviare la distanza tra Firenze e Napoli, dirottando
appunto una parte del traffico che si riversava sul
tratto orientale del raccordo.
2) Napoli, piazza Municipio. L'immagine
utilizzata nello spot del ministro Lunardi è come un
fondale di cartone: riguarda il cantiere di una delle
tratte in corso di realizzazione per il completamento
della Linea 1 della metropolitana di Napoli. L'opera fu
progettata alcuni decenni addietro e all'inizio degli
anni Novanta venne aperto il primo tratto.
I lavori per
il Mose
3) Palermo-Messina. I lavori per la realizzazione
dell'autostrada Palermo-Messina (circa 240 chilometri)
iniziarono negli anni '70, con l'apertura dei cantieri
nel primo tratto Messina-Villafranca. Il completamento
dell'opera è stato finanziato solo in minima parte con i
fondi della Legge Obiettivo dal governo di centrodestra:
la parte più consistente proviene da un co-finanziamento
della Regione Sicilia, dello Stato italiano e della
Commissione europea a metà degli anni Novanta.
La cerimonia d'inaugurazione, voluta per motivi
elettorali dal presidente del Consiglio Berlusconi il 21
dicembre 2004, s'è rivelata una farsa: dopo appena due
giorni, l'autostrada è stata richiusa per proseguire i
lavori. Secondo un calcolo della Fillea-Cgil, il maggior
sindacato dei lavoratori edili, tutto ciò ha provocato
un ritardo di circa sei mesi nel completamento
dell'opera. Ancora adesso nelle due direzioni (Palermo-Messina
e Messina-Palermo) sono aperti una decina di cantieri
per la sistemazione definitiva delle gallerie e per la
costruzione delle aree di sosta. In molti tratti,
perciò, il traffico è ridotto su un'unica corsia.
4) Variante di Mestre. I lavori sono
effettivamente iniziati soltanto per la tratta di
collegamento fra l'A4 (Venezia-Trieste) e l'A27
(Venezia-Belluno). Per quella più lunga, invece, siamo
ancora alla fase degli espropri, mentre è in corso lo
spostamento della linea del metano a Bonisiolo.
Il progetto su cui ha puntato il governo è il cosiddetto
"Passante largo": 32 chilometri e 300 metri per un costo
di circa 750 milioni di euro. Gli ambientalisti non si
sono mai opposti alla variante, ma contestano il fatto
che fra tutte le ipotesi alternative è stata scelta - a
loro giudizio - la soluzione peggiore: cioè quella più
costosa e a maggior impatto ambientale.
5) Olbia-Nuoro, viadotto San Teodoro. Questa
"grande opera" è semplicemente una piccola bretella di
23 chilometri tra Siniscola e San Teodoro (costo 37
milioni di euro). Anche questa progettata e avviata da
tempo, serve a bypassare un tratto particolarmente
pericoloso della strada statale 131 bis, appunto tra
Nuoro e Olbia.
6) Piloni della Cisa. Si tratta del raccordo
destinato a congiungere la A15 Parma-La Spezia, meglio
nota come "AutoCisa", con la A22 del Brennero.
Probabilmente, nello spot di Lunardi si punta sui piloni
di cemento, ancora in costruzione, proprio perché la
loro immagine è più scenografica e suggestiva.
7) Autostrade del Mare. Sono un progetto di
derivazione comunitaria che ha l'obiettivo di collegare
operativamente i vari porti del Mediterraneo. Ma al
momento, in Italia, sono soltanto aria fritta. Finora,
l'unico provvedimento concreto del governo Berlusconi è
stata l'istituzione nel 2004 della Società Rete
autostrade mediterranee, partecipata al 95% da Sviluppo
Italia e co-governata in forza di una convenzione
insieme al ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti.
Dei quattro collegamenti previsti dall'Unione europea,
due interessano in particolare il nostro Paese: l'asse
Sud-Est (che comprende l'Adriatico, lo Ionio e il
Mediterraneo orientale fino a Cipro) e quello Sud-Ovest
(che comprende la Spagna, la Francia, l'Italia e Malta).
Fatto sta, comunque, che l'ultima legge finanziaria ha
tagliato i fondi ai porti che sono i "caselli" naturali
delle Autostrade del Mare, provocando la protesta di
tutti gli operatori.
