Archivio Novembre 2005


29 novembre


Dal rialzo dei tassi al controllo globale!
Marcello Pamio

Nonostante le belle parole degli esperti, la locomotiva Stati Uniti d’America che una volta trainava il mondo, è arrivata quasi alla fine del binario dell’economia capitalistica. Oggi il treno a vapore a stelle e strisce ha decisamente finito il carbone e sta facendo di tutto per impedire l’arresto, alla stazione chiamata: crack!
Non esagero quando dico che gli States sono il paese più indebitato al mondo! Il suo debito ha toccato l’astronomica cifra di 7,5 trilioni di dollari, cioè 7.500 miliardi di dollari. A questo debito pubblico andrebbe sommato pure il debito delle famiglie (6 trilioni) e delle imprese (13 trilioni). Risultato: il debito complessivo (aziende, famiglie e pubbliche amministrazioni) raggiunge quota 30 trilioni di dollari (30.000 miliardi di dollari) e rappresenta quasi il 300% del Pil!
Tanto per intenderci, nelle settimane precedenti il crollo di Wall Street del 1929 tale rapporto era del 240%. In soldoni: la situazione economica attuale è peggiore di quella che diede inizio agli anni bui che andarono dal ’29 al ’33.
E questa è l’economia, veniamo adesso alla sistema monetario
Il dollaro sopravvalutato
Il dollaro è in vera e propria caduta libera e sta perdendo credibilità a livello internazionale come moneta di scambio. Dal grafico qui sotto si può vedere come la moneta unica europea da gennaio 2002 fino a gennaio 2005 si è rivalutata nei confronti del dollaro, partendo da 0,9 e arrivando fino a 1,3 euri contro dollaro.
Gli ultimi mesi hanno visto una ripresa del conio americano, per via degli aumenti del tasso di sconto (quindi del costo del denaro) iniziati da giugno 2004 da parte del presidente del Federal Reserve Board, Alan Greenspan.
Oggi alle ore 14:00, per comperare un euro servono 1,1713 dollari!

 

Come lo vuoi il latte: alla diossina, all’aspartame o al 2-isopropyl thioxanthone?
Marcello Pamio
 

In questi ultimi anni in ambito alimentare ne abbiamo viste e sentite di cotte e di crude.
Sappiamo benissimo che i risultati di una globalizzazione sfrenata legata ad una industrializzazione forzata e priva di umanità, sono, tra le altre cose, dei cibi dal valore nutrizionale nullo e dal valore energetico addirittura negativo: in pratica invece di fornire energia al corpo, la sottraggono!
La cosa che però fa venire, visto che siamo in tema, il “latte alle ginocchia”, è che la maggior parte di questo pseudocibo, chimico e morto, è fatto ad hoc proprio per coloro che hanno bisogno della massima qualità e della maggior integrità: gli uomini  in divenire, i bambini!
Tutti i bambini, dalla nascita fino più o meno ai sette anni, giorno dopo giorno, utilizzano al massimo le forze che hanno a disposizione per strutturare e organizzare al meglio il proprio corpo (cellule, organi, sistema immunitario, ecc.). Se a un bambino, in questa importantissima e delicatissima fase evolutiva, gli viene dato da mangiare del cibo morto e da bere del latte contenente diossina, 2-isopropyl thioxanthone o antibiotici, come potrà mai completare naturalmente il suo processo?
La risposta ovviamente è scontata!
Premetto subito che la diossina non è certo un antibiotico e non assomiglia nemmeno a quel fotofissatore (2-isopropyl thioxanthone), detto Itx, diventato famoso in questi giorni grazie a multinazionali come Nestlé e Milupa.
La diossina è cancerogena, l’antibiotico (anti-bios, contro la vita) a lungo andare deprime il sistema immunitario predisponendoci alle malattie e rendendo virus e batteri più forti e resistenti (antibioticoresistenti). E questo 2-isopropyl thioxanthone (Itx) che il corpo forestale ha trovato nel latte per bambini piccoli?
Secondo le fonti ufficiali, questa sostanza chimica (il cui brevetto è della General Electric) che serve per fissare le scritte sulle confezioni in tetrapak, sarebbe, non si bene come, penetrata dentro il contenitore inquinando il latte. Latte naturalmente dedicato a bambini piccolissimi!
Le rassicurazioni, da parte di esperti della salute e/o dirigenti delle multinazionali, non sono mancate. “Mamma non ti preoccupare: è tutto ok!”. “Se dentro il latte di tuo figlio sono stati trovati 250 microgrammi di una sostanza chimica sconosciuta, non allarmarti: va tutto bene”.
Di diverso avviso è l’agenzia governativa statunitense di protezione ambientale E.P.A. (Enviromental Protection Agency). Nella pubblicazione dal titolo “Human Health and Ecological Hazard Results” (che potrete scaricare ciccando qui), la tabella 3-B.4 “Environmental Hazard Ranking of Flexographic Ink Chemical” elenca una serie di sostanze chimiche tra cui il nostro Itx. Alla voce 2-isopropyl thioxanthone è scritto “Lowest chronic value” (Valore cronico più basso) e un numero: 0,004 mg/L!
L’E.P.A. nel suo rapporto afferma che il valore cronico più basso dell’Itx è di 0,004 milligrammi per litro che corrisponde a 4 microgrammi per litro!!! E sottolinea il rischio (Hazard rank) con una bella H, che sta per alto (High).
Ma come? Per gli esperti nostrani 250 microgrammi/litro sono assolutamente innocui, per l’EPA invece 4 microgrammi/L presentano un rischio alto? Boh, non capisco, ma d’altronde è normale visto che non sono né biochimico, né medico.
Detto questo però, la cosa che più da fastidio è sapere che il Direttore e CEO della Nestlé, Peter Brabeck-Letmathe (membro direttivo anche della farmaceutica Roche, sic!) ha dichiarato che la multinazionale svizzera e il Ministero della Sanità italiano erano al corrente del problema del latte fin da luglio scorso (!), e che fu deciso, addirittura in accordo con l’Unione Europea, di smaltire le scorte fino a esaurimento, per poi cambiare il processo di stampa sulle confezioni.
Avete capito? Se le dichiarazioni di Brabeck saranno confermate dalla procura di Ascoli, che sta indagando, significherà che il ministero della salute italiano ha permesso la commercializzazione per oltre 4 mesi di latte inquinato e dedicato a bambini piccolissimi!
Ovviamente la prassi impone al ministero della salute di querelare il direttore della Nestlé per le sue pensantissime affermazioni.
Tra querele e controquerele, coloro che ci vanno di mezzo, come sempre, siamo sempre noi e i nostri figli. Nessuno andrà in galera, nessuno perderà il proprio miliardario stipendio, ma tutto andrà nel dimenticatoio, e poi, tra un reality e una fiction, ci sveglieremo, magari con un bel bicchiere di latte in mano, al prossimo scandalo alimentare. E allora la nostra coscienza si desterà ancora, per poi tornare….
E’ importante invece destarsi una volta per tutte comprendendo l’importanza di una alimentazione sana e naturale. “Siamo fatti di ciò che mangiamo”, per cui se mangiamo e beviamo porcherie chimiche le nostre cellule codificheranno e si trasformeranno in “porcherie chimiche”. Se non lo facciamo per noi almeno abbiamo il buon senso pedagogico di farlo per i nostri bambini.
A questo punto la critica che sorge spontanea è che l’alimentazione naturale biologica e/o biodinamica costa di più di quella chimica! Certo è vero, ma è anche vero che se analizzassimo  criticamente quello che acquistiamo, ci accorgeremo che potremo ridurre di moltissimo i soldi spesi eliminando la spazzatura chimica che portiamo a casa ogni volta (patatine, cioccolatini, bibite gassate, ecc.). Questi soldi risparmiati si possono investire in cibi sani, dei quali ne bastano meno rispetto quelli di sintesi, perché conservano tutte le sostanze nutritive. Mangiate un piatto di spaghetti di farro biodinamici (seri) e capirete quello che sto dicendo.
Non solo, ma se devo dirla tutta, è molto meglio risparmiare in altre cose (vestiti, accessori per cellulari e auto, vizi, ecc.) molto meno utili, che ridurre la qualità del cibo che andrà a interferire direttamente con la nostra salute.
Se non credete che gli attuali cibi possono danneggiare la salute, leggete il Rapporto dell’Istituto Nazionale di Salute (National Institutes of Health) del 17 novembre 2005 sull’edulcorante (zucchero sintetico) Aspartame (vedi articoli sull'argomento)
Il titolo è “First Experimental Demostration of the Multipotential Carcinogenic Effect of Aspartame Administered in the Feed to Sprague-Dawley Rats”, che tradotto fa più o meno così: “Prima dimostrazione degli affetti cancerogeni multipotenti dell’aspartame somministrato nel cibo a ratti”. In pratica è la prima dimostrazione scientifica seria che questa sostanza chimica è molto pericolosa per la salute (aumento dei tumori maligni, dei linfomi e leucemie nelle cavie) a dosi di soli 20mg/Kg (20 milligrammi per chilo). 
Mi auguro che non ci siano più dubbi su questo edulcorante chimico, che purtroppo si trova ancora sopra quasi tutti i banconi dei bar e in quasi tutte le bevande dietetiche con la scritta “Aspartame” o il codice “E951”.
Questo è solo un esempio che dovrebbe servire però per prendere coscienza del fatto che siamo circondati da una chimica tossica e per la maggior parte sconosciuta.
Però NOI, SE vogliamo, possiamo dire di NO a tutto questo.

24 novembre

Allo sciopero generale aderiranno tutti i lavoratori pubblici e privati
La protesta per lo sviluppo, l'equità sociale e la politica dei redditi
L'Italia incrocia le braccia
Cgil-Cisl-Uil contro la Finanziaria

 

La manifestazione contro la Finanziaria a Milano

ROMA - E' pronta la macchina organizzativa di Cgil -Cisl - Uil per sostenere lo sciopero generale di domani contro la Finanziaia 2006. Si terranno manifestazioni provinciali e mobilitazioni su tutto il territorio nazionale. Alla protesta aderiranno, per 4 ore, tutti i lavoratori pubblici e privati, "contro la manovra economica del Governo e a sostegno delle proposte di sviluppo, di equità sociale e politica dei redditi in tutto il Paese". Ecco gli interventi dei leader: a Milano, Savino Pezzotta, segretario generale della Cisl; a Roma, Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, e a Palermo, il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti.

Cgil, Cisl, Uil propongono al governo l'apertura di un confronto sui seguenti temi:

Emergenza sociale
: adeguato rifinanziamento del Fondo Nazionale per le politiche sociali; sostegno delle famiglie privilegiando quelle monoreddito a rischio di povertà.

Emergenza sanitaria
: rifinanziamento del Sistema sanitario nazionale; generalizzazione della prenotazione unificata (Cup) per garantire gli accessi con la riduzione delle liste di attesa; sviluppo della rete di servizi.

Emergenza occupazionale: incremento delle risorse per il finanziamento degli ammortizzatori sociali; rifinanziamento del Fondo per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà.

Mezzogiorno: introdurre una fiscalità di vantaggio per gli investimenti nel mezzogiorno; stretta cooperazione tra università, ricerca e innovazione d'impresa; semplificazione amministrativa.

Prezzi e tariffe: monitoraggio più mirato verso i redditi più bassi; interventi sui farmaci.

Fisco: restituzione del Fiscal Drag; cifra forfettaria da portare in detrazione fiscale per l'acquisto dei libri di testo, pari a 300 euro per la Scuola Media e 500 euro per la Scuola Media Superiore e Università per ciascun figlio.

Costo del lavoro: riduzione del costo del lavoro
finalizzato alle aziende che investono al Sud e nell'innovazione; riduzione del carico fiscale anche sulle buste paga dei lavoratori.

Di seguito, le modalità e le categorie interessate allo sciopero generale.

Nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria e delle Province di Udine, Frosinone, Latina, Viterbo, Perugia, Lecce, Caltanissetta, Sassari, Brindisi lo sciopero avrà la durata di 8 ore. Nelle altre regioni lo sciopero durerà 4 ore o l'intera giornata.

Poste. Le aziende del gruppo Poste sciopereranno per l'intera giornata.

Raccolta spazzatura. I lavoratori del settore sciopereranno per l'intera giornata.

Pubblico impiego. Il Pubblico Impiego, le Regioni, le Autonomie locali, sciopereranno per l'intera giornata.

Medici. I camici bianchi aderenti alla Cgil, Cisl e Uil sciopereranno per l'intera giornata ma saranno garantiti i servizi essenziali.

Scuola. Docenti e bidelli sciopereranno per 1 ora, la prima o l'ultima delle lezioni.

Banche. Quattro ore di sciopero.

Trasporti urbani. Quattro ore secondo le diverse modalità previste a livello locale

Aerei. Sciopero dalle 12 alle 16. L'Alitalia cancellerà 230 voli nazionali e internazionali. Per informazioni, i paseggeri possono contattare il numero verde 800.650.055 oppure consultare il sito www.alitalia.it La compagnia aerea Meridiana ha cancellato 4 voli nazionali tra la capitale e la Sardegna. Call center della Meridiana 199.111.333. Informazioni anche sul sito www.meridiana.it

Treni. Quattro ore, dalle 9 alle 13. Il programma completo dei treni che resteranno in servizio è consultabile sul sito www.trenitalia.it o telefonando al numero 89.20.21. Ferma la rete delle Ferrovie Nord compresa la navetta Malpensa Express.

Traghetti. Le navi salperanno con 24 ore di ritardo. La compagnia Tirrenia garantirà alcuni servi essenziali, in particolare le linee passeggeri Genova-Porto Torres, Civitavecchia-Cagliari e Civitavecchia-Olbia.

Autostrade. Quattro ore per ciascun turno di lavoro.

Teatri e Casinò. Sciopereranno anche i dipendenti dei teatri stabili e dell'opera. Sospesa la prima de "La Traviata" programmata al Teatro del Maggio Musicale fiorentino, e tutti gli spettacoli programmati dalle altre fondazioni lirico-sinfoniche, che però non staranno a braccia conserte. Infatti è stata decisa l'esecuzione del Requiem (scelti nei vari teatri quelli di Verdi, Mozart e Brahms) come 'De profundis' per la cultura. L'ingresso è gratuito fino ad esaurimento dei posti. Braccia incrociate 2 ore per ciascun turno anche al Casinò di Sanremo.


22 novembre


Il bluff del bonus bebé


Superato il giro di boa del primo voto in Senato, la manovra finanziaria si accinge a passare alla Camera dei deputati in un clima di contrasti dentro la maggioranza che fa rimpiangere le celebri 'liti fra comari' della prima Repubblica. Almeno a quei tempi, dietro le polemiche fra Rino Formica e il grande Beniamino Andreatta si poteva intravedere lo scontro-confronto fra due non componibili visioni di politica economica. Stavolta siamo ai battibecchi da cortile perché ci si azzuffa sul fatto se si debba dare un bonus bebè soltanto ai primogeniti o anche agli altri figli, per il 2005 ovvero pure nel 2006, cancellando oppure no il contributo retroattivo per i piccoli sotto i tre anni. Il tutto nel quadro di un cosiddetto pacchetto-famiglia che potrebbe comprendere anche finanziamenti per il pagamento delle rette di asili e scuole private, con gran giovamento delle istituzioni ecclesiastiche: le stesse che hanno già ricevuto il regalo dell'esenzione dall'Ici anche per gli immobili dedicati all'esercizio di attività commerciali.

D'accordo: le elezioni politiche sono alle viste ed è ormai chiaro che sul tema degli aiuti alle famiglie il centrodestra vuole puntare le sue carte principali, nella trasparente speranza di poter godere dell'appoggio vaticano in campagna elettorale. Ma che in un paese con i conti dissestati si insista a focalizzare il dibattito sulla Finanziaria attorno a simili questioni è un grave segnale di irresponsabilità politica, soprattutto perché si distoglie l'attenzione dell'opinione pubblica dai nodi di fondo sia del risanamento del bilancio sia della crescita economica. Cioè, da quelli che dovrebbero essere i due obiettivi essenziali della manovra e che, viceversa, i litigi sul pacchetto-famiglia stanno facendo scivolare in secondo o terzo piano agli occhi dei cittadini. Ai quali, insomma, si sta cercando di far contare le foglie del bosco in modo che non guardino la dimensione inquietante della foresta.
In particolare, affinché non colgano alcune fra le maggiori contraddizioni dei provvedimenti governativi. Come lo sbandierare quale potente incentivo alle imprese il taglio dell'uno per cento degli oneri sociali mentre, dal lato opposto, si stringono i tempi d'ammortamento delle nuove iniziative imprenditoriali: così frenando quella spinta all'investimento che si dice di voler favorire. Ovvero come l'altra luminosa trovata dell'alzare il tetto delle agevolazioni fiscali sulle ristrutturazioni edilizie, ma ripristinando l'Iva al venti per cento, in un gioco a somma negativa per il contribuente e, di conseguenza, anche per la spinta ad avviare nuovi cantieri.

Per non dire, infine, della mancata previsione di un aumento della spesa per interessi che, come ha saggiamente ammonito l'inascoltato presidente Ciampi, rischia di scavare un altro buco nel bilancio 2006 a causa di un rialzo dei tassi sull'euro che è ormai alle porte. E che l'Italia, paese dal debito gigantesco, pagherà più salato degli altri. Peccato che lo pagherà ad elezioni avvenute ovvero oltre il ristretto orizzonte temporale che interessa i lungimiranti combattenti sul fronte del bonus bebè.

