Archivio Novembre 2005
29
novembre
Dal rialzo dei
tassi al controllo globale!
Marcello Pamio
Nonostante le belle parole
degli esperti, la locomotiva Stati Uniti d’America
che una volta trainava il mondo, è arrivata quasi alla fine
del binario dell’economia capitalistica. Oggi il treno a
vapore a stelle e strisce ha decisamente finito il carbone e
sta facendo di tutto per impedire l’arresto, alla stazione
chiamata: crack!
Non esagero quando dico che gli States sono il paese più
indebitato al mondo! Il suo debito ha toccato l’astronomica
cifra di 7,5 trilioni di dollari, cioè 7.500 miliardi di
dollari. A questo debito pubblico andrebbe sommato pure il
debito delle famiglie (6 trilioni) e delle imprese (13
trilioni). Risultato: il debito complessivo (aziende,
famiglie e pubbliche amministrazioni) raggiunge quota 30
trilioni di dollari (30.000 miliardi di dollari) e
rappresenta quasi il 300% del Pil!
Tanto per intenderci, nelle settimane precedenti il crollo
di Wall Street del 1929 tale rapporto era del 240%. In
soldoni: la situazione economica attuale è peggiore di
quella che diede inizio agli anni bui che andarono dal ’29
al ’33.
E questa è l’economia, veniamo adesso alla sistema monetario
Il dollaro sopravvalutato
Il dollaro è in
vera e propria caduta libera e sta perdendo credibilità a
livello internazionale come moneta di scambio. Dal grafico
qui sotto si può vedere come la moneta unica europea da
gennaio 2002 fino a gennaio 2005 si è rivalutata nei
confronti del dollaro, partendo da 0,9 e arrivando fino a
1,3 euri contro dollaro.
Gli ultimi mesi hanno visto una ripresa del conio americano,
per via degli aumenti del tasso di sconto (quindi del costo
del denaro) iniziati da giugno 2004 da parte del presidente
del Federal Reserve Board, Alan Greenspan.
Oggi alle ore 14:00, per comperare un euro servono 1,1713
dollari!
Come lo vuoi il latte: alla diossina,
all’aspartame o al
2-isopropyl thioxanthone?
Marcello Pamio
In questi ultimi anni in
ambito alimentare ne abbiamo viste e sentite di cotte e di
crude.
Sappiamo benissimo che i risultati di una globalizzazione
sfrenata legata ad una industrializzazione forzata e priva
di umanità, sono, tra le altre cose, dei cibi dal valore
nutrizionale nullo e dal valore energetico addirittura
negativo: in pratica invece di fornire energia al corpo, la
sottraggono!
La cosa che però fa venire, visto che siamo in tema, il
“latte alle ginocchia”, è che la maggior parte di questo
pseudocibo, chimico e morto, è fatto ad hoc proprio per
coloro che hanno bisogno della massima qualità e della
maggior integrità: gli uomini in divenire, i
bambini!
Tutti i bambini, dalla nascita
fino più o meno ai sette anni, giorno dopo giorno,
utilizzano al massimo le forze che hanno a disposizione per
strutturare e organizzare al meglio il proprio corpo
(cellule, organi, sistema immunitario, ecc.). Se a un
bambino, in questa importantissima e delicatissima fase
evolutiva, gli viene dato da mangiare del cibo morto e da
bere del latte contenente diossina, 2-isopropyl thioxanthone
o antibiotici, come potrà mai completare naturalmente il suo
processo?
La risposta ovviamente è scontata!
Premetto subito che la
diossina non è certo un antibiotico e non assomiglia nemmeno
a quel fotofissatore (2-isopropyl thioxanthone), detto Itx,
diventato famoso in questi giorni grazie a multinazionali
come Nestlé e Milupa.
La diossina è cancerogena, l’antibiotico (anti-bios, contro
la vita) a lungo andare deprime il sistema immunitario
predisponendoci alle malattie e rendendo virus e batteri più
forti e resistenti (antibioticoresistenti). E questo
2-isopropyl thioxanthone (Itx) che il corpo forestale ha
trovato nel latte per bambini piccoli?
Secondo le fonti ufficiali, questa sostanza chimica (il cui
brevetto è della General Electric) che serve per fissare le
scritte sulle confezioni in tetrapak, sarebbe, non si bene
come, penetrata dentro il contenitore inquinando il latte.
Latte naturalmente dedicato a bambini piccolissimi!
Le rassicurazioni, da parte di esperti della salute e/o
dirigenti delle multinazionali, non sono mancate. “Mamma
non ti preoccupare: è tutto ok!”. “Se dentro il latte
di tuo figlio sono stati trovati 250 microgrammi di una
sostanza chimica sconosciuta, non allarmarti: va tutto bene”.
Di diverso avviso è l’agenzia
governativa statunitense di protezione ambientale E.P.A. (Enviromental
Protection Agency). Nella pubblicazione dal titolo “Human
Health and Ecological Hazard Results” (che potrete
scaricare
ciccando qui), la tabella 3-B.4 “Environmental Hazard
Ranking of Flexographic Ink Chemical” elenca una serie
di sostanze chimiche tra cui il nostro Itx. Alla voce
2-isopropyl thioxanthone è scritto “Lowest chronic value”
(Valore cronico più basso) e un numero: 0,004 mg/L!
L’E.P.A. nel suo rapporto afferma che il valore cronico
più basso dell’Itx è di 0,004 milligrammi per litro che
corrisponde a 4 microgrammi per litro!!! E sottolinea il
rischio (Hazard rank) con una bella H, che sta per
alto (High).
Ma come? Per gli esperti nostrani 250 microgrammi/litro sono
assolutamente innocui, per l’EPA invece 4 microgrammi/L
presentano un rischio alto? Boh, non capisco, ma d’altronde
è normale visto che non sono né biochimico, né medico.
Detto questo però, la cosa che
più da fastidio è sapere che il Direttore e CEO della Nestlé,
Peter Brabeck-Letmathe (membro direttivo anche della
farmaceutica Roche, sic!) ha dichiarato che la
multinazionale svizzera e il Ministero della Sanità italiano
erano al corrente del problema del latte fin da luglio
scorso (!), e che fu deciso, addirittura in accordo con
l’Unione Europea, di smaltire le scorte fino a esaurimento,
per poi cambiare il processo di stampa sulle confezioni.
Avete capito? Se le dichiarazioni di Brabeck saranno
confermate dalla procura di Ascoli, che sta indagando,
significherà che il ministero della salute italiano ha
permesso la commercializzazione per oltre 4 mesi di latte
inquinato e dedicato a bambini piccolissimi!
Ovviamente la prassi impone al ministero della salute di
querelare il direttore della Nestlé per le sue pensantissime
affermazioni.
Tra querele e controquerele, coloro che ci vanno di mezzo,
come sempre, siamo sempre noi e i nostri figli. Nessuno
andrà in galera, nessuno perderà il proprio miliardario
stipendio, ma tutto andrà nel dimenticatoio, e poi, tra un
reality e una fiction, ci sveglieremo, magari con un bel
bicchiere di latte in mano, al prossimo scandalo alimentare.
E allora la nostra coscienza si desterà ancora, per poi
tornare….
E’ importante invece destarsi
una volta per tutte comprendendo l’importanza di una
alimentazione sana e naturale. “Siamo fatti di ciò che
mangiamo”, per cui se mangiamo e beviamo porcherie chimiche
le nostre cellule codificheranno e si trasformeranno in
“porcherie chimiche”. Se non lo facciamo per noi almeno
abbiamo il buon senso pedagogico di farlo per i nostri
bambini.
A questo punto la critica che sorge spontanea è che
l’alimentazione naturale biologica e/o biodinamica costa di
più di quella chimica! Certo è vero, ma è anche vero che se
analizzassimo criticamente quello che acquistiamo, ci
accorgeremo che potremo ridurre di moltissimo i soldi spesi
eliminando la spazzatura chimica che portiamo a casa ogni
volta (patatine, cioccolatini, bibite gassate, ecc.). Questi
soldi risparmiati si possono investire in cibi sani, dei
quali ne bastano meno rispetto quelli di sintesi, perché
conservano tutte le sostanze nutritive. Mangiate un piatto
di spaghetti di farro biodinamici (seri) e capirete quello
che sto dicendo.
Non solo, ma se devo dirla tutta, è molto meglio risparmiare
in altre cose (vestiti, accessori per cellulari e auto,
vizi, ecc.) molto meno utili, che ridurre la qualità del
cibo che andrà a interferire direttamente con la nostra
salute.
Se non credete che gli attuali
cibi possono danneggiare la salute, leggete il Rapporto
dell’Istituto Nazionale di Salute (National Institutes of
Health) del 17 novembre 2005 sull’edulcorante (zucchero
sintetico) Aspartame (vedi
articoli sull'argomento)
Il titolo è “First
Experimental Demostration of the Multipotential Carcinogenic
Effect of Aspartame Administered in the Feed to
Sprague-Dawley Rats”, che tradotto fa più o meno
così: “Prima dimostrazione degli affetti cancerogeni
multipotenti dell’aspartame somministrato nel cibo a ratti”.
In pratica è la prima dimostrazione scientifica seria che
questa sostanza chimica è molto pericolosa per la salute
(aumento dei tumori maligni, dei linfomi e leucemie nelle
cavie) a dosi di soli 20mg/Kg (20 milligrammi per chilo).
Mi auguro che non ci siano più dubbi su questo edulcorante
chimico, che purtroppo si trova ancora sopra quasi tutti i
banconi dei bar e in quasi tutte le bevande dietetiche con
la scritta “Aspartame” o il codice “E951”.
Questo è solo un esempio che dovrebbe servire però per
prendere coscienza del fatto che siamo circondati da una
chimica tossica e per la maggior parte sconosciuta.
Però NOI, SE vogliamo, possiamo dire di NO a tutto questo.
24
novembre
Allo sciopero generale
aderiranno tutti i lavoratori pubblici e privati
La protesta per lo sviluppo, l'equità sociale e
la politica dei redditi
L'Italia incrocia le braccia
Cgil-Cisl-Uil contro la Finanziaria
La
manifestazione contro la Finanziaria a
Milano
ROMA - E' pronta la macchina
organizzativa di
Cgil -Cisl
- Uil
per sostenere lo sciopero generale di domani
contro la Finanziaia 2006. Si terranno
manifestazioni provinciali e mobilitazioni su
tutto il territorio nazionale. Alla protesta
aderiranno, per 4 ore, tutti i lavoratori
pubblici e privati, "contro la manovra economica
del Governo e a sostegno delle proposte di
sviluppo, di equità sociale e politica dei
redditi in tutto il Paese". Ecco gli interventi
dei leader: a Milano, Savino Pezzotta,
segretario generale della Cisl; a Roma,
Guglielmo Epifani, segretario generale della
Cgil, e a Palermo, il segretario generale della
Uil, Luigi Angeletti.
Cgil, Cisl, Uil propongono al governo l'apertura
di un confronto sui seguenti temi:
Emergenza sociale: adeguato rifinanziamento
del Fondo Nazionale per le politiche sociali;
sostegno delle famiglie privilegiando quelle
monoreddito a rischio di povertà.
Emergenza sanitaria: rifinanziamento del
Sistema sanitario nazionale; generalizzazione
della prenotazione unificata (Cup) per garantire
gli accessi con la riduzione delle liste di
attesa; sviluppo della rete di servizi.
Emergenza occupazionale: incremento delle
risorse per il finanziamento degli
ammortizzatori sociali; rifinanziamento del
Fondo per il salvataggio e la ristrutturazione
delle imprese in difficoltà.
Mezzogiorno: introdurre una fiscalità di
vantaggio per gli investimenti nel mezzogiorno;
stretta cooperazione tra università, ricerca e
innovazione d'impresa; semplificazione
amministrativa.
Prezzi e
tariffe: monitoraggio più mirato verso i
redditi più bassi; interventi sui farmaci.
Fisco: restituzione del Fiscal Drag;
cifra forfettaria da portare in detrazione
fiscale per l'acquisto dei libri di testo, pari
a 300 euro per la Scuola Media e 500 euro per la
Scuola Media Superiore e Università per ciascun
figlio.
Costo del lavoro: riduzione del costo del
lavoro
finalizzato alle aziende che investono al Sud e
nell'innovazione; riduzione del carico fiscale
anche sulle buste paga dei lavoratori.
Di seguito, le modalità e le categorie
interessate allo sciopero generale.
Nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria e
delle Province di Udine, Frosinone, Latina,
Viterbo, Perugia, Lecce, Caltanissetta, Sassari,
Brindisi lo sciopero avrà la durata di 8 ore.
Nelle altre regioni lo sciopero durerà 4 ore o
l'intera giornata.
Poste. Le aziende del gruppo Poste
sciopereranno per l'intera giornata.
Raccolta spazzatura. I lavoratori del
settore sciopereranno per l'intera giornata.
Pubblico impiego. Il Pubblico Impiego, le
Regioni, le Autonomie locali, sciopereranno per
l'intera giornata.
Medici. I camici bianchi aderenti alla
Cgil, Cisl e Uil sciopereranno per l'intera
giornata ma saranno garantiti i servizi
essenziali.
Scuola. Docenti e bidelli sciopereranno
per 1 ora, la prima o l'ultima delle lezioni.
Banche. Quattro ore di sciopero.
Trasporti urbani. Quattro ore secondo le
diverse modalità previste a livello locale
Aerei. Sciopero dalle 12 alle 16. L'Alitalia
cancellerà 230 voli nazionali e internazionali.
Per informazioni, i paseggeri possono contattare
il numero verde 800.650.055 oppure consultare il
sito
www.alitalia.it La compagnia aerea
Meridiana ha cancellato 4 voli nazionali tra la
capitale e la Sardegna. Call center della
Meridiana 199.111.333. Informazioni anche sul
sito
www.meridiana.it
Treni. Quattro ore, dalle 9 alle
13. Il programma completo dei treni che
resteranno in servizio è consultabile sul sito
www.trenitalia.it o telefonando al
numero 89.20.21. Ferma la rete delle Ferrovie
Nord compresa la navetta Malpensa Express.
Traghetti. Le navi salperanno con 24 ore
di ritardo. La compagnia Tirrenia garantirà
alcuni servi essenziali, in particolare le linee
passeggeri Genova-Porto Torres,
Civitavecchia-Cagliari e Civitavecchia-Olbia.
Autostrade. Quattro ore per ciascun turno
di lavoro.
Teatri e Casinò.
Sciopereranno anche i dipendenti dei teatri
stabili e dell'opera. Sospesa la prima de "La
Traviata" programmata al Teatro del Maggio
Musicale fiorentino, e tutti gli spettacoli
programmati dalle altre fondazioni
lirico-sinfoniche, che però non staranno a
braccia conserte. Infatti è stata decisa
l'esecuzione del Requiem (scelti nei vari teatri
quelli di Verdi, Mozart e Brahms) come 'De
profundis' per la cultura. L'ingresso è gratuito
fino ad esaurimento dei posti. Braccia
incrociate 2 ore per ciascun turno anche al
Casinò di Sanremo.
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22
novembre
Il bluff del bonus bebé
Superato il giro di boa del primo voto in Senato, la manovra
finanziaria si accinge a passare alla Camera dei deputati in un
clima di contrasti dentro la maggioranza che fa rimpiangere le
celebri 'liti fra comari' della prima Repubblica. Almeno a quei
tempi, dietro le polemiche fra Rino Formica e il grande
Beniamino Andreatta si poteva intravedere lo scontro-confronto
fra due non componibili visioni di politica economica. Stavolta
siamo ai battibecchi da cortile perché ci si azzuffa sul fatto
se si debba dare un bonus bebè soltanto ai primogeniti o anche
agli altri figli, per il 2005 ovvero pure nel 2006, cancellando
oppure no il contributo retroattivo per i piccoli sotto i tre
anni. Il tutto nel quadro di un cosiddetto pacchetto-famiglia
che potrebbe comprendere anche finanziamenti per il pagamento
delle rette di asili e scuole private, con gran giovamento delle
istituzioni ecclesiastiche: le stesse che hanno già ricevuto il
regalo dell'esenzione dall'Ici anche per gli immobili dedicati
all'esercizio di attività commerciali.