8) Viadotto Salerno-Reggio Calabria. Anche in
questo caso, lo spot ministeriale si concentra
sull'immagine più spettacolare. In totale, i lavori per
il completamento e ammodernamento dei 204,5 chilometri
dell'Autostrada Salerno-Reggio Calabria dovrebbe costare
5 miliardi e 832 milioni di euro (Fonte: Servizio studi
della Camera). Ma in base alle stime contenute in un
dossier Fillea-Cgil dell'ottobre 2004 la decisione di
accorpare i lavori in 6 macro-lotti, affidandoli a
"general contractor" e liberalizzando in sostanza i
sub-appalti, ha fatto quintuplicare i costi rispetto
alla legge Merloni con il rischio di alimentare
l'infiltrazione mafiosa. E a questo ritmo, secondo lo
stesso sindacato, per finire i lavori occorreranno 36
anni.
9) Tav, autostrade e ferrovia ad alta velocità.
Qui si fa di tutte le erbe un fascio mettendo insieme
l'ampliamento delle autostrade e la nuova ferrovia.
Secondo il Wwf, per realizzare i 1.500 chilometri della
dorsale ad alta velocità (Torino-Milano-Roma-Napoli) e
della trasversale (Torino-Trieste, dal confine francese
a quello sloveno) occorrono almeno 60 miliardi di euro.
Nel 1991, quando fu varato il progetto, la stima era di
13 miliardi.
Per evitare che il programma facesse saltare il bilancio
delle Ferrovie, nel 2002 il governo Berlusconi istituì
la "Infrastrutture Spa" (Ispa) con lo scopo di
finanziare la Tav attraverso l'emissione di obbligazioni
statali. Ma, trattandosi di linee considerate non
redditizie dagli stessi operatori, nel 2005 l'Eurostat
(l'istituto di statistica europea) non ha voluto
certificare i bilanci 2003-2004 della Repubblica
italiana, sollevando 6 eccezioni ed esprimendo in
particolare "dubbi sulla correttezza di alcuni dati e
sul ruolo dell'Ispa nel finanziamento della Tav". Veniva
così confermato il sospetto che in realtà
"Infrastrutture Spa" fosse uno strumento di finanza
creativa per alleggerire artificiosamente il bilancio
statale dagli investimenti sull'alta velocità.
La cronaca degli ultimi mesi racconta che il 22 dicembre
2005, proprio all'indomani dell'incidente ferroviario di
Roccasecca, doveva essere inaugurata l'alta velocità
Roma-Napoli dopo 14 anni di attesa. Per ovvi motivi di
opportunità, la cerimonia è stata rinviata di qualche
giorno. Concepita anche in funzione della redditività
per instradare un treno passeggeri ogni quarto d'ora e
un treno merci ogni mezz'ora, per adesso la linea
sopporterà due coppie di convogli al giorno. In attesa
però dell'ultimo tratto per il collegamento con la
stazione di Afragola, la Tav finisce a 18 chilometri da
Napoli e poi si procede a velocità normale.
10) Mose di Venezia. È il sistema tecnologico per
la regolazione dell'acqua alta a Venezia (costo stimato
5 miliardi di euro), attraverso un complesso sistema di
dighe mobili. A tutt'oggi, risulta che siano iniziati
solo i lavori di dragaggio e scavo per aumentare la
profondità delle tre bocche di porto di Malamocco, Lido
e Chioggia e della cosiddetta conca di navigazione.
Ma il governo Berlusconi, dopo aver
inserito l'opera fra le "infrastrutture strategiche", ha
eluso completamente le procedure di impatto ambientale
in un'area come quella della Laguna in cui esistono
almeno una decina di zone tutelate dall'Unione europea.
Perciò sia il Wwf con la Lipu (Lega per la protezione
degli uccelli) sia i parlamentari Verdi al Parlamento di
Strasburgo, hanno presentato un ricorso alla Commissione
di Bruxelles che il 17 gennaio scorso ha messo in mora
l'Italia per la violazione della normativa comunitaria,
aprendo formalmente una procedura d'infrazione.
2
marzo
In questi periodo, a causa della solita cattiva
informazione data dai media, i consumi di carni
avicole sono scesi drasticamente, si parla di meno
70%. A questo disastro si sono aggiunti, in
questi ultimi giorni, i commenti della RAI che
individuano gli allevamenti rurali come i più a
rischio di Influenza Aviare. Si stanno umiliando
migliaia di agricoltori che ancora credono nel
lavoro della terra. In pratica i prodotti avicoli
d'eccellenza allevati all'aperto con metodi antichi,
sarebbero un pericolo per i consumatori. Produzioni
tradizionali come il Brianzolo in Lombardia, il
Perniciato in Emilia, la Valdarnese in Toscana,
la Padovana e
la Polverara
in Veneto,
la Bianca di Saluzzo in Piemonte,
il Gigante nero in Liguria,
la Siciliana
in Sicilia e le altre decine di produzioni di
elevata qualità sono di colpo denigrate. Ma queste
affermazioni, drammatiche se vere o sciagurate se
false, che fondamento di verità hanno?