Centri di tortura in appalto
D.ssa Laura Scafati per Disinformazione.it
www.popobawa.it - www.popoblog.splinder.com

La notizia, pubblicata il 2 novembre, dal Washington Post relativa ai “black sites” della CIA nell’Europa orientale non mi ha particolarmente impressionato perché non fa altro che confermare quanto il rispetto per i Diritti umani sia diventato un optional per il Governo americano.
Basti pensare che l’esistenza e la collocazione degli Edifici è nota solo a pochissimi funzionari negli USA e, di solito, soltanto al capo di Stato e a pochi importanti funzionari dell’intelligence di ogni Paese ospitante.
Di fatto non si sa nulla sull’identità dei detenuti, su come vengono interrogati o delle decisioni sul tempo di detenzione.
Come un film Horror, i protagonisti vengono risucchiati da un buco nero per poi scomparire nel nulla!
Grande esempio di Democrazia, non c’è che dire!
A suggerire a Diana Priest – autrice dell’articolo sul Washington Post - che uno dei “ Buchi neri” potrebbe trovarsi in Polonia è un’organizzazione non governativa statunitense denominata “Human rights watch”.
Questa rivelazione acquista spessore dopo la pubblicazione di un articolo sulla “Gazeta Wyborca” in cui si accenna di un aereo della CIA atterrato nel nord del Paese.
Varsavia, naturalmente, nega immediatamente l’esistenza di una prigione segreta e per Barroso, Presidente della Commissione Europea, la smentita del governo è sufficiente.
Sembra che in seno all’Unione Europea si tema quello che potrebbe succedere se si scoperchia il pentolone.
Bruxelles ha già il suo da fare con i nuovi dieci membri dell’Unione e con tutti i Paesi che entreranno a far parte del gruppo nei prossimi anni.
Barroso, quindi, ritiene che non convenga a nessuno scoprire la verità, soprattutto quando una delle parti coinvolte è la Polonia.
Nel caso in cui la verità venisse fuori ad ogni costo, tutti sono pronti ad ascrivere eventuali responsabilità per il carcere segreto al vecchio governo, al precedente presidente polacco e all’ex capo dei Servizi segreti polacchi.
D’altra parte già esistono dissapori con il più grande, problematico e nuovo Stato membro per cui è preferibile evitarne dei nuovi.
In mezzo a tutto questo bailamme di interessi ed omertà, i prigionieri  continuano ad essere torturati ed uccisi nel più completo menefreghismo mondiale mentre i Media ricevono l’ordine di non dare troppa pubblicità alla faccenda.
Tanto per parafrasare Erich Maria Remarque…..” niente di nuovo sul fronte….”
Ad onor di cronaca bisogna, tuttavia, riconoscere che gli Stati Uniti non sono gli unici a dilettarsi in queste tecniche e che molti luoghi di tortura segreti esistono in varie parti del Mondo.
In un precedente articolo ho avuto modo di parlare dei Gulag nella Corea del Nord, ma non dobbiamo dimenticare Israele, i Territori occupati, il Brasile, l’Egitto, l’India, l’Iran, la Repubblica democratica del Congo, l’Argentina, il Laos, il Kenya, la Repubblica popolare cinese, la Sierra Leone ed altri ancora.
Il discorso non interessa solo i Paesi non democratici dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina segnati da forti tensioni sociali, politiche e religiose.
La segregazione e la tortura sono diffusissime anche nelle Democrazie occidentali con una vera e propria escalation avvenuta dall’inizio della guerra globale al terrorismo, che ha ridotto ovunque gli standard di tutela dei diritti dei detenuti.
Non c’è da stupirsi se si pensa al continuo flusso di denaro, che passa attraverso molti Paesi grazie all’acquisto di tutti quegli strumenti, che fanno della tortura uno dei mezzi più diffusi per violare i Diritti umani.
Stupore ed indignazione, invece, nello scoprire che tra i prodotti più richiesti negli ultimi anni ci sono gli strumenti per l’elettroshock (attrezzi in grado di infliggere danni fisici non evidenti, ma in grado di produrre il massimo del terrore).
Ecco alcuni dati: l’elettroshock è stato effettuato in oltre sessanta paesi: in almeno venti Paesi sono stati usati bastoni e pistole appositamente costruite per essere usati su esseri umani; più di centoventi imprese dislocate su ventidue Nazioni sono state coinvolte nella produzione, nella vendita, nella diffusione e nella fornitura di simili equipaggiamenti.
Si pensi agli enormi guadagni e molte tessere del mosaico del terrore andranno collocate al loro posto!
Quando si parla di “Buchi neri” e violazione continua dei Diritti umani non si può evitare di commentare un decreto approvato dal Presidente Bush: “USA PATRIOT ACT” che ha offerto una copertura legale a tutto questo orrore.
Approvato il 24 ottobre 2001 sull’onda dell’emozione provocata dagli attacchi dell’11 settembre e passato al Senato con 98 voti a favore ed uno solo contrario.
Per dirla con parole semplici, questo documento di 342 pagine, redatto teoricamente in 43 giorni – insieme ad altre leggi e decreti presidenziali - conferisce al Governo americano il diritto di fare “ciò che vuole” e l’alibi per questa “presa di potere” è stato fornito dalla lotta al terrorismo senza neppure spiegare, nel decreto stesso, cosa poi si intenda per “azione terroristica”.
L’USA PATRIOT ACT definisce terroristica qualsiasi attività che preveda atti pericolosi per la vita umana, che rappresentano una violazione delle leggi anticrimine degli Stati Uniti e di “qualsiasi Stato”  o che paia  finalizzata a “intimidire o coartare la popolazione civile e a influenzare la politica di governo attraverso l’intimidazione e la coercizione”.
A leggere con attenzione ci si rende conto che il campo di una possibile applicazione del Decreto è vastissimo e potrebbero addirittura rientrarci le forme di protesta legittime e pacifiche.
Il Presidente Bush – evidentemente poco soddisfatto dal Patriot Act – emana, il 13 novembre 2001 -, il “ Militare Ord on the Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-Citizens in The War Against Terrorism” (detenzione, trattamento e processo di certi non-cittadini nella lotta contro il terrorismo).
Una vera e propria Ordinanza militare, che legalizza la detenzione potenzialmente illimitata di chiunque “privo di cittadinanza” sia accusato di terrorismo, autorizzando nel contempo che gli imputati siano “processati” da una Commissione segreta militare senza alcuna possibilità di revisione di giudizio.
Ma non basta….Il Presidente americano può decidere di mandare chiunque davanti ad un Tribunale segreto, che lo processa, lo giudica colpevole e lo condanna – compresa la condanna a morte – senza che l’Opinione pubblica abbia accesso ad alcuna prova e neppure agli elementi della difesa.
Ed ancora più grave: senza che l’Opinione pubblica ne sia informata.
Confesso di provare una paura viscerale di fronte ad un’Ordinanza redatta in tali termini.
Il Presidente Bush apre le porte ai Tribunali Speciali con una legislazione, che ricalca quella della Germania Nazista e dell’URSS staliniana e – per non farsi mancare nulla - le aggiunge un tocco sadico alla Pinochet!
Se lo Stato di Polizia era già in atto nelle questioni interne, con il Patriot Act (si leggano a tale proposito le 25 sezioni del Titolo II e le 8 del Titolo V della legge, disponibili sul sito della Camera dei Rappresentati statunitensi) la guerra in Afghanistan e l’Ordine militare presidenziale del Novembre producono all’estero una realtà da Stato di Polizia Internazionale.
Realtà, che si è ben consolidata successivamente con la guerra in Iraq.
Il Patriot Act conferisce, inoltre, agli agenti federali il potere di perquisire segretamente l’abitazione di una persona, di controllare – in qualsiasi momento - i siti Internet visitati dalla stessa persona, d’intercettare le sue telefonate senza nessun permesso di un Giudice, d’intercettare i messaggi di posta vocale e di fornire all’FBI ed ai Servizi Segreti le eventuali testimonianze segrete che questa stessa persona ha rilasciato dinanzi ad una Giuria Speciale.
L’incredibile è raggiunto quando si legge che le informazioni possono includere anche le cartelle cliniche, i referti di salute mentale, la documentazione di carattere finanziario, l’elenco delle videocassette o DVD noleggiati, i libri acquistati, le impronte digitali, campioni del DNA prelevati dai capelli, il libretto di lavoro ed altro ed altro ancora!
E, nel marasma generale, i Giudici possono solo emettere Ordinanze senza nessun potere discrezionale!
Giunti a questo punto, se proviamo a sostituire alla frase “Sicurezza dello Stato” l’altra più precisa “Controllo Totale” abbiamo il quadro preciso della Società nella quale ci stanno costringendo a vivere.
La nostra Libertà come la nostra Privacy sono state “risucchiate in un Buco nero” senza nessuna consapevolezza da parte nostra ed è inutile rallegrarci al pensiero che questi controlli possono essere applicati solo in presenza di presunti terroristi perché nessun limite è stato dato al “Controllo Totale” e non c’è più tempo per ignorare la realtà, che ci circonda.
Nessuna sorpresa, quindi, per l’esistenza delle prigioni segrete nell’Europa dell’Est dal momento che  la prigione di “Guantanamo” è una creazione degli stessi individui.
Guantanamo un “Buco nero” sotto gli occhi di tutti dove i prigionieri vivono in celle di due metri per due, con un tetto di lamiera e con recinzioni fatte da filo spinato da farle somigliare a delle Gabbie di animali in piena regola.
Un “non luogo” dove i venti fischiano forte e dove il sole raggiunge i 40 gradi centigradi sin dalle prime ore della mattina.
Un posto dove non è  possibile mai dormire dal momento che la notte vengono accesi sedici potenti fasci di luce mentre le sentinelle situate su quattro torrette spiano anche il più piccolo movimento.
Già…stiamo parlando del famigerato campo Delta, che ha sostituito in modo “ encomiabile” il campo X Ray, ormai invaso da folta vegetazione e definitivamente abbandonato.
Un inferno nel quale le condizioni di detenzione sono tali che il campo ha registrato trentadue tentativi di suicidio, secondo il capitano John Edmondson, il chirurgo che dirige l’ospedale.
Centodieci detenuti sono in cura per turbe psicologiche, comparse a seguito di depressioni.
Tutto questo avviene perché “l’amministrazione Bush rifiuta di considerare i “nemici combattenti” come prigionieri di guerra, mentre nega loro il diritto di essere deferiti davanti a un Tribunale competente per determinare il loro status giuridico, come è invece previsto dalla terza Convenzione di Ginevra, ratificata dagli Stati Uniti” (Wendy Patten, direttrice della sezione giustizia di Human Rights Watch).
Ulteriori commenti penso siano superflui, tali Luoghi di detenzione parlano da soli e rievocano immagini lontane nel tempo.
I lager nazisti sono stati di esempio per coloro che detengono il Potere economico e quello delle Guerre.
Una triste evoluzione è in atto: i “Liberatori” si sono trasformati in carnefici sotto gli occhi indifferenti del Mondo intero.
George Orwell aveva ragione nell’affermare che “ In un’epoca di menzogne universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”

17 novembre


Come sempre
ROSSANA ROSSANDA
Sulla Francia la stampa, specie italiana e anglosassone, ha dato i numeri. Sabato scorso Parigi doveva bruciare, le periferie l'avrebbero invasa e distrutta. Nulla di questo è successo e le testate di lunedì non sono uscite con un veritiero «forse non avevamo capito», ma parlando d'altro. Se Chirac non avesse inflitto ai francesi un nuovo discorso, oggi Parigi sarebbe dimenticata. Parigi non è bruciata ma qualcosa di stupefacente è accaduto. L'intera sinistra non ha neanche finto di opporsi allo stato d'emergenza che viene da una legge del 1955 durante la guerra di Algeria e porta la macchia di una giornata del 1961, in cui l'allora prefetto Papon spinse ad annegare nella Senna duecento algerini. Dopo di allora di emergenza non si era più parlato, forse per vergogna, finché non è stata resuscitata in questi giorni per difendere le auto dai casseur. Soltanto qualche associazione - la Lega dei diritti dell'uomo, Sos racisme - ha indetto una protesta ma non è riuscita a raccogliere dietro di sé, ancorché autorizzata, abbastanza gente. L'opposizione non si è legata urlando ai banchi dell'Assemblea per contestare l'oltraggioso provvedimento. Il partito socialista che si dilania su tutto si è compattato sul «prima ristabiliamo l'ordine». Ieri l'emergenza è stata prolungata per tre mesi, vedremo quale eroica lotta sosterrà in Assemblea.

La febbre del sabato sera è stata a Parigi tale e quale sempre. Il quartiere latino, un tempo più reattivo, era pieno di giovani che delle banlieues non discutevano affatto. La polizia era del tutto assente. Né le periferie si sono fatte vedere in centro, primo perché non sono kamikaze, secondo perché se Parigi centro se ne frega di loro - scusate l'espressione - loro se ne fregano di Parigi centro. Del resto non hanno in mente di fare la rivoluzione, ne hanno fin sopra i capelli di come sono trattati, senza prospettive, discriminati nel lavoro, in quartieri desolati. Ma continueranno a fare qualche fuoco visto che non c'è modo di farsi ascoltare se non c'è una cinepresa a riprendere pompieri e poliziotti. Del resto nel 2004 più di ventitremila auto sono andate in fumo. Qualche fuocherello si è acceso in altre città, per cui i titoli «Parigi brucia» sono trasformati in «la Francia brucia». Marsiglia, la città di più forte immigrazione, che si è bloccata contro la privatizzazione di un traghetto per la Corsica, non ha battuto ciglio. La grande maggioranza dei sindaci non ha chiesto il coprifuoco neanche nelle «periferie sensibili», grazioso eufemismo. Solo la magistratura imperversa su un centinaio di ragazzi arrestati, processandoli per direttissima, condannando a uno, due, sei mesi dei ventenni che non ne usciranno certo più devoti alle istituzioni. C'è chi ha scritto, e non solo a destra: la repubblica non ha sparato sui suoi figli. Come se lo avesse ritenuto fastidioso ma possibile. Scordavo: una cosa è avvenuta, che il ministro degli interni Sarkozy, andato sugli Champs Élisée per ispezionare la polizia incaricata di difendere la capitale è stato fischiato non dai casseur ma dai passanti e si è dovuto ritirare in fretta.

Perché l'importante è che non succeda niente, che tutto continui come prima. Sono state velocemente restaurate le poche misure che il governo Jospin aveva preso in favore di quei quartieri e che l'attuale governo aveva abolito in nome del risanamento del bilancio, solfa europea. Filosofi e sociologi hanno invaso la scena poco disposti a rilevare l'evidente concreto disagio sociale. Egdar Morin è rimasto neutro, il nostro amico Jean Luc Nancy ha divagato sulla destrutturazione della repubblica, André Gluksmann ha sostenuto che quei ragazzi non protestano perché sono poco integrati ma perché lo sono troppo. E la Francia è rissosa per natura. E giù altri con la diatriba sul modello francese o anglosassone di integrazione su cui le parole di maggior buonsenso sono state scritte da Tommaso Padoa-Schioppa come se, duole dirlo, la Banca centrale avesse i piedi per terra più di altri. Nulla è risolto e nulla è finito. La brace resta accesa. L'estrema sinistra discuterà a lungo se quei ragazzi farebbero meglio ad avere un progetto o se è più rivoluzionario che non ne abbiano nessuno. La vita continua.
 

Grazie banchieri
Maurizio Blondet - tratto da www.effedieffe.com 

FRANCOFORTE - La Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato una misura draconiana: non accetterà, come collaterale per emettere i suoi prestiti agli Stati europei (ex) sovrani, Buoni del Tesoro emessi da quegli Stati e classificati al disotto di «A-».
La misura pende anzitutto come una spada di Damocle sulla Grecia, i cui titoli del debito pubblico hanno un rating «A», poi sul Portogallo (AA-) e sull'Italia (AA- con tendenza «negativa»).
Dunque la Banca «europea» si affida ad agenzie di rating americane tipo Standard & Poors (sono loro che danno i voti), le quali non hanno nulla di obbiettivo - legate come sono all'ideologia e agli interessi finanziari speculativi USA - per giudicare la nostra affidabilità come debitori.
E la minaccia pregiudica in primo luogo proprio l'Italia.
I Buoni del Tesoro italiani sono quasi un terzo dei titoli trattati nella zona euro, grazie a Ciampi che decise di indebitare l'Italia con l'estero anziché, come prima, con i suoi cittadini.
Se la BCE non accetterà più i nostri titoli, li renderà non negoziabili sul mercato.
I nostri tassi d'interesse schizzeranno alle stelle.
Forse per noi cittadini non tutto il male verrebbe per nuocere: ricominceremmo a comprare BOT redditizi, anziché dilapidare i nostri risparmi in «investimenti consigliati» dai banchieri, tipo Parmalat o Argentina.
Ma «l'EIR Strategic Alert» ci segnala un altro scenario, non meno inquietante.
La BCE avrebbe fatto questo passo come prima fase di un progetto per arrivare a una Europa Monetaria «ristretta» a Francia, Germania (e Lussemburgo, Liechtenstein, ecc.), escludendo i Paesi meno virtuosi, come Italia, Grecia, Portogallo.
L'EIR prosegue: «questo della 'eurozona ristretta' è uno scenario messo a punto da ambienti oligarchici che intendono 'mantenere in vita l'euro dopo la sua morte'. Il trucco dovrebbe servire soprattutto a tenere la Germania entro una UME 'riformata e snellita' in modo tale da impedirle di liberarsi dalle pastoie di Maastricht e tornare così al marco tedesco, cioè capace di emettere sovranamente il credito per lo sviluppo. Questo progetto ha i suoi principali sostenitori in Francia, soprattutto tra gli eredi di quel Mitterrand che volle impastoiare la Germania con l'euro, come prezzo per la riunificazione tedesca. In tale contesto, il 10 novembre, la BCE è intervenuta per bloccare la proposta di riforma della Banca d'Italia preparata dal governo, che comprende un trasferimento delle azioni della Banca Centrale, possedute dai privati, allo Stato. Il rappresentante della BCE Lorenzo Bini Smaghi ha annunciato che se la riforma della Banca d'Italia sarà approvata, la BCE farà ricorso alla Corte di Giustizia Europea in quanto la riforma violerebbe le regole di 'indipendenza' delle Banche Centrali».

Palesemente la BCE non vuole il controllo dello Stato
nemmeno sulla spettrale Bankitalia: ciò che teme è la sovranità monetaria degli Stati, ed è decisa a ricorrere ad ogni mezzo, anche rovinoso, per mantenerci in riga.
La Banca d'Italia resterà perciò proprietà privata, delle banche controllanti-controllate (collegate alla «oligarchia») ma, piccolo particolare, gli stipendi di Bankitalia restano a carico nostro, ossia di noi contribuenti.
E sono stipendi enormi, come abbiamo appreso: un dipendente della nostra Banca Centrale prende in media (da noi) 153 mila dollari l'anno, contro i 91 mila dollari della Banca Centrale USA, la Federal Reserve.
Il monte-stipendi di Bankitalia è tra i più salati del mondo; ci costa 1,237 miliardi di dollari l'anno (oltre un miliardo di euro, 2.000 miliardi di lire), contro i 1,009 della Banca Centrale tedesca, e i 377 milioni (non miliardi) della Banca Centrale del Giappone.
La Federal Reserve costa di più (1,5 miliardi di dollari) ma ha parecchie responsabilità in più, e fra l'altro è una banca di emissione, cosa che la nostra inutile Bankitalia ha cessato di essere.
Ma gli stipendi dei nostri principi della banca «pubblica» e privata sono aumentati del 10% nell'ultimo anno.
C'è da chiedersi perché dobbiamo pagare tanto i servizi che degli incompetenti rendono non al popolo italiano, ma alle oligarchie di cui sono servi?
Se li paghino gli oligarchi, i loro maggiordomi.