D'accordo: le elezioni politiche sono alle viste ed è ormai
chiaro che sul tema degli aiuti alle famiglie il centrodestra
vuole puntare le sue carte principali, nella trasparente
speranza di poter godere dell'appoggio vaticano in campagna
elettorale. Ma che in un paese con i conti dissestati si insista
a focalizzare il dibattito sulla Finanziaria attorno a simili
questioni è un grave segnale di irresponsabilità politica,
soprattutto perché si distoglie l'attenzione dell'opinione
pubblica dai nodi di fondo sia del risanamento del bilancio sia
della crescita economica. Cioè, da quelli che dovrebbero essere
i due obiettivi essenziali della manovra e che, viceversa, i
litigi sul pacchetto-famiglia stanno facendo scivolare in
secondo o terzo piano agli occhi dei cittadini. Ai quali,
insomma, si sta cercando di far contare le foglie del bosco in
modo che non guardino la dimensione inquietante della foresta.
In particolare, affinché non colgano alcune fra le maggiori
contraddizioni dei provvedimenti governativi. Come lo
sbandierare quale potente incentivo alle imprese il taglio
dell'uno per cento degli oneri sociali mentre, dal lato opposto,
si stringono i tempi d'ammortamento delle nuove iniziative
imprenditoriali: così frenando quella spinta all'investimento
che si dice di voler favorire. Ovvero come l'altra luminosa
trovata dell'alzare il tetto delle agevolazioni fiscali sulle
ristrutturazioni edilizie, ma ripristinando l'Iva al venti per
cento, in un gioco a somma negativa per il contribuente e, di
conseguenza, anche per la spinta ad avviare nuovi cantieri.
Per non dire, infine, della mancata previsione di un aumento
della spesa per interessi che, come ha saggiamente ammonito
l'inascoltato presidente Ciampi, rischia di scavare un altro
buco nel bilancio 2006 a causa di un rialzo dei tassi sull'euro
che è ormai alle porte. E che l'Italia, paese dal debito
gigantesco, pagherà più salato degli altri. Peccato che lo
pagherà ad elezioni avvenute ovvero oltre il ristretto orizzonte
temporale che interessa i lungimiranti combattenti sul fronte
del bonus bebè.
La notizia, pubblicata il
2 novembre, dal Washington Post relativa ai “black sites”
della CIA nell’Europa orientale non mi ha
particolarmente impressionato perché non fa altro che
confermare quanto il rispetto per i Diritti umani sia
diventato un optional per il Governo americano.
Basti pensare che l’esistenza e la collocazione degli
Edifici è nota solo a pochissimi funzionari negli USA e,
di solito, soltanto al capo di Stato e a pochi
importanti funzionari dell’intelligence di ogni Paese
ospitante.
Di fatto non si sa nulla sull’identità dei detenuti, su
come vengono interrogati o delle decisioni sul tempo di
detenzione.
Come un film Horror, i protagonisti vengono risucchiati
da un buco nero per poi scomparire nel nulla!
Grande esempio di Democrazia, non c’è che dire!
A suggerire a Diana Priest
– autrice dell’articolo sul Washington Post - che uno
dei “ Buchi neri” potrebbe trovarsi in Polonia è
un’organizzazione non governativa statunitense
denominata “Human rights watch”.
Questa rivelazione acquista spessore dopo la
pubblicazione di un articolo sulla “Gazeta Wyborca” in
cui si accenna di un aereo della CIA atterrato nel nord
del Paese.
Varsavia, naturalmente, nega immediatamente l’esistenza
di una prigione segreta e per Barroso, Presidente della
Commissione Europea, la smentita del governo è
sufficiente.
Sembra che in seno all’Unione Europea si tema quello che
potrebbe succedere se si scoperchia il pentolone.
Bruxelles ha già il suo da fare con i nuovi dieci membri
dell’Unione e con tutti i Paesi che entreranno a far
parte del gruppo nei prossimi anni.
Barroso, quindi, ritiene che non convenga a nessuno
scoprire la verità, soprattutto quando una delle parti
coinvolte è
la Polonia.
Nel caso in cui la verità
venisse fuori ad ogni costo, tutti sono pronti ad
ascrivere eventuali responsabilità per il carcere
segreto al vecchio governo, al precedente presidente
polacco e all’ex capo dei Servizi segreti polacchi.
D’altra parte già esistono dissapori con il più grande,
problematico e nuovo Stato membro per cui è preferibile
evitarne dei nuovi.
In mezzo a tutto questo bailamme di interessi ed omertà,
i prigionieri continuano ad essere torturati ed uccisi
nel più completo menefreghismo mondiale mentre i Media
ricevono l’ordine di non dare troppa pubblicità alla
faccenda.
Tanto per parafrasare Erich Maria Remarque…..” niente di
nuovo sul fronte….”
Ad onor di cronaca bisogna, tuttavia, riconoscere che
gli Stati Uniti non sono gli unici a dilettarsi in
queste tecniche e che molti luoghi di tortura segreti
esistono in varie parti del Mondo.
In un precedente articolo ho avuto modo di parlare dei
Gulag nella Corea del Nord, ma non dobbiamo dimenticare
Israele, i Territori occupati, il Brasile, l’Egitto,
l’India, l’Iran, la Repubblica democratica
del Congo, l’Argentina, il Laos, il Kenya, la Repubblica popolare
cinese, la Sierra
Leone ed altri ancora.
Il discorso non interessa
solo i Paesi non democratici dell’Africa, dell’Asia e
dell’America Latina segnati da forti tensioni sociali,
politiche e religiose.
La segregazione e la tortura sono diffusissime anche
nelle Democrazie occidentali con una vera e propria
escalation avvenuta dall’inizio della guerra globale al
terrorismo, che ha ridotto ovunque gli standard di
tutela dei diritti dei detenuti.
Non c’è da stupirsi se si pensa al continuo flusso di
denaro, che passa attraverso molti Paesi grazie
all’acquisto di tutti quegli strumenti, che fanno della
tortura uno dei mezzi più diffusi per violare i Diritti
umani.
Stupore ed indignazione, invece, nello scoprire che tra
i prodotti più richiesti negli ultimi anni ci sono gli
strumenti per l’elettroshock (attrezzi in grado di
infliggere danni fisici non evidenti, ma in grado di
produrre il massimo del terrore).
Ecco alcuni dati:
l’elettroshock è stato effettuato in oltre sessanta
paesi: in almeno venti Paesi sono stati usati bastoni e
pistole appositamente costruite per essere usati su
esseri umani; più di centoventi imprese dislocate su
ventidue Nazioni sono state coinvolte nella produzione,
nella vendita, nella diffusione e nella fornitura di
simili equipaggiamenti.
Si pensi agli enormi guadagni e molte tessere del
mosaico del terrore andranno collocate al loro posto!
Quando si parla di “Buchi neri” e violazione continua
dei Diritti umani non si può evitare di commentare un
decreto approvato dal Presidente Bush: “USA PATRIOT ACT”
che ha offerto una copertura legale a tutto questo
orrore.
Approvato il 24 ottobre 2001 sull’onda dell’emozione
provocata dagli attacchi dell’11 settembre e passato al
Senato con 98 voti a favore ed uno solo contrario.
Per dirla con parole semplici, questo documento di 342
pagine, redatto teoricamente in 43 giorni – insieme ad
altre leggi e decreti presidenziali - conferisce al
Governo americano il diritto di fare “ciò che vuole” e
l’alibi per questa “presa di potere” è stato fornito
dalla lotta al terrorismo senza neppure spiegare, nel
decreto stesso, cosa poi si intenda per “azione
terroristica”.
L’USA PATRIOT ACT
definisce terroristica qualsiasi attività che preveda
atti pericolosi per la vita umana, che rappresentano una
violazione delle leggi anticrimine degli Stati Uniti e
di “qualsiasi Stato” o che paia
finalizzata a “intimidire o coartare la popolazione
civile e a influenzare la politica di governo attraverso
l’intimidazione e la coercizione”.
A leggere con attenzione ci si rende conto che il campo
di una possibile applicazione del Decreto è vastissimo e
potrebbero addirittura rientrarci le forme di protesta
legittime e pacifiche.
Il Presidente Bush – evidentemente poco soddisfatto dal
Patriot Act – emana, il 13 novembre 2001 -, il “
Militare Ord on the Detention, Treatment, and Trial of
Certain Non-Citizens in The War Against Terrorism”
(detenzione, trattamento e processo di certi
non-cittadini nella lotta contro il terrorismo).
Una vera e propria Ordinanza militare, che legalizza la
detenzione potenzialmente illimitata di chiunque “privo
di cittadinanza” sia accusato di terrorismo,
autorizzando nel contempo che gli imputati siano
“processati” da una Commissione segreta militare senza
alcuna possibilità di revisione di giudizio.
Ma non basta….Il Presidente americano può decidere di
mandare chiunque davanti ad un Tribunale segreto, che lo
processa, lo giudica colpevole e lo condanna – compresa
la condanna a morte – senza che l’Opinione
pubblica abbia accesso ad alcuna prova e neppure agli
elementi della difesa.
Ed ancora più grave: senza che l’Opinione pubblica ne
sia informata.
Confesso di provare una
paura viscerale di fronte ad un’Ordinanza redatta in
tali termini.
Il Presidente Bush apre le porte ai Tribunali Speciali
con una legislazione, che ricalca quella della Germania
Nazista e dell’URSS staliniana e – per non farsi mancare
nulla - le aggiunge un tocco sadico alla Pinochet!
Se lo Stato di Polizia era già in atto nelle questioni
interne, con il Patriot Act (si leggano a tale
proposito le 25 sezioni del Titolo II e le 8 del Titolo
V della legge, disponibili sul sito della Camera dei
Rappresentati statunitensi) la guerra in Afghanistan
e l’Ordine militare presidenziale del Novembre producono
all’estero una realtà da Stato di Polizia
Internazionale.
Realtà, che si è ben consolidata successivamente con la
guerra in Iraq.
Il Patriot Act conferisce, inoltre, agli agenti federali
il potere di perquisire segretamente l’abitazione di una
persona, di controllare – in qualsiasi momento - i siti
Internet visitati dalla stessa persona, d’intercettare
le sue telefonate senza nessun permesso di un Giudice,
d’intercettare i messaggi di posta vocale e di fornire
all’FBI ed ai Servizi Segreti le eventuali testimonianze
segrete che questa stessa persona ha rilasciato dinanzi
ad una Giuria Speciale.
L’incredibile è raggiunto
quando si legge che le informazioni possono includere
anche le cartelle cliniche, i referti di salute mentale,
la documentazione di carattere finanziario, l’elenco
delle videocassette o DVD noleggiati, i libri
acquistati, le impronte digitali, campioni del DNA
prelevati dai capelli, il libretto di lavoro ed altro ed
altro ancora!
E, nel marasma generale, i Giudici possono solo emettere
Ordinanze senza nessun potere discrezionale!
Giunti a questo punto, se proviamo a sostituire alla
frase “Sicurezza dello Stato” l’altra più precisa
“Controllo Totale” abbiamo il quadro preciso
della Società nella quale ci stanno costringendo a
vivere.
La nostra Libertà come la nostra Privacy sono state
“risucchiate in un Buco nero” senza nessuna
consapevolezza da parte nostra ed è inutile rallegrarci
al pensiero che questi controlli possono essere
applicati solo in presenza di presunti terroristi perché
nessun limite è stato dato al “Controllo Totale” e non
c’è più tempo per ignorare la realtà, che ci circonda.
Nessuna sorpresa, quindi, per l’esistenza delle prigioni
segrete nell’Europa dell’Est dal momento che la
prigione di “Guantanamo” è una creazione degli stessi
individui.
Guantanamo un “Buco nero”
sotto gli occhi di tutti dove i prigionieri vivono in
celle di due metri per due, con un tetto di lamiera e
con recinzioni fatte da filo spinato da farle somigliare
a delle Gabbie di animali in piena regola.
Un “non luogo” dove i venti fischiano forte e dove il
sole raggiunge i 40 gradi centigradi sin dalle prime ore della
mattina.
Un posto dove non è possibile mai dormire dal momento
che la notte vengono accesi sedici potenti fasci di luce
mentre le sentinelle situate su quattro torrette spiano
anche il più piccolo movimento.
Già…stiamo parlando del famigerato campo Delta, che ha
sostituito in modo “ encomiabile” il campo X Ray, ormai
invaso da folta vegetazione e definitivamente
abbandonato.
Un inferno nel quale le condizioni di detenzione sono
tali che il campo ha registrato trentadue tentativi di
suicidio, secondo il capitano John Edmondson, il
chirurgo che dirige l’ospedale.
Centodieci detenuti sono in cura per turbe psicologiche,
comparse a seguito di depressioni.
Tutto questo avviene
perché “l’amministrazione Bush rifiuta di considerare i
“nemici combattenti” come prigionieri di guerra, mentre
nega loro il diritto di essere deferiti davanti a un
Tribunale competente per determinare il loro status
giuridico, come è invece previsto dalla terza
Convenzione di Ginevra, ratificata dagli Stati Uniti”
(Wendy Patten, direttrice della sezione giustizia di
Human Rights Watch).
Ulteriori commenti penso siano superflui, tali
Luoghi di detenzione parlano da soli e rievocano
immagini lontane nel tempo.
I lager nazisti sono stati di esempio per coloro che
detengono il Potere economico e quello delle Guerre.
Una triste evoluzione è in atto: i “Liberatori” si sono
trasformati in carnefici sotto gli occhi indifferenti
del Mondo intero.
George Orwell aveva
ragione nell’affermare che “ In un’epoca di menzogne
universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”
17
novembre
Come sempre
ROSSANA ROSSANDA
Sulla Francia la stampa, specie italiana
e anglosassone, ha dato i numeri. Sabato scorso Parigi
doveva bruciare, le periferie l'avrebbero invasa e
distrutta. Nulla di questo è successo e le testate di lunedì
non sono uscite con un veritiero «forse non avevamo capito»,
ma parlando d'altro. Se Chirac non avesse inflitto ai
francesi un nuovo discorso, oggi Parigi sarebbe dimenticata.
Parigi non è bruciata ma qualcosa di stupefacente è
accaduto. L'intera sinistra non ha neanche finto di opporsi
allo stato d'emergenza che viene da una legge del 1955
durante la guerra di Algeria e porta la macchia di una
giornata del 1961, in cui l'allora prefetto Papon spinse ad
annegare nella Senna duecento algerini. Dopo di allora di
emergenza non si era più parlato, forse per vergogna, finché
non è stata resuscitata in questi giorni per difendere le
auto dai casseur. Soltanto qualche associazione - la Lega
dei diritti dell'uomo, Sos racisme - ha indetto una protesta
ma non è riuscita a raccogliere dietro di sé, ancorché
autorizzata, abbastanza gente. L'opposizione non si è legata
urlando ai banchi dell'Assemblea per contestare
l'oltraggioso provvedimento. Il partito socialista che si
dilania su tutto si è compattato sul «prima ristabiliamo
l'ordine». Ieri l'emergenza è stata prolungata per tre mesi,
vedremo quale eroica lotta sosterrà in Assemblea.
La febbre del sabato sera è stata a Parigi tale e quale
sempre. Il quartiere latino, un tempo più reattivo, era
pieno di giovani che delle banlieues non discutevano
affatto. La polizia era del tutto assente. Né le periferie
si sono fatte vedere in centro, primo perché non sono
kamikaze, secondo perché se Parigi centro se ne frega di
loro - scusate l'espressione - loro se ne fregano di Parigi
centro. Del resto non hanno in mente di fare la rivoluzione,
ne hanno fin sopra i capelli di come sono trattati, senza
prospettive, discriminati nel lavoro, in quartieri desolati.