Ma è proprio vero che gli allevamenti rurali sono i
più a rischio?
Per valutare questo pericolo facciamo un po' di
conti su quanto è successo dal dicembre
1999 all'aprile 2000 quando il virus dell'Influenza
Aviare (H7N1) ha colpito le campagne
venete e lombarde portando alla morte quasi 14
milioni di capi.
Per brevità confrontiamo i focolai scoppiati negli
allevamenti lombardi di galline ovaiole.
Consideriamo come allevamenti rurali e/o biologici
quelli con meno di 3.000 galline accasate mentre
indichiamo come industriali quelli con più di 3.000
galline.
I dati dell'epidemia parlano chiaro: 72 focolai
di Influenza negli allevamenti industriali della
Lombardia e solo 4 casi in tutti gli altri
allevamenti lombardi rurali e/o biologici. Se
rapportiamo i dati relativi ai focolai con il numero
delle aziende (fonte
ISTAT, Censimento Agricoltura 2000 )
risulta che sono stati colpiti il 43% degli
allevamenti industriali di galline ovaiole contro un
bassissimo numero di allevamenti rurali: 4 su
17.000.
Con i dati messi a disposizione dagli Istituti
Zooprofilattici e dall'ISTAT
si possono riproporre moltissimi esempi di questo
tipo e in qualsiasi modo le informazioni oggettive
vengano elaborate, danno sempre lo stesso risultato:
gli allevamenti a rischio sono quelli industriali
mentre gli allevamenti rurali sono i più sani e
salubri. Non è certo una novità: la
debolezza genetica
, degli animali allevati dall'industria, e un metodo
d'allevamento innaturale (eccessiva concentrazione
di animali) rendono gli allevamenti intensivi molto
vulnerabili a qualsiasi virus.
Come il buon senso poteva far intuire, le produzioni
rurali, con razze a lento accrescimento e con
libertà di pascolo,
sono ancora le uniche a produrre qualità e le più
sicure per i consumatori.
Un
documento dell'inchiesta smentisce il premier
erano della Fininvest i fondi neri che finanziarono il
Psi
"Silvio mi parlò dei soldi a Craxi
Incassero dopo i suoi processi"
Nelle carte sequestrate nello studio londinese di David
Mills
le parole dell'avvocato che Berlusconi dice di non
conoscere
di LUCA
FAZZO
L'avvocato
David Mills
MILANO - Due affermazioni cruciali di Silvio
Berlusconi vengono smentite dai documenti che la polizia
britannica ha inviato alla Procura di Milano nell'ambito
dell'indagine su David Mills, l'avvocato che creò il
sistema di società occulte della Fininvest. La prima
affermazione di Berlusconi risale a undici anni fa:
quando indicò la società All Iberian come "una società
inglese" incaricata semplicemente di seguire un
contratto televisivo. La seconda affermazione di
Berlusconi è di pochi giorni fa, quando ha dichiarato di
non avere mai conosciuto David Mills.
Ecco, invece, il documento sequestrato negli studi
londinesi di Mills e inviato in Italia. La data è del 25
novembre 1995: due giorni prima la Procura di Milano ha
inviato un nuovo ordine di custodia contro Bettino Craxi,
ex segretario del Partito socialista, latitante ad
Hammamet, l'accusa è di avere ricevuto dieci miliardi di
lire sottobanco dalla società All Iberian, dietro quella
società secondo la Procura c'è Berlusconi.
Il Cavaliere si indigna. A Repubblica dichiara:
"È una distorsione dei fatti inaccettabile. Una società
del mio gruppo, la Principal, ha contratti per la
compravendita di diritti con una società olandese. La
Principal ha dato mandato ad una società inglese, la All
Iberian, di seguire il contratto".
Peccato che nello stesso giorno il Cavaliere si senta al
telefono con David Mills. Lo rivela l'appunto di Mills:
"Quando ho parlato a Silvio Berlusconi giovedì (il 23
novembre, ndr) lui ha insistito sul fatto che le
ultime accuse sono motivate politicamente. Sono bombe
politiche perché i giudici di Mani Pulite ora a Milano
sono in grado di affermare che dietro questo pagamento a
Craxi ci sia Berlusconi. Al momento del pagamento, alla
fine del 1991, Craxi non era primo ministro. Di
conseguenza l'unica imputazione che può essere
contestata è quella che ci sia stato un contributo non
dichiarato a un partito politico. Non c'è nessuna accusa
di corruzione perché Craxi non ricopriva alcun incarico
pubblico. Naturalmente in questo paese non si
tratterebbe di reato, come Berlusconi ha insistito a
farmi notare".