16 novembre


Una ventina di casi, dal 2001 ad oggi, in cui il premier ha fatto importanti
affermazioni che poi ha smentito o sono state smentite dagli interressati
Casa, pensioni, Iraq e tante altre
le autosmentite di Berlusconi

di MATTEO TONELLI
 


Silvio Berlusconi


ROMA - Affermazioni importanti seguite da immediata autosmentita. A Berlusconi, in cinque anni di governo, è successo molto spesso. Le ultime (sulla casa e sulle pensioni) sono recentissime. A volte il premier assicura di essere stato male interpretato, a volte fa proprio marcia indietro, in altre occasioni sono i diretti interessati a smentire. Una rapida ricerca in archivio ha prodotto questo elenco. Sicuramente incompleto.

La casa agli italiani. Sorrento, 11 novembre 2005, Berlusconi lancia il suo progetto davanti ai giovani di Forza Italia: "Daremo una casa a tutti gli italiani in difficoltà. Sono il 19% della popolazione, ma abbiamo un piano fattibile". Ieri ha precisato: "Non ho detto a tutti gli italiani, ma solo a quelli sfrattati"

Pensione a 68 anni. 3 novembre 2005: "Un orizzonte che non dobbiamo precluderci, l'innalzamento dell'età pensionabile a 68 anni". Il 15 novembre spiega: "Io non ho proposto di spostare l'età pensionabile a 68 anni"

Bush e le elezioni italiane. 31 ottobre 2005. A Washington, parlando con i giornalisti dopo l'incontro con il presidente Usa, dice: "Bush teme un cambio di governo in Italia". Vittorio Zucconi di Repubblica, gli chiede: "Presidente, a scanso di equivoci, lei ci sta dicendo che il presidente Bush ha espresso a lei una preferenza elettorale contro il centro sinistra?". Il premier, allora, precisa: "Non mi ha detto esattamente così Bush, ma è evidente che sentendo le dichiarazioni dei leader della sinistra che affermano che se vincessero le elezioni farebbero come Zapatero ritirando le truppe dall'Iraq, basta fare uno più uno per capire come la pensa il presidente americano. Come sempre gli Stati Uniti non interferiscono nei problemi interni di altri paesi, specialmente nei periodi elettorali e pre-elettorali".

Centristi traditori. 16 agosto 2005. Intervistato dalla Stampa, riferendosi ai centristi della Cdl, dice: "C'è chi pensa di salvarsi offrendosi al vincitore, ma parte da una valutazione errata". Immediata la reazione di Follini: "L'evocazione di doppigiochi, tradimenti e passaggi di campo nei confronti di un partito coerente e sicuro come l'Udc è semplicemente miserevole. Ci aspettiamo dal presidente del Consiglio una smentita chiara e netta". E la smentita arriva puntuale, affidata a Boniauti: "Nessuno in Forza Italia, tantomeno il presidente Berlusconi, ha pronunciato parole legate al concetto di tradimento o di traditore nei confronti dei nostri alleati".

Risanamento Alitalia. 29 aprile 2005: Berlusconi annuncia che il piano di risanamento dell'Alitalia è stato accettato dalla Commissione europea. Immediata la smentita di Bruxelles: "Nessuna decisione è stata presa".

Andare a Nassiriya. "Non sento alcun bisogno di andare a Nassiriya, sarebbe solo una operazione dimostrativa e retorica" (26-3-2004). Il 10 aprile Berlusconi va in visita a Nassiriya.

Unto e bisunto. "Io unto del Signore? Non ho mai pronunciato questa sciocchezza" (9-3-2004). "Io sono l'unto del Signore, c'è qualcosa di divino nell'essere scelto dalla gente. E sarebbe grave che qualcuno che è stato scelto dalla gente, l'unto del Signore, possa pensare di tradire il mandato dei cittadini" (25-11-1994).

Lifting forzato. "Io il lifting non lo volevo fare. Sono stato tirato dentro a farlo. È stata Veronica a spingermi a fare il lifting" (27-1-2004). Poi Veronica lo smentisce: "Il lifting è stata un'idea sua".

Fascismo buono. "Mussolini non ha mai ucciso nessuno: gli oppositori li mandava in vacanza al confino" (intervista a 'The Spectator', 4-9-2003). Il 17 Berlusconi cerca di smorzare l'intervista allo 'Spectator': "Eravamo alla seconda bottiglia di champagne". Ma gli intervistatori lo smentiscono: "Abbiamo bevuto solo tè freddo" (19-9-2003.).

Giudici matti. Nella stessaintervista a "Spectator", il premier disse anche che i magistrati: "Per fare i giudici bisogna essere dei disturbati mentali". Protestarono un po' tutti: dall'Anm, alle sorelle di Falcone e Borsellino. Fini parlò esplicitamente di "gaffe". Allora spiega: "Io non sono un politico, non bado alle critiche. Dico quello che pensa la gente".

Legge Gasparri. Berlusconi, uscendo dal Quirinale, annuncia che Ciampi è d'accordo sulla legge Gasparri. Il Quirinale smentisce: "Non ne abbiamo mai parlato" (2-8-2003). Berlusconi deve rettificare dando la colpa ai giornalisti.

Lodo Maccanico. "Io non c'entro nulla con questo Lodo: è stata un'iniziativa autonoma del Parlamento, sostenuta dal presidente della Repubblica" (30-6-2003). Immediata la smentita del Quirinale, cui segue la precisazione del sottosegretario Paolo Bonaiuti: "Il lodo Maccanico è una iniziativa parlamentare. E a questa proposta il presidente della Repubblica è ovviamente estraneo".

Conflitto di interessi. "Il conflitto d'interessi sarà risolto nei primi cento giorni del mio governo" (5-5-2001). "Il conflitto d'interessi è una leggenda metropolitana" (19-12-2003). La legge sul conflitto d'interessi non è stata ancora approvata.

Condono per gli altri. "Mediaset non farà alcun ricorso al condono fiscale" (30-12-2002). Cinque mesi dopo 'L'espressò scopre che Mediaset ha regolarmente fatto ricorso al condono, risparmiando circa 120 milioni di euro di imposte. Un anno dopo accade di nuovo.

Armi sì, armi no. "Credo che ormai in Iraq non ci siano più armi di distruzione di massa" (16-10-2002). "Non ho mai detto che Saddam non ha armi di distruzione di massa. Dico solo che ha avuto il tempo di distruggerle o di metterle da qualche altra parte" (17-10-2002).

Guerra senza Onu. "Se Saddam non cede, l'attacco sarà a gennaio e sarebbe inutile una seconda risoluzione come chiede la Francia, sarebbe un nonsenso" (14-9-2002). "Siamo per una risoluzione dell'Onu che dia termini precisi a Saddam e stabilisca l'intervento militare se Saddam non dovesse accettare la risoluzione" (25-9-2002). "Con realismo bisogna dire che non c'è alternativa alle due risoluzioni dell'Onu " (16-10-2002).

Nesta mai. "Comprare Alessandro Nesta? Sono cose che non hanno più nulla di economico, di morale. Nel calcio abbiamo sbagliato tutti, ora basta"(23-8-2002). L'indomani il Milan annuncia l'acquisto di Nesta.

Legge Cirami. "Non capisco tutta questa fretta per la legge Cirami sul legittimo sospetto" (31-7-2002). "La legge sul legittimo sospetto è una priorità per il governo" (30-8-2002).

Ok dall'Europa. "Ho fatto un'esposizione sommaria della legge finanziaria e ho trovato un'ottima accoglienza sia da Prodi sia dal commissario Pedro Solbes" (10-10-2001). Prodi cade dalle nuvole. Solbes lo smentisce. Berlusconi fa retromarcia: "Io ho illustrato l'azione del mio governo, Prodi e Solbes mi hanno ascoltato in silenzio".

Scontro di civiltà. "Noi dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà... Dobbiamo evitare di mettere le due civiltà, quella islamica e quella nostra sullo stesso piano... La nostra civiltà deve estendere a chi è rimasto indietro di almeno 1.400 anni nella storia i benefici e le conquiste che l'Occidente conosce." (26-9-2001). Poi di fronte alla richiesta di scuse presentata da una serie di governi arabi dice al giornale 'Asharq al-Awsat':"Perché dovrei scusarmi? Per qualche cosa che non ho detto? Non ho detto nulla di sbagliato, loro (alcuni giornalisti, ndr) mi hanno fatto dire qualche cosa che non ho detto". (2-10-2001)


15 novembre


IL COMMENTO
I federalisti
immaginari

di MASSIMO GIANNINI

Giulio Tremonti è costretto a incassare un brutto colpo dalla Consulta. Non è la prima volta che una sentenza della Corte si abbatte come un macigno sul bilancio dello Stato. Ai bei tempi della Prima Repubblica, quando non c'era ancora il "vincolo esterno" dell'Europa a imporre un po' di sano rigore finanziario, le manovre del pentapartito venivano smontate quasi ogni anno dai giudici costituzionali, costretti a ridurle un colabrodo dall'imperizia o dalla furbizia del legislatore, soprattutto sul fronte della spesa previdenziale. Di per sé, quindi, non è uno scandalo che la stessa sorte tocchi adesso all'ultima Finanziaria del governo Berlusconi.

Il fatto nuovo, e gravido di qualche conseguenza, è che la pronuncia emessa ieri non va a toccare solo la Legge di bilancio di un anno fa, ma anche la posta più "preziosa" dal punto di vista del gettito, e più controversa dal punto di vista politico, di tutta la manovra di quest'anno: i tagli agli enti locali. Una posta che vale all'incirca 3,5 miliardi di euro.

La Consulta, alla luce della riforma del Titolo V approvata nella scorsa legislatura, ha fissato due principi rilevanti. Da un lato ha stabilito quello che lo Stato centrale non può fare: imporre alle regioni, ai comuni e alle province, vincoli sulle singole voci di spesa. Per questo, ha giudicato incostituzionali, perché in contrasto con gli articoli 117 e 119 della Carta riformata nel 2000, due norme della Finanziaria 2005, con le quali il governo aveva obbligato gli enti locali a tagli di spesa sulle consulenze esterne, sulle missioni all'estero, sulle spese di rappresentanza e di pubbliche relazioni nell'ordine del 15%, e su beni e servizi (auto blu, carburanti, carta, mense e così via) nell'ordine del 10%. Dall'altro lato, ha chiarito ciò che lo Stato centrale può fare: imporre "principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica". Per questo, sono legittimi i tetti di spesa di carattere generale, ai quali gli enti locali si possono attenere, ma conservando una propria discrezionalità quanto alla distribuzione dei tagli nei diversi settori dell'amministrazione.
La sentenza è rilevante sul piano tecnico-finanziario. Apre una falla di entità ancora non quantificabile sui conti dell'anno passato. Ma un ammanco rischia di crearsi anche sui conti del 2006. Stando alla motivazione dei giudici, non dovrebbero correre rischi i due tetti complessivi che il governo ha imposto per l'anno prossimo, cioè il 3,8% sulla spesa delle regioni e il 6,7% su quella di comuni e province.

Ma nella Finanziaria all'esame della Camera ci sono almeno altre tre norme che hanno le stesse caratteristiche di quelle giudicate illegittime dalla Corte nella manovra 2005. Si tratta dell'articolo 1 del disegno di legge, che al comma 6 fissa agli enti locali una spesa annua 2006 per studi ed incarichi di consulenza esterna non superiore al 50% di quella sostenuta nel 2004. Lo stesso articolo fissa un tetto analogo al comma 7, sulle spese per convegni, mostre, relazioni pubbliche, pubblicità e rappresentanza, e al comma 9 sulle spese sostenute per acquisto e manutenzione delle auto blu. E' evidente, adesso, che queste norme non stanno più in piedi. Con buona pace dei rappresentanti della Cdl, che ora saranno costretti a rimettere mano al testo, pernon incappare nell'ennesimo strappo costituzionale.

Quello della Consulta non sarà un colpo di spugna che cancella l'intera Finanziaria. Probabilmente ha ragione Tremonti a dire che i saldi contabili complessivi non vengono intaccati, e che sarà rafforzato il Patto di stabilità interno. Ma resta il fatto che, nell'aspro contenzioso che vede schierati da un mese e mezzo il governo da una parte, i governatori e i sindaci dall'altra, questi ultimi hanno messo a segno un punto a loro favore.

La sentenza è ancora più importante sul piano politico- istituzionale. Quando i giudici arrivano ad invalidare le norme varate dal governo perché costituiscono "un'inammissibile ingerenza nell'autonomia degli enti locali", svelano la palese contraddizione che ha caratterizzato l'intera legislatura del Polo. Da una parte la retorica padana delle piccole patrie, dall'altra la fame di risorse del solito Leviatano. Da una parte il feticcio della devolution, dall'altra l'icona di Colbert.

Quest'ultima Finanziaria, da questo punto di vista, è un vero capolavoro di funambolismo. La maggioranza, cui si deve una riforma costituzionale che sfascia l'unità repubblicana, evita l'impopolarità di intestare i tagli al Welfare all'Amministrazione centrale, e scarica la responsabilità di "tosare la pecora" alle amministrazioni locali. Ma ora, anche grazie alla Consulta, il trucco è svelato una volta di più. E questo sì, è un colpo al cuore alla politica del centrodestra. Ne mette a nudo la propaganda formale, ma ne tradisce l'inefficacia sostanziale.

Ora si discuterà a lungo se, come dicono Prodi e l'opposizione, bisognerà riscrivere la manovra. Oppure se, come obiettano il Tesoro e la maggioranza, la manovra resta valida e si potrà inserire tutt'al più una norma interpretativa. Ma il punto vero non è questo. A pochi mesi dal voto, dalla Casa delle Libertà viene giù un altro mattone. Tremonti, giustamente, ripete che non si può andare avanti con la spesa fatta in periferia e la "presa" fatta dal centro, che così si rompe il "circuito democratico", che ora più che mai "serve il federalismo fiscale". Tutto vero. Ma hanno governato per cinque anni. E con la maggioranza più schiacciante di tutti i tempi. Nel 2001 il federalismo fiscale era il loro vessillo elettorale, il loro credo laico. Se era così fondamentale, perché non hanno realizzato quello, invece di avvelenare l'Italia di leggi contro la giustizia e contro il buon senso?
 

 Falluja, l'umanità violata.
di Domenico Gallo

Quello che è successo a Falluja nel novembre del 2004 non può essere archiviato nel capitolo delle atrocità che sono conseguenze inevitabili di ogni conflitto bellico.

Per quanto la guerra sia un evento che rende leciti fatti che, nel tempo ordinario, sono universalmente considerati criminosi e inaccettabili, tuttavia anche l'uso della violenza bellica è regolato dal diritto (ius in bello) e incontra dei limiti, che le leggi dell'umanità considerano invalicabili.
Le regole fondamentali che riguardano i metodi e i mezzi di guerra si poggiano su tre pilastri:

1. In ogni conflitto armato il diritto delle parti di scegliere metodi e mezzi di guerra non è illimitato.

2. È vietato l'impiego di armi, proiettili e sostanze nonché metodi di guerra, capaci di causare mali superflui o sofferenze inutili.

3. Sono vietati gli attacchi indiscriminati.

Queste regole sono espresse in maniera molto chiara nel I Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, siglato l'8 giugno del 1977, ma non sono state inventate con il Protocollo di Ginevra, perché esistevano già come princìpi di diritto consuetudinario. Pertanto vincolano tutti gli Stati, compresi quelli (come gli Stati Uniti) che non hanno ratificato il Protocollo di Ginevra. Esse traggono origine dalla notte dei tempi ed esprimono la riprovazione dell'umanità intera per le pratiche più crudeli emerse nel corso della storia.

Per quanto la guerra consista in un omicidio di massa (Kelsen), non tutti i metodi per uccidere sono leciti e non tutti gli appartenenti alla popolazione nemica possono essere uccisi. Il principio che vieta di infliggere mali superflui, per esempio, vieta di uccidere i nemici, infliggendo loro una morte lenta e atrocemente dolorosa, come faceva il Conte Dracula con la pratica dell'impalazione, o di scorticarli vivi, come fecero i turchi a Famagosta nel 1571 con il console Veneziano Marcantonio Bragadin. Per questo già nel 1600 fu proibito l'uso del veleno in guerra o delle armi avvelenate.
Nel 1868 con il trattato di San Pietroburgo fu proibito l'uso di proiettili esplosivi di peso inferiore a 400 grammi e nel 1899 alla I Conferenza della pace dell'Aja furono vietate le pallottole dum-dum e l'interdizione di armi arrecanti mali superflui fu trasformata in principio generale.

Con il Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925 fu interdetto l'uso in guerra di «gas asfissianti, tossici o simili, nonché di tutti i liquidi, materiali o procedimenti analoghi».

La Convenzione di Ginevra del 10 ottobre 1980 (alla quale hanno aderito anche gli Stati Uniti) ha nuovamente ribadito il principio del diritto internazionale generale secondo cui il diritto delle parti di un conflitto armato nella scelta dei mezzi e dei metodi di guerra non è illimitato e il principio che vieta di impiegare nei conflitti armati armi, proiettili e materie nonché metodi di guerra capaci di provocare mali superflui. In applicazione di tali princìpi sono stati stipulati tre Protocolli, il I, relativo alle schegge non localizzabili, il II, relativo al divieto o alla limitazione dell'impiego di mine trappole e altri dispositivi, il III, relativo al divieto o alla limitazione delle armi incendiarie (a cui gli Stati Uniti non hanno aderito).