Ma continueranno a fare qualche fuoco visto che non c'è modo
di farsi ascoltare se non c'è una cinepresa a riprendere
pompieri e poliziotti. Del resto nel 2004 più di
ventitremila auto sono andate in fumo. Qualche fuocherello
si è acceso in altre città, per cui i titoli «Parigi brucia»
sono trasformati in «la Francia brucia». Marsiglia, la città
di più forte immigrazione, che si è bloccata contro la
privatizzazione di un traghetto per la Corsica, non ha
battuto ciglio. La grande maggioranza dei sindaci non ha
chiesto il coprifuoco neanche nelle «periferie sensibili»,
grazioso eufemismo. Solo la magistratura imperversa su un
centinaio di ragazzi arrestati, processandoli per
direttissima, condannando a uno, due, sei mesi dei ventenni
che non ne usciranno certo più devoti alle istituzioni. C'è
chi ha scritto, e non solo a destra: la repubblica non ha
sparato sui suoi figli. Come se lo avesse ritenuto
fastidioso ma possibile. Scordavo: una cosa è avvenuta, che
il ministro degli interni Sarkozy, andato sugli Champs
Élisée per ispezionare la polizia incaricata di difendere la
capitale è stato fischiato non dai casseur ma dai passanti e
si è dovuto ritirare in fretta.
Perché l'importante è che non succeda
niente, che tutto continui come prima. Sono state
velocemente restaurate le poche misure che il governo Jospin
aveva preso in favore di quei quartieri e che l'attuale
governo aveva abolito in nome del risanamento del bilancio,
solfa europea. Filosofi e sociologi hanno invaso la scena
poco disposti a rilevare l'evidente concreto disagio
sociale. Egdar Morin è rimasto neutro, il nostro amico Jean
Luc Nancy ha divagato sulla destrutturazione della
repubblica, André Gluksmann ha sostenuto che quei ragazzi
non protestano perché sono poco integrati ma perché lo sono
troppo. E la Francia è rissosa per natura. E giù altri con
la diatriba sul modello francese o anglosassone di
integrazione su cui le parole di maggior buonsenso sono
state scritte da Tommaso Padoa-Schioppa come se, duole
dirlo, la Banca centrale avesse i piedi per terra più di
altri. Nulla è risolto e nulla è finito. La brace resta
accesa. L'estrema sinistra discuterà a lungo se quei ragazzi
farebbero meglio ad avere un progetto o se è più
rivoluzionario che non ne abbiano nessuno. La vita continua.
FRANCOFORTE
- La Banca Centrale Europea (BCE)
ha annunciato una misura draconiana: non
accetterà, come collaterale per emettere i suoi
prestiti agli Stati europei (ex) sovrani, Buoni del
Tesoro emessi da quegli Stati e classificati al
disotto di «A-».
La misura pende anzitutto come una spada di Damocle
sulla Grecia, i cui titoli del debito pubblico hanno
un rating «A», poi sul Portogallo (AA-) e
sull'Italia (AA- con tendenza «negativa»).
Dunque la Banca «europea» si affida ad agenzie di
rating americane tipo Standard & Poors (sono loro
che danno i voti), le quali non hanno nulla di
obbiettivo - legate come sono all'ideologia e agli
interessi finanziari speculativi USA - per giudicare
la nostra affidabilità come debitori.
E la minaccia pregiudica in primo luogo proprio
l'Italia.
I Buoni del Tesoro italiani sono quasi un terzo dei
titoli trattati nella zona euro, grazie a Ciampi che
decise di indebitare l'Italia con l'estero anziché,
come prima, con i suoi cittadini.
Se la BCE non accetterà più i nostri titoli, li
renderà non negoziabili sul mercato.
I nostri tassi d'interesse schizzeranno alle stelle.
Forse per noi cittadini non tutto il male verrebbe
per nuocere: ricominceremmo a comprare BOT
redditizi, anziché dilapidare i nostri risparmi in
«investimenti consigliati» dai banchieri, tipo
Parmalat o Argentina.
Ma «l'EIR
Strategic Alert» ci segnala un altro
scenario, non meno inquietante.
La BCE
avrebbe fatto questo passo come prima fase di un
progetto per arrivare a una Europa Monetaria
«ristretta» a Francia, Germania (e Lussemburgo,
Liechtenstein, ecc.), escludendo i Paesi meno
virtuosi, come Italia, Grecia, Portogallo.
L'EIR prosegue: «questo della 'eurozona
ristretta' è uno scenario messo a punto da ambienti
oligarchici che intendono 'mantenere in vita l'euro
dopo la sua morte'. Il trucco dovrebbe servire
soprattutto a tenere la Germania entro una UME 'riformata e
snellita' in modo tale da impedirle di liberarsi
dalle pastoie di Maastricht e tornare così al marco
tedesco, cioè capace di emettere sovranamente il
credito per lo sviluppo. Questo progetto ha i suoi
principali sostenitori in Francia, soprattutto tra
gli eredi di quel Mitterrand che volle impastoiare
la Germania
con l'euro, come prezzo per la riunificazione
tedesca. In tale contesto, il 10 novembre, la BCE è
intervenuta per bloccare la proposta di riforma
della Banca d'Italia preparata dal governo, che
comprende un trasferimento delle azioni della Banca
Centrale, possedute dai privati, allo Stato. Il
rappresentante della BCE Lorenzo Bini Smaghi ha
annunciato che se la riforma della Banca d'Italia
sarà approvata,
la BCE farà ricorso alla Corte di
Giustizia Europea in quanto la riforma violerebbe le
regole di 'indipendenza' delle Banche Centrali».
Palesemente la BCE non vuole il controllo
dello Stato nemmeno sulla spettrale
Bankitalia: ciò che teme è la sovranità monetaria
degli Stati, ed è decisa a ricorrere ad ogni mezzo,
anche rovinoso, per mantenerci in riga.
La Banca d'Italia resterà perciò proprietà
privata, delle banche controllanti-controllate
(collegate alla «oligarchia») ma, piccolo
particolare, gli stipendi di Bankitalia restano a
carico nostro, ossia di noi contribuenti.
E sono stipendi enormi, come abbiamo appreso: un
dipendente della nostra Banca Centrale prende in
media (da noi) 153 mila dollari l'anno, contro i 91
mila dollari della Banca Centrale USA, la Federal
Reserve.
Il monte-stipendi di Bankitalia è tra i più salati
del mondo; ci costa 1,237 miliardi di dollari l'anno
(oltre un miliardo di euro, 2.000 miliardi di lire),
contro i 1,009 della Banca Centrale tedesca, e i 377
milioni (non miliardi) della Banca Centrale del
Giappone.
La Federal Reserve costa di più
(1,5 miliardi di dollari) ma ha parecchie
responsabilità in più, e fra l'altro è una banca di
emissione, cosa che la nostra inutile Bankitalia ha
cessato di essere.
Ma gli
stipendi dei nostri principi della banca
«pubblica» e privata sono aumentati del 10%
nell'ultimo anno.
C'è da chiedersi perché dobbiamo pagare tanto i
servizi che degli incompetenti rendono non al popolo
italiano, ma alle oligarchie di cui sono servi?
Se li paghino gli oligarchi, i loro maggiordomi.
16
novembre
Una ventina di
casi, dal 2001 ad oggi, in cui il premier ha fatto
importanti
affermazioni che poi ha smentito o sono state smentite dagli
interressati
Casa,
pensioni, Iraq e tante altre
le autosmentite di Berlusconi
di MATTEO TONELLI
Silvio Berlusconi
ROMA - Affermazioni importanti seguite da immediata
autosmentita. A Berlusconi, in cinque anni di governo, è
successo molto spesso. Le ultime (sulla casa e sulle
pensioni) sono recentissime. A volte il premier assicura di
essere stato male interpretato, a volte fa proprio marcia
indietro, in altre occasioni sono i diretti interessati a
smentire. Una rapida ricerca in archivio ha prodotto questo
elenco. Sicuramente incompleto.
La casa agli italiani. Sorrento, 11 novembre 2005,
Berlusconi lancia il suo progetto davanti ai giovani di
Forza Italia: "Daremo una casa a tutti gli italiani in
difficoltà. Sono il 19% della popolazione, ma abbiamo un
piano fattibile". Ieri ha precisato: "Non ho detto a tutti
gli italiani, ma solo a quelli sfrattati"
Pensione a 68 anni. 3 novembre 2005: "Un orizzonte
che non dobbiamo precluderci, l'innalzamento dell'età
pensionabile a 68 anni". Il 15 novembre spiega: "Io non ho
proposto di spostare l'età pensionabile a 68 anni"
Bush e le elezioni italiane. 31 ottobre 2005. A
Washington, parlando con i giornalisti dopo l'incontro con
il presidente Usa, dice: "Bush teme un cambio di governo in
Italia". Vittorio Zucconi di Repubblica, gli chiede:
"Presidente, a scanso di equivoci, lei ci sta dicendo che il
presidente Bush ha espresso a lei una preferenza elettorale
contro il centro sinistra?". Il premier, allora, precisa:
"Non mi ha detto esattamente così Bush, ma è evidente che
sentendo le dichiarazioni dei leader della sinistra che
affermano che se vincessero le elezioni farebbero come
Zapatero ritirando le truppe dall'Iraq, basta fare uno più
uno per capire come la pensa il presidente americano. Come
sempre gli Stati Uniti non interferiscono nei problemi
interni di altri paesi, specialmente nei periodi elettorali
e pre-elettorali".
Centristi
traditori. 16 agosto 2005. Intervistato dalla
Stampa, riferendosi ai centristi della Cdl, dice: "C'è
chi pensa di salvarsi offrendosi al vincitore, ma parte
da una valutazione errata". Immediata la reazione di
Follini: "L'evocazione di doppigiochi, tradimenti e
passaggi di campo nei confronti di un partito coerente e
sicuro come l'Udc è semplicemente miserevole. Ci
aspettiamo dal presidente del Consiglio una smentita
chiara e netta". E la smentita arriva puntuale, affidata
a Boniauti: "Nessuno in Forza Italia, tantomeno il
presidente Berlusconi, ha pronunciato parole legate al
concetto di tradimento o di traditore nei confronti dei
nostri alleati".
Risanamento Alitalia. 29 aprile 2005: Berlusconi
annuncia che il piano di risanamento dell'Alitalia è
stato accettato dalla Commissione europea. Immediata la
smentita di Bruxelles: "Nessuna decisione è stata
presa".
Andare a Nassiriya. "Non sento alcun bisogno di
andare a Nassiriya, sarebbe solo una operazione
dimostrativa e retorica" (26-3-2004). Il 10 aprile
Berlusconi va in visita a Nassiriya.
Unto e bisunto. "Io unto del Signore? Non ho mai
pronunciato questa sciocchezza" (9-3-2004). "Io sono
l'unto del Signore, c'è qualcosa di divino nell'essere
scelto dalla gente. E sarebbe grave che qualcuno che è
stato scelto dalla gente, l'unto del Signore, possa
pensare di tradire il mandato dei cittadini"
(25-11-1994).
Lifting forzato. "Io il lifting non lo volevo
fare. Sono stato tirato dentro a farlo. È stata Veronica
a spingermi a fare il lifting" (27-1-2004). Poi Veronica
lo smentisce: "Il lifting è stata un'idea sua".
Fascismo buono. "Mussolini non ha mai ucciso
nessuno: gli oppositori li mandava in vacanza al
confino" (intervista a 'The Spectator', 4-9-2003). Il 17
Berlusconi cerca di smorzare l'intervista allo 'Spectator':
"Eravamo alla seconda bottiglia di champagne". Ma gli
intervistatori lo smentiscono: "Abbiamo bevuto solo tè
freddo" (19-9-2003.).
Giudici matti. Nella stessaintervista a "Spectator",
il premier disse anche che i magistrati: "Per fare i
giudici bisogna essere dei disturbati mentali".
Protestarono un po' tutti: dall'Anm, alle sorelle di
Falcone e Borsellino. Fini parlò esplicitamente di
"gaffe". Allora spiega: "Io non sono un politico, non
bado alle critiche. Dico quello che pensa la gente".
Legge Gasparri. Berlusconi, uscendo dal Quirinale,
annuncia che Ciampi è d'accordo sulla legge Gasparri. Il
Quirinale smentisce: "Non ne abbiamo mai parlato"
(2-8-2003). Berlusconi deve rettificare dando la colpa
ai giornalisti.
Lodo Maccanico. "Io non c'entro nulla con questo
Lodo: è stata un'iniziativa autonoma del Parlamento,
sostenuta dal presidente della Repubblica" (30-6-2003).
Immediata la smentita del Quirinale, cui segue la
precisazione del sottosegretario Paolo Bonaiuti: "Il
lodo Maccanico è una iniziativa parlamentare. E a questa
proposta il presidente della Repubblica è ovviamente
estraneo".
Conflitto di interessi. "Il conflitto d'interessi
sarà risolto nei primi cento giorni del mio governo"
(5-5-2001). "Il conflitto d'interessi è una leggenda
metropolitana" (19-12-2003). La legge sul conflitto
d'interessi non è stata ancora approvata.
Condono per gli altri. "Mediaset non farà alcun
ricorso al condono fiscale" (30-12-2002). Cinque mesi
dopo 'L'espressò scopre che Mediaset ha regolarmente
fatto ricorso al condono, risparmiando circa 120 milioni
di euro di imposte. Un anno dopo accade di nuovo.
Armi sì, armi no. "Credo che ormai in Iraq non ci
siano più armi di distruzione di massa" (16-10-2002).
"Non ho mai detto che Saddam non ha armi di distruzione
di massa. Dico solo che ha avuto il tempo di
distruggerle o di metterle da qualche altra parte"
(17-10-2002).
Guerra senza Onu. "Se Saddam non cede, l'attacco
sarà a gennaio e sarebbe inutile una seconda risoluzione
come chiede la Francia, sarebbe un nonsenso"
(14-9-2002). "Siamo per una risoluzione dell'Onu che dia
termini precisi a Saddam e stabilisca l'intervento
militare se Saddam non dovesse accettare la risoluzione"
(25-9-2002). "Con realismo bisogna dire che non c'è
alternativa alle due risoluzioni dell'Onu "
(16-10-2002).
Nesta mai. "Comprare Alessandro Nesta? Sono cose
che non hanno più nulla di economico, di morale. Nel
calcio abbiamo sbagliato tutti, ora basta"(23-8-2002).
L'indomani il Milan annuncia l'acquisto di Nesta.
Legge Cirami. "Non capisco tutta questa fretta
per la legge Cirami sul legittimo sospetto" (31-7-2002).
"La legge sul legittimo sospetto è una priorità per il
governo" (30-8-2002).
Ok dall'Europa. "Ho fatto un'esposizione sommaria
della legge finanziaria e ho trovato un'ottima
accoglienza sia da Prodi sia dal commissario Pedro
Solbes" (10-10-2001). Prodi cade dalle nuvole. Solbes lo
smentisce. Berlusconi fa retromarcia: "Io ho illustrato
l'azione del mio governo, Prodi e Solbes mi hanno
ascoltato in silenzio".
Scontro di civiltà. "Noi
dobbiamo essere consapevoli della superiorità della
nostra civiltà... Dobbiamo evitare di mettere le due
civiltà, quella islamica e quella nostra sullo stesso
piano... La nostra civiltà deve estendere a chi è
rimasto indietro di almeno 1.400 anni nella storia i
benefici e le conquiste che l'Occidente conosce."
(26-9-2001). Poi di fronte alla richiesta di scuse
presentata da una serie di governi arabi dice al
giornale 'Asharq al-Awsat':"Perché dovrei scusarmi? Per
qualche cosa che non ho detto? Non ho detto nulla di
sbagliato, loro (alcuni giornalisti, ndr) mi hanno fatto
dire qualche cosa che non ho detto". (2-10-2001)
15
novembre
IL COMMENTO
I
federalisti
immaginari
di MASSIMO GIANNINI
Giulio Tremonti è costretto a incassare un brutto colpo
dalla Consulta. Non è la prima volta che una sentenza
della Corte si abbatte come un macigno sul bilancio
dello Stato. Ai bei tempi della Prima Repubblica, quando
non c'era ancora il "vincolo esterno" dell'Europa a
imporre un po' di sano rigore finanziario, le manovre
del pentapartito venivano smontate quasi ogni anno dai
giudici costituzionali, costretti a ridurle un colabrodo
dall'imperizia o dalla furbizia del legislatore,
soprattutto sul fronte della spesa previdenziale. Di per
sé, quindi, non è uno scandalo che la stessa sorte
tocchi adesso all'ultima Finanziaria del governo
Berlusconi.
Il fatto nuovo, e gravido di qualche conseguenza, è che
la pronuncia emessa ieri non va a toccare solo la Legge
di bilancio di un anno fa, ma anche la posta più
"preziosa" dal punto di vista del gettito, e più
controversa dal punto di vista politico, di tutta la
manovra di quest'anno: i tagli agli enti locali. Una
posta che vale all'incirca 3,5 miliardi di euro.