Mentre in Italia nega di controllare All Iberian e parla
di pagamenti di diritti televisivi, Berlusconi si
precipita a parlare con l'uomo che ha creato All Iberian
per conto di Fininvest e gli racconta, pur
ridimensionandola, la vera storia di quei soldi a Craxi:
un finanziamento illecito, nessuna corruzione, una cosa
che in Inghilterra non sarebbe perseguibile penalmente.
In quei giorni del 1995 i contatti tra l'avvocato
inglese, Berlusconi e i suoi collaboratori sono intensi.
Qualche tempo dopo, Mills accetterà di venire
interrogato dai magistrati italiani e darà la sua
versione su All Iberian, ammettendo solo l'innegabile
sfumando quanto possibile il ruolo del Cavaliere. E
molti soldi inizieranno a muoversi sui suoi conti
correnti.
Ed è qui che spunta un altro documento un po'
inquietante, sequestrato dalla polizia inglese. È un
file del computer di Calkin Pattinson, un gestore di
fondi che si occupa delle finanze di Mills. Pattinson
ricapitola la situazione del suo cliente: gli affari con
Flavio Briatore, le 150mila sterline di stipendi annui,
le 12mila che incassa dal suo vecchio studio legale, le
70mila dello stipendio di ministro di sua moglie Tessa.
E poi scrive: "Nel Regno Unito Mills è in possesso di
approssimativamente 500mila sterline degli affari
italiani e che sono attualmente depositati presso
Guinness Mahon. Non porterà via il denaro fino a quando
il processo a Berlusconi non sarà terminato, il che
potrebbe significare fino al 2001".
Perché Mills ha dei soldi - circa 750mila euro - che
potrà incassare solo dopo la fine del processo al
Cavaliere? La Procura ha un sospetto: perché l'incasso
dei soldi era condizionato all'esito dei processi, al
successo conseguito dalle amnesie di Mills davanti ai
giudici italiani.
COMMENTO
L'ultimo show elettorale
dal nostro inviato VITTORIO
ZUCCONI
WASHINGTON - Con la lealtà verso i propri
fedelissimi che lo contraddistingue, George Bush ha
rispettato il contratto che aveva sottoscritto con quel
Silvio Berlusconi quando aveva scelto di schierarsi
contro la Vecchia Europa e con l'America dei nuovi
guerrieri. Lo show elettorale che il governo italiano
aveva implorato da mesi negli studios americani, è stato
prodotto e consegnato, quando Bush ha definito la
propria relazione con Berlusconi più che "personale",
"strategica", dunque profonda. Se questa scommessa
berlusconiana che ha puntato sull'endorsement,
sull'investitura di un presidente americano sempre meno
popolare in casa (34% nei disastrosi sondaggi di ieri) e
nel mondo, funzionerà, si vedrà naturalmente il 10
aprile prossimo.
Ma l'amico americano ha pagato la cambiale staccata tre
anni or sono. Che una zaffata elettorale italiana
sarebbe entrata in quello Studio Ovale, dove è passata
tanta della nobile e meno nobile storia del nostro
tempo, era previsto e voluto: ma alla fine la Casa
Bianca ha dovuto correggere l'impressione di
un'eccessiva sponsorizzazione del Cavaliere. E le
ragioni della diplomazia l'hanno spinta a precisare che
"le parole di apprezzamento personale del Presidente non
vanno interpretate come un'investitura del governo
americano a una parte politica. Noi non interferiamo
nelle scelte elettorali italiane". Un copione
prevedibile.
Non sorprende neppure la malinconia da talk show esplosa
in uno scambio di battute fra Prodi ("è la festa
americana d'addio") e Berlusconi ("sarà invece il giorno
del suo funerale") che aveva preceduto il cosiddetto
colloquio di stato.
Lo spot, prodotto sfruttando la doppia veste del nostro
premier per aggirare la legge sulla par condicio nella
sua funzione di capo del governo nazionale, non più di
leader di partito, e dilagare nei telegiornali, così
come il discorso alle Camere americane di questa
mattina, era l'obbiettivo di una visita troppo vicina al
voto per non essere vista per quello che è,
un'operazione di propaganda elettorale. Si può dire che
Bush ha mantenuto la promessa del suo contratto con
Berlusconi.