L'interdizione delle armi chimiche è divenuta totale con la Convenzione di Parigi del 13 gennaio 1993, con la quale, oltre all'uso è stata vietata anche la produzione e lo stoccaggio delle armi chimiche e ne è stato disposto lo smantellamento ed è stata creata un'apposita organizzazione internazionale con poteri di monitoraggio e di verifica.

Le norme e i princìpi espressi in tali Trattati sono state ribaditi e ulteriormente definiti con lo Statuto della Corte Penale Internazionale, a seguito del Trattato di Roma del 17 luglio 1998. In particolare l'art. 8 vieta di «utilizzare gas asfissianti, tossici, o altri gas simili e tutti i liquidi, materiali e strumenti analoghi» e di utilizzare «armi, proiettili, materiali e metodi di combattimento con caratteristiche tali da cagionare lesioni superflue o sofferenze non necessarie o che colpiscono, per la loro natura, in modo indiscriminato in violazione del diritto internazionale dei conflitti armati».

È ben vero che il diritto bellico sconta un'imperfezione di fondo in quanto, a fronte del divieto esplicito di usare le frecce avvelenate, non contiene un altrettanto esplicito divieto di utilizzare armi molto più catastrofiche, come le armi nucleari. Tuttavia una storica sentenza della Corte di Giustizia dell'Onu del luglio 1996 ha dichiarato che l'uso delle armi nucleari deve considerarsi vietato in quanto viola i princìpi fondamentali del diritto bellico: il divieto di cagionare sofferenze superflue e il divieto di attacchi indiscriminati. Le considerazioni che sono alla base dell'interdizione dell'uso delle armi nucleari valgono anche per l'utilizzo bellico di un agente chimico come il fosforo bianco, che l'esercito Usa ha impiegato per lanciare degli attacchi «shake and bake» (scuoti ed inforna), come documentato dalla rivista Field Artillery. Infatti l'impiego di queste munizioni nei confronti di un agglomerato urbano colpisce in modo indiscriminato, uccidendo tutti gli esseri viventi che si trovano nell'area e, nello stesso tempo, causa sofferenze superflue, cuocendo gli esseri viventi, come se fossero messi in un forno.

Nella battaglia di Falluja sono stati calpestati tutti i princìpi che il diritto bellico umanitario ha tracciato a presidio di valori essenziali per l'umanità intera. Non a caso i crimini di guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio rientrano nella categoria dei delicta iuris gentium e i loro autori sono considerati nemici del genere umano.


14 novembre


Tra coloro che non sanno leggere e scrivere e chi ha solo licenza media o elementare, oltre la metà della popolazione è in condizione di difficoltà
Quasi sei milioni di analfabeti
e il 66% degli italiani è a rischio


ROMA - Quasi sei milioni di cittadini italiani, il 12% della nostra popolazione (5.981.579 persone per la precisione), sono analfabeti e senza alcun titolo di studio. È quanto emerge da un'inchiesta dell'Università di Castel Sant'Angelo dell'Unla (Unione Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo) sull'arretratezza e gli squilibri educativi nell'Italia di oggi.

La ricerca, che si basa sui dati del censimento Istat del 2001, mostra come i cittadini italiani per quanto riguarda il livello d'istruzione raggiunta formino una "piramide appuntita": in alto, il 7,5% pari a circa 4 milioni, figurano i laureati; subito sotto coloro che hanno frequentato la scuola superiore (il 25,85% della popolazione). Segue la scuola media (30,12%), mentre il 36,52% dei cittadini hanno frequentato solo la scuola elementare. In particolare, questi ultimi due dati sono molto importanti, perché, essendo le licenze media e elementare insufficienti per affacciarsi sul mondo del lavoro di oggi, se aggregati insieme a quelli degli analfabeti totali si arriva alla cifra impressionante di quasi 36 milioni (il 66% della popolazione) di "ana-alfabeti", e cioè del tutto analfabeti o appena alfabeti.

A livello territoriale, poi, nove regioni (Basilicata in testa, poi Calabria, Molise, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Campania, Sardegna, Umbria) si attestano oltre la soglia di allarme dell'8%, calcolata dagli studiosi riguardo alla popolazione senza titolo di studio. Stessa situazione per le città con oltre i 250 mila abitanti: la maggio quantità di "ana-alfabeti" è a Catania, con l'8,4%, seguita da Palermo, Bari e Napoli. A livello mondiale, infine, l'Italia, in base ai dati Ocse 2004, si colloca al terz'ultimo posto nella classifica dei primi trenta paesi più istruiti, seguita solo da Portogallo e Messico.


"Tra il 20 e il 25% di ragazzi e ragazze che escono dalla scuola media inferiore non sa leggere o scrivere, segno inequivocabile che la la scuola dell'obbligo non ha fruttato. Aggredire questa massa significa dare un contributo straordinario al lavoro ordinario della scuola" è il grido d'allarme di Tullio De Mauro, docente di Linguistica all'Università "La Sapienza" di Roma. "L'investimento nella scuola ordinaria - continua De Mauro - deve essere al centro dei nostri pensieri, ma rende dopo anni. L'educazione degli adulti, invece, ritorna immediatamente, e da questo punto di vista è grave la negligenza del governo.

D'accordo anche Sergio Zavoli, giornalista e senatore Ds, che avanza una proposta innovativa: "In un tempo in cui la rivoluzione non è più il cambiamento ma è la velocità di questo, ascoltando questi dati abbiamo appreso che siamo tra i Paesi più attardati rispetto a questo fenomeno. Credo che sia il tempo di realizzare una forte sinergia tra scuola e tv: quest'ultima non solo deve informare, ma comunicare, trasmettere valori. Scuola e tv devono ricostruire un rapporto".

La libertà delle case
GUGLIELMO RAGOZZINO
La casa delle libertà si è trasformata per un giorno nella libertà delle case. Il proprietario, Silvio Berlusconi, ha promesso una casa per gli italiani che ne mancano. Egli ha preso un «impegno a costruire le abitazioni per tutto quel 19% di famiglie italiane che vive in condizioni di vita grama non causata da questo governo». C'è un'ambiguità irrisolta; sembra che Berlusconi escluda dal regalo della casa le famiglie che hanno la vita grama per effetto del suo governo; ma è quasi certo che sia stato frainteso, da quel filantropo privo di rancori che è. Egli darà la casa a tutte le famiglie che ne sono prive, anche a quelle che il suo governo ha danneggiato; oltre che a quelle che sono state impoverite dai precedenti governi, tutti zeppi di comunisti. L'impresa alla quale Berlusconi si accinge è titanica. Le famiglie in Italia sono 20 milioni e dunque si tratta di costruire alloggi nuovi per 3,8 milioni di famiglie. In passato un'impresa simile (un'abitazione per il 20% delle famiglie) è stata compiuta, tra il 1951 e il 1991. Sono i 40 anni in cui il nostro paese è cresciuto: e la casa era il principale bene rifugio, oltre che la soluzione a uno dei maggiori problemi di vita. Inoltre le famiglie erano meno numerose di oggi, con popolazione aumentata e famiglia media più magra. Possiamo contare 50 anni per l'adempimento della promessa di Berlusconi?

Berlusconi non ha rivelato il suo piano; ha detto che lo farà più avanti, quando sarà il momento. Di certo si è posto tutti i problemi di fattibilità, di uso del territorio, di finanziamenti. In fondo sa di che si tratta, lui che ha debuttato come costruttore di successo; i malevoli affermano ancor oggi che si trattava di quartieri facili, di ghetti per ricchi, in grado di pagarsi casa, giardino e piscina, mentre l'urbanizzazione - acqua luce gas scuole - era offerta dai comuni interessati e si risolvevano le rotte degli aerei su Linate che rischiavano di rendere meno tranquille le notti di Milano due. Altro il caso di quartieri per persone povere e quindi difficili, almeno per la morale corrente.

Bisognerà decidere. Una volta si sarebbe appoggiato tutto al pubblico, come nel noto piano Fanfani-case. Da lì originarono gli alloggi che durante gli anni bui vennero ceduti in affitto a lavoratori e immigrati - dal sud d'Italia, dal Veneto - e che ora lo stato privatizzato vuole mettere a valore. Un nuovo intervento pubblico, un'altra agenzia, un carrozzone tipo Iri, non possono piacere alla Casa delle libertà. La sua casa deve essere costruita da un general contractor. Nei 50 anni necessari all'opera va poi decisa una priorità tra le povere famiglie da alloggiare prima delle altre. Si comincia dalle più vecchie, dalle più giovani, dalle più numerose? si comincia dal Nord, dal Sud, dai capifamiglia iscritti a qualche cosa? Dai più emarginati, dai più religiosi?

«Intanto ha cominciato coi ricchi: chi ben comincia è alla metà dell'opera». Romano Prodi con un po' di ironia descrive così l'estrosa uscita del primo ministro. Tra gli altri commenti politici che si possono leggere a pagina 5, spicca quello di assoluto buon senso di Rosy Bindi che suggerisce di pensare alla casa come valore d'uso, neanche fosse Carlo Marx. E in questo ordine di idee vale la pena di riflettere che le abitazioni, secondo l'ultimo censimento, erano 27,3 milioni e di queste 21,7 milioni, pari al 79,3% erano occupate stabilmente da una o più persone. Vi erano dunque 6,6 milioni di alloggi liberi, che potevano ben ospitare una buona parte almeno di 3,8 milioni di famiglie povere. Certo non devono sfuggire i grandi problemi umani e logistici di una ridistribuzione di beni e di persone; e anche la spesa necessaria per rendere accettabile tutto questo alle comunità, ai proprietari delle case, alle famiglie da sistemare nel modo migliore. Il general contractor e i suoi amici costruttori guadagnerebbero di meno, ma la spesa complessiva sarebbe molto inferiore ai 400 miliardi di euro (100mila euro per alloggio) della soluzione Berlusconi, e ben più rapida di mezzo secolo. Rispetto a quella di Berlusconi è di gran lunga più realistica la soluzione di Sandro Medici.


11 novembre


Fosforo, Falluja finì «al forno»

Che meraviglia, quelle munizioni al fosforo bianco, «efficaci e versatili»: gli americani le hanno usate a Falluja negli attacchi soprannominati shake-and-bake, letteralmente scuoti-e-inforna. Che funzionavano così: le munizioni al fosforo servivano a incendiare trincee e cunicoli ben difesi, i «ribelli» che riuscivano a uscirne più o meno ustionati venivano mitragliati dalle normali munizioni esplosive. E' tutto raccontato con grande precisione e dovizia di particolari da Field Artillery, bimestrale dell'Artiglieria da campagna americana. L'autore del rapporto è un capitano dell'artiglieria, l'editore è l'esercito degli Stati uniti. Imbarazzante per gli Usa che hanno sempre negato di aver usato armi chimiche sulle persone. Tanto imbarazzante che ieri, dopo essersene accorto, il Dipartimento di stato americano ha corretto la pagina di smentite ufficiali del proprio sito internet: «Abbiamo appreso che alcune delle nostre informazioni non erano corrette...».
 

Pennsylvania, via i membri repubblicani del consiglio scolastico denunciati per aver introdotto nelle scuole pubbliche la teoria del "disegno intelligente"
Usa: licenziati i prof anti-Darwin
prima della decisione dei giudici

di DANIELE SEMERARO
 


Una manifestazione di protesta a Dover in Pennsylvania contro il "disegno intelligente"

Si è conclusa - per adesso - con la "bocciatura" di otto membri su nove del consiglio scolastico di Dover, nello stato americano della Pennsylvania, la polemica sullo studio dell'evoluzione che aveva messo la loro città al centro dell'attenzione per aver promosso il cosiddetto "disegno intelligente" in alternativa al Darwinismo.

Gli otto, tutti repubblicani, saranno sostituiti, secondo quanto deciso dagli elettori, da otto colleghi democratici, che si oppongono a modificare il curriculum delle scuole pubbliche in senso creazionista. I membri licenziati, infatti, erano stati i primi a introdurre in un distretto scolastico americano la teoria, di moda tra gli evangelici statunitensi, secondo cui il processo dell'evoluzione è così complesso che non può essere immaginato al di fuori di un "disegno intelligente" creativo. L'universo, secondo questa "scuola di pensiero", è rappresentato come un'entità talmente complessa che dev'essere stato necessariamente creato da una "forza superiore".

E così ai ragazzi veniva insegnato che la teoria evoluzionistica di Charles Darwin (secondo cui l'uomo sarebbe un'evoluzione della scimmia) è incompleta e ha dei buchi. La vicenda era poi finita, con grande clamore anche internazionale, in tribunale dopo la denuncia di undici genitori: secondo l'accusa, infatti, la teoria del "disegno intelligente" promuove la versione della creazione trasmessa dalla Bibbia, e, quindi, viola la separazione costituzionale tra Stato e Chiesa.

Secondo la maggior parte degli scienziati, infatti, il questa teoria non è scientifica, ma si tratta piuttosto di una forma di creazionismo che, secondo una sentenza della Corte Suprema del 1987, non può essere insegnata nelle scuole. Per adesso il processo si è concluso la settimana scorsa presso la Corte Federale di Harrisburg, ma la sentenza definitiva arriverà probabilmente a gennaio.

Una controversia simile, ma con la vittoria per 6 voti a 4 dei fautori del "disegno intelligente", era avvenuta pochi giorni prima nel distretto scolastico del Kansas. Il consiglio, però, questa volta ha approvato una mozione secondo la quale nelle scuole pubbliche si deve insegnare che ci sono ancora dubbi sulla teoria dell'evoluzione darwiniana.

Il caso italiano. Solo pochi giorni fa la rivista Micromega aveva pubblicato un documento che svelava un intervento censorio del ministero dell'Istruzione sul documento della commissione, di cui facevano parte anche i premi nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, istituita dopo l'insurrezione seguita - due anni fa - alle restrittive indicazioni sull'insegnamentoo di Darwin a scuola. La commissione aveva consegnato al ministero un rapporto nel quale si leggeva, tra l'altro, che "trascurare l'insegnamento dell'evoluzione [...] sarebbe un errore intollerabile in una società che si ritiene civile". Del documento, però, si persero le tracce, fino alla recente scoperta della rivista: è stato tagliato in alcune parti significative.


10 novembre


Modello periferia
ROSSANA ROSSANDA
Le periferie parigine sono in tumulto e Romano Prodi ha ammonito: le nostre non sono meno degradate. Forza Italia gli ha dato dell'incendiario. I sindaci gli hanno detto che no, le nostre sono diverse. Calderoli invece che sì, e bisogna cacciare gli immigrati. Pisanu non teme le periferie perché da noi il luogo del tumulto è la Val di Susa. L'opposizione ha obiettato «sì, ma». Adriano Sofri scrive arguzie sulle automobili. Ma Prodi ha ragione, variano soltanto le dimensioni, che non sono poca cosa. E' il grande agglomerato urbano che si è formato negli anni dell'espansione, alimentato dall'immigrazione interna ed esterna, che si separa in zone invalicabili, e più cresce più si separa per censo. La città europea è gerarchica. Attorno al nucleo dei signori si sono andati via via accumulando i poveri e i fragili. A Parigi il centro è dei signori e degli intellettuali che se lo possono permettere, oppure dei turisti, e resta governo, potere, cultura, arte, soldi. Lo circonda una grande fascia di gente assai per bene, come a Milano o a Roma, di quartieri borghesi che detestano i blocchi dormitorio che vengono per chilometri subito dopo, senza soluzione di continuità urbana, dove era una volta la cintura dei comuni rossi e fumavano le ciminiere delle grande aziende. Da essi si ritrae anche una quarta fascia di chi sarebbe disposto ad abitare luoghi più verdi, ma i comuni in cui arriva ancora qualche lembo di foresta si guardano bene dal costruire il venti per cento degli alloggi popolari che la legge prescrive (pena una multa di 150 euro) perché in questo caso la gente bene non ci verrebbe a stare. Quanto agli immigrati di ultimo arrivo non hanno quartiere, fanno gli squatter nelle case vecchie e disabitate dovunque siano, e succede come questa estate che vi muoiano per incendio nelle condoglianze di tutta la città. Questa la geografia di una capitale, ma non soltanto di Parigi.

E' la città tipica dell'Europa affluente, che oggi scricchiola. Il post industriale non ha bisogno di manodopera, i governi dismettono gli alloggi calmierati, e quelli che vi si trovano stentano a pagarsi gli affitti. Questa la geografia sociale che si può leggere nei blocchi ripetitivi di cemento, nella quantità di scuole che ci sono o non ci sono, degli insegnanti che ci vanno o non ci vanno, delle presenze o assenze di teatri, musei, locali, luoghi di cultura. Nella terza fascia il resto di Parigi non si inoltra mai. Chi vi era arrivato trenta o quaranta anni fa trovava lavoro e aveva qualche prospettiva, oggi i suoi rampolli non lo trovano, e non ne hanno nessuna. Sono nati in Francia, scolarizzati in Francia, parlano francese. Non frequentano né scuole né chiese né moschee, non amano una scuola che non gli promette nulla. Sono per le strade. In rottura con i genitori, che li rimproverano e con i quali il dialogo, ammesso che ci sia mai stato, è finito.

Sono in rottura con i simboli di quella ricchezza radiosa che li ammicca da tutte le parti, manifesti e tv, che gli è preclusa. Gli è venuta voglia di spaccarli tutti, non di spaccare tutto - sono dieci giorni che alcune periferie bruciano ma a nessuno viene in testa di prendere la Bastiglia. Sono indifferenti se quella che distruggono è l'auto o la motocicletta del vicino. Gareggiano, come l'età e il cinema vuole, fra quartiere e quartiere. Non hanno organizzazione, non è vero che siano infiltrati dalla criminalità della droga, più che non lo siano le periferie romana o milanese o torinese. Sono tagliati fuori dall'ascensore sociale, lo sanno e se lo sentono dire. Hanno cominciato con un solo slogan: «Rispetto, vogliamo rispetto». E quando il ministro degli interni li ha chiamati teppaglia è stato come versare benzina sul fuoco. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza, il primo ministro è venuto alla tv e se occorre i prefetti decideranno il coprifuoco. Il primo ministro, diversamente da Sarkozy, ha balbettato di qualche causa sociale cui però nessuno è in grado di opporre facili rimedi. Vero, i rimedi sono i posti di lavoro che in questa fascia sociale mancano fino al cinquanta per cento dei richiedenti di quella età, mancano scuole qualificate, mancano case che non siano casermoni, manca una rete associativa e, soprattutto, manca la fine della discriminazione che si sentono addosso.