La Consulta, alla luce della riforma del Titolo V
approvata nella scorsa legislatura, ha fissato due
principi rilevanti. Da un lato ha stabilito quello che
lo Stato centrale non può fare: imporre alle regioni, ai
comuni e alle province, vincoli sulle singole voci di
spesa. Per questo, ha giudicato incostituzionali, perché
in contrasto con gli articoli 117 e 119 della Carta
riformata nel 2000, due norme della Finanziaria 2005,
con le quali il governo aveva obbligato gli enti locali
a tagli di spesa sulle consulenze esterne, sulle
missioni all'estero, sulle spese di rappresentanza e di
pubbliche relazioni nell'ordine del 15%, e su beni e
servizi (auto blu, carburanti, carta, mense e così via)
nell'ordine del 10%. Dall'altro lato, ha chiarito ciò
che lo Stato centrale può fare: imporre "principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica".
Per questo, sono legittimi i tetti di spesa di carattere
generale, ai quali gli enti locali si possono attenere,
ma conservando una propria discrezionalità quanto alla
distribuzione dei tagli nei diversi settori
dell'amministrazione.
La sentenza
è rilevante sul piano tecnico-finanziario. Apre una
falla di entità ancora non quantificabile sui conti
dell'anno passato. Ma un ammanco rischia di crearsi
anche sui conti del 2006. Stando alla motivazione dei
giudici, non dovrebbero correre rischi i due tetti
complessivi che il governo ha imposto per l'anno
prossimo, cioè il 3,8% sulla spesa delle regioni e il
6,7% su quella di comuni e province.
Ma nella Finanziaria all'esame della Camera ci sono
almeno altre tre norme che hanno le stesse
caratteristiche di quelle giudicate illegittime dalla
Corte nella manovra 2005. Si tratta dell'articolo 1 del
disegno di legge, che al comma 6 fissa agli enti locali
una spesa annua 2006 per studi ed incarichi di
consulenza esterna non superiore al 50% di quella
sostenuta nel 2004. Lo stesso articolo fissa un tetto
analogo al comma 7, sulle spese per convegni, mostre,
relazioni pubbliche, pubblicità e rappresentanza, e al
comma 9 sulle spese sostenute per acquisto e
manutenzione delle auto blu. E' evidente, adesso, che
queste norme non stanno più in piedi. Con buona pace dei
rappresentanti della Cdl, che ora saranno costretti a
rimettere mano al testo, pernon incappare nell'ennesimo
strappo costituzionale.
Quello della Consulta non sarà un colpo di spugna che
cancella l'intera Finanziaria. Probabilmente ha ragione
Tremonti a dire che i saldi contabili complessivi non
vengono intaccati, e che sarà rafforzato il Patto di
stabilità interno. Ma resta il fatto che, nell'aspro
contenzioso che vede schierati da un mese e mezzo il
governo da una parte, i governatori e i sindaci
dall'altra, questi ultimi hanno messo a segno un punto a
loro favore.
La sentenza è ancora più importante sul piano politico-
istituzionale. Quando i giudici arrivano ad invalidare
le norme varate dal governo perché costituiscono
"un'inammissibile ingerenza nell'autonomia degli enti
locali", svelano la palese contraddizione che ha
caratterizzato l'intera legislatura del Polo. Da una
parte la retorica padana delle piccole patrie,
dall'altra la fame di risorse del solito Leviatano. Da
una parte il feticcio della devolution, dall'altra
l'icona di Colbert.
Quest'ultima Finanziaria, da questo punto di vista, è un
vero capolavoro di funambolismo. La maggioranza, cui si
deve una riforma costituzionale che sfascia l'unità
repubblicana, evita l'impopolarità di intestare i tagli
al Welfare all'Amministrazione centrale, e scarica la
responsabilità di "tosare la pecora" alle
amministrazioni locali. Ma ora, anche grazie alla
Consulta, il trucco è svelato una volta di più. E questo
sì, è un colpo al cuore alla politica del centrodestra.
Ne mette a nudo la propaganda formale, ma ne tradisce
l'inefficacia sostanziale.
Ora si discuterà a lungo se, come
dicono Prodi e l'opposizione, bisognerà riscrivere la
manovra. Oppure se, come obiettano il Tesoro e la
maggioranza, la manovra resta valida e si potrà inserire
tutt'al più una norma interpretativa. Ma il punto vero
non è questo. A pochi mesi dal voto, dalla Casa delle
Libertà viene giù un altro mattone. Tremonti,
giustamente, ripete che non si può andare avanti con la
spesa fatta in periferia e la "presa" fatta dal centro,
che così si rompe il "circuito democratico", che ora più
che mai "serve il federalismo fiscale". Tutto vero. Ma
hanno governato per cinque anni. E con la maggioranza
più schiacciante di tutti i tempi. Nel 2001 il
federalismo fiscale era il loro vessillo elettorale, il
loro credo laico. Se era così fondamentale, perché non
hanno realizzato quello, invece di avvelenare l'Italia
di leggi contro la giustizia e contro il buon senso?
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Falluja,
l'umanità violata.
di Domenico
Gallo
Quello che è successo a Falluja nel novembre del 2004 non
può essere archiviato nel capitolo delle atrocità che sono
conseguenze inevitabili di ogni conflitto bellico.
Per quanto la
guerra sia un evento che rende leciti fatti che, nel tempo
ordinario, sono universalmente considerati criminosi e
inaccettabili, tuttavia anche l'uso della violenza bellica è
regolato dal diritto (ius in bello) e incontra dei
limiti, che le leggi dell'umanità considerano invalicabili.
Le regole fondamentali che riguardano i metodi e i mezzi di
guerra si poggiano su tre pilastri:
1. In ogni
conflitto armato il diritto delle parti di scegliere metodi
e mezzi di guerra non è illimitato.
2. È vietato
l'impiego di armi, proiettili e sostanze nonché metodi di
guerra, capaci di causare mali superflui o sofferenze
inutili.
3. Sono vietati
gli attacchi indiscriminati.
Queste regole
sono espresse in maniera molto chiara nel I Protocollo
aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, siglato l'8
giugno del 1977, ma non sono state inventate con il
Protocollo di Ginevra, perché esistevano già come princìpi
di diritto consuetudinario. Pertanto vincolano tutti gli
Stati, compresi quelli (come gli Stati Uniti) che non hanno
ratificato il Protocollo di Ginevra. Esse traggono origine
dalla notte dei tempi ed esprimono la riprovazione
dell'umanità intera per le pratiche più crudeli emerse nel
corso della storia.
Per quanto la
guerra consista in un omicidio di massa (Kelsen), non tutti
i metodi per uccidere sono leciti e non tutti gli
appartenenti alla popolazione nemica possono essere uccisi.
Il principio che vieta di infliggere mali superflui, per
esempio, vieta di uccidere i nemici, infliggendo loro una
morte lenta e atrocemente dolorosa, come faceva il Conte
Dracula con la pratica dell'impalazione, o di scorticarli
vivi, come fecero i turchi a Famagosta nel 1571 con il
console Veneziano Marcantonio Bragadin. Per questo già nel
1600 fu proibito l'uso del veleno in guerra o delle armi
avvelenate.
Nel 1868 con il trattato di San Pietroburgo fu proibito
l'uso di proiettili esplosivi di peso inferiore a 400 grammi
e nel 1899 alla I Conferenza della pace dell'Aja furono
vietate le pallottole dum-dum e l'interdizione di armi
arrecanti mali superflui fu trasformata in principio
generale.
Con il
Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925 fu interdetto l'uso
in guerra di «gas asfissianti, tossici o simili, nonché di
tutti i liquidi, materiali o procedimenti analoghi».
La Convenzione
di Ginevra del 10 ottobre 1980 (alla quale hanno aderito
anche gli Stati Uniti) ha nuovamente ribadito il principio
del diritto internazionale generale secondo cui il diritto
delle parti di un conflitto armato nella scelta dei mezzi e
dei metodi di guerra non è illimitato e il principio che
vieta di impiegare nei conflitti armati armi, proiettili e
materie nonché metodi di guerra capaci di provocare mali
superflui. In applicazione di tali princìpi sono stati
stipulati tre Protocolli, il I, relativo alle schegge non
localizzabili, il II, relativo al divieto o alla limitazione
dell'impiego di mine trappole e altri dispositivi, il III,
relativo al divieto o alla limitazione delle armi
incendiarie (a cui gli Stati Uniti non hanno aderito).
L'interdizione
delle armi chimiche è divenuta totale con la Convenzione di
Parigi del 13 gennaio 1993, con la quale, oltre all'uso è
stata vietata anche la produzione e lo stoccaggio delle armi
chimiche e ne è stato disposto lo smantellamento ed è stata
creata un'apposita organizzazione internazionale con poteri
di monitoraggio e di verifica.
Le norme e i
princìpi espressi in tali Trattati sono state ribaditi e
ulteriormente definiti con lo Statuto della Corte Penale
Internazionale, a seguito del Trattato di Roma del 17 luglio
1998. In particolare l'art. 8 vieta di «utilizzare gas
asfissianti, tossici, o altri gas simili e tutti i liquidi,
materiali e strumenti analoghi» e di utilizzare «armi,
proiettili, materiali e metodi di combattimento con
caratteristiche tali da cagionare lesioni superflue o
sofferenze non necessarie o che colpiscono, per la loro
natura, in modo indiscriminato in violazione del diritto
internazionale dei conflitti armati».
È ben vero che
il diritto bellico sconta un'imperfezione di fondo in
quanto, a fronte del divieto esplicito di usare le frecce
avvelenate, non contiene un altrettanto esplicito divieto di
utilizzare armi molto più catastrofiche, come le armi
nucleari. Tuttavia una storica sentenza della Corte di
Giustizia dell'Onu del luglio 1996 ha dichiarato che l'uso
delle armi nucleari deve considerarsi vietato in quanto
viola i princìpi fondamentali del diritto bellico: il
divieto di cagionare sofferenze superflue e il divieto di
attacchi indiscriminati. Le considerazioni che sono alla
base dell'interdizione dell'uso delle armi nucleari valgono
anche per l'utilizzo bellico di un agente chimico come il
fosforo bianco, che l'esercito Usa ha impiegato per lanciare
degli attacchi «shake and bake» (scuoti ed inforna), come
documentato dalla rivista Field Artillery. Infatti l'impiego
di queste munizioni nei confronti di un agglomerato urbano
colpisce in modo indiscriminato, uccidendo tutti gli esseri
viventi che si trovano nell'area e, nello stesso tempo,
causa sofferenze superflue, cuocendo gli esseri viventi,
come se fossero messi in un forno.
Nella battaglia
di Falluja sono stati calpestati tutti i princìpi che il
diritto bellico umanitario ha tracciato a presidio di valori
essenziali per l'umanità intera. Non a caso i crimini di
guerra, i crimini contro l'umanità e il genocidio rientrano
nella categoria dei delicta iuris gentium e i loro
autori sono considerati nemici del genere umano.
14
novembre
Tra coloro che non sanno
leggere e scrivere e chi ha solo licenza media o
elementare, oltre la metà della popolazione è in
condizione di difficoltà
Quasi sei milioni di analfabeti
e il 66% degli italiani è a rischio
ROMA - Quasi sei milioni
di cittadini italiani, il 12% della nostra
popolazione (5.981.579 persone per la precisione),
sono analfabeti e senza alcun titolo di studio. È
quanto emerge da un'inchiesta dell'Università di
Castel Sant'Angelo dell'Unla (Unione Nazionale per
la Lotta contro l'Analfabetismo) sull'arretratezza e
gli squilibri educativi nell'Italia di oggi.
La ricerca, che si basa sui dati del censimento
Istat del 2001, mostra come i cittadini italiani per
quanto riguarda il livello d'istruzione raggiunta
formino una "piramide appuntita": in alto, il 7,5%
pari a circa 4 milioni, figurano i laureati; subito
sotto coloro che hanno frequentato la scuola
superiore (il 25,85% della popolazione). Segue la
scuola media (30,12%), mentre il 36,52% dei
cittadini hanno frequentato solo la scuola
elementare. In particolare, questi ultimi due dati
sono molto importanti, perché, essendo le licenze
media e elementare insufficienti per affacciarsi sul
mondo del lavoro di oggi, se aggregati insieme a
quelli degli analfabeti totali si arriva alla cifra
impressionante di quasi 36 milioni (il 66% della
popolazione) di "ana-alfabeti", e cioè del tutto
analfabeti o appena alfabeti.
A livello territoriale, poi, nove regioni
(Basilicata in testa, poi Calabria, Molise, Sicilia,
Puglia, Abruzzo, Campania, Sardegna, Umbria) si
attestano oltre la soglia di allarme dell'8%,
calcolata dagli studiosi riguardo alla popolazione
senza titolo di studio. Stessa situazione per le
città con oltre i 250 mila abitanti: la maggio
quantità di "ana-alfabeti" è a Catania, con l'8,4%,
seguita da Palermo, Bari e Napoli. A livello
mondiale, infine, l'Italia, in base ai dati Ocse
2004, si colloca al terz'ultimo posto nella
classifica dei primi trenta paesi più istruiti,
seguita solo da Portogallo e Messico.
"Tra il 20 e il 25% di ragazzi e ragazze che escono
dalla scuola media inferiore non sa leggere o
scrivere, segno inequivocabile che la la scuola
dell'obbligo non ha fruttato. Aggredire questa massa
significa dare un contributo straordinario al lavoro
ordinario della scuola" è il grido d'allarme di
Tullio De Mauro, docente di Linguistica
all'Università "La Sapienza" di Roma.
"L'investimento nella scuola ordinaria - continua De
Mauro - deve essere al centro dei nostri pensieri,
ma rende dopo anni. L'educazione degli adulti,
invece, ritorna immediatamente, e da questo punto di
vista è grave la negligenza del governo.
D'accordo anche Sergio Zavoli, giornalista e
senatore Ds, che avanza una proposta innovativa: "In
un tempo in cui la rivoluzione non è più il
cambiamento ma è la velocità di questo, ascoltando
questi dati abbiamo appreso che siamo tra i Paesi
più attardati rispetto a questo fenomeno. Credo che
sia il tempo di realizzare una forte sinergia tra
scuola e tv: quest'ultima non solo deve informare,
ma comunicare, trasmettere valori. Scuola e tv
devono ricostruire un rapporto".
La
libertà delle case
GUGLIELMO RAGOZZINO
La casa delle libertà si è trasformata per un
giorno nella libertà delle case. Il proprietario, Silvio Berlusconi,
ha promesso una casa per gli italiani che ne mancano. Egli ha preso
un «impegno a costruire le abitazioni per tutto quel 19% di famiglie
italiane che vive in condizioni di vita grama non causata da questo
governo». C'è un'ambiguità irrisolta; sembra che Berlusconi escluda
dal regalo della casa le famiglie che hanno la vita grama per
effetto del suo governo; ma è quasi certo che sia stato frainteso,
da quel filantropo privo di rancori che è. Egli darà la casa a tutte
le famiglie che ne sono prive, anche a quelle che il suo governo ha
danneggiato; oltre che a quelle che sono state impoverite dai
precedenti governi, tutti zeppi di comunisti. L'impresa alla quale
Berlusconi si accinge è titanica. Le famiglie in Italia sono 20
milioni e dunque si tratta di costruire alloggi nuovi per 3,8
milioni di famiglie. In passato un'impresa simile (un'abitazione per
il 20% delle famiglie) è stata compiuta, tra il 1951 e il 1991. Sono
i 40 anni in cui il nostro paese è cresciuto: e la casa era il
principale bene rifugio, oltre che la soluzione a uno dei maggiori
problemi di vita. Inoltre le famiglie erano meno numerose di oggi,
con popolazione aumentata e famiglia media più magra. Possiamo
contare 50 anni per l'adempimento della promessa di Berlusconi?