Il ruolo e l'interessamento del Lord Protettore
americano del centrodestra italiano erano rimasti
pericolosamente in sospeso, e in dubbio, quando la
loquace imprudenza di Berlusconi aveva attribuito a Bush,
lo scorso ottobre, un esplicito voto di sfiducia contro
l'Unione e Prodi. Le istituzioni americane erano state
costrette a reagire subito, proclamando la loro
neutralità formale. Da quella gaffe, malamente ricucita,
era nata l'esigenza bruciante per un governo impegnato
in una lotta per la propria vita, di organizzare un
altro spettacolo di sostegno e di fiducia abbastanza
prossimo al voto per servire agli interessi del
centrodestra. Ma non troppo vicino, per non generare
l'antico e triste sospetto della sovranità limitata
italiana, riportandoci ai lugubri tempi degli appelli
paternalistici a votare pro o contro, quale in sostanza
anche questo è. E Bush ha fatto il proprio dovere
contrattuale. Ha dato al rapporto con Berlusconi un
senso "strategico", dunque un orizzonte più ampio del
mese che manca al voto; ha accettato una domanda-assist
sui pregi della stabilità di governo, un altro dei temi
più cari alla propaganda del centrodestra ("è meglio che
dover ricominciare a conoscersi con un nuovo leader ogni
anno") ha toccato un altro tasto classico dell'arsenale
bushiano, quando ha definito Berlusconi "un uomo di
parola", uno che "mantiene la parola". Uno degli slogan
più ripetuti dalla macchina dello spin, della
persuasione costruita attorno a Bush è infatti essere
"uno che dice quello che fa, e fa quello che dice",
indipendentemente dalla verità.
La scelta berlusconiana di implorare l'investitura
elettorale dal soglio imperiale non viene neppure
turbata dal ritiro annunciato del nostro corpo di
spedizione italiano, come ormai tanti partecipanti alla
esausta "coalizione volontaria" da un Iraq dove sono
state uccise 1.300 persone in un weekend, secondo i
cronisti del Washington Post che sono andati a contare
cadaveri negli obitori di Bagdad. Ma questa furbata di
ritirarsi, ma con il consenso, come quella di avere
combattuto senza ammettere di essere in guerra, rientra
in quel quadro di accettabile incoerenza italiana che
diplomaticamente passa per "divergenze di opinioni",
come ha benevolmente concesso il Presidente Usa.
Il prezzo che Bush ha dovuto pagare per non perdere
anche Berlusconi, dopo una dozzina di alleati già
usciti, è permettere queste versioni moderne delle
classiche pantomime italiane in salsa neo-con, "non
belligeranze" per diffondere la democrazia e ritiri
spacciati come "missione compiuta", sempre nel segno dei
"valori comuni". Non è l'encomiabile sacrificio delle
nostre forze armate che possa fare molta differenza
nella guerra civile a bassa intensità scoppiata in Iraq,
quando neppure i 130 mila soldati Usa riescono a
controllare la strage quotidiana.
Il senso di quell'aggettivo "strategico" che Bush ha
regalato al suo Berlusconi come viatico elettorale non è
infatti militare, ma è "ideologico". È affinità di
visione e condivisione di quei "valori" che sono la
parola mistica e il passepartout che hanno fatto vincere
Bush e ora Berlusconi tenta di importare in Italia
usando il copione scritto negli Stati Uniti da Karl
Roveper il figlio di George Bush il Vecchio. Li
sentiremo esaltare più volte oggi, come colonna sonora
del discorso che il presidente del Consiglio pronuncerà
nell'aula della Camera, e che per tutto il pomeriggio di
ieri ha diligentemente, testardamente cercato di mandare
a memoria, chiuso nella residenza ufficiale della Blair
House, con le schede per la pronuncia figurata scritta
dai suoi coaches linguistici, dagli allenatori. Alcuni
diplomatici italiani, che tentarono invano di
dissuaderlo all'epoca, ricordano con un frisson d'orrore
il misterioso discorso che Berlusconi si ostinò a
pronunciare in inglese all'ultima assemblea dell'Onu e
il cui contenuto rimase largamente oscuro alle
delegazioni in aula. Ma ci assicurano che il suo inglese
sia molto progredito e comunque l'accento, la pronuncia,
l'intelleggibilità dell'indirizzo alle Camere riunite
non sono importanti, perché il contenuto è già chiaro.
Berlusconi si è definitivamente, strategicamente legato
al carro di George Bush e con quello è destinato a
trionfare o a sfasciarsi nel Circo Massimo delle
elezioni italiane.
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