Non si fa in un giorno quel che si è reso precario per anni. Ma questa precarizzazione cresce un poco di più tutti i giorni. Chi se la sente di dire che, salvo le dimensioni, questo non succede anche a Milano, Roma o Bologna? Non è il modello di integrazione sociale francese che va a pezzi, vanno a pezzi tutti i modelli di crescita inseguiti da vent'anni a questa parte in Europa, e cari ai riformisti, una crescita a basso costo del lavoro, se non senza lavoro e a tagli vigorosi di welfare. Un terzo della popolazione ne viene tagliata fuori, emarginata. E oggi è sufficientemente acculturata da non sopportarlo. E sufficientemente scettica davanti allo spettacolo della politica da non vedere via d'uscita. Questo è il modello che anche i nostri riformisti ci propongono, e che in tempi di stagnazione, se non di recessione, diventa una tagliola crudele. Perché le istituzioni se ne accorgano ci vogliono le fiamme e i morti. E quando se ne accorgono altro non sanno fare che mandare i carabinieri e affollare le galere. Non succede anche da noi?

 


Il Welfare secondo la Cgil

Un forum per ripensare e rilanciare le politiche sociali
Il sindacato promuove un incontro per «attrezzarsi alla ridefinizione del welfare». E per opporsi alla politica di marginalizzazione di questo governo

GIO. FER.

Un forum come «luogo significativo di riflessione sul welfare italiano». Questo il manifesto dell'iniziativa promossa il sette e l'otto novembre dalla rivista delle politiche sociali, nata più di un anno fa «dall'esigenza di approfondimento e di confronto della Cgil sui temi dello stato sociale». Grazie al forum il momento «cartaceo» si è arricchito di un tavolo di discussione tra i soggetti sociali per ridefinire concettualmente il proprio ruolo di protagonisti nell'orizzonte del Welfare e dei suoi cambiamenti: squilibri demografici, modifiche nel mercato del lavoro, secolarizzazione della famiglia. Dietro l'iniziativa si legge infatti anche la necessità di ripensare ad azioni e strumenti del sindacato. «La Cgil - sottolinea la direttrice della rivista Maria Luisa Mirabile - è arrivata alla ridefinizione del welfare italiano (da prevalentemente occupazionale a maggiormente universalista e da largamente passivo ad attivante) non particolarmente attrezzata». Se questa è la premessa che fa da sfondo sia all'iniziativa editoriale della rivista che a quella pubblica del forum, il metodo che si è inteso seguire è quello del «pensare in pubblico» attraverso una qualificata platea di lettori, studiosi e operatori.

Il calendario delle due giornate è stato fitto di interventi diversi, coordinati dai segretari confederali della Cgil e arricchiti da contributi accademici e internazionali. Quattro i macro-argomenti «attraversati»: modello sociale europeo, politiche sociali e politiche del lavoro, rapporto tra welfare locale, decentramento e cittadinanza, giustizia sociale e sostenibilità del welfare.

Per Achille Passoni, segretario confederale della Cgil, il forum ( così come la rivista) sono da considerare anche come importantissimi strumenti per riaffermare la centralità dei vari soggetti coinvolti nell'idea stessa di Welfare: «E' dall'inizio del mandato di questo governo che assistiamo a una progressiva manifestazione di un'idea gerarchica del rapporto con le regioni e il sistema di autonomie locali. Anche verso il sindacato l'esecutivo ha manifestato la stessa insofferenza e volontà di marginalizzazione. Ecco quindi che il tema della democrazia acquista grandissima attualità. Pensiamo, a questo proposito, cosa rappresenterebbe per un pezzo rilevantissimo di stato sociale e per l'idea stessa di universalismo delle prestazioni, la devoluzione».

E il discorso si estende anche oltre i nostri confini. La segretaria generale dello Spi Betty Leone sottolinea infatti come «la competizione con i paesi in via di sviluppo, l'invecchiamento della popolazione, l'aumento dell'immigrazione fanno sì che il modello sociale europeo può essere mantenuto solo se si definisce un nucleo di diritti sociali che caratterizzano la cittadinanza europea».

 

7 novembre

Nello stato birmano del Kachin, una delle zone a più alta biodiversità del mondo è saccheggiata da aziende di disboscamento illegali. Con il marchio della Cina e la complicità del governo del Myanmar

di Francesca Lancini

Un esercito di migliaia di operai per distruggere una delle foreste più rigogliose e ad alta biodiversità al mondo. Accade nello stato birmano del Kachin, al confine con la Cina, e le aziende di disboscamento hanno tutte il marchio della Repubblica Popolare Cinese. A lanciare l'allarme è un rapporto di Global Witness, un'organizzazione ambientalista con sede a Londra e ricercatori in tutto il mondo: "Quindici tonnellate di legname attraversano illegalmente il confine tra il Myanmar - come è stata rinominata la Birmania dal 1989 - e la Cina ogni sette minuti, 24 ore al giorno, ogni giorno dell'anno". Senza contare la percentuale di legname che passa invece la frontiera legalmente.

Un disastro ecologico che così è descritto da Susanne Kempel, tra gli autori del rapporto di Global Witness intititolato Una scelta per la Cina: porre fine alla distruzione delle foreste della frontiera settentrionale birmana: "Il governo di Yangon dice di esportare in Cina 18mila metri cubi di legname all'anno, mentre quello cinese dichiara di importarne oltre un milione. Il divario è enorme perché il 95 per cento del legname che arriva dal Mynamar nella Repubblica Popolare è venduto illegalmente. Noi siamo andati al confine, da parte cinese, e abbiamo visto ben 15 dogane illegali. La legislazione birmana stabilisce, infatti, che la dogana in quest'area debba essere solo una".
Ma il Kachin è una terra senza legge, afflitta da corruzione, miseria e quaranta anni di guerra tra l'esercito governativo e i separatisti. "Nel commercio del legname - spiega la Kempel - sono coinvolti diversi attori. Il legname giunge da zone birmane controllate sia dai signori della guerra venuti a patti con il governo, sia dagli stessi militari dello State Peace and Development Council (Spdc), cioè la giunta che guida il Paese".
"Gli abitanti - racconta la ricercatrice - sono poveri e trascurati dal governo centrale. Per decenni hanno dovuto fare i conti con la guerra e adesso che è finita qui arrivano pochi investimenti e pochi aiuti, sia dall'interno sia dalla comunità internazionale. Per giunta in queste regioni a sud del triangolo d'oro, crocevia del narcotraffico internazionale, un altro fattore mina l'esistenza della popolazione: l'Hiv, che raggiunge il più alto tasso di contagio di tutto il Myanmar".
Global Witness evidenzia che lo sfruttamento delle risorse naturali avviene spesso in Paesi afflitti dalla guerra e guidati da regimi dittatoriali dove c'è largo spazio per l'abuso dei diritti umani: "A causa del disboscamento - insiste la ricercatrice - molti contadini sono costretti a lasciare le loro case. Si spostano di villaggio in villaggio, perché non possono emigrare in Cina. La popolazione locale, per giunta, non guadagna nulla dallo sfruttamento delle risorse. Le aziende cinesi producono ricchezza solo per se stesse e non impiegano mai i birmani, ma solo lavoratori cinesi".
Secondo la Kempel, la crescita del gigante cinese non è priva di contraddizioni: "Dieci anni fa Pechino si accorse che le sue foreste stavano sparendo, perciò bandì il disboscamento e proclamò diverse aree 'riserve naturali'. Continuava però ad avere bisogno di legname e decise di importarlo illegalmente. Oggi pochi uomini d'affari cinesi si arricchiscono a discapito dell'ambiente birmano".
Una storia, quella della deforestazione, che si ripete in India, Bangladesh e Thailandia, aggravando l'effetto delle alluvioni. In questi paesi asiatici, dove le foreste non fanno più da barriera naturale, la stagione monsonica porta con sé inondazioni sempre più devastanti.
Molti paesi ricchi, tra cui anche l'Italia - conclude la Kempel - sono coinvolti nel disboscamento della giungla birmana: "Non è solo la Cina, più importante partner economico del Myanmar, a finanziare la giunta. Il vostro Paese, per esempio, è ghiotto di teak, il legname pregiato che utilizza per costruire yacht e navi di lusso. Il 60-70 per cento del teak utilizzato nel mondo viene dall'ex Birmania e origina un mercato che rappresenta la seconda fonte di ricchezza per i militari". Ancora una volta siamo tutti un po' responsabili.

 

Istruzione, la scure della manovra
tagli per supplenze e ricerca

di SALVO INTRAVAIA
Una stangata dal governo Berlusconi sta per abbattersi su scuola, università e ricerca. I provvedimenti riguardanti la legge finanziaria e il bilancio di previsione per l'anno 2006 (disegni di legge del 3613 e 3614 del Senato) sono ancora in discussione e saranno, con ogni probabilità, varati giovedì o venerdì prossimi. Ma basta dare una occhiata ai numeri "proposti dal governo" per capire che le prospettive non sono affatto rosee.
I numeri. Quella che, con un eufemismo, viene chiamata "variazione proposta" dal governo sul bilancio assestato del 2005 è un taglio di oltre un miliardo e 200 milioni di euro. "La spesa complessiva dello stato di previsione 2006 del Miur (Tabella 7) prevede 50.148.174.357 euro con una riduzione di 1.285.059.668 euro rispetto all'assestamento 2005" - evidenziano i senatori dell'opposizione Acciarini, Soliani, Betta, Cortiana e Manieri. Del resto, è lo stesso bilancio del ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca che si presta a consistenti tagli. Perché con i suoi 51 miliardi è facile terra di conquista da parte dell'Esecutivo in cerca di cospicui risparmi. Appena un mese fa, infatti, con il decreto tagliaspese, il ministro Tremonti ha sottratto alle scuole italiane 155 milioni sul bilancio 2005.
Il ministro. Lo stesso ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti non nasconde l'evidenza. Parla di "comune consapevolezza della necessità di contenere la spesa pubblica, per la difficile situazione economica del Paese e dell'intera Europa, nonché per i vincoli posti dal patto di stabilità" (seduta antimeridiana del 13 ottobre scorso). "Gli interventi - prosegue il ministro - hanno in particolare segnalato l'esigenza di preservare, per quanto possibile, scuola, università e ricerca dai tagli, che il Governo e tutte le istituzioni del Paese sono chiamati a sostenere". E ammette che "in quest'ottica si sono dovute operare scelte difficili".
I dettagli. Ma di che si tratta? I tagli sul più grosso comparto della pubblica amministrazione (con 1 milione 100 mila addetti ai lavori) non risparmiano nessuno, ma sono soprattutto a carico della scuola. Solo a titolo di esempio le direzioni scolastiche regionali di Lombardia e Sicilia si vedranno decurtare il bilancio, rispettivamente, di 36 e 29 milioni. Ad essere decurtate saranno, oltre quelle di funzionamento degli uffici (spese telefoniche, di cancelleria e di rappresentanza), le spese per le supplenze brevi, per il cosiddetto "miglioramento dell'offerta formativa", per l'aggiornamento dei docenti e per gli straordinari dei dipendenti. Spulciando i numeri del settore universitario si scopre che il "Finanziamento ordinario delle università statalì sarà tagliato di 75 milioni", mentre alle "Università e istituti non statali" andranno 22 milioni in più. Stesso destino subirà la ricerca scientifica: tagli sul cosiddetto "bilancio di competenza" per 198 milioni.
La protesta. Per indorare la pillola la Moratti spiega che "nel disegno di legge finanziaria in esame non vi sono tagli agli organici della scuola". Ma i senatori dell'opposizione rilanciano: "Il disegno di legge finanziaria 2006 prevede una serie di riduzioni al bilancio di previsione 2006 e conferma, per la scuola, quanto già previsto dalla Finanziaria 2005 circa la riduzione a 565 milioni di euro (ridotti a 766 nel 2005) della spesa per le supplenze brevi del personale docente e Ata". In queste ore, si attende di conoscere il contenuto del maxiemendamento alla norma finanziaria per il prossimo anno, che potrebbe modificare qualche cifra. Ma sembra difficile che il governo possa rinunciare al consistente "risparmio" sul bilancio del Miur, che da solo partecipa per il 7,7 per cento all'intero bilancio dello Stato. Taglio che risulta particolarmente pesante perché più del 93 per cento dei 51 miliardi in bilancio sono di cosiddette "quote giuridicamente spese obbligatorie" (stipendi, oneri previdenziali e altro).

 

La stecca di Tremonti

La sessione di bilancio procede con ritmo rapsodico. E non è finita qui. Giulio Tremonti ha lasciato intendere che la musica cambierà ancora con la presentazione del consueto maxi-emendamento durante le votazioni finali a Palazzo Madama.

La sessione di bilancio procede con ritmo rapsodico. Al primo spartito, consegnato alle Camere il 30 settembre, il governo ne ha fatto seguire un secondo il 14 ottobre e un terzo il 28 dello stesso mese. E non è finita qui. Il ministro Giulio Tremonti ha lasciato intendere che la musica cambierà ancora con la presentazione del consueto maxi-emendamento durante le votazioni finali nell'aula di Palazzo Madama. Solo a quel punto si potranno capire un po' meglio le reali intenzioni governative, anche se si deve dare per scontato che la partitura subirà ulteriori modifiche nel corso della successiva prova d'orchestra a Montecitorio.
Al momento, quindi, lo spettacolo risulta grottesco perché mostra il coro dei senatori esercitarsi in solfeggi e vocalizzi inutili, dato che i segni sui loro pentagrammi cambiano in continuazione, secondo l'estro e l'improvvisazione di un maestro concertatore che muta d'accento e di pensiero da una settimana all'altra. Insomma, a quasi metà del cammino parlamentare della Finanziaria 2006, il testo dell'opera appare tuttora in via di elaborazione, salvo forse per alcuni brani minori che il compositore Tremonti insiste nel presentare come frutto di una straordinaria genialità melodico-politica. Una di queste invenzioni vantate dal ministro è il Fondo per il risarcimento dei risparmiatori coinvolti nelle frodi finanziarie legate ai casi Cirio, Parmalat e obbligazioni argentine. Ora, non v'è dubbio che Tremonti sia stato fra i primi a segnalare i pericoli che si stavano accumulando dietro quelle avventurose operazioni e a entrare in aperto conflitto sulla materia con un governatore della Banca d'Italia palesemente più interessato a difendere gli istituti di credito che non le ragioni dei piccoli investitori. Al punto che c'è perfino chi attribuisce a quello scontro l'allontanamento dello stesso Tremonti dal ministero dell'Economia. Ma il genere di rivalsa che quest'ultimo, tornato in sella, sta meditando, suona davvero come una stonatura sgraziata in termini di buona musica mercantile e istituzionale.
Punto primo: non tutte le vittime delle note frodi sono innocenti. Fra loro c'è anche chi ha sottoscritto titoli rischiosi perché sperava di lucrare sui più alti tassi di interesse. Come può pensare Tremonti di distinguere gli uni dagli altri? Punto secondo: per finanziare il Fondo il ministro punta a requisire i cosiddetti 'conti dormienti' presso il sistema bancario. Cosicché anche istituti senza colpe nelle suddette vicende sarebbero chiamati a versare soldi non genericamente all'Erario, come sarebbe normale, ma a titolo di tassa di scopo a favore soltanto di alcuni cittadini. Punto terzo: in ogni caso risulta gravemente diseducativo il principio che debba essere lo Stato a risarcire perdite avvenute sul mercato a causa di eventuali responsabilità di soggetti privati come le banche. Qualora poi Tremonti ritenga che questo titolo all'indennizzo nasca da 'culpa in vigilando' di pubbliche autorità, mediti bene prima di decidere: con un simile precedente diventerebbe legittima un'azione di responsabilità nei confronti del suo stesso governo per cattiva amministrazione della finanza pubblica.

 

2 novembre

Un quiz la vita di Mohamed
padre del proprio fratello

Il problema di Mohamed Gando ricorda certi quiz di logica per bambini: "E' figlio di tuo padre e di tua madre ma non è né tuo fratello né tua sorella, chi è?". Solo che è il quiz della sua vita e ancora non è stato risolto. Hassimiou è rimasto in Guinea e non si sa se e quando potrà raggiungere l'Italia.

Di Hassimiou, Mohamed Gando è padre e, contemporaneamente, fratello. Mentre sua moglie, Fatoumata, di Hassimiou è solo la madre. Purtroppo - ed è questo il limite del quiz di Mohamed - non esiste una risposta secca alla domanda: chi è Hassimiou? Infatti il quiz, nonostante l'apparenza, più che di logica è di storia.

Una storia sanguinosa cominciata in Sierra Leone nel 1991 quando Mohamed aveva dodici anni e Hassimiou appena due. Quell'anno i ribelli del Fronte unito rivoluzionario scatenarono la guerra per il controllo delle miniere di diamanti. Si è conclusa tre anni fa con un bilancio di 200.000 morti, due milioni di profughi e trentamila vittime di mutilazioni.

Tra le guerre africane è una delle meno dimenticate perché si caratterizzò per la presenza massiccia di guerrieri nemmeno adolescenti allevati alla ferocia assoluta attraverso un piano educativo fatto di minacce, umiliazioni, violenze sessuali, somministrazione di droghe pesanti. Nel Duemila, quando la guerra arrivò nella loro casa, Mohamed aveva ventuno anni e Hassimiou, undici: l'età dell'inizio della leva per i "bambini soldato". Entrambi videro morire i loro genitori.

Ecco dunque la risposta alla prima parte del quiz: Mohamed e Hassimiou sono veramente fratelli, figli dello stesso padre e della stessa madre. Tenendosi per mano, raggiunsero la Guinea dove avevano dei lontani parenti. A Conakry, dove si stabilirono, i casi della vita crearono i presupposti della seconda parte del quiz.

Vicende normali. Mohamed conobbe una ragazza del posto, Fatoumata, che oggi ha ventidue anni, e se ne innamorò. Poco dopo il matrimonio, decise di partire per l'Europa col progetto di farsi raggiungere nei tempi più brevi dalla sua compagna e poi, anche da Adama, la loro bambina, concepita durante un breve ritorno in Guinea.