Berlusconi non ha rivelato il suo piano; ha detto che lo farà più
avanti, quando sarà il momento. Di certo si è posto tutti i problemi
di fattibilità, di uso del territorio, di finanziamenti. In fondo sa
di che si tratta, lui che ha debuttato come costruttore di successo;
i malevoli affermano ancor oggi che si trattava di quartieri facili,
di ghetti per ricchi, in grado di pagarsi casa, giardino e piscina,
mentre l'urbanizzazione - acqua luce gas scuole - era offerta dai
comuni interessati e si risolvevano le rotte degli aerei su Linate
che rischiavano di rendere meno tranquille le notti di Milano due.
Altro il caso di quartieri per persone povere e quindi difficili,
almeno per la morale corrente.
Bisognerà decidere. Una volta si sarebbe appoggiato tutto al
pubblico, come nel noto piano Fanfani-case. Da lì originarono gli
alloggi che durante gli anni bui vennero ceduti in affitto a
lavoratori e immigrati - dal sud d'Italia, dal Veneto - e che ora lo
stato privatizzato vuole mettere a valore. Un nuovo
intervento pubblico, un'altra agenzia, un carrozzone tipo Iri, non
possono piacere alla Casa delle libertà. La sua casa deve
essere costruita da un general contractor. Nei 50 anni
necessari all'opera va poi decisa una priorità tra le povere
famiglie da alloggiare prima delle altre. Si comincia dalle più
vecchie, dalle più giovani, dalle più numerose? si comincia dal
Nord, dal Sud, dai capifamiglia iscritti a qualche cosa? Dai più
emarginati, dai più religiosi?
«Intanto ha cominciato coi ricchi: chi ben comincia è alla metà
dell'opera». Romano Prodi con un po' di ironia descrive così
l'estrosa uscita del primo ministro. Tra gli altri commenti politici
che si possono leggere a pagina 5, spicca quello di assoluto buon
senso di Rosy Bindi che suggerisce di pensare alla casa come valore
d'uso, neanche fosse Carlo Marx. E in questo ordine di idee vale la
pena di riflettere che le abitazioni, secondo l'ultimo censimento,
erano 27,3 milioni e di queste 21,7 milioni, pari al 79,3% erano
occupate stabilmente da una o più persone. Vi erano dunque 6,6
milioni di alloggi liberi, che potevano ben ospitare una buona parte
almeno di 3,8 milioni di famiglie povere. Certo non devono sfuggire
i grandi problemi umani e logistici di una ridistribuzione di beni e
di persone; e anche la spesa necessaria per rendere accettabile
tutto questo alle comunità, ai proprietari delle case, alle famiglie
da sistemare nel modo migliore. Il general contractor e i
suoi amici costruttori guadagnerebbero di meno, ma la spesa
complessiva sarebbe molto inferiore ai 400 miliardi di euro (100mila
euro per alloggio) della soluzione Berlusconi, e ben più rapida di
mezzo secolo. Rispetto a quella di Berlusconi è di gran lunga più
realistica la soluzione di Sandro Medici.
11
novembre
Fosforo, Falluja finì «al
forno»
Che meraviglia, quelle munizioni
al fosforo bianco, «efficaci e versatili»: gli
americani le hanno usate a Falluja negli attacchi
soprannominati shake-and-bake, letteralmente
scuoti-e-inforna. Che funzionavano così: le
munizioni al fosforo servivano a incendiare trincee
e cunicoli ben difesi, i «ribelli» che riuscivano a
uscirne più o meno ustionati venivano mitragliati
dalle normali munizioni esplosive. E' tutto
raccontato con grande precisione e dovizia di
particolari da Field Artillery, bimestrale
dell'Artiglieria da campagna americana. L'autore del
rapporto è un capitano dell'artiglieria, l'editore è
l'esercito degli Stati uniti. Imbarazzante per gli
Usa che hanno sempre negato di aver usato armi
chimiche sulle persone. Tanto imbarazzante che ieri,
dopo essersene accorto, il Dipartimento di stato
americano ha corretto la pagina di smentite
ufficiali del proprio sito internet: «Abbiamo
appreso che alcune delle nostre informazioni non
erano corrette...».
Pennsylvania,
via i membri repubblicani del consiglio scolastico
denunciati per aver introdotto nelle scuole
pubbliche la teoria del "disegno intelligente"
Usa: licenziati i
prof anti-Darwin
prima della decisione dei giudici
di DANIELE SEMERARO
Una
manifestazione di protesta a Dover in
Pennsylvania contro il "disegno intelligente"
Si è conclusa - per adesso - con la "bocciatura" di
otto membri su nove del consiglio scolastico di
Dover, nello stato americano della Pennsylvania, la
polemica sullo studio dell'evoluzione che aveva
messo la loro città al centro dell'attenzione per
aver promosso il cosiddetto "disegno intelligente"
in alternativa al Darwinismo.
Gli otto, tutti repubblicani, saranno sostituiti,
secondo quanto deciso dagli elettori, da otto
colleghi democratici, che si oppongono a modificare
il curriculum delle scuole pubbliche in senso
creazionista. I membri licenziati, infatti, erano
stati i primi a introdurre in un distretto
scolastico americano la teoria, di moda tra gli
evangelici statunitensi, secondo cui il processo
dell'evoluzione è così complesso che non può essere
immaginato al di fuori di un "disegno intelligente"
creativo. L'universo, secondo questa "scuola di
pensiero", è rappresentato come un'entità talmente
complessa che dev'essere stato necessariamente
creato da una "forza superiore".
E così ai ragazzi veniva insegnato che la teoria
evoluzionistica di Charles Darwin (secondo cui
l'uomo sarebbe un'evoluzione della scimmia) è
incompleta e ha dei buchi. La vicenda era poi
finita, con grande clamore anche internazionale, in
tribunale dopo la denuncia di undici genitori:
secondo l'accusa, infatti, la teoria del "disegno
intelligente" promuove la versione della creazione
trasmessa dalla Bibbia, e, quindi, viola la
separazione costituzionale tra Stato e Chiesa.
Secondo la maggior parte degli scienziati, infatti,
il questa teoria non è scientifica, ma si tratta
piuttosto di una forma di creazionismo che, secondo
una sentenza della Corte Suprema del 1987, non può
essere insegnata nelle scuole. Per adesso il
processo si è concluso la settimana scorsa presso la
Corte Federale di Harrisburg, ma la sentenza
definitiva arriverà probabilmente a gennaio.
Una controversia simile, ma con la
vittoria per 6 voti a 4 dei fautori del "disegno
intelligente", era avvenuta pochi giorni prima nel
distretto scolastico del Kansas. Il consiglio, però,
questa volta ha approvato una mozione secondo la
quale nelle scuole pubbliche si deve insegnare che
ci sono ancora dubbi sulla teoria dell'evoluzione
darwiniana.
Il caso italiano. Solo pochi giorni fa la
rivista Micromega aveva pubblicato un documento che
svelava un intervento censorio del ministero
dell'Istruzione sul documento della commissione, di
cui facevano parte anche i premi nobel Rita Levi
Montalcini e Carlo Rubbia, istituita dopo
l'insurrezione seguita - due anni fa - alle
restrittive indicazioni sull'insegnamentoo di Darwin
a scuola. La commissione aveva consegnato al
ministero un rapporto nel quale si leggeva, tra
l'altro, che "trascurare l'insegnamento
dell'evoluzione [...] sarebbe un errore
intollerabile in una società che si ritiene civile".
Del documento, però, si persero le tracce, fino alla
recente scoperta della rivista: è stato tagliato in
alcune parti significative.
10 novembre
Modello periferia
ROSSANA ROSSANDA
Le periferie parigine sono in tumulto e
Romano Prodi ha ammonito: le nostre non sono meno degradate.
Forza Italia gli ha dato dell'incendiario. I sindaci gli hanno
detto che no, le nostre sono diverse. Calderoli invece che sì, e
bisogna cacciare gli immigrati. Pisanu non teme le periferie
perché da noi il luogo del tumulto è la Val di Susa.
L'opposizione ha obiettato «sì, ma». Adriano Sofri scrive
arguzie sulle automobili. Ma Prodi ha ragione, variano soltanto
le dimensioni, che non sono poca cosa. E' il grande agglomerato
urbano che si è formato negli anni dell'espansione, alimentato
dall'immigrazione interna ed esterna, che si separa in zone
invalicabili, e più cresce più si separa per censo. La città
europea è gerarchica. Attorno al nucleo dei signori si sono
andati via via accumulando i poveri e i fragili. A Parigi il
centro è dei signori e degli intellettuali che se lo possono
permettere, oppure dei turisti, e resta governo, potere,
cultura, arte, soldi. Lo circonda una grande fascia di gente
assai per bene, come a Milano o a Roma, di quartieri borghesi
che detestano i blocchi dormitorio che vengono per chilometri
subito dopo, senza soluzione di continuità urbana, dove era una
volta la cintura dei comuni rossi e fumavano le ciminiere delle
grande aziende. Da essi si ritrae anche una quarta fascia di chi
sarebbe disposto ad abitare luoghi più verdi, ma i comuni in cui
arriva ancora qualche lembo di foresta si guardano bene dal
costruire il venti per cento degli alloggi popolari che la legge
prescrive (pena una multa di 150 euro) perché in questo caso la
gente bene non ci verrebbe a stare. Quanto agli immigrati di
ultimo arrivo non hanno quartiere, fanno gli squatter nelle case
vecchie e disabitate dovunque siano, e succede come questa
estate che vi muoiano per incendio nelle condoglianze di tutta
la città. Questa la geografia di una capitale, ma non soltanto
di Parigi.
E' la città tipica dell'Europa affluente, che oggi scricchiola.
Il post industriale non ha bisogno di manodopera, i governi
dismettono gli alloggi calmierati, e quelli che vi si trovano
stentano a pagarsi gli affitti. Questa la geografia sociale che
si può leggere nei blocchi ripetitivi di cemento, nella quantità
di scuole che ci sono o non ci sono, degli insegnanti che ci
vanno o non ci vanno, delle presenze o assenze di teatri, musei,
locali, luoghi di cultura. Nella terza fascia il resto di Parigi
non si inoltra mai. Chi vi era arrivato trenta o quaranta anni
fa trovava lavoro e aveva qualche prospettiva, oggi i suoi
rampolli non lo trovano, e non ne hanno nessuna. Sono nati in
Francia, scolarizzati in Francia, parlano francese. Non
frequentano né scuole né chiese né moschee, non amano una scuola
che non gli promette nulla. Sono per le strade. In rottura con i
genitori, che li rimproverano e con i quali il dialogo, ammesso
che ci sia mai stato, è finito.
Sono in rottura con i simboli di quella
ricchezza radiosa che li ammicca da tutte le parti, manifesti e
tv, che gli è preclusa. Gli è venuta voglia di spaccarli tutti,
non di spaccare tutto - sono dieci giorni che alcune periferie
bruciano ma a nessuno viene in testa di prendere la Bastiglia.
Sono indifferenti se quella che distruggono è l'auto o la
motocicletta del vicino. Gareggiano, come l'età e il cinema
vuole, fra quartiere e quartiere. Non hanno organizzazione, non
è vero che siano infiltrati dalla criminalità della droga, più
che non lo siano le periferie romana o milanese o torinese. Sono
tagliati fuori dall'ascensore sociale, lo sanno e se lo sentono
dire. Hanno cominciato con un solo slogan: «Rispetto, vogliamo
rispetto». E quando il ministro degli interni li ha chiamati
teppaglia è stato come versare benzina sul fuoco. Il governo ha
dichiarato lo stato di emergenza, il primo ministro è venuto
alla tv e se occorre i prefetti decideranno il coprifuoco. Il
primo ministro, diversamente da Sarkozy, ha balbettato di
qualche causa sociale cui però nessuno è in grado di opporre
facili rimedi. Vero, i rimedi sono i posti di lavoro che in
questa fascia sociale mancano fino al cinquanta per cento dei
richiedenti di quella età, mancano scuole qualificate, mancano
case che non siano casermoni, manca una rete associativa e,
soprattutto, manca la fine della discriminazione che si sentono
addosso.
Non si fa in un giorno quel che si è reso precario per anni. Ma
questa precarizzazione cresce un poco di più tutti i giorni. Chi
se la sente di dire che, salvo le dimensioni, questo non succede
anche a Milano, Roma o Bologna? Non è il modello di integrazione
sociale francese che va a pezzi, vanno a pezzi tutti i modelli
di crescita inseguiti da vent'anni a questa parte in Europa, e
cari ai riformisti, una crescita a basso costo del lavoro, se
non senza lavoro e a tagli vigorosi di welfare. Un terzo della
popolazione ne viene tagliata fuori, emarginata. E oggi è
sufficientemente acculturata da non sopportarlo. E
sufficientemente scettica davanti allo spettacolo della politica
da non vedere via d'uscita. Questo è il modello che anche i
nostri riformisti ci propongono, e che in tempi di stagnazione,
se non di recessione, diventa una tagliola crudele. Perché le
istituzioni se ne accorgano ci vogliono le fiamme e i morti. E
quando se ne accorgono altro non sanno fare che mandare i
carabinieri e affollare le galere. Non succede anche da noi?
Il Welfare secondo la Cgil
Un forum per ripensare e rilanciare
le politiche sociali
Il sindacato promuove un incontro per «attrezzarsi alla
ridefinizione del welfare». E per opporsi alla politica di
marginalizzazione di questo governo
GIO. FER.
Un forum come «luogo significativo di
riflessione sul welfare italiano». Questo il manifesto
dell'iniziativa promossa il sette e l'otto novembre dalla
rivista delle politiche sociali, nata più di un anno fa
«dall'esigenza di approfondimento e di confronto della Cgil
sui temi dello stato sociale». Grazie al forum il momento
«cartaceo» si è arricchito di un tavolo di discussione tra i
soggetti sociali per ridefinire concettualmente il proprio
ruolo di protagonisti nell'orizzonte del Welfare e dei suoi
cambiamenti: squilibri demografici, modifiche nel mercato
del lavoro, secolarizzazione della famiglia. Dietro
l'iniziativa si legge infatti anche la necessità di
ripensare ad azioni e strumenti del sindacato. «La Cgil -
sottolinea la direttrice della rivista Maria Luisa
Mirabile - è arrivata alla ridefinizione del welfare
italiano (da prevalentemente occupazionale a maggiormente
universalista e da largamente passivo ad attivante) non
particolarmente attrezzata». Se questa è la premessa che fa
da sfondo sia all'iniziativa editoriale della rivista che a
quella pubblica del forum, il metodo che si è inteso seguire
è quello del «pensare in pubblico» attraverso una
qualificata platea di lettori, studiosi e operatori.
Il calendario delle due giornate è stato fitto di interventi
diversi, coordinati dai segretari confederali della Cgil e
arricchiti da contributi accademici e internazionali.
Quattro i macro-argomenti «attraversati»: modello sociale
europeo, politiche sociali e politiche del lavoro, rapporto
tra welfare locale, decentramento e cittadinanza, giustizia
sociale e sostenibilità del welfare.
Per Achille Passoni, segretario confederale della Cgil, il
forum ( così come la rivista) sono da considerare anche come
importantissimi strumenti per riaffermare la centralità dei
vari soggetti coinvolti nell'idea stessa di Welfare: «E'
dall'inizio del mandato di questo governo che assistiamo a
una progressiva manifestazione di un'idea gerarchica del
rapporto con le regioni e il sistema di autonomie locali.
Anche verso il sindacato l'esecutivo ha manifestato la
stessa insofferenza e volontà di marginalizzazione. Ecco
quindi che il tema della democrazia acquista grandissima
attualità. Pensiamo, a questo proposito, cosa
rappresenterebbe per un pezzo rilevantissimo di stato
sociale e per l'idea stessa di universalismo delle
prestazioni, la devoluzione».
E il discorso si estende anche oltre i nostri confini. La
segretaria generale dello Spi Betty Leone sottolinea infatti
come «la competizione con i paesi in via di sviluppo,
l'invecchiamento della popolazione, l'aumento
dell'immigrazione fanno sì che il modello sociale europeo
può essere mantenuto solo se si definisce un nucleo di
diritti sociali che caratterizzano la cittadinanza europea».
