L'identikit dell'azienda
mafiosa: piccola, giovane, senza debiti e al Nord
La metà delle imprese sottratte al controllo
della criminalità si trova in Sicilia e Campania. Ma alcune province
settentrionali sono da record: Milano viene prima di Reggio Calabria, subito
dopo Palermo e Napoli. Difficile farle tornare a funzionare legalmente: ben il
90% è in liquidazione o procedura fallimentare. Il valore dei beni sequestrati
arriva a 30 miliardi
di PATRIZIA CAPUA
MILANO - L'Italia dei corrotti, così ben
rappresentata negli scandali, dal Mose all'Expo, fino a Mafia Capitale, a
braccetto con mafia, 'ndrangheta e camorra, in combutta con la politica, si
accaparra appalti milionari, ricicla capitali illeciti, inquina i pozzi
dell'economia nazionale condizionando la vita delle imprese e il mercato del
lavoro. L'Italia, per la Banca mondiale, è al terzo posto in Europa nell'indice
di corruzione dopo Grecia e Bulgaria.
L'Osservatorio Transcrime, centro sulla criminalità transnazionale della
Cattolica di Milano e dell'Università di Trento, evidenzia che circa il 30%
delle imprese italiane percepisce un alto rischio criminalità nel suo ambiente,
che sale al 40% nel Mezzogiorno. Corruzione e illegalità, dicono gli esperti,
sono costi non più sopportabili.
Dalla relazione del ministro della Giustizia Cancellieri, nel gennaio 2014,
risultano in amministrazione giudiziaria dal 1982 (sequestrati e/o in attesa di
decisione sulla confisca definitiva) 33.546 beni tra aziende, immobili, mobili e
titoli; di questi gli immobili sono 14.530 (46%) e le aziende 2.515 (7,5%).
Uno studio del centro Srm (Studi e ricerche per il Mezzogiorno), del gruppo
Intesa SanPaolo, fotografa il tessuto imprenditoriale criminale sul territorio
nazionale e osserva il "prima" (sequestro o confisca delle attività economiche
delle mafie) e il "dopo", quando le aziende riemergono alla legalità, e affronta
il tema della gestione efficiente che le renda produttive ed eviti la perdita
dei posti di lavoro.
Al 2013, in Italia le aziende confiscate alla criminalità organizzata sono
1.707, mentre i beni immobili sono 11.237. Ne risultano attive 171 e operative
38. Ma i dati allarmanti sono che il 90% è in liquidazione o in procedura
fallimentare e che più di 72mila lavoratori sono rimasti senza occupazione. Il
valore economico dei beni, secondo dati delle forze dell'ordine (Dia) e della
magistratura (Dna), oscilla tra i 10 e i 30 miliardi. Nel Fug (Fondo unico
giustizia) sono immobilizzate somme per circa un miliardo e mezzo in contanti e
circa due miliardi in titoli.
Le aziende sottratte al controllo delle mafie sono in 17 regioni, concentrate
per la metà in Sicilia (36,47%) e Campania (20,31%); il resto si trova
soprattutto in Lombardia, Calabria, Lazio e Puglia. Anche alcune province del
Nord (Milano, Lecco, Brescia, Como e Bologna) mostrano un'alta presenza di
imprese mafiose confiscate; e nella graduatoria nazionale la provincia di Milano
viene subito dopo quelle di Palermo e Napoli e precede Reggio Calabria. Le
province di Lecco (7,3 aziende confiscate ogni diecimila registrate), Milano
(3,4) e Brescia (2,7) mostrano tassi anche superiori a quelle di altre aree del
Sud, confermando quel che emerge dalle inchieste giudiziarie.
http://www.repubblica.it/static/images/economia/2014/17122014/03.jpg
La mafia imprenditrice, si legge nella ricerca Srm, investe per lo più nel
commercio all'ingrosso e al dettaglio (29,4%) e le costruzioni (28,8%), poi gli
alberghi e i ristoranti (10,5%) e le attività immobiliari (8,9%).
L'infiltrazione nel settore turistico o della grande distribuzione è di
particolare importanza per il controllo del territorio.
I settori di attività economica privilegiati sembrano essere quelli a bassa
tecnologia, no export oriented, piccola dimensione, alta intensità di manodopera
e alto coinvolgimento di risorse pubbliche. Ambiti che non richiedono
particolari abilità professionali o di innovazione tecnologica, dove il rischio
d'impresa è moderato, in cui la concorrenza, soprattutto internazionale, è
limitata.
Lo studio Srm traccia l'identikit dell'azienda
mafiosa: spesso piccola (nel 50% dei casi ha un capitale medio tra 10 e 20 mila
euro), giovane (in media dieci anni tra la costituzione e la confisca di prima
istanza, ancora meno per il sequestro). E' spesso una srl, più agile da creare,
da gestire, dietro cui la sua identità criminale resta meglio nascosta. Vi
entrano parenti e amici con ruoli di prestanome, si fa ampio ricorso a
partecipazioni societarie, nel tipico schema delle "scatole cinesi". Poco
patrimonializzata, non ha bisogno di essere competitiva rispetto alle imprese
legali del medesimo settore, gode di ampia liquidità e basso indebitamento
bancario. Le aziende criminali esercitano pressioni sui fornitori e sui
lavoratori, in genere sottopagati, utilizzano materie prime o servizi di basso
costo e qualità scadente, sono colluse con apparati amministrativi corrotti,
falsificano i documenti contabili e societari, evadono il fisco, scoraggiano la
concorrenza.
Il business illegale viene esportato all'estero. Sul versante orientale, le
mafie prediligono Romania e Albania, ma si muovono in modo omogeneo anche nel
resto d'Europa. A Tenerife, nelle isole Canarie, per esempio, sono leader nelle
attività turistiche. Mafia,'ndrangheta e camorra sono in Portogallo, Francia
(Costa azzurra), Germania e Regno Unito, con i giochi illegali e d'azzardo,
alberghi, ristorazione, commercio all'ingrosso, tessile e lavori pubblici. In
Svizzera 'ndrangheta e camorra s'infiltrano nei santuari della finanza. In Gran
Bretagna le tre organizzazioni criminali italiane investono nella ristorazione,
nel commercio, nei lavori pubblici, nel gioco d'azzardo, nel real estate.
Che succede dopo il sequestro e la confisca, quando entrano in campo gli
amministratori giudiziari? Come si accompagnano le imprese che si possono
salvare sul percorso dell'emersione alla legalità? Vi è la valutazione della
situazione economico-patrimoniale, dei rapporti con le banche, l'accesso al
credito, le fideiussioni, l'analisi del mercato e dell'avviamento, i primi
interventi di gestione interna e di rapporto con gli stakeholders. La fase si
conclude o con la messa in liquidazione o con la ripresa dell'attività. I dati
indicano che l'esito è quasi sempre negativo. Fra i motivi di crisi giocano la
complessità del meccanismo di governance, il fattore tempo, la carenza di
approccio economico. Dunque? Magistrati, economisti, imprenditori concordano che
occorre un ripensamento dell'intero meccanismo.