Quando arrivò in Italia, Mohamed non ebbe difficoltà a farsi riconoscere come rifugiato politico. Ottenuto nell'agosto del 2004 il permesso di soggiorno, avviò immediatamente la pratica per il ricongiungimento familiare. Ma quando s'informò sulle regole della legge italiana, scoprì che ad aver diritto al ricongiungimento sono "il coniuge, i figli minori a carico, anche del coniuge o nati fuori dal matrimonio, i genitori a carico e i parenti entro il terzo grado inabili al lavoro". E Hassimiu? Per lui niente da fare: i fratelli, se sani e forti, non rientrano nelle categorie tutelate.

La nostra idea della famiglia, in definitiva, non si estende agli immigrati. Applicarla a loro è ritenuto al di sopra delle nostre possibilità: se il ricongiungimento fosse esteso ai fratelli, per ogni permesso di soggiorno ci sarebbero una decina di nuovi immigrati. In buona parte dell'Africa le dimensioni delle famiglie sono proporzionali a quelle della disperazione.

Ma ci sono livelli di disperazione che consentono alle persone più semplici di comprendere e svelare i limiti delle leggi. Mohamed ha ben chiara la 'ratiò della legge italiana, capisce che estendere il ricongiungimento ai fratelli creerebbe qualche problema. Ma Hassimiou è minorenne e solo al mondo. Ha sempre vissuto con lui. Dopo la sua partenza per l'Italia, è rimasto a casa con Fatoumata ed è stato il primo a prendere in braccio Adama.

La risposta alla seconda parte del quiz è, assieme, un colpo di genio e un gesto d'amore. Lo scorso 13 dicembre, Fatoumata si presenta davanti alla corte d'appello di Conakry e dichiara di voler adottare Hassimiou. I giudici, dopo aver riconosciuto che il ragazzo è orfano di padre e di madre e aver preso atto dell'impegno di Fatoumata "a fornirgli una buona istruzione, la protezione e l'affetto necessari per assicurargli un buon futuro", dichiarano che Hassimiou è suo figlio adottivo. Ecco, dunque, la risposta: Mohamed è diventato padre di suo fratello perché è sposato con la donna che l'ha adottato.

Caso risolto, dunque? Verrebbe da pensare di sì. Tra le categorie elencate nella legge italiana sul ricongiungimento familiare ci sono anche "i figli minori del coniuge". E infatti, a poco più di un mese dall'adozione di Hassimiou, la questura di Roma dà il nulla osta alla richiesta di ricongiungimento presentata da Mohamed per lui, per la piccola Adama e per Fatoumata.

Non è bastato. La nostra ambasciata in Senegal (che ha giurisdizione anche in Guinea) ha concesso il visto a Fatoumata e ad Adama. Non ad Hassimiou. Perché? La spiegazione in una lettera di poche righe (tra l'altro scritte in francese, mentre Hassimiou, essendo nato in Sierra Leone, è anglofono): "Vous non rentrez pas dans le categorie del personnes ayant droit au regroupement familial". Nient'altro. Forse le nostre autorità diplomatiche a Dakar non riconoscono le adozioni fatte in Guinea? Chissà. Certo è che Hassimiou è rimasto a Conakry e che, in Italia, c'è un'azione legale in corso. Non sempre purtroppo, le risposte della logica sono quelle della legge.

 

1 novembre

LA RICOSTRUZIONE

Bufale e acrobazie di Berlusconi
a Washington è andata così

di VITTORIO ZUCCONI

Inseguire le smentite, le autocorrezioni e le acrobazie del primo ministro Berlusconi è sempre impresa che produce qualche vertigine, ma sulla vicenda del "timore" americano per una possibile vittoria elettorale del centrosinistra, i fatti sono chiari e verificabili da dozzine di testimoni presenti. Berlusconi ha dovuto smentire se stesso e le proprie parole nell'arco di una stessa conferenza stampa.

Torniamo all'auditorium dell'ambasciata italiana di Washington, lunedì 31 ottobre, alle ore 13.45 locali. Seduto tra l'ambasciatore Castellaneta e il portavoce Bonaiuti, il premier italiano risponde alla domanda della inviata del TG1, affermando, senza mezzi termini, dopo avere illustrato l'agenda dei colloqui e nel quadro della sua conversazione con Bush appena finita (il contesto è importante) che "il presidente teme il cambio di governo in Italia", per "le posizioni sul ritiro delle nostre truppe dall'Iraq", fatte dal centro sinistra.

La conferenza stampa si trascina stancamente, per un'altra ora circa, zigzagando fra vari argomenti. Ma per i giornalisti più accorti, è quella frase che resta impressa. Si alza un inviato del Corriere della Sera che vorrebbe capire meglio la storia del "timore americano". Berlusconi ripete quello che ha già detto: "Il governo americano teme la vittoria della sinistra". Chiaro? Chiarissimo. La frase non è un'interpretazione, un'estrapolazione, un'ipotesi. E' un'affermazione netta, soggetto, verbo all'indicativo presente, complemento oggetto, attribuita al governo americano, dunque a George Bush, l'uomo con il quale Berlusconi ha appena finito di discutere e di pranzare per due ore.

L'agenzia Ansa, correttamente, si affretta a lanciare un flash con la notizia: un governo straniero, e specialmente un governo come quello americano, che esprime platealmente la propria preferenza elettorale verso una democrazia alleata e sovrana in piena campagna elettorale, è "big story", faccenda grossa. Bush ci manda a dire, attraverso Berlusconi, come noi italiani dovremmo votare. Pochi minuti più tardi, un'altra agenzia, la Ap.com, chiede a Fred Jones, uno dei portavoce del governo, chiarimenti. Jones riafferma la imparzialità e la assoluta non ingerenza della Casa Bianca di fronte a elezioni democratiche in paesi sovrani. E' la prima smentita.

Prima che la conferenza termini, dopo un interminabile e non richiesto comizio del premier su euro, finanziaria, lavoro, Cina, petrolio, commercio internazionale e altro, l'inviato di Repubblica - io - si alza per chiedere ancora una volta di chiarire un punto così rovente e chiaramente destinato ad avere una eco enorme in Italia: "Presidente, a scanso di equivoci, lei ci sta dicendo che il presidente Bush ha espresso a lei una preferenza elettorale contro il centro sinistra?".

Berlusconi, finalmente, capisce di averla fatta fuori da vaso. "No, no - mi risponde - Bush non lo ha detto, ma mi sembra logico, come uno più uno fa due, che al governo americano non possa piacere che in Italia vada al potere una coalizione che si è espressa sulla posizioni di Zapatero". Dunque egli ha attribuito, nelle prime due risposte, a Bush quello che era invece la sua opinione di capo di un partito e di una coalizione. Legittima, fino quando sua, arbitraria quando messa sulla labbra di un altro governo.

La stessa agenzia Ansa, di nuovo correttamente, si affretta a lanciare un altro dispaccio per informare che Berlusconi ha di fatto corretto la propria affermazione e ha negato che sia stato Bush a esprimere quella opinione. Un fatto che sarebbe stato di colossale gravità politica, sicuro produttore di passi diplomatici e di marce indietro.

Tanto grave sarebbe stato che alcune ore più tardi, sollecitato dai giornalisti italiani di agenzia come si fa, o si dovrebbe fare sempre in questi casi, il portavoce dello Nsc, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, il circolo più alto dei consiglieri presidenziale per la sicurezza e la politica estera, ribatte il chiodo e afferma l'ovvio, che al Berlusconi delle 13 e 45 era sfuggito e che il Berlusconi delle 14 e 45 aveva capito e riacciuffato, ma soltanto dopo la mia insistenza nel precisare: informa che la posizione del governo americano è quella di sempre, che "le scelte elettorali del popolo italiano riguardano esclusivamente il popolo italiano". Tradotto: la Casa Bianca (di cui lo Nsc è il cuore strategico) avverte che l'aritmetica di Berlusconi, "l'uno più uno fa due", lo accenno a Zapatero, la storia dei "timori" è tutta farina del sacco italiano.

Fine della solita, triste, umiliante storia déjà vu mille volte, di un capo del governo che nel fervore della propaganda elettorale perde il senso del proprio ruolo istituzionale quando si muove come presidente del consiglio dei ministro all'estero, dunque rappresentando la nazione e il Parlamento insieme. E anziché umilmente scusarsi, cerca di scaricare sui giornali la propria irresponsabilità.

 

L'INCHIESTA. Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale le prove su Saddam. Storia del falso dossier uranio che il Sismi spedì alla Cia

Doppiogiochisti e dilettanti
tutti gli italiani del Nigergate

L'ammissione di Martino alla stampa inglese: "Americani e italiani hanno lavorato insieme. E' stata un'operazione di disinformazione"

di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

Silvio Berlusconi e George W. Bush. Dopo l'11 settembre la Casa Bianca chiese a tutti gli alleati, e in particolare all'Italia, notizie e prove che evidenziassero la pericolosità sociale di Saddam Hussein

ROMA - L'intervento militare in Iraq è stato giustificato da due rivelazioni: Saddam Hussein ha tentato di procurarsi uranio grezzo (yellowcake) in Niger (1) per arricchirlo con centrifughe costruite con tubi di alluminio importati dall'Europa (2). Alla costruzione delle due "bufale" (non si troverà traccia in Iraq né di uranio grezzo né di centrifughe), collaborano il governo italiano e la sua intelligence militare. Repubblica ha cercato di ricostruire chi, come, dove e quando ha lavorato e "disseminato" alle intelligence inglese e americana il falso dossier che è valso una guerra.

Sono le stesse "bufale" che Judith Miller, la reporter che "ha tradito il suo giornale", pubblica (con Michael Gordon) l'8 settembre 2002. In una lunga inchiesta sul New York Times, Miller racconta dei tubi di alluminio con cui Saddam avrebbe potuto realizzare l'arma atomica. E' l'argomento che i "falchi" dell'Amministrazione Bush attendono.

La "danza di guerra", che segue allo scoop di Judith Miller, appare a un attento media watcher come Roberto Reale ("Ultime notizie") "uno spettacolo preparato con cura".

Condoleezza Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca, dice: "Non vogliamo che la pistola fumante abbia l'aspetto di una nube a forma di fungo" (Cnn). Un minaccioso Dick Cheney rincara la dose a Meet the press: "Sappiamo, con assoluta certezza, che Saddam sta usando le sue strutture tecniche e commerciali per acquistare il materiale necessario ad arricchire l'uranio per costruire l'arma nucleare". E' l'inizio di un'escalation di paura.


26 settembre 2002. Colin Powell avverte il Senato: "Il tentativo iracheno di ottenere l'uranio è la prova delle sue ambizioni nucleari".

19 dicembre 2002. L'informazione sul Niger e l'uranio è inclusa nelle tre pagine del President daily brief che ogni giorno Cia e Dipartimento di Stato preparano per George W. Bush. L'ambasciatore alle Nazioni Unite, John Negroponte, ci mette il sigillo: "Perché l'Iraq nasconde l'acquisto di uranio nigerino?".

28 gennaio 2003. George W. Bush scandisce le 16 parole che sono una dichiarazione di guerra: "Il governo inglese ha appreso che Saddam Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall'Africa".

La farina di questo sacco è romana.
Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, "di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938".

Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: "E' vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigerino), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione".

Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell'"operazione". Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.

Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 "allontanato per difetti di comportamento". Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, "fino al 1999" collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista.

Prende dimora in Lussemburgo al 3 di Rue Hoehl, Sandweiler. Lavora a stipendio fisso per l'intelligence francese protetto da un'agenzia di consulenza, "Security development organization office". O, meglio lavora anche per i francesi. Servo di due padroni, Rocco si arrabatta. Vende ai francesi notizie sugli italiani e agli italiani notizie raccolte dai i francesi. "Il mio mestiere è questo. Io vendo informazioni".
Nel 1999, il gaudente Rocco è a corto di quattrini. Come gli capita quando è "a secco", ne escogita una delle sue. La pensata gli sembra brillante e priva di rischi. La scintilla che lo illumina è la difficoltà dei francesi in Niger.

Per farla breve. I francesi, tra il 1999 e il 2000, si accorgono che c'è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare un prospero commercio clandestino di uranio. A quali Paesi i contrabbandieri lo stanno vendendo? I francesi cercano le risposte. Rocco Martino annusa l'affare.

Chiede aiuto a un suo vecchio amico del Sismi. Antonio Nucera. Carabiniere come Rocco, Antonio è il vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur, a Roma.
Fa capo alla 1^ e 8^ divisione (contrasto al traffico d'armi e tecnologie; controspionaggio sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa "nel quadrante africano e mediorientale").

E' una sezione che si è data molto da fare alla fine degli anni '80 mettendo il sale sulla coda ai tanti spioni che Saddam ha sguinzagliato per il mondo prima dell'invasione del Kuwait. "Con qualche successo", a sentire un alto funzionario dell'intelligence italiana che, all'epoca, lavorava per quella divisione. L'agente ricorda: "Ci riuscì di mettere le mani sui cifrari nigerini e su un telex dell'ambasciatore Adamou Chékou che annunciava al ministero degli esteri di Niamey (è la capitale del Niger) la missione di Wissam Al Zahawie, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, "in qualità di rappresentante di Saddam Hussein".

Non fu l'unica operazione. Nel porto di Trieste riuscimmo, per dire, a sequestrare dell'acciaio marangin (garantisce un'ottima resistenza anche a temperature oltre i 1000 gradi). Secondo noi era destinato alla costruzione della cascata di centrifughe necessaria a separare i costituenti dell'uranio. Le informazioni sulla proliferazione nucleare irachena venivano scambiate, già alla fine degli anni '80, soprattutto con gli inglesi dell'MI6, i migliori. Lì lavorava, un sincero amico dell'Italia come Hamilton Mac Millan, peraltro, l'agente segreto che ha iniziato Francesco Cossiga ai misteri dello spionaggio quando era il "residente" inglese a Roma".

Nucera decide di dare una mano al suo amico Rocco. Quello gliela mette giù facile. Non c'è nulla che mi puoi dare, un'informazione, un contatto buono con i nigerini? Basta qualsiasi cosa. I francesi sono assetati come viandanti nel deserto. Vogliono sapere chi sta comprando sotto banco il "loro" uranio. Sono disposti a pagare bene, per saperlo.

Nell'archivio della divisione del Sismi, come abbiamo visto, ci sono documenti utili a cucinare la frittata, guadagnando qualche soldo. C'è il telex dell'ambasciatore e qualcos'altro si può sempre rimediare nell'ambasciata nigerina a Roma di via Baiamonti 10. Riconosce, con Repubblica, il direttore del Sismi, Nicolò Pollari: "Nucera vuole aiutare l'amico. Invita così una Fonte del Servizio - niente di che, capiamoci; al libro paga sì, ma ormai improduttiva - a dare una mano a Martino". La Fonte del Servizio lavora all'ambasciata del Niger a Roma. E' messa male. Vivacchia nel retrobottega del controspionaggio. Non ha un fisso mensile dall'intelligence italiana. E' a cottimo, per così dire.

Qui l'informazione, qui il denaro. Comunque poca cosa, pochi centoni. Anche quelli, nel 2000, sono in pericolo. Da qualche tempo, che comincia ad essere sciaguratamente lungo, non ha nulla da spiare e dunque nulla da vendere.

Chiamiamo la fonte "la Signora".
Ora dovreste vederla, "la Signora". Sessant'anni, di più e non di meno. Una faccia che deve essere stata bella e ora è un foglio spiegazzato. La si può dire factotum dell'ambasciata nigerina. Aspetto da vecchia zia paziente. Accento francese. Occhi ammiccanti e complici. Parla sempre sottovoce. Anche se dice "buongiorno", lo soffia come un piccolo fiato misterioso che sembra doverti rivelare innominabili verità. Anche "la Signora" ha bisogno di denaro.

Nucera combina l'incontro. Rocco e "la Signora" non ci mettono molto ad accordarsi. Qualcosa si può fare. Quel Nucera non è forse il suo "contatto" ufficiale al Sismi? E allora perché "la Signora" non deve pensare che sia il Servizio a volere che faccia questa cosa? Che insomma questa cosa sia utile alla Ditta?
Rocco e "la Signora", astuti vendifumo, con la benedizione di Nucera, trovano l'accordo. Qualche carta da prendere e vendere c'è. Occorre però la collaborazione di un nigerino. La Signora indica l'uomo giusto. E' il primo consigliere di ambasciata Zakaria Yaou Maiga. Come rivela Pollari, "quel Maiga spende sei volte quel che guadagna".

La combriccola di garbuglioni gaudenti a corto di spiccioli è pronta all'azione. Rocco Martino, la Signora, Zakaria Yaou Maiga. Nucera, lo vediamo appena un passo indietro nell'ombra. Maiga si organizza così. Attende che l'ambasciata chiuda i battenti per il Capodanno del 2001. Finge un'intrusione con furto. Quando il 2 gennaio 2001, di buon mattino, il secondo segretario per gli affari amministrativi Arfou Mounkaila denuncia il furto ai carabinieri della stazione Trionfale, ammette a labbra strette che quei ladri sono stati molto fiacchi. Tanto rumore, e fatica, per nulla.
Mounkaila tace quel che non può dire. Mancano carte intestate, timbri ufficiali, questa è la verità che è opportuno tacere. E' materiale buono nelle mani della "squadretta" di vendifumo per confezionare uno strampalato dossier.

Vi si raccolgono vecchi documenti sottratti all'archivio della divisione del Sismi come i cifrari (Nucera vicecapocentro) più carta intestata che viene trasformata in lettere, contratti e in un "protocollo d'intesa" tra i governi del Niger e dell'Iraq "relativo alla fornitura di uranio siglato il 5 e 6 luglio 2000 a Niamey". Il protocollo ha un allegato di due pagine dal titolo "Accord". Rocco consegna il "pacco" ai francesi della Direction Générale de la Sécurité Extérieure (Dgse). Ne ricava qualche bigliettone che spende felice a Nizza. Rocco adora la Costa Azzurra.

Fin qui siamo a una truffa degna di Totò, Peppino e la Malafemmina. A suo modo innocua perché i francesi prendono quelle carte e le gettano nel cestino. Dice un agente del Dgse: "Il Niger è un paese francofono che conosciamo bene. Mai nessuno avrebbe preso la cantonata di confondere un ministro con un altro, come accade in quelle cartacce".
Partita chiusa, dunque? No, l'imbroglio burlesco si rianima diventando una faccenda terribilmente seria perché arriva l'11 settembre e Bush da subito comincia a pensare all'Iraq, a chiedere prove dei coinvolgimento di Saddam.