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L'INCHIESTA. Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale le prove su Saddam. Storia del falso dossier uranio che
il Sismi spedì alla Cia
Doppiogiochisti e dilettanti
tutti
gli italiani del Nigergate
L'ammissione di
Martino alla stampa inglese: "Americani e italiani hanno lavorato insieme. E'
stata un'operazione di disinformazione"
di CARLO BONINI e GIUSEPPE
D'AVANZO
Silvio Berlusconi e George W. Bush. Dopo l'11 settembre la
Casa Bianca chiese a tutti gli alleati, e in particolare all'Italia, notizie e
prove che evidenziassero la pericolosità sociale di Saddam Hussein
ROMA - L'intervento militare in Iraq è stato
giustificato da due rivelazioni: Saddam Hussein ha tentato di procurarsi uranio
grezzo (yellowcake) in Niger (1) per arricchirlo con centrifughe costruite con
tubi di alluminio importati dall'Europa (2). Alla costruzione delle due "bufale"
(non si troverà traccia in Iraq né di uranio grezzo né di centrifughe),
collaborano il governo italiano e la sua intelligence militare. Repubblica
ha cercato di ricostruire chi, come, dove e quando ha lavorato e "disseminato"
alle intelligence inglese e americana il falso dossier che è valso una guerra.
Sono le stesse "bufale" che Judith Miller, la reporter che
"ha tradito il suo giornale", pubblica (con Michael Gordon) l'8 settembre 2002.
In una lunga inchiesta sul New York Times, Miller racconta dei tubi di alluminio
con cui Saddam avrebbe potuto realizzare l'arma atomica. E' l'argomento che i
"falchi" dell'Amministrazione Bush attendono.
La "danza di guerra", che segue allo scoop di Judith Miller,
appare a un attento media watcher come Roberto Reale ("Ultime notizie") "uno
spettacolo preparato con cura".
Condoleezza Rice, allora consigliere per la Sicurezza
nazionale alla Casa Bianca, dice: "Non vogliamo che la pistola fumante abbia
l'aspetto di una nube a forma di fungo" (Cnn). Un minaccioso Dick Cheney rincara
la dose a Meet the press: "Sappiamo, con assoluta certezza, che Saddam sta
usando le sue strutture tecniche e commerciali per acquistare il materiale
necessario ad arricchire l'uranio per costruire l'arma nucleare".
E' l'inizio di un'escalation di paura.
26 settembre 2002. Colin Powell avverte il Senato: "Il
tentativo iracheno di ottenere l'uranio è la prova delle sue ambizioni
nucleari".
19 dicembre 2002. L'informazione sul Niger e l'uranio
è inclusa nelle tre pagine del President daily brief che ogni giorno Cia e
Dipartimento di Stato preparano per George W. Bush. L'ambasciatore alle Nazioni
Unite, John Negroponte, ci mette il sigillo: "Perché l'Iraq nasconde l'acquisto
di uranio nigerino?".
28 gennaio 2003. George W. Bush scandisce le 16 parole
che sono una dichiarazione di guerra: "Il governo inglese ha appreso che Saddam
Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio
dall'Africa".
La farina di questo sacco è romana.
Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono
l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un
solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, "di
Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938".
Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday
Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: "E' vero, c'è la mia
mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigerino), ma io sono
stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si
è trattato di un'operazione di disinformazione".
Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell'"operazione". Rocco Martino è a
occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro
mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo
tipo venuto a Roma da Tropea.
Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto.
Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua
pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il
'77 "allontanato per difetti di comportamento". Nell'85 arrestato per estorsione
in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a
sentire i funzionari del ministero della Difesa, "fino al 1999" collabora ancora
con il Sismi. E' un doppiogiochista.
Prende dimora in Lussemburgo al 3 di Rue Hoehl, Sandweiler.
Lavora a stipendio fisso per l'intelligence francese protetto da un'agenzia di
consulenza, "Security development organization office". O, meglio lavora anche
per i francesi. Servo di due padroni, Rocco si arrabatta. Vende ai francesi
notizie sugli italiani e agli italiani notizie raccolte dai i francesi. "Il mio
mestiere è questo. Io vendo informazioni".
Nel 1999, il gaudente Rocco è a corto di quattrini. Come gli
capita quando è "a secco", ne escogita una delle sue. La pensata gli sembra
brillante e priva di rischi. La scintilla che lo illumina è la difficoltà dei
francesi in Niger.
Per farla breve. I francesi, tra il 1999 e il 2000, si
accorgono che c'è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare
un prospero commercio clandestino di uranio. A quali Paesi i contrabbandieri lo
stanno vendendo? I francesi cercano le risposte. Rocco Martino annusa l'affare.
Chiede aiuto a un suo vecchio amico del Sismi. Antonio Nucera.
Carabiniere come Rocco, Antonio è il vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur,
a Roma.
Fa capo alla 1^ e 8^ divisione (contrasto al traffico d'armi
e tecnologie; controspionaggio sulla proliferazione delle armi di distruzione di
massa "nel quadrante africano e mediorientale").
E' una sezione che si è data molto da fare alla fine degli
anni '80 mettendo il sale sulla coda ai tanti spioni che Saddam ha sguinzagliato
per il mondo prima dell'invasione del Kuwait. "Con qualche successo", a sentire
un alto funzionario dell'intelligence italiana che, all'epoca, lavorava per
quella divisione. L'agente ricorda: "Ci riuscì di mettere le mani sui cifrari
nigerini e su un telex dell'ambasciatore Adamou Chékou che annunciava al
ministero degli esteri di Niamey (è la capitale del Niger) la missione di Wissam
Al Zahawie, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, "in qualità di
rappresentante di Saddam Hussein".
Non fu l'unica operazione. Nel porto di Trieste riuscimmo,
per dire, a sequestrare dell'acciaio marangin (garantisce un'ottima resistenza
anche a temperature oltre i 1000 gradi). Secondo noi era destinato alla
costruzione della cascata di centrifughe necessaria a separare i costituenti
dell'uranio. Le informazioni sulla proliferazione nucleare irachena venivano
scambiate, già alla fine degli anni '80, soprattutto con gli inglesi dell'MI6, i
migliori. Lì lavorava, un sincero amico dell'Italia come Hamilton Mac Millan,
peraltro, l'agente segreto che ha iniziato Francesco Cossiga ai misteri dello
spionaggio quando era il "residente" inglese a Roma".
Nucera decide di dare una mano al suo amico Rocco. Quello
gliela mette giù facile. Non c'è nulla che mi puoi dare, un'informazione, un
contatto buono con i nigerini? Basta qualsiasi cosa. I francesi sono assetati
come viandanti nel deserto. Vogliono sapere chi sta comprando sotto banco il
"loro" uranio. Sono disposti a pagare bene, per saperlo.
Nell'archivio della divisione del Sismi, come abbiamo visto,
ci sono documenti utili a cucinare la frittata, guadagnando qualche soldo. C'è
il telex dell'ambasciatore e qualcos'altro si può sempre rimediare
nell'ambasciata nigerina a Roma di via Baiamonti 10. Riconosce, con Repubblica,
il direttore del Sismi, Nicolò Pollari: "Nucera vuole aiutare l'amico. Invita
così una Fonte del Servizio - niente di che, capiamoci; al libro paga sì, ma
ormai improduttiva - a dare una mano a Martino". La Fonte del Servizio lavora
all'ambasciata del Niger a Roma. E' messa male. Vivacchia nel retrobottega del
controspionaggio. Non ha un fisso mensile dall'intelligence italiana. E' a
cottimo, per così dire.
Qui l'informazione, qui il denaro. Comunque poca cosa, pochi
centoni. Anche quelli, nel 2000, sono in pericolo. Da qualche tempo, che
comincia ad essere sciaguratamente lungo, non ha nulla da spiare e dunque nulla
da vendere.
Chiamiamo la fonte "la Signora".
Ora dovreste vederla, "la Signora". Sessant'anni, di più e
non di meno. Una faccia che deve essere stata bella e ora è un foglio
spiegazzato. La si può dire factotum dell'ambasciata nigerina. Aspetto da
vecchia zia paziente. Accento francese. Occhi ammiccanti e complici. Parla
sempre sottovoce. Anche se dice "buongiorno", lo soffia come un piccolo fiato
misterioso che sembra doverti rivelare innominabili verità. Anche "la Signora"
ha bisogno di denaro.
Nucera combina l'incontro. Rocco e "la Signora" non ci
mettono molto ad accordarsi. Qualcosa si può fare. Quel Nucera non è forse il
suo "contatto" ufficiale al Sismi? E allora perché "la Signora" non deve pensare
che sia il Servizio a volere che faccia questa cosa? Che insomma questa cosa sia
utile alla Ditta?
Rocco e "la Signora", astuti vendifumo, con la benedizione di
Nucera, trovano l'accordo. Qualche carta da prendere e vendere c'è. Occorre però
la collaborazione di un nigerino. La Signora indica l'uomo giusto. E' il primo
consigliere di ambasciata Zakaria Yaou Maiga. Come rivela Pollari, "quel Maiga
spende sei volte quel che guadagna".
La combriccola di garbuglioni gaudenti a corto di spiccioli è
pronta all'azione. Rocco Martino, la Signora, Zakaria Yaou Maiga. Nucera, lo
vediamo appena un passo indietro nell'ombra. Maiga si organizza così. Attende
che l'ambasciata chiuda i battenti per il Capodanno del 2001. Finge
un'intrusione con furto. Quando il 2 gennaio 2001, di buon mattino, il secondo
segretario per gli affari amministrativi Arfou Mounkaila denuncia il furto ai
carabinieri della stazione Trionfale, ammette a labbra strette che quei ladri
sono stati molto fiacchi. Tanto rumore, e fatica, per nulla.
Mounkaila tace quel che non può dire. Mancano carte
intestate, timbri ufficiali, questa è la verità che è opportuno tacere. E'
materiale buono nelle mani della "squadretta" di vendifumo per confezionare uno
strampalato dossier.
Vi si raccolgono vecchi documenti sottratti all'archivio
della divisione del Sismi come i cifrari (Nucera vicecapocentro) più carta
intestata che viene trasformata in lettere, contratti e in un "protocollo
d'intesa" tra i governi del Niger e dell'Iraq "relativo alla fornitura di uranio
siglato il 5 e 6 luglio 2000 a Niamey". Il protocollo ha un allegato di due
pagine dal titolo "Accord". Rocco consegna il "pacco" ai francesi della
Direction Générale de la Sécurité Extérieure (Dgse). Ne ricava qualche
bigliettone che spende felice a Nizza. Rocco adora la Costa Azzurra.
Fin qui siamo a una truffa degna di Totò, Peppino e la
Malafemmina. A suo modo innocua perché i francesi prendono quelle carte e le
gettano nel cestino. Dice un agente del Dgse: "Il Niger è un paese francofono
che conosciamo bene. Mai nessuno avrebbe preso la cantonata di confondere un
ministro con un altro, come accade in quelle cartacce".
Partita chiusa, dunque? No, l'imbroglio burlesco si rianima
diventando una faccenda terribilmente seria perché arriva l'11 settembre e Bush
da subito comincia a pensare all'Iraq, a chiedere prove dei coinvolgimento di
Saddam.
Il Sismi richiama in campo la "squadretta" di via Baiamonti.
A Forte Braschi è arrivato un nuovo direttore, Nicolò Pollari. Come nuovo è il
responsabile delle "Armi di distruzione di massa", il colonnello Alberto Manenti.
"Un ufficiale preparato, ma assolutamente incapace di dire "no" a un capo", dice
un alto funzionario del Sismi che con lui ha lavorato. Il colonnello Manenti
conosce bene Nucera per averlo avuto nel suo staff, per molto tempo. E' Manenti,
con Nucera prossimo alla pensione, che gli chiede di restare come
"collaboratore".
Il Sismi ha voglia di fare. Ha mano libera come mai l'ha
avuta l'intelligence nel nostro Paese. Berlusconi chiede a Pollari un
protagonismo nella scena internazionale che consenta all'Italia di sedere in
prima fila accanto all'alleato americano. Le stesse sollecitazioni arrivano dal
capo della Cia a Roma, Jeff Castelli. Occorono notizie, informazioni, utili
brandelli di intelligence. Ora, subito. Washington cerca prove contro Saddam.
La Casa Bianca (Cheney, soprattutto) stressa la Cia perché
saltino fuori. "L'assenza delle prove non è la prova dell'assenza" filosofeggia
Rumsfeld al Pentagono.
In questo clima, con il loro dossier fasullo, i vendifumo di
via Baiamonti (Rocco Martino e Antonio Nucera) possono tornare utili. Che cosa
fanno in quell'autunno del 2001? Rocco Martino la mette così: "Alla fine del
2001, il Sismi trasmette il dossier yellowcake agli inglesi del MI6.
Lo "passa" senza alcuna valutazione. Sostiene soltanto che è
stato ricevuto da "fonte attendibile"". Poi l'aggiusta ancora un po': "Il Sismi
voleva che disseminassi alle intelligence alleate i documenti del dossier
nigerino, ma, allo stesso tempo, non voleva che si sapesse del suo
coinvolgimento nell'operazione". Sono accuse che Palazzo Chigi respinge con
sdegno. Il governo ci mette la faccia. Dopo che la guerra ha svelato l'imbroglio
delle armi di distruzione di massa, giura che "nessun dossier sull'uranio né
direttamente né in forma mediata, è stato consegnato o fatto consegnare ad
alcuno".
La mossa è prevedibile. Governo e Sismi devono scavare un
fossato tra Forte Braschi e i passi della "squadretta" di via Baiamonti. Ma la
smentita non regge alla verifica. E' un fatto che nell'autunno del 2001 il Sismi
controlla a Londra le mosse di Rocco Martino. Lo conferma a Repubblica il
direttore del Sismi Pollari: "Seguivamo Martino e avevamo anche le foto dei suoi
incontri a Londra. Volete vederle?". E dunque perché Roma non sbugiarda subito
quel suo ex-agente vendifumo? Di più perché addirittura le notizie contenute in
quel dossier vengono accreditate da Pollari a Jeff Castelli, il capo della Cia a
Roma? E' un fatto che un report sul farlocco dossier made in Rome finisce sul
tavolo dello State Department's Bureau of Intelligence, l'intelligence del
Dipartimento di Stato. Lo riceve l'Ufficio per gli affari strategici, militari e
di proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Affari strategici non è un grande ufficio. Vi lavorano in
quel periodo 16 analisti diretti da Greg Thielmann. Che racconta a Repubblica:
"Ricevo il report nell'autunno del 2001. E' una sintesi che Langley ha ricevuto
dal suo field officer in Italia. L'"agente in campo" informa di aver avuto
visione dall'intelligence italiana di alcune carte che documentano il tentativo
dell 'Iraq di acquistare oltre 500 tonnellate di uranio puro dal Niger". Dunque,
il Sismi affida quelle informazioni, che sa essere false, alla Cia. C'è una
seconda conferma. A Langley l'ambasciatore Joseph C. Wilson riceve l'incarico di
verificare la storia "italiana" delle 500 tonnellate di uranio nigerino.
Racconta Wilson: "Il rapporto non è molto dettagliato. Non è
chiaro se l'agente che firma il rapporto ha materialmente visto i documenti di
vendita o ne ha avuto notizia da altra fonte".
Bisogna ora fermare la prima immagine di questa storia.
Autunno 2001. Il Sismi di Pollari ha in mano il
farlocco dossier costruito da Rocco Martino e Antonio Nucera. Lo mostra alla Cia
mentre Rocco Martino lo consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove. E'
solo l'inizio del Grande Inganno italiano.
Per Nicolò Pollari,
direttore del Sismi, le regole del suo mestiere sono inequivoche. Dice a
Repubblica: "Sono il direttore dell'intelligence e il mio solo interlocutore
istituzionale, dopo l'11 settembre, è stato a Washington il direttore della Cia,
George Tenet. Come è ovvio, io parlo soltanto con lui...". Ma è proprio vero che
le nostre barbefinte hanno lavorato soltanto con la Cia? Oppure hanno sostenuto
anche gli sforzi clandestini dell'intelligence parallela creata da Dick Cheney e
Paul Wolfowitz con il "gruppo Iraq", l'Office for Special plans del Pentagono,
l'ufficio del consigliere per la Sicurezza nazionale, determinatissimi a trovare
le prove utili per il "cambio di regime" a Bagdad?
È un fatto che, alla vigilia della guerra in Iraq e con la
supervisione del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Gianni Castellaneta
(oggi ambasciatore negli Usa), il direttore del Sismi organizza a Washington la
sua agenda con lo staff di Condoleezza Rice, in quegli anni consigliere per la
Sicurezza nazionale alla Casa Bianca. Repubblica è in grado di documentare
questo doppio binario del governo e dell'intelligence italiana. Almeno uno degli
incontri "molto poco istituzionali" di Pollari e, come dicono gli agenti
segreti, la "realizzazione di un sistema" che tiene insieme Governo -
Intelligence - Informazione.
Breve riepilogo. Il Sismi di Nicolò Pollari vuole accreditare
l'acquisto iracheno di uranio grezzo per fabbricare una bomba nucleare. Lo
schema del gioco è alquanto trasparente. Le carte "autentiche" su un tentativo
di acquisto in Niger (vecchia "intelligence" italiana degli anni Ottanta) le
porta in dote il vicecapo del Centro Sismi di Roma (Antonio Nucera). Vengono
affastellate con altra cartaccia costruita alla bell'e meglio con un furto
simulato nell'ambasciata del Niger (se ne ricavano carta intestata e timbri). I
documenti vengono mostrati dagli uomini di Pollari agli agenti della stazione
Cia di Roma mentre un "postino" del Sismi, un tale di nome Rocco Martino, li
consegna a Londra al MI6 di sir Richard Dearlove.
È la prima
istantanea. Torna utile per raccontare il secondo capitolo del Grande Inganno
organizzato in Italia per costruire la necessità di un intervento militare in
Iraq. Lo abbiamo già visto. Greg Thielmann, ex direttore del bureau di
intelligence del Dipartimento di Stato, si ritrova sul tavolo il report
"italiano" sull'uranio. Non ricorda la data esatta.
Parla genericamente di autunno del 2001. Però il giorno
esatto può essere rilevante. È il 15 ottobre del 2001. In quel giorno si
annodano, con una sorprendente coincidenza, tre avvenimenti. Nicolò Pollari,
nominato dal governo il 27 settembre, assume la direzione del Sismi dopo essere
stato il numero due al Cesis (organismo di coordinamento dell'intelligence a
Palazzo Chigi). Silvio Berlusconi viene finalmente ricevuto a Washington da
George W. Bush. Porta quella data, 15 ottobre, il primo rapporto della Cia sulle
evidenze in possesso degli italiani. Nulla si può dire di questa coincidenza se
non prendere atto di una circostanza: gli italiani hanno una dannata voglia di
darsi da fare. Berlusconi ha avuto difficoltà, dopo l'infelice sortita sullo
"scontro tra civiltà", a farsi ricevere da una Casa Bianca alle prese con i
regimi arabi moderati. Pollari ha l'ambizione di mettersi subito in sintonia con
il premier e il nuovo corso. Il fresco capo dell'unità sulle "Armi di
Distruzione di Massa" al Sismi, il colonnello Alberto Manenti (superiore
gerarchico di Antonio Nucera) ha voglia di mettersi in sintonia con il nuovo
direttore. È un fatto che mentre Bush mostra a Berlusconi il giardino delle rose
della West Wing, la Cia prende atto, come scrive Russ Hoyle (per un anno ha
analizzato le conclusioni delle commissioni di inchiesta del parlamento
americano) che l'intelligence italiana ha una notizia con i fiocchi: "Negoziati
(Niamey/Bagdad) circa l'acquisto di uranio sono in corso a partire dall'inizio
del '99 e che la vendita è stata autorizzata dalla Corte di Stato del Niger nel
2000". Non viene citata alcuna prova documentale in grado di dimostrare che la
spedizione di uranio effettivamente sia avvenuta. Gli analisti della Cia
considerano questo primo rapporto "assai limitato" e "privo di dettagli
necessari". Analisti dell'INR (Intelligence and Research) del Dipartimento di
Stato qualificano le informazioni "altamente sospette".
Il primo impatto con la comunità dell'intelligence americana
non è per Pollari gratificante, per così dire, e tuttavia è utilissimo. Il
direttore del Sismi, che non è un fesso, fa presto a ricostruire geografia e
primattori del sordo conflitto in corso nell'amministrazione americana tra chi
(Dipartimento di Stato, Cia) invoca prudenza e pragmatismo e chi (Cheney,
Pentagono) chiede soltanto l'opportunità per dare il via a una guerra già
pianificata. D'altronde, al rientro in Italia il direttore del Sismi verifica
che anche a Roma è rappresentato quel conflitto. Gianni Castellaneta gli
consiglia di guardare anche "in altre direzioni", mentre il ministro della
Difesa Antonio Martino lo invita a ricevere "un vecchio amico dell'Italia".
L'amico americano è Michael A. Ledeen, una vecchia volpe dell'intelligence
"parallela" Usa, già dichiarato dal nostro Paese "indesiderabile" negli anni
Ottanta. Ledeen è a Roma per conto dell'Office for Special Plans, creato al
Pentagono da Paul Wolfowitz per raccogliere intelligence che sostenga
l'intervento militare in Iraq. Racconta a Repubblica una fonte di Forte Braschi:
"Pollari, per quelle informazioni sull'uranio, ottiene dal capo della stazione
Cia di Roma, Jeff Castelli, soltanto freddezza. Castelli, apparentemente, lascia
cadere la storia. Pollari capisce l'antifona e ne parla con Michael Ledeen...".
Non si sa che cosa mosse Michael Ledeen a Washington. Ma, all'inizio del 2002,
Paul Wolfowitz convince Dick Cheney che la pista dell'uranio intercettata dagli
italiani va esplorata fino in fondo. Il vicepresidente, come racconta il Senate
Selected Committee on intelligence, chiede ancora una volta alla Cia "con molta
decisione" di saperne di più del "possibile acquisto di uranio nigerino". In
quel meeting, Dick Cheney dice esplicitamente che questo brandello di
intelligence è a disposizione di "un servizio straniero".
È stata l'intelligence parallela del Pentagono a distribuire
le "nuove informazioni", secondo le quali "esiste un accordo del Niger con
l'Iraq per la vendita di 500 tonnellate di uranio all'anno". I tecnici del
Dipartimento sorridono dell'informazione. 500 tonnellate di uranio. Una quantità
iperbolica. La notizia è palesemente priva di qualsiasi attendibilità. Tutti i
report indipendenti, sollecitati dopo la "nota italiana", avvertono che le due
miniere nigerine di Arlit e Akouta non sono in grado di estrarre più di 300
tonnellate l'anno. Ma i tempi sono quelli che sono. George Tenet, azzoppato dai
buchi di intelligence dell'11 settembre, fa buon viso a cattivo gioco e diventa
addirittura sordo quando l'intelligence del Dipartimento di Stato, come racconta
a Repubblica Greg Thielmann, gli oppone che "le informazioni raccolte in Italia
sono inconsistenti. Che la storia dell'uranio nigerino è falsa. Che un mucchio
di cose che ci sono state riferite sono fasulle".
"Pollari è furbissimo - dicono ancora a Forte Braschi -
capisce che, per spingere la storia dell'uranio, non può affidarsi soltanto alla
Cia. Deve lavorare, come indicano Palazzo Chigi e Difesa, con il Pentagono e con
il consigliere per la Sicurezza nazionale, Rice". L'affermazione potrebbe essere
soltanto maligna (il mondo delle spie spesso lo è), ma conferme del "canale
alternativo" che Pollari crea a Washington si possono afferrare con un'immagine
e un incontro.
L'immagine è questa. Pollari è a Washington. Incontra George
Tenet e, come spesso capita, le presentazioni vengono santificate nella sala
riservata di un hotel nei pressi di Langley. Chi ha assistito al convinvio
racconta a Repubblica: "Pollari non deve fidarsi troppo del suo inglese perché
sistema tra lui e il direttore della Cia una signora che gli fa da interprete.
Con qualche esito imbarazzante. George, per familiarizzare, rivela alcune
informazioni su Al Qaeda e l'Italia che l'Agenzia ha raccolto tra i prigionieri
di Guantanamo. Tenet si attende perlomeno un sorriso, se non un grazie. Ne
ricava soltanto una faccia di pietra. Se ne dispiace, prima. Ne diffida, poi. Ma
quel che colpisce tutti, intorno a quel tavolo, è l'assoluta marginalità in cui
Pollari tiene il suo capocentro a Washington". Questa estraneità è interessante.
In quel 2002, il capocentro Sismi a Washington è l'ammiraglio Giuseppe Grignolo.
Ha un'esperienza importante nella proliferazione delle armi di distruzione di
massa, rapporti eccellenti con la Cia e soprattutto la stima del n. 2
dell'Agenzia, Jim Pavitt. Ricorda una fonte di Forte Braschi: "In realtà, noi
vogliamo tener fuori la Cia dal nostro lavoro e Pollari non si fida di Grignolo,
lo giudica troppo vicino a Langley. Così gli tace ogni mossa. Lo costringe, per
dire, a occuparsi inutilmente della fedina penale dei nuovi assunti al Servizio
che hanno magari trascorso qualche anno negli States... I contatti più
significativi, in quei mesi, passano altrove. Attraverso Gianni Castellaneta con
Condi Rice e, attraverso Ledeen, con l'Office for Special plans di Paul
Wolfowitz e Doug Feith. È Castellaneta che fissa l'incontro di Pollari negli
uffici del consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca". Quando, e
di che cosa parlano? "Di che cosa volete che parlino nell'estate del 2002? Di
armi di distruzione di massa". La data dell'incontro? "Questa la tengo per me...
e comunque basta controllare nei registri del Cai i piani di volo
Ciampino-Washington".
A Roma difficile ottenere quei piani di volo. Maggiore
fortuna si ha a Washington. Un funzionario dell'Amministrazione dice a
Repubblica: "Posso confermare che il 9 settembre del 2002, il generale Nicolò
Pollari incontrò Stephen Hadley, il vice dell'allora consigliere per la
Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice".
Come il 15 ottobre del 2001, anche il 9 settembre del 2002 è
una data che propone qualche coincidenza. In quelle ore, è in chiusura il numero
di Panorama che sarà in edicola con la data 12/19 settembre 2002. È una
consuetudine, nell'"affaire yellowcake", ricordare che il "postino" del Sismi,
Rocco Martino, contatta in ottobre una giornalista del settimanale - diretto
allora da Carlo Rossella - per venderle i documenti dell'imbroglio. Nessuno
ricorda che, nel numero 12/19 settembre 2002, in coincidenza dunque
dell'incontro segreto di Pollari con Hadley, Panorama trova uno scoop
planetario. Titolo: "La guerra? È già cominciata". Racconta di "un carico di
mezza tonnellata di uranio". Si legge nell'articolo: "Gli uomini del Mukhabarat,
il servizio segreto iracheno, lo hanno acquistato attraverso una società di
intermediazione giordana nella lontana Nigeria, dove alcuni mercanti lo avevano
contrabbandato dopo averlo trafugato dal deposito nucleare di una repubblica
dell'ex Urss. I 500 chili di uranio sono poi approdati ad Amman, e da qui, via
terra, dopo sette ore di viaggio, hanno raggiunto la destinazione: un impianto a
20 chilometri a nord di Bagdad, denominato Al Rashidiyah, noto per la produzione
e il trattamento del materiale fissile". E più avanti: "... L'allerta riguarda
la Germania, dove negli anni passati l'Iraq ha cercato di acquistare dalla
società "Leycochem" tecnologia e componenti industriali... e anche i
richiestissimi tubi di alluminio per le centrifughe a gas".
Anche se in un contesto inesatto (Nigeria e non Niger, un
lapsus calami?) e in qualche tratto favolistico (contrabbando dall'ex-Urss
all'Africa con camion), quel che conta osservare è che, nelle rivelazioni di
Panorama, la ricetta, per dir così, ha già tutti gli ingredienti giusti che poi
porteranno alla guerra: 500 tonnellate di uranio che dall'Africa raggiungono
Bagdad; tubi di alluminio per centrifughe nucleari. Sembra di poter
ragionevolmente osservare che lo schema che si vede al lavoro in Italia è
sovrapponibile senza sbavature al modulo che sostiene negli Usa l'affare
Cia-gate/New York Times. Il governo chiede. L'intelligence dà. I media
diffondono. Il governo conferma. È una tecnica di disinformazione vecchia come
la Guerra Fredda. Esagerare la pericolosità del nemico. Terrorizzare e
convincerne l'opinione pubblica. Con un'aggravante in casa nostra. Il magazine
che diffonde le notizie avvelenate è di proprietà del presidente del Consiglio
che governa l'intelligence e vuole essere e apparire il miglior alleato di
George W. Bush, ansioso di andare in guerra.
Si può ora dire che, preparato così il terreno, Pollari può
concentrarsi su un altro aspetto essenziale della manovra. Promuovere il Sismi e
se stesso, incassando i ricavi dell'oscuro lavoro di un anno. Accecare il
Parlamento con notizie prudentemente manipolate e con rivelazioni che
richiederebbero finalmente una ricostruzione attendibile, documentata, e non il
muro del segreto di Stato (che sarà opposto da Gianni Letta il 16 luglio del
2003).
Al ritorno dall'incontro segreto con Hadley, Pollari viene
ascoltato dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Le
audizioni sono due. Nella prima, il direttore del Sismi sostiene: "Non abbiamo
prove documentali, ma informazioni che un Paese centro-africano ha venduto
uranio puro a Bagdad". Trenta giorni dopo, Pollari dice: "Abbiamo le prove
documentali dell'acquisto di uranio naturale da parte dell'Iraq in una
repubblica centro-africana. Ci risulta anche il tentativo iracheno di acquistare
centrifughe per l'arricchimento dell'uranio da industrie tedesche e forse
italiane". Uscito dal Parlamento, Pollari ha ancora il problema di veicolare
verso Washington, senza lasciare alcuna impronta digitale, il documento farlocco.
Gli viene incontro una circostanza molto fortunata. Il "postino" del Sismi Rocco
Martino, che ha già bussato alla porta dell'MI6, contatta l'inviata di Panorama
Elisabetta Burba e tenta di venderle il dossier. È un'idea del vendifumo o una
sollecitazione di Antonio Nucera o di chi? La Burba, correttamente, controlla
l'informazione in Niger. Si inventa un'inchiesta di copertura sui dinosauri,
dall'Oranosaurus nigeriensis all'Afrovenator abakensis.
Nel frattempo avvicina qualche attendibile fonte. Elisabetta
fa quel che deve con rigore e tenacia. Conclude che quella storia non sta in
piedi e non pubblica una riga. Ma tutto, in realtà, è già accaduto, perché il
direttore del settimanale, Carlo Rossella, entusiasta di aver forse trovato,
come dice al suo staff, la "smoking gun", l'ha spedita a consegnare quelle carte
all'ambasciata americana, scelta come "la più alta fonte di verifica". Pollari
avverte il giornale del presidente del Consiglio, fresco dello scoop
sull'uranio, che quella roba è robaccia? A quanto pare, no. Così, Jeff Castelli
e la Cia si ritrovano nelle mani la frittata malfatta che, già da un anno, si
rifiutano di assaggiare. Sono carte così truffaldine che possono essere soltanto
nascoste, se non si vogliono mortificare le attese di Dick Cheney. L'arrivo
delle carte a Washington viene come "silenziato". Sono distribuite il 16 ottobre
2002 alle diverse agenzie di intelligence da funzionari del Dipartimento di
Stato durante uno dei regolari meeting cui prendono parte quattro funzionari
della Cia. Nessuno di loro è in grado di ricordare se le avesse o meno ottenute.
Misteriosamente, a Langley, le "carte italiane" si "perdono" per tre mesi e,
soltanto dopo un'indagine interna dell'Ispettorato generale, se ne ritrova una
copia nella cassaforte dell'Unità Controproliferazione. È il primo affondo
italiano. La "bufala" dell'uranio raddoppia con la frottola dei tubi di
alluminio. Ma questa è un'altra storia.
È affare di date, la storia del coinvolgimento italiano nelle
manipolazioni che giustificano la guerra irachena. Ne abbiamo già avuto la
percezione. È ancora una data che sbroglia e svela il secondo capitolo del
Grande Inganno.
9 settembre 2002. In quel giorno, nelle stanze del National
Security Council, c'è un incontro segreto e molto strampalato, se si guarda alla
trasparenza istituzionale.