Il Sismi richiama in campo la "squadretta" di via Baiamonti. A Forte Braschi è arrivato un nuovo direttore, Nicolò Pollari. Come nuovo è il responsabile delle "Armi di distruzione di massa", il colonnello Alberto Manenti. "Un ufficiale preparato, ma assolutamente incapace di dire "no" a un capo", dice un alto funzionario del Sismi che con lui ha lavorato. Il colonnello Manenti conosce bene Nucera per averlo avuto nel suo staff, per molto tempo. E' Manenti, con Nucera prossimo alla pensione, che gli chiede di restare come "collaboratore".

Il Sismi ha voglia di fare. Ha mano libera come mai l'ha avuta l'intelligence nel nostro Paese. Berlusconi chiede a Pollari un protagonismo nella scena internazionale che consenta all'Italia di sedere in prima fila accanto all'alleato americano. Le stesse sollecitazioni arrivano dal capo della Cia a Roma, Jeff Castelli. Occorono notizie, informazioni, utili brandelli di intelligence. Ora, subito. Washington cerca prove contro Saddam.

La Casa Bianca (Cheney, soprattutto) stressa la Cia perché saltino fuori. "L'assenza delle prove non è la prova dell'assenza" filosofeggia Rumsfeld al Pentagono.
In questo clima, con il loro dossier fasullo, i vendifumo di via Baiamonti (Rocco Martino e Antonio Nucera) possono tornare utili. Che cosa fanno in quell'autunno del 2001? Rocco Martino la mette così: "Alla fine del 2001, il Sismi trasmette il dossier yellowcake agli inglesi del MI6.

Lo "passa" senza alcuna valutazione. Sostiene soltanto che è stato ricevuto da "fonte attendibile"". Poi l'aggiusta ancora un po': "Il Sismi voleva che disseminassi alle intelligence alleate i documenti del dossier nigerino, ma, allo stesso tempo, non voleva che si sapesse del suo coinvolgimento nell'operazione". Sono accuse che Palazzo Chigi respinge con sdegno. Il governo ci mette la faccia. Dopo che la guerra ha svelato l'imbroglio delle armi di distruzione di massa, giura che "nessun dossier sull'uranio né direttamente né in forma mediata, è stato consegnato o fatto consegnare ad alcuno".

La mossa è prevedibile. Governo e Sismi devono scavare un fossato tra Forte Braschi e i passi della "squadretta" di via Baiamonti. Ma la smentita non regge alla verifica. E' un fatto che nell'autunno del 2001 il Sismi controlla a Londra le mosse di Rocco Martino. Lo conferma a Repubblica il direttore del Sismi Pollari: "Seguivamo Martino e avevamo anche le foto dei suoi incontri a Londra. Volete vederle?". E dunque perché Roma non sbugiarda subito quel suo ex-agente vendifumo? Di più perché addirittura le notizie contenute in quel dossier vengono accreditate da Pollari a Jeff Castelli, il capo della Cia a Roma? E' un fatto che un report sul farlocco dossier made in Rome finisce sul tavolo dello State Department's Bureau of Intelligence, l'intelligence del Dipartimento di Stato. Lo riceve l'Ufficio per gli affari strategici, militari e di proliferazione delle armi di distruzione di massa.

Affari strategici non è un grande ufficio. Vi lavorano in quel periodo 16 analisti diretti da Greg Thielmann. Che racconta a Repubblica: "Ricevo il report nell'autunno del 2001. E' una sintesi che Langley ha ricevuto dal suo field officer in Italia. L'"agente in campo" informa di aver avuto visione dall'intelligence italiana di alcune carte che documentano il tentativo dell 'Iraq di acquistare oltre 500 tonnellate di uranio puro dal Niger". Dunque, il Sismi affida quelle informazioni, che sa essere false, alla Cia. C'è una seconda conferma. A Langley l'ambasciatore Joseph C. Wilson riceve l'incarico di verificare la storia "italiana" delle 500 tonnellate di uranio nigerino.

Racconta Wilson: "Il rapporto non è molto dettagliato. Non è chiaro se l'agente che firma il rapporto ha materialmente visto i documenti di vendita o ne ha avuto notizia da altra fonte".
Bisogna ora fermare la prima immagine di questa storia.

Autunno 2001. Il Sismi di Pollari ha in mano il farlocco dossier costruito da Rocco Martino e Antonio Nucera. Lo mostra alla Cia mentre Rocco Martino lo consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove. E' solo l'inizio del Grande Inganno italiano.

Per Nicolò Pollari, direttore del Sismi, le regole del suo mestiere sono inequivoche. Dice a Repubblica: "Sono il direttore dell'intelligence e il mio solo interlocutore istituzionale, dopo l'11 settembre, è stato a Washington il direttore della Cia, George Tenet. Come è ovvio, io parlo soltanto con lui...". Ma è proprio vero che le nostre barbefinte hanno lavorato soltanto con la Cia? Oppure hanno sostenuto anche gli sforzi clandestini dell'intelligence parallela creata da Dick Cheney e Paul Wolfowitz con il "gruppo Iraq", l'Office for Special plans del Pentagono, l'ufficio del consigliere per la Sicurezza nazionale, determinatissimi a trovare le prove utili per il "cambio di regime" a Bagdad?

È un fatto che, alla vigilia della guerra in Iraq e con la supervisione del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Gianni Castellaneta (oggi ambasciatore negli Usa), il direttore del Sismi organizza a Washington la sua agenda con lo staff di Condoleezza Rice, in quegli anni consigliere per la Sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Repubblica è in grado di documentare questo doppio binario del governo e dell'intelligence italiana. Almeno uno degli incontri "molto poco istituzionali" di Pollari e, come dicono gli agenti segreti, la "realizzazione di un sistema" che tiene insieme Governo - Intelligence - Informazione.

Breve riepilogo. Il Sismi di Nicolò Pollari vuole accreditare l'acquisto iracheno di uranio grezzo per fabbricare una bomba nucleare. Lo schema del gioco è alquanto trasparente. Le carte "autentiche" su un tentativo di acquisto in Niger (vecchia "intelligence" italiana degli anni Ottanta) le porta in dote il vicecapo del Centro Sismi di Roma (Antonio Nucera). Vengono affastellate con altra cartaccia costruita alla bell'e meglio con un furto simulato nell'ambasciata del Niger (se ne ricavano carta intestata e timbri). I documenti vengono mostrati dagli uomini di Pollari agli agenti della stazione Cia di Roma mentre un "postino" del Sismi, un tale di nome Rocco Martino, li consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove.

È la prima istantanea. Torna utile per raccontare il secondo capitolo del Grande Inganno organizzato in Italia per costruire la necessità di un intervento militare in Iraq. Lo abbiamo già visto. Greg Thielmann, ex direttore del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si ritrova sul tavolo il report "italiano" sull'uranio. Non ricorda la data esatta.

Parla genericamente di autunno del 2001. Però il giorno esatto può essere rilevante. È il 15 ottobre del 2001. In quel giorno si annodano, con una sorprendente coincidenza, tre avvenimenti. Nicolò Pollari, nominato dal governo il 27 settembre, assume la direzione del Sismi dopo essere stato il numero due al Cesis (organismo di coordinamento dell'intelligence a Palazzo Chigi). Silvio Berlusconi viene finalmente ricevuto a Washington da George W. Bush. Porta quella data, 15 ottobre, il primo rapporto della Cia sulle evidenze in possesso degli italiani. Nulla si può dire di questa coincidenza se non prendere atto di una circostanza: gli italiani hanno una dannata voglia di darsi da fare. Berlusconi ha avuto difficoltà, dopo l'infelice sortita sullo "scontro tra civiltà", a farsi ricevere da una Casa Bianca alle prese con i regimi arabi moderati. Pollari ha l'ambizione di mettersi subito in sintonia con il premier e il nuovo corso. Il fresco capo dell'unità sulle "Armi di Distruzione di Massa" al Sismi, il colonnello Alberto Manenti (superiore gerarchico di Antonio Nucera) ha voglia di mettersi in sintonia con il nuovo direttore. È un fatto che mentre Bush mostra a Berlusconi il giardino delle rose della West Wing, la Cia prende atto, come scrive Russ Hoyle (per un anno ha analizzato le conclusioni delle commissioni di inchiesta del parlamento americano) che l'intelligence italiana ha una notizia con i fiocchi: "Negoziati (Niamey/Bagdad) circa l'acquisto di uranio sono in corso a partire dall'inizio del '99 e che la vendita è stata autorizzata dalla Corte di Stato del Niger nel 2000". Non viene citata alcuna prova documentale in grado di dimostrare che la spedizione di uranio effettivamente sia avvenuta. Gli analisti della Cia considerano questo primo rapporto "assai limitato" e "privo di dettagli necessari". Analisti dell'INR (Intelligence and Research) del Dipartimento di Stato qualificano le informazioni "altamente sospette".

Il primo impatto con la comunità dell'intelligence americana non è per Pollari gratificante, per così dire, e tuttavia è utilissimo. Il direttore del Sismi, che non è un fesso, fa presto a ricostruire geografia e primattori del sordo conflitto in corso nell'amministrazione americana tra chi (Dipartimento di Stato, Cia) invoca prudenza e pragmatismo e chi (Cheney, Pentagono) chiede soltanto l'opportunità per dare il via a una guerra già pianificata. D'altronde, al rientro in Italia il direttore del Sismi verifica che anche a Roma è rappresentato quel conflitto. Gianni Castellaneta gli consiglia di guardare anche "in altre direzioni", mentre il ministro della Difesa Antonio Martino lo invita a ricevere "un vecchio amico dell'Italia". L'amico americano è Michael A. Ledeen, una vecchia volpe dell'intelligence "parallela" Usa, già dichiarato dal nostro Paese "indesiderabile" negli anni Ottanta. Ledeen è a Roma per conto dell'Office for Special Plans, creato al Pentagono da Paul Wolfowitz per raccogliere intelligence che sostenga l'intervento militare in Iraq. Racconta a Repubblica una fonte di Forte Braschi: "Pollari, per quelle informazioni sull'uranio, ottiene dal capo della stazione Cia di Roma, Jeff Castelli, soltanto freddezza. Castelli, apparentemente, lascia cadere la storia. Pollari capisce l'antifona e ne parla con Michael Ledeen...". Non si sa che cosa mosse Michael Ledeen a Washington. Ma, all'inizio del 2002, Paul Wolfowitz convince Dick Cheney che la pista dell'uranio intercettata dagli italiani va esplorata fino in fondo. Il vicepresidente, come racconta il Senate Selected Committee on intelligence, chiede ancora una volta alla Cia "con molta decisione" di saperne di più del "possibile acquisto di uranio nigerino". In quel meeting, Dick Cheney dice esplicitamente che questo brandello di intelligence è a disposizione di "un servizio straniero".

È stata l'intelligence parallela del Pentagono a distribuire le "nuove informazioni", secondo le quali "esiste un accordo del Niger con l'Iraq per la vendita di 500 tonnellate di uranio all'anno". I tecnici del Dipartimento sorridono dell'informazione. 500 tonnellate di uranio. Una quantità iperbolica. La notizia è palesemente priva di qualsiasi attendibilità. Tutti i report indipendenti, sollecitati dopo la "nota italiana", avvertono che le due miniere nigerine di Arlit e Akouta non sono in grado di estrarre più di 300 tonnellate l'anno. Ma i tempi sono quelli che sono. George Tenet, azzoppato dai buchi di intelligence dell'11 settembre, fa buon viso a cattivo gioco e diventa addirittura sordo quando l'intelligence del Dipartimento di Stato, come racconta a Repubblica Greg Thielmann, gli oppone che "le informazioni raccolte in Italia sono inconsistenti. Che la storia dell'uranio nigerino è falsa. Che un mucchio di cose che ci sono state riferite sono fasulle".

"Pollari è furbissimo - dicono ancora a Forte Braschi - capisce che, per spingere la storia dell'uranio, non può affidarsi soltanto alla Cia. Deve lavorare, come indicano Palazzo Chigi e Difesa, con il Pentagono e con il consigliere per la Sicurezza nazionale, Rice". L'affermazione potrebbe essere soltanto maligna (il mondo delle spie spesso lo è), ma conferme del "canale alternativo" che Pollari crea a Washington si possono afferrare con un'immagine e un incontro.

L'immagine è questa. Pollari è a Washington. Incontra George Tenet e, come spesso capita, le presentazioni vengono santificate nella sala riservata di un hotel nei pressi di Langley. Chi ha assistito al convinvio racconta a Repubblica: "Pollari non deve fidarsi troppo del suo inglese perché sistema tra lui e il direttore della Cia una signora che gli fa da interprete. Con qualche esito imbarazzante. George, per familiarizzare, rivela alcune informazioni su Al Qaeda e l'Italia che l'Agenzia ha raccolto tra i prigionieri di Guantanamo. Tenet si attende perlomeno un sorriso, se non un grazie. Ne ricava soltanto una faccia di pietra. Se ne dispiace, prima. Ne diffida, poi. Ma quel che colpisce tutti, intorno a quel tavolo, è l'assoluta marginalità in cui Pollari tiene il suo capocentro a Washington". Questa estraneità è interessante. In quel 2002, il capocentro Sismi a Washington è l'ammiraglio Giuseppe Grignolo. Ha un'esperienza importante nella proliferazione delle armi di distruzione di massa, rapporti eccellenti con la Cia e soprattutto la stima del n. 2 dell'Agenzia, Jim Pavitt. Ricorda una fonte di Forte Braschi: "In realtà, noi vogliamo tener fuori la Cia dal nostro lavoro e Pollari non si fida di Grignolo, lo giudica troppo vicino a Langley. Così gli tace ogni mossa. Lo costringe, per dire, a occuparsi inutilmente della fedina penale dei nuovi assunti al Servizio che hanno magari trascorso qualche anno negli States... I contatti più significativi, in quei mesi, passano altrove. Attraverso Gianni Castellaneta con Condi Rice e, attraverso Ledeen, con l'Office for Special plans di Paul Wolfowitz e Doug Feith. È Castellaneta che fissa l'incontro di Pollari negli uffici del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca". Quando, e di che cosa parlano? "Di che cosa volete che parlino nell'estate del 2002? Di armi di distruzione di massa". La data dell'incontro? "Questa la tengo per me... e comunque basta controllare nei registri del Cai i piani di volo Ciampino-Washington".

A Roma difficile ottenere quei piani di volo. Maggiore fortuna si ha a Washington. Un funzionario dell'Amministrazione dice a Repubblica: "Posso confermare che il 9 settembre del 2002, il generale Nicolò Pollari incontrò Stephen Hadley, il vice dell'allora consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice".

Come il 15 ottobre del 2001, anche il 9 settembre del 2002 è una data che propone qualche coincidenza. In quelle ore, è in chiusura il numero di Panorama che sarà in edicola con la data 12/19 settembre 2002. È una consuetudine, nell'"affaire yellowcake", ricordare che il "postino" del Sismi, Rocco Martino, contatta in ottobre una giornalista del settimanale - diretto allora da Carlo Rossella - per venderle i documenti dell'imbroglio. Nessuno ricorda che, nel numero 12/19 settembre 2002, in coincidenza dunque dell'incontro segreto di Pollari con Hadley, Panorama trova uno scoop planetario. Titolo: "La guerra? È già cominciata". Racconta di "un carico di mezza tonnellata di uranio". Si legge nell'articolo: "Gli uomini del Mukhabarat, il servizio segreto iracheno, lo hanno acquistato attraverso una società di intermediazione giordana nella lontana Nigeria, dove alcuni mercanti lo avevano contrabbandato dopo averlo trafugato dal deposito nucleare di una repubblica dell'ex Urss. I 500 chili di uranio sono poi approdati ad Amman, e da qui, via terra, dopo sette ore di viaggio, hanno raggiunto la destinazione: un impianto a 20 chilometri a nord di Bagdad, denominato Al Rashidiyah, noto per la produzione e il trattamento del materiale fissile". E più avanti: "... L'allerta riguarda la Germania, dove negli anni passati l'Iraq ha cercato di acquistare dalla società "Leycochem" tecnologia e componenti industriali... e anche i richiestissimi tubi di alluminio per le centrifughe a gas".

Anche se in un contesto inesatto (Nigeria e non Niger, un lapsus calami?) e in qualche tratto favolistico (contrabbando dall'ex-Urss all'Africa con camion), quel che conta osservare è che, nelle rivelazioni di Panorama, la ricetta, per dir così, ha già tutti gli ingredienti giusti che poi porteranno alla guerra: 500 tonnellate di uranio che dall'Africa raggiungono Bagdad; tubi di alluminio per centrifughe nucleari. Sembra di poter ragionevolmente osservare che lo schema che si vede al lavoro in Italia è sovrapponibile senza sbavature al modulo che sostiene negli Usa l'affare Cia-gate/New York Times. Il governo chiede. L'intelligence dà. I media diffondono. Il governo conferma. È una tecnica di disinformazione vecchia come la Guerra Fredda. Esagerare la pericolosità del nemico. Terrorizzare e convincerne l'opinione pubblica. Con un'aggravante in casa nostra. Il magazine che diffonde le notizie avvelenate è di proprietà del presidente del Consiglio che governa l'intelligence e vuole essere e apparire il miglior alleato di George W. Bush, ansioso di andare in guerra.

Si può ora dire che, preparato così il terreno, Pollari può concentrarsi su un altro aspetto essenziale della manovra. Promuovere il Sismi e se stesso, incassando i ricavi dell'oscuro lavoro di un anno. Accecare il Parlamento con notizie prudentemente manipolate e con rivelazioni che richiederebbero finalmente una ricostruzione attendibile, documentata, e non il muro del segreto di Stato (che sarà opposto da Gianni Letta il 16 luglio del 2003).