Perché il direttore del nostro servizio segreto incontra
un'autorità politica della Casa Bianca? Naturale che Nicolò Pollari incontri il
direttore della Central Intelligence Agency. Ordinario che il direttore del
Sismi incontri la sua autorità politica. Bizzarro che incontri l'autorità
politica di un Paese straniero ancorché alleato: per questi meeting ci sono
ministri e sottosegretari. Allora, di che cosa discute con Stephen Hadley?
Questo Hadley non è uomo da terza fila, alla Casa Bianca.
Oggi è il consigliere per la Sicurezza Nazionale. Nel 2002 è il vice di
Condoleezza Rice e "nodo" della rete "parallela" di intelligence voluta da Dick
Cheney per rendere legittima la guerra a Saddam. E' l'uomo che, soltanto per
dirne una, si assume la responsabilità delle sedici parole, pronunciate da
George W. Bush nel discorso sullo stato dell'Unione, che il 28 gennaio 2003
valgono il conflitto.
Si sa che Hadley, con Pollari, ragiona di armi di distruzione
di massa. Legittimo chiedersi che cosa sappia Pollari, il 9 settembre del 2002,
dell'uranio nigerino. Come egli stesso ammette, sa tutto. E' informato
dell'avventura di Rocco Martino. I suoi uomini addirittura gli stanno dietro.
Conosce i passi del vice-capocentro del Sismi Antonio Nucera, che aiuta il
vendifumo. Quel giorno, Pollari è nella migliore condizione per fare una scelta.
Dire al vice della Rice che, per la Casa Bianca, è meglio lasciar cadere quella
storia dell'uranio, perché è una bufala, perché quei due, Martino e Nucera, sono
due impostori. O, al contrario, rafforzare le convinzioni dell'alleato. Magari
con un accorto silenzio. Che cosa sceglie? Per saperlo torna buono vedere come
si muove Pollari nell'altro caso affrontato nel colloquio con Hadley.
E' il dossier "centrifughe".
Appena 24 ore prima, 8 settembre 2002, Judith Miller ha
raccontato, dalla prima pagina del New York Times, della minaccia nucleare
custodita a Bagdad. "Negli ultimi 14 mesi - scrive la reporter - l'Iraq ha
cercato di acquistare tubi in alluminio che, secondo i funzionari americani,
devono essere utilizzati come rivestimento dei rotors delle centrifughe per
l'arricchimento d'uranio".
Il 9 settembre 2002, dinanzi a Hadley, Pollari ha gli
strumenti per affrontare anche questo aspetto della questione. Il Sismi, come
ammette, ha "prove documentali dell'acquisto di tubi di alluminio da parte
irachena". Vediamo di che cosa si tratta.
Sono tubi di alluminio 7075-T6. E' il materiale preferito per
un sistema di missili a basso costo (ogni tubo costa 17 dollari e 50 centesimi).
Sono fatti di una lega estremamente dura, che li rende potenzialmente adatti
come rotors di una centrifuga capace di separare i costituenti dell'uranio
fissili da quelli non fissili. Non è un'operazione agevole perché poi le
centrifughe devono essere migliaia (16.000) ed essere in grado di sostenere in
sincronia rotazioni a velocità estremamente alte.
Come si sa, la Cia e anche il prudentissimo segretario di
Stato Colin Powell si convincono che si tratta di materiale "dual use" destinato
al programma nucleare iracheno. Powell sfodera tutta la sua esperienza di
soldato. Dice: "Non sono un esperto di centrifughe, ma come veterano
dell'esercito lasciatevi chiedere questo: perché gli iracheni si stanno dando
tanto da fare per quei tubi che, se fossero razzi, andrebbero rapidamente in
pezzi dopo il loro lancio?".
L'obiezione, incredibilmente, resta in piedi anche quando gli
scienziati dell'Oak Ridge National Laboratory (con centrifughe, arricchiscono
uranio per l'arsenale nucleare degli Stati Uniti) annientano la teoria di Powell.
Sostengono che quei tubi sono "troppo stretti, troppo pesanti, troppo lunghi e
facili a creparsi per essere utilizzati come componenti di centrifughe".
Concludono gli scienziati di Oak Ridge: "Quei tubi servono alla costruzione di
un particolare proiettile d'artiglieria".
Dunque, l'8 settembre 2002, Judith Miller rappresenta i tubi
di alluminio come "la pistola fumante". Il giorno dopo, Pollari è seduto di
fronte ad Hadley. Che cosa gli racconta? Pollari sta zitto. Non svela ciò che sa
dei tubi di alluminio che tanto preoccupano (o entusiasmano) l'Amministrazione
Bush. La disgrazia è che quei tubi - 7075-T6, lunghi 900 millimetri, diametro 81
millimetri, superficie dello spessore 3.3 millimetri - sono arnesi molto
familiari per l'esercito italiano. Sono i proiettili di artiglieria del missile
da 81 mm del sistema aria-terra "Medusa", adottato dagli elicotteri di Esercito
e Marina. In realtà, gli iracheni stanno soltanto tentando di riprodurre delle
armi che hanno imparato a conoscere nei lunghi anni della collaborazione
economico-militare-nucleare tra Roma e Bagdad (i migliori ufficiali
dell'Esercito e dell'Aeronautica irachena sono stati addestrati nel nostro Paese
negli anni Ottanta). Lo stato maggiore di Saddam ha bisogno di duplicarli, per
dir così, perché le scorte sono state conservate all'aperto e sono ormai
rugginose. Ecco la ragione dei nuovi acquisti in alluminio anodizzato.
Perché Pollari non spiccica parola? Se si pone la domanda a
Greg Thielmann, ex capo del bureau di intelligence del Dipartimento di Stato, si
ottiene questa risposta: "Ma voi davvero non avete capito perché l'intelligence
militare italiana non ci ha dato nessuna indicazione che consentisse di
escludere definitivamente che quei tubi servissero per un programma nucleare? Io
un'idea ce l'ho. Il Sismi, come la Cia e come l'intera comunità
dell'intelligence anglo-americana, deve e vuole compiacere i falchi della nostra
Amministrazione". Il giudizio è sonoro come una fucilata. Sono le date a offrire
una conferma difficile da eludere.
8 settembre 2002, Judith Miller lancia il sasso.
9 settembre 2002, Hadley incontra Pollari.
11 settembre 2002, l'ufficio di Stephen Hadley chiede alla
Cia un nullaosta che permetta al presidente degli Stati Uniti di utilizzare in
un discorso pubblico le informazioni sulla vendita dell'uranio nigerino. In
particolare, per quel che riferisce il rapporto del Selected Committee on
Intelligence la richiesta che arriva alla Cia dal gabinetto del National
Security Council chiede testualmente a George Tenet che "George W. Bush sia
autorizzato a dire: "L'Iraq ha compiuto diversi tentativi di acquistare tubi di
alluminio rinforzato da utilizzare per centrifughe per l'arricchimento di
uranio. Sappiamo inoltre che, nell'arco degli ultimi anni, l'Iraq ha ripreso i
tentativi per ottenere grandi quantità di uranio ossidato noto come yellowcake.
Componente necessaria al processo di arricchimento"". La Cia dà il suo nullaosta
(a Cincinnati, Ohio, il 7 ottobre 2002, la frase autorizzata cade dal discorso
presidenziale.
Il giorno prima, Langley ne raccomanda la cancellazione:
"L'intelligence è debole. Una delle due miniere citata dalla fonte come luogo di
estrazione dello yellowcake risulta allagata. L'altra è sotto il controllo delle
autorità francesi").
Bisogna ora chiedersi che cosa combina Pollari. Questa
ingarbugliata faccenda dello yellowcake e delle centrifughe si impasticcia
intorno ai documenti farlocchi di Rocco Martino. Chi li ha dati a chi, quando,
come? Chi li ha letti e ne ha taciuto l'infondatezza? Chi ha creduto nella loro
fondatezza e li ha "disseminati"? L'affare ha il suo fuoco in queste risposte,
ma anche nelle parole che non vengono dette. Gli italiani sanno che Rocco
Martino è un cialtrone. Hanno ben presente che le uniche carte autentiche di
quel dossier sono vecchia intelligence, sottratta all'archivio della divisione
del Sismi che si occupa delle armi di distruzione di massa. Pollari lascia
correre la frottola per il mondo. Non "brucia" Rocco Martino che bussa alla
porta dell'MI6 inglese. Anzi, lo accredita come "fonte attendibile". Non gela
gli entusiasmi dell'amico americano Michael A. Ledeen e dell'Office for Special
plans del Pentagono. Semplicemente ammutolisce mentre l'imbroglio si fa strada.
Anzi, quando apre bocca, non spegne né delude il desiderio americano. Così
avviene per i tubi di alluminio. Dopo una "brillante operazione", il Sismi ne
viene materialmente in possesso. E' un'intelligence militare. Anche un
soldataccio capirebbe che si tratta di "roba nostra", dei proiettili del "Medusa
'81". Al Sismi naturalmente lo capiscono. Ma, anche in questo caso, il 9
settembre 2002 Pollari si chiude dinanzi ad Hadley in un riservato silenzio. Fa
di più.
12 settembre 2002. In edicola arriva Panorama. Nel lungo
servizio titolato "La guerra? E' già cominciata", si raccolgono le rivelazioni
decisive e inedite al mondo sul riarmo nucleare iracheno. Nessuno ha ancora
parlato di uranio. Tantomeno di 500 tonnellate. Lo farà per la prima volta Tony
Blair, ma soltanto il 24 settembre 2002. Due settimane dopo l'incontro
Pollari-Hadley. Dodici giorni dopo lo "scoop" di Panorama. Il dossier di 50
pagine del governo di Londra afferma che l'Iraq sta cercando di acquisire uranio
in Africa. Blair sostiene che "l'Iraq ha cercato di comprare significative
quantità di uranio da un paese africano nonostante non abbia nessun programma di
nucleare civile che lo richieda". Ancora oggi, il ministro degli Esteri inglese,
Jack Straw, ripete che il "dossier italiano" non era l'evidenza che ha
giustificato queste parole; che l'MI6 è in possesso di intelligence acquisita
precedentemente. Queste "evidenze" non sono mai saltate fuori. "Se saltassero
fuori - dice a Repubblica una fonte di Forte Braschi e sorride - si scoprirebbe
facilmente e con qualche rossore che è intelligence italiana raccolta dal Sismi
alla fine degli anni '80 e condivisa con il nostro amico, Hamilton Mac Millan".
Non è, dunque, la loquacità a indicare le responsabilità
italiane dello yellowcake. Sono i silenzi. Abbiamo visto come tace (o è
costretto a tacere) il Sismi. Povero Sismi, non è mica il solo. Nessuno dei
protagonisti di questo garbuglio, pur sapendo, fiata. Tace Panorama. Quando la
direzione del magazine, di proprietà del capo del governo, deve ricostruire i
contatti con Rocco Martino (che ha cercato di vendere l'imbroglio a Segrate)
omette di ricordare che le informazioni contenute nel dossier truffaldino, già
sono state pubblicate il mese prima. Il direttore del settimanale,
inspiegabilmente, verifica quei documenti soltanto con l'ambasciata americana e
non con il governo né tantomeno con le eccellenti fonti del servizio segreto
italiano a cui, come dimostra lo "scoop" di settembre, ha accesso. Non trova
alcun interesse nel raccontare, con un secondo potenziale "scoop" mondiale, che
la storia su cui si sta imbastendo una guerra è falsa. Tace anche Palazzo Chigi,
naturalmente. Il ruolo del consigliere diplomatico di Silvio Berlusconi, Gianni
Castellaneta, è stato essenziale nei rapporti tra il nostro Paese e quel network
parallelo che Dick Cheney crea con il finanziamento di Ahmed Chalabi dell'Iraqi
National Congress, con la raccolta dell'intelligence "aggiustata" dall'Office
for Special Plans, con la diffusione mediatica di queste manipolazioni
attraverso il "gruppo Iraq" (che si vede al lavoro anche nel caso Miller/New
York Times). Ma chi ha sentito mai Castellaneta dire una parola e chi gli ha mai
chiesto in un luogo istituzionale di dirla?
Sta chiotto Gianni Letta. Quando affiora la verità del falso
dossier italiano, il sottosegretario con delega ai servizi, contrariamente a
quanto si legge nelle inesatte note del governo, si appella al segreto di Stato.
Sostiene che nessuna documentazione può essere offerta al controllo del
Parlamento perché si metterebbero "in pericolo fonti dei servizi". Quali fonti?
Rocco Martino, carabiniere fallito, spione disonesto, doppiogiochista? O Antonio
Nucera, vicecapo del centro Sismi di viale Pasteur che trafuga (o è costretto a
trafugare), dall'archivio della sua Divisione, intelligence ammuffita per
costruire "il pacco"?
E' evidente che, a frittata rovesciata,
qualcosa bisogna pur raccontare dopo tanto silenzio. Pollari si muove
nell'estate del 2004. Discretissimo, diventa improvvisamente loquacissimo. Apre
addirittura il suo ufficietto a Palazzo Baracchini. Pollari se ne sta in una
stanzetta buia, dietro uno scrittoio stracolmo di carte. Carte, carte, carte
ovunque. Alla sua sinistra, c'è un altro scrittoio coperto di dossier come uno
scoglio dall'onda. Spiega a Repubblica (è il 5 agosto 2004): "Non mi fido di
nessuno. Le carte le voglio leggere io...". L'uomo appare in difficoltà. Sente
sul collo l'alito maligno dei reporter americani dell'Atlantic Monthly. Si
rigira tra le mani una richiesta di colloquio recapitata dalla televisione
americana Cbs all'ambasciata italiana a Washington. Si chiede: "Che cosa
vogliono questi da me? Chi è che li sta informando? La Cia? L'Fbi? Qualche
transfuga della Cia? Qualche nemico del Fbi?". Sa che Rocco Martino è stato
agganciato dai producer di 60 minutes e teme, come una catastrofe personale, la
confessione del vendifumo davanti ai microfoni. Ora Pollari deve guadagnare una
via d'uscita dall'impiccio e gli sembra di aver trovato il modo per uscire
dall'angolo. Dice a Repubblica: "Sono stati i francesi del Dgse a trarre in
inganno gli americani. Noi non c'entriamo nulla". Estrae da una cartellina una
stampata in power-point multicolore (i colori sono giallo, rosso, viola,
azzurro, verde). La cartuscella dovrebbe dimostrare il "ruolo dell'intelligence
francese nell'affaire Niger". Mai sembra convincente. E' musica che suona
stonata anche oggi. Il tempo ha dimostrato in modo solido l'infondatezza della
"pista francese", farfallina già in partenza. Infatti, come accerta il rapporto
del Senato americano, due settimane prima dell'inizio della guerra, il 4 marzo
2003, i francesi avvertono Washington che i documenti in loro possesso sono
falsi perché sono gli stessi che Rocco Martino ha rifilato a Parigi. Non è stata
mai rintracciata (né Pollari la rivendica) un'analoga nota italiana che possa
dare uno stop all'irruenza di Dick Cheney. Il Sismi, come il governo, sa che
l'intelligence contro l'Iraq è tutta fuffa. Tacciono. Come precipita nel mutismo
l'intero circuito politico italiano. E' comprensibile il silenzio della
maggioranza, ma l'ozio dell'opposizione può esserlo di fronte a una
manipolazione che addirittura provoca una guerra? L'unico atto che si può
registrare è la richiesta di una commissione di inchiesta presentata
dall'Unione, una pretesa soltanto burocratica perché, una volta licenziata, può
essere dimenticata. Così, mentre negli Stati Uniti si contano tre inchieste
indipendenti (Cia-gate; Nigergate; cospirazione di Larry Franklin, funzionario
dell'Office of Special plans), in Italia non si muove foglia. Se si ha la
ventura di incontrare il pubblico ministero di Roma, Franco Ionta, per sapere
almeno - così per curiosità - come è finita l'inchiesta su quel vendifumo di
Rocco Martino, il magistrato spiegherà: "Sì, ho interrogato questo Martino. Un
truffatore. In mezz'ora ho chiuso il verbale... Che volete che mi dicesse... Ora
la richiesta di archiviazione è nelle mani del gip... Trattasi di buffonata...".
Una buffonata italiana che può annegare nel silenzio. Della politica,
dell'informazione, della magistratura. Così vanno le cose in Italia.
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