Al ritorno dall'incontro segreto con Hadley, Pollari viene ascoltato dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Le audizioni sono due. Nella prima, il direttore del Sismi sostiene: "Non abbiamo prove documentali, ma informazioni che un Paese centro-africano ha venduto uranio puro a Bagdad". Trenta giorni dopo, Pollari dice: "Abbiamo le prove documentali dell'acquisto di uranio naturale da parte dell'Iraq in una repubblica centro-africana. Ci risulta anche il tentativo iracheno di acquistare centrifughe per l'arricchimento dell'uranio da industrie tedesche e forse italiane". Uscito dal Parlamento, Pollari ha ancora il problema di veicolare verso Washington, senza lasciare alcuna impronta digitale, il documento farlocco. Gli viene incontro una circostanza molto fortunata. Il "postino" del Sismi Rocco Martino, che ha già bussato alla porta dell'MI6, contatta l'inviata di Panorama Elisabetta Burba e tenta di venderle il dossier. È un'idea del vendifumo o una sollecitazione di Antonio Nucera o di chi? La Burba, correttamente, controlla l'informazione in Niger. Si inventa un'inchiesta di copertura sui dinosauri, dall'Oranosaurus nigeriensis all'Afrovenator abakensis.

Nel frattempo avvicina qualche attendibile fonte. Elisabetta fa quel che deve con rigore e tenacia. Conclude che quella storia non sta in piedi e non pubblica una riga. Ma tutto, in realtà, è già accaduto, perché il direttore del settimanale, Carlo Rossella, entusiasta di aver forse trovato, come dice al suo staff, la "smoking gun", l'ha spedita a consegnare quelle carte all'ambasciata americana, scelta come "la più alta fonte di verifica". Pollari avverte il giornale del presidente del Consiglio, fresco dello scoop sull'uranio, che quella roba è robaccia? A quanto pare, no. Così, Jeff Castelli e la Cia si ritrovano nelle mani la frittata malfatta che, già da un anno, si rifiutano di assaggiare. Sono carte così truffaldine che possono essere soltanto nascoste, se non si vogliono mortificare le attese di Dick Cheney. L'arrivo delle carte a Washington viene come "silenziato". Sono distribuite il 16 ottobre 2002 alle diverse agenzie di intelligence da funzionari del Dipartimento di Stato durante uno dei regolari meeting cui prendono parte quattro funzionari della Cia. Nessuno di loro è in grado di ricordare se le avesse o meno ottenute. Misteriosamente, a Langley, le "carte italiane" si "perdono" per tre mesi e, soltanto dopo un'indagine interna dell'Ispettorato generale, se ne ritrova una copia nella cassaforte dell'Unità Controproliferazione. È il primo affondo italiano. La "bufala" dell'uranio raddoppia con la frottola dei tubi di alluminio. Ma questa è un'altra storia.

È affare di date, la storia del coinvolgimento italiano nelle manipolazioni che giustificano la guerra irachena. Ne abbiamo già avuto la percezione. È ancora una data che sbroglia e svela il secondo capitolo del Grande Inganno.

9 settembre 2002. In quel giorno, nelle stanze del National Security Council, c'è un incontro segreto e molto strampalato, se si guarda alla trasparenza istituzionale.

Perché il direttore del nostro servizio segreto incontra un'autorità politica della Casa Bianca? Naturale che Nicolò Pollari incontri il direttore della Central Intelligence Agency. Ordinario che il direttore del Sismi incontri la sua autorità politica. Bizzarro che incontri l'autorità politica di un Paese straniero ancorché alleato: per questi meeting ci sono ministri e sottosegretari. Allora, di che cosa discute con Stephen Hadley?

Questo Hadley non è uomo da terza fila, alla Casa Bianca. Oggi è il consigliere per la Sicurezza Nazionale. Nel 2002 è il vice di Condoleezza Rice e "nodo" della rete "parallela" di intelligence voluta da Dick Cheney per rendere legittima la guerra a Saddam. E' l'uomo che, soltanto per dirne una, si assume la responsabilità delle sedici parole, pronunciate da George W. Bush nel discorso sullo stato dell'Unione, che il 28 gennaio 2003 valgono il conflitto.

Si sa che Hadley, con Pollari, ragiona di armi di distruzione di massa. Legittimo chiedersi che cosa sappia Pollari, il 9 settembre del 2002, dell'uranio nigerino. Come egli stesso ammette, sa tutto. E' informato dell'avventura di Rocco Martino. I suoi uomini addirittura gli stanno dietro. Conosce i passi del vice-capocentro del Sismi Antonio Nucera, che aiuta il vendifumo. Quel giorno, Pollari è nella migliore condizione per fare una scelta. Dire al vice della Rice che, per la Casa Bianca, è meglio lasciar cadere quella storia dell'uranio, perché è una bufala, perché quei due, Martino e Nucera, sono due impostori. O, al contrario, rafforzare le convinzioni dell'alleato. Magari con un accorto silenzio. Che cosa sceglie? Per saperlo torna buono vedere come si muove Pollari nell'altro caso affrontato nel colloquio con Hadley. E' il dossier "centrifughe".


Appena 24 ore prima, 8 settembre 2002, Judith Miller ha raccontato, dalla prima pagina del New York Times, della minaccia nucleare custodita a Bagdad. "Negli ultimi 14 mesi - scrive la reporter - l'Iraq ha cercato di acquistare tubi in alluminio che, secondo i funzionari americani, devono essere utilizzati come rivestimento dei rotors delle centrifughe per l'arricchimento d'uranio".

Il 9 settembre 2002, dinanzi a Hadley, Pollari ha gli strumenti per affrontare anche questo aspetto della questione. Il Sismi, come ammette, ha "prove documentali dell'acquisto di tubi di alluminio da parte irachena". Vediamo di che cosa si tratta.

Sono tubi di alluminio 7075-T6. E' il materiale preferito per un sistema di missili a basso costo (ogni tubo costa 17 dollari e 50 centesimi). Sono fatti di una lega estremamente dura, che li rende potenzialmente adatti come rotors di una centrifuga capace di separare i costituenti dell'uranio fissili da quelli non fissili. Non è un'operazione agevole perché poi le centrifughe devono essere migliaia (16.000) ed essere in grado di sostenere in sincronia rotazioni a velocità estremamente alte.

Come si sa, la Cia e anche il prudentissimo segretario di Stato Colin Powell si convincono che si tratta di materiale "dual use" destinato al programma nucleare iracheno. Powell sfodera tutta la sua esperienza di soldato. Dice: "Non sono un esperto di centrifughe, ma come veterano dell'esercito lasciatevi chiedere questo: perché gli iracheni si stanno dando tanto da fare per quei tubi che, se fossero razzi, andrebbero rapidamente in pezzi dopo il loro lancio?".

L'obiezione, incredibilmente, resta in piedi anche quando gli scienziati dell'Oak Ridge National Laboratory (con centrifughe, arricchiscono uranio per l'arsenale nucleare degli Stati Uniti) annientano la teoria di Powell. Sostengono che quei tubi sono "troppo stretti, troppo pesanti, troppo lunghi e facili a creparsi per essere utilizzati come componenti di centrifughe". Concludono gli scienziati di Oak Ridge: "Quei tubi servono alla costruzione di un particolare proiettile d'artiglieria".

Dunque, l'8 settembre 2002, Judith Miller rappresenta i tubi di alluminio come "la pistola fumante". Il giorno dopo, Pollari è seduto di fronte ad Hadley. Che cosa gli racconta? Pollari sta zitto. Non svela ciò che sa dei tubi di alluminio che tanto preoccupano (o entusiasmano) l'Amministrazione Bush. La disgrazia è che quei tubi - 7075-T6, lunghi 900 millimetri, diametro 81 millimetri, superficie dello spessore 3.3 millimetri - sono arnesi molto familiari per l'esercito italiano. Sono i proiettili di artiglieria del missile da 81 mm del sistema aria-terra "Medusa", adottato dagli elicotteri di Esercito e Marina. In realtà, gli iracheni stanno soltanto tentando di riprodurre delle armi che hanno imparato a conoscere nei lunghi anni della collaborazione economico-militare-nucleare tra Roma e Bagdad (i migliori ufficiali dell'Esercito e dell'Aeronautica irachena sono stati addestrati nel nostro Paese negli anni Ottanta). Lo stato maggiore di Saddam ha bisogno di duplicarli, per dir così, perché le scorte sono state conservate all'aperto e sono ormai rugginose. Ecco la ragione dei nuovi acquisti in alluminio anodizzato.

Perché Pollari non spiccica parola? Se si pone la domanda a Greg Thielmann, ex capo del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si ottiene questa risposta: "Ma voi davvero non avete capito perché l'intelligence militare italiana non ci ha dato nessuna indicazione che consentisse di escludere definitivamente che quei tubi servissero per un programma nucleare? Io un'idea ce l'ho. Il Sismi, come la Cia e come l'intera comunità dell'intelligence anglo-americana, deve e vuole compiacere i falchi della nostra Amministrazione". Il giudizio è sonoro come una fucilata. Sono le date a offrire una conferma difficile da eludere.

8 settembre 2002, Judith Miller lancia il sasso.
9 settembre 2002, Hadley incontra Pollari.
11 settembre 2002, l'ufficio di Stephen Hadley chiede alla Cia un nullaosta che permetta al presidente degli Stati Uniti di utilizzare in un discorso pubblico le informazioni sulla vendita dell'uranio nigerino. In particolare, per quel che riferisce il rapporto del Selected Committee on Intelligence la richiesta che arriva alla Cia dal gabinetto del National Security Council chiede testualmente a George Tenet che "George W. Bush sia autorizzato a dire: "L'Iraq ha compiuto diversi tentativi di acquistare tubi di alluminio rinforzato da utilizzare per centrifughe per l'arricchimento di uranio. Sappiamo inoltre che, nell'arco degli ultimi anni, l'Iraq ha ripreso i tentativi per ottenere grandi quantità di uranio ossidato noto come yellowcake. Componente necessaria al processo di arricchimento"". La Cia dà il suo nullaosta (a Cincinnati, Ohio, il 7 ottobre 2002, la frase autorizzata cade dal discorso presidenziale.

Il giorno prima, Langley ne raccomanda la cancellazione: "L'intelligence è debole. Una delle due miniere citata dalla fonte come luogo di estrazione dello yellowcake risulta allagata. L'altra è sotto il controllo delle autorità francesi").

Bisogna ora chiedersi che cosa combina Pollari. Questa ingarbugliata faccenda dello yellowcake e delle centrifughe si impasticcia intorno ai documenti farlocchi di Rocco Martino. Chi li ha dati a chi, quando, come? Chi li ha letti e ne ha taciuto l'infondatezza? Chi ha creduto nella loro fondatezza e li ha "disseminati"? L'affare ha il suo fuoco in queste risposte, ma anche nelle parole che non vengono dette. Gli italiani sanno che Rocco Martino è un cialtrone. Hanno ben presente che le uniche carte autentiche di quel dossier sono vecchia intelligence, sottratta all'archivio della divisione del Sismi che si occupa delle armi di distruzione di massa. Pollari lascia correre la frottola per il mondo. Non "brucia" Rocco Martino che bussa alla porta dell'MI6 inglese. Anzi, lo accredita come "fonte attendibile". Non gela gli entusiasmi dell'amico americano Michael A. Ledeen e dell'Office for Special plans del Pentagono. Semplicemente ammutolisce mentre l'imbroglio si fa strada. Anzi, quando apre bocca, non spegne né delude il desiderio americano. Così avviene per i tubi di alluminio. Dopo una "brillante operazione", il Sismi ne viene materialmente in possesso. E' un'intelligence militare. Anche un soldataccio capirebbe che si tratta di "roba nostra", dei proiettili del "Medusa '81". Al Sismi naturalmente lo capiscono. Ma, anche in questo caso, il 9 settembre 2002 Pollari si chiude dinanzi ad Hadley in un riservato silenzio. Fa di più.

12 settembre 2002. In edicola arriva Panorama. Nel lungo servizio titolato "La guerra? E' già cominciata", si raccolgono le rivelazioni decisive e inedite al mondo sul riarmo nucleare iracheno. Nessuno ha ancora parlato di uranio. Tantomeno di 500 tonnellate. Lo farà per la prima volta Tony Blair, ma soltanto il 24 settembre 2002. Due settimane dopo l'incontro Pollari-Hadley. Dodici giorni dopo lo "scoop" di Panorama. Il dossier di 50 pagine del governo di Londra afferma che l'Iraq sta cercando di acquisire uranio in Africa. Blair sostiene che "l'Iraq ha cercato di comprare significative quantità di uranio da un paese africano nonostante non abbia nessun programma di nucleare civile che lo richieda". Ancora oggi, il ministro degli Esteri inglese, Jack Straw, ripete che il "dossier italiano" non era l'evidenza che ha giustificato queste parole; che l'MI6 è in possesso di intelligence acquisita precedentemente. Queste "evidenze" non sono mai saltate fuori. "Se saltassero fuori - dice a Repubblica una fonte di Forte Braschi e sorride - si scoprirebbe facilmente e con qualche rossore che è intelligence italiana raccolta dal Sismi alla fine degli anni '80 e condivisa con il nostro amico, Hamilton Mac Millan".

Non è, dunque, la loquacità a indicare le responsabilità italiane dello yellowcake. Sono i silenzi. Abbiamo visto come tace (o è costretto a tacere) il Sismi. Povero Sismi, non è mica il solo. Nessuno dei protagonisti di questo garbuglio, pur sapendo, fiata. Tace Panorama. Quando la direzione del magazine, di proprietà del capo del governo, deve ricostruire i contatti con Rocco Martino (che ha cercato di vendere l'imbroglio a Segrate) omette di ricordare che le informazioni contenute nel dossier truffaldino, già sono state pubblicate il mese prima. Il direttore del settimanale, inspiegabilmente, verifica quei documenti soltanto con l'ambasciata americana e non con il governo né tantomeno con le eccellenti fonti del servizio segreto italiano a cui, come dimostra lo "scoop" di settembre, ha accesso. Non trova alcun interesse nel raccontare, con un secondo potenziale "scoop" mondiale, che la storia su cui si sta imbastendo una guerra è falsa. Tace anche Palazzo Chigi, naturalmente. Il ruolo del consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi, Gianni Castellaneta, è stato essenziale nei rapporti tra il nostro Paese e quel network parallelo che Dick Cheney crea con il finanziamento di Ahmed Chalabi dell'Iraqi National Congress, con la raccolta dell'intelligence "aggiustata" dall'Office for Special Plans, con la diffusione mediatica di queste manipolazioni attraverso il "gruppo Iraq" (che si vede al lavoro anche nel caso Miller/New York Times). Ma chi ha sentito mai Castellaneta dire una parola e chi gli ha mai chiesto in un luogo istituzionale di dirla?

Sta chiotto Gianni Letta. Quando affiora la verità del falso dossier italiano, il sottosegretario con delega ai servizi, contrariamente a quanto si legge nelle inesatte note del governo, si appella al segreto di Stato. Sostiene che nessuna documentazione può essere offerta al controllo del Parlamento perché si metterebbero "in pericolo fonti dei servizi". Quali fonti? Rocco Martino, carabiniere fallito, spione disonesto, doppiogiochista? O Antonio Nucera, vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur che trafuga (o è costretto a trafugare), dall'archivio della sua Divisione, intelligence ammuffita per costruire "il pacco"?

E' evidente che, a frittata rovesciata, qualcosa bisogna pur raccontare dopo tanto silenzio. Pollari si muove nell'estate del 2004. Discretissimo, diventa improvvisamente loquacissimo. Apre addirittura il suo ufficietto a Palazzo Baracchini. Pollari se ne sta in una stanzetta buia, dietro uno scrittoio stracolmo di carte. Carte, carte, carte ovunque. Alla sua sinistra, c'è un altro scrittoio coperto di dossier come uno scoglio dall'onda. Spiega a Repubblica (è il 5 agosto 2004): "Non mi fido di nessuno. Le carte le voglio leggere io...". L'uomo appare in difficoltà. Sente sul collo l'alito maligno dei reporter americani dell'Atlantic Monthly. Si rigira tra le mani una richiesta di colloquio recapitata dalla televisione americana Cbs all'ambasciata italiana a Washington. Si chiede: "Che cosa vogliono questi da me? Chi è che li sta informando? La Cia? L'Fbi? Qualche transfuga della Cia? Qualche nemico del Fbi?". Sa che Rocco Martino è stato agganciato dai producer di 60 minutes e teme, come una catastrofe personale, la confessione del vendifumo davanti ai microfoni. Ora Pollari deve guadagnare una via d'uscita dall'impiccio e gli sembra di aver trovato il modo per uscire dall'angolo. Dice a Repubblica: "Sono stati i francesi del Dgse a trarre in inganno gli americani. Noi non c'entriamo nulla". Estrae da una cartellina una stampata in power-point multicolore (i colori sono giallo, rosso, viola, azzurro, verde). La cartuscella dovrebbe dimostrare il "ruolo dell'intelligence francese nell'affaire Niger". Mai sembra convincente. E' musica che suona stonata anche oggi. Il tempo ha dimostrato in modo solido l'infondatezza della "pista francese", farfallina già in partenza. Infatti, come accerta il rapporto del Senato americano, due settimane prima dell'inizio della guerra, il 4 marzo 2003, i francesi avvertono Washington che i documenti in loro possesso sono falsi perché sono gli stessi che Rocco Martino ha rifilato a Parigi. Non è stata mai rintracciata (né Pollari la rivendica) un'analoga nota italiana che possa dare uno stop all'irruenza di Dick Cheney. Il Sismi, come il governo, sa che l'intelligence contro l'Iraq è tutta fuffa. Tacciono. Come precipita nel mutismo l'intero circuito politico italiano. E' comprensibile il silenzio della maggioranza, ma l'ozio dell'opposizione può esserlo di fronte a una manipolazione che addirittura provoca una guerra? L'unico atto che si può registrare è la richiesta di una commissione di inchiesta presentata dall'Unione, una pretesa soltanto burocratica perché, una volta licenziata, può essere dimenticata. Così, mentre negli Stati Uniti si contano tre inchieste indipendenti (Cia-gate; Nigergate; cospirazione di Larry Franklin, funzionario dell'Office of Special plans), in Italia non si muove foglia. Se si ha la ventura di incontrare il pubblico ministero di Roma, Franco Ionta, per sapere almeno - così per curiosità - come è finita l'inchiesta su quel vendifumo di Rocco Martino, il magistrato spiegherà: "Sì, ho interrogato questo Martino. Un truffatore. In mezz'ora ho chiuso il verbale... Che volete che mi dicesse... Ora la richiesta di archiviazione è nelle mani del gip... Trattasi di buffonata...". Una buffonata italiana che può annegare nel silenzio. Della politica, dell'informazione, della magistratura. Così vanno le cose in Italia